CECOSLOVACCHIA

Enciclopedia del Cinema (2003)

Cecoslovacchia

Eusebio Ciccotti

Cinematografia

La storia del cinema 'cecoslovacco', come l'intera storia dei Paesi legati alla corona asburgica, non poté avere ai suoi inizi un carattere unitario. La C. in quanto Stato indipendente sorse infatti solo nel 1918, dalla dissoluzione dell'Impero austro-ungarico dopo la Prima guerra mondiale. Malgrado ciò il cinema vi arrivò alla fine dell'Ottocento, poco dopo la sua presentazione ufficiale a Parigi per opera dei fratelli Lumière.

Le origini

Le prime proiezioni cinematografiche avvennero nel corso del 1896 a Karlovy Vary e a Praga (Boemia), e, successivamente, a Bratislava (Slovacchia).

L'inizio della produzione ritardò soprattutto per difficoltà di tipo imprenditoriale, mentre dal punto di vista scientifico la Boemia era da tempo all'avanguardia nello studio dell'immagine in movimento, come dimostrano gli esperimenti di J.E. Purkyně, tra il 1840 e il 1862, circa la persistenza della visione sulla retina.

Ma fu l'architetto Jan Křiženecký, fotografo d'occasione, il primo ad acquistare dai Lumière una macchina di ripresa e di proiezione, iniziando dal 1898 a girare scene documentaristiche per poi mutare genere e realizzare dei brevi racconti comici, con la partecipazione del noto attore di varietà Josef Šváb-Malostranský (1860-1932), prima stella del cinema ceco.

Il cinema si diffuse rapidamente e, come in altre aree dell'Est europeo, si moltiplicarono i proprietari di cinema ambulanti, mentre solo nel 1907 vennero inaugurate le prime sale cinematografiche.

Tra il 1910 e il 1913 nacquero, ma ebbero vita breve, le prime case di produzione ceche, la Kinofa (proprietario Anonín Pech, futuro documentarista) e la Illusion Film, diretta da František Tichý e Alois Jalovec; dal 1912 Max Urban e sua moglie, l'attrice di teatro Andulka Sedláčkova, fondarono la Asun. Negli anni Dieci era la commedia, nelle sue varie sfumature, il genere più praticato: in Noční děs (1914, L'incubo) di Jan A. Palouš vi è il motivo dell'adulterio; Zlaté srdéčko (1916, Cuoricino d'oro) è una storia d'amore che vira verso il comico; in Pražští Adamité (1917, Gli Adamiti di Praga), la risata è raggiunta grazie al motivo dei gemelli che si confondono; infine con Čaroděj (1918, Lo stregone) si sperimenta un poliziesco trasformato da svolte comiche: questi ultimi tre film furono diretti da Antonín Fencl. Un intreccio di gag comiche si svolge in Učitel orientálních jazyků (1918; Studenti) di Jan S. Kolár, mentre usciva dal genere un adattamento dell'opera lirica di B. Smetana realizzato nel 1913 da Urban, Prodaná nevěsta (La sposa venduta).

Lo sviluppo della produzione nel primo dopoguerra

Nel periodo della Prima guerra mondiale vennero fondate nuove produzioni, come la Lucernafilm di Václav Havel, la Pragafilm di A. Fencl, la Wetebfilm di Václav Binovec. Dall'estate del 1918 la produzione, ormai 'nazionale', incoraggiata dalla nuova Repubblica di C. (nov. 1918) che riuniva Boemia, Moravia e Slovacchia, visse un esordio felice. Nel 1921 furono creati a Praga (Vinohrady) i primi studi stabili e si passò dai 4 film realizzati nel 1917 ai 34 della stagione 1921-22, si aprirono 507 sale nel Paese, di cui 39 a Praga. I registi cechi iniziarono a trarre soggetti dalla storia e dalla letteratura, e, senza più il filtro della censura austro-ungarica, si consolidò un filone di cultura nazionale. Apparvero così Příchozí z temnot (1921, Quello che viene dalle tenebre) di Jan S. Kolár, da un testo di J. Arbes; Cikáni (1921, Zingari) di Karel Anton, da un racconto di K.H. Mácha; Kam s ním? (1921, Come liberarsi?) di Václav Wassermann, da J. Neruda; Zlatý klíček (1922, La chiavetta d'oro) di Jaroslav Kvapil, da K.M. Čapek-Chod; Dobrý voják Švejk (1926, Il buon soldato Švejk) di Karel Lamač, da J. Hašek; Pohorská vesnice (1928, Villaggio di montagna) di Miroslav J. Krňanský, da B. Němcová. In Slovacchia, industrialmente e tecnicamente più arretrata, solo nel 1921 fu realizzato il primo lungometraggio a soggetto Jánošík di Jaroslav Siakel e František Horlivý, caso isolato in una larga produzione documentaristica che continuerà addirittura fino al 1948.

Verso la fine del muto quattro film raggiunsero un livello superiore alla media, guadagnandosi l'attenzione della critica e oltrepassando i confini del Paese: Batalión (1927, Battaglione) di Přemysl Pražský; Erotikon (1929) di Gustav Machatý, che, grazie alla sua originalità stilistica, divenne subito un film di culto; Varhaník u sv. Víta (1929, L'organista di S. Vito) di Martin Frič, sceneggiato dal poeta e scrittore surrealista V. Nezval, e Takový je život (1929, Così è la vita) di Karel Junghans. Quest'ultimo, di taglio naturalistico-proletario, storia di una lavandaia ambientata nella misera periferia praghese, aveva come interprete la grande attrice Vera F. Baranovskaja, la protagonista del film Mat′ (1926; La madre) di Vsevolod I. Pudovkin.

Dal muto al sonoro

L'arrivo in C. del sonoro coincise con la crisi economica mondiale del 1929. Nel 1933 la situazione migliorò e venne creata a Praga una tra le prime 'cinelandie' dell'Est, gli stabilimenti Barrandov, il complesso più grande dell'Europa centrale, dove poter concentrare la produzione nazionale e ospitare diverse coproduzioni. Ma il parlato aveva sollevato un problema linguistico-economico-diplomatico tra C. e Germania: nel settembre 1930 a Praga, a Bratislava e in altre città, si erano svolte forti manifestazioni popolari, sostenute anche dai produttori locali, contro la massiccia distribuzione di film in lingua tedesca. In seguito vennero prese misure di sostegno per la produzione nazionale, arrivando a produrre 43 film nel 1938 e aumentando il numero degli esercizi che, dai 507 del 1922 passarono ai circa 1200 del 1938.

Mentre la componente slovacca nel cinema, negli anni Trenta, era ancora poco sviluppata, il cinema ceco raggiungeva risultati di rilievo nei diversi generi. Nella commedia, con Třetí rota (1931, La terza compagnia) di Svatopluk Innemann e Maryša (1935) di Josef Rovenský; nel film lirico-sentimentale, con Řeka (1933, Il fiume/Giovane amore, ancora di Rovenský) ed Extáse (1933; Estasi) di Machatý; nel melodramma psicologico, con Marijka nevěrnice (1934, Marijka l'infedele) di Vladislav Vančura; nel genere storico, con Bílá nemoc (1937, La malattia bianca) di Hugo Haas e Filosofská historie (1937, Storia filosofica) di Otakar Vávra; nel film 'naturalista', ‒ sull'eco di Takový je život ‒ con Dům na předměstí (1933, La casa in periferia) di Miroslav Cikán e Panenství (1937, Verginità) di Vávra. Extáse di Machatý fu il più noto film cecoslovacco del periodo e il primo a essere distribuito in tutto il mondo: in esso l'attrice Hedwige Kiesler (in seguito famosa a Hollywood con il nome di Hedy Lamarr) mostrava il primo nudo del cinema. Si ritagliò uno spazio anche il cinema di satira politica antifascista e antinazista, proveniente dalla tradizione dell''Osbovozené divadlo' (Teatro liberato) attraverso la coppia costituita dagli attori-autori Jan Werich e Jiří Voskovec, che collaborarono alla realizzazione dei film divenuti subito dei miti, quali Pudr a benzín (1931, Polvere e benzina) e Peníze nebo život (1932, O la borsa o la vita) del teorico teatrale Jindřich Honzl, Hej rup! (1934, Oh issa!) e Svět patří nám (1937, Il mondo ci appartiene) di Frič.

Si sviluppò anche la collaborazione tra i letterati e il cinema. Vladislav Vančura fu il primo scrittore europeo accettato dal mondo del cinema come sceneggiatore e regista: il suo Před maturitou (1932, Prima dell'esame di maturità), diretto con Innemann, è, insieme a Zéro de conduite (1934; Zero in condotta) di Jean Vigo, il migliore film sul mondo della scuola degli anni Trenta. Alcuni autori permisero versioni cinematografiche delle loro opere (M. Majerová, K.M. Čapek-Chod), altri collaborarono invece con adattamenti e sceneggiature (I. Olbracht, V. Nezval, K. Nový).

Non va dimenticato l'apporto dei registi d'avanguardia: da O. Vávra a Čeněk Zahradníček, da Jiří Lehovec ad Alexander Hackenschmied. Questi, in Bezúčelná procházka (1930, Passeggiata senza senso), segue con una camera mobile, fuori asse, un uomo che attraversa Praga a piedi e in tram. Vávra, come cineasta esordiente ‒ sarà poi il regista più noto della prima generazione ‒ girò un delicato cortometraggio sperimentale, Listopad (1935, Novembre), sfumata storia di una coppia di anziani, ambientata a Praga. In Ruce v uterý (1933, Mani di martedì), coraggioso film di dettaglio, Zahradníček trattò il motivo delle mani, idea cara all'avanguardia storica. L'atmosfera dell'avanguardia permeò anche i film con i pupazzi, girati da Karel Dodal e dalla sua prima moglie Hermína Týrlová, come per es. Tajemstvý lucerna (1935, Il mistero della lanterna); per l'importante settore del cinema d'animazione in C., v. animazione.

La mostra di Venezia del 1934 registrò il momento di espansione espressiva del cinema cecoslovacco facendolo conoscere a livello internazionale e premiando i film migliori: Řeka di Rovenský, Extáse di Machatý, oltre ai documentari di Karel Plicka (Zem spieva, 1933, La terra canta) e di Tomáš Trnka (Bouře nad Tatrami, 1933, Tempesta sui monti Tatra); mentre nelle edizioni successive, del 1936 e del 1937, furono premiati i film Mariša di Rovenský e Batalión di Cikán.

La cultura della Slovacchia è al centro del remake di M. Frič, Jánošík (1935), ispirato al personaggio epico, un Robin Hood slovacco, film distribuito in ben quaranta Paesi. L'esordio nel documentario avvenne per opera del ceco K. Plicka che dedicò film anche agli ambienti e alle tradizioni slovacche. Se in Za slovenským lidem (1928, Insieme al popolo slovacco) si muove ancora nel racconto tradizionale, innovazioni di linguaggio si intravedono in Po horách po dolách (1929; Per monti e per valli). In Zem spieva la regia è ormai disinibita anche per la camera di A. Hackenschmied: l'ingenuo documentario dell'esordio (con piani fissi) si era trasformato in reportage, con forti influenze del cinema di Dziga Vertov, di Aleksander P. Dovženko e di Robert J. Flaherty.

L'occupazione tedesca

Dal marzo 1939 alla fine della Seconda guerra mondiale la Boemia e la Moravia furono un protettorato della Germania, mentre indipendente ma sotto il controllo tedesco divenne la Slovacchia. Molti registi lasciarono il Paese (per es. Haas, Hackenschmied, Jiří Weiss), altri, come Vančura, trovarono la morte nella repressione nazista. Per tutto il periodo della guerra, la produzione (con i titoli di testa e di coda obbligatoriamente in ceco e tedesco), oltre a subire la forte censura nazista, diminuì rapidamente (dai 43 film del 1938 si passò agli 8 del 1944); scomparvero inoltre le coproduzioni con i francesi sostituite, in parte, da quelle con i tedeschi. I registi ripararono, da un lato, nella commedia innocua, come Vávra in Humoreska (1939, Racconto umoristico), da K.M. Čapek-Chod, storia di un avvocato accusato ingiustamente di furto, dall'altro, non mancarono film più 'impegnati', sin dove era possibile, nel sottolineare l'identità ceca, To byl český muzikant (1940, C'era un musicista ceco) di V. Slavinský, Muzikantská Liduška (1940, Liduška la figlia del musicista) di M. Frič; o anche il genere biografico nazionale rappresentato soprattutto da Babička (1940, La nonna) di František Čáp, tratto dal capolavoro del romanticismo boemo, che fu un caso nazionale, acclamato in tutto il Paese; o film incentrati sulla quotidianità con sottili analisi critiche come Pacientka doktora Hegla (1940, Il paziente del dottor Hegl), in cui Vávra mostra una storia sulla meschinità della vita borghese.

In Slovacchia venne creata, nel settembre del 1939, la prima casa di produzione, la Nástup, specializzata nella realizzazione di cinegiornali settimanali.Nel periodo compreso fra il 1941 e il 1944, solo alle società Lucernafilm e Narodnafilm venne permessa la produzione di film in lingua ceca, tra cui Noční motýl (1941, La farfalla notturna) di F. Čáp, dove viene sperimentato il viraggio seppia, e Št′astnou cestu! (1943, Buon viaggio!) di O. Vávra, unico film ceco ambientato nell'epoca contemporanea.

Dal secondo dopoguerra alla 'Primavera di Praga'

Il 6 maggio del 1945 le truppe americane giunsero a Plzeň, i sovietici giunsero a Praga il 9 maggio. La C. riacquistò quindi l'indipendenza e l'unità. Il 1° giugno riaprirono scuole e università; il 15 giugno gli studi di Barrandov e in agosto fu effettuata la nazionalizzazione del cinema; in ottobre venne fondata la Filmová Fakulta Akademie Músických Umění (FAMU, Facoltà di cinema dell'Accademia delle Muse); al contempo iniziò a rafforzarsi una politica culturale panslava. Anche nella produzione ci fu un primo riflesso positivo: dai tre film del 1945 si passò ai venti del 1948.

Il primo film realizzato tratta dell'occupazione, Muži bez křídel (1946, Uomini senza ali, di F. Čáp, premiato a Cannes), protagonista Jirka, piccolo eroe partigiano. Siréna (1947; Sirena) di Karel Steklý, dal romanzo di M. Majerová, che racconta la storia proletaria, di taglio realistico, di una famiglia, ambientata nel 1899, in un villaggio presso una miniera, tra fame, scioperi e arresti, si aggiudicò nel 1947 il Leone d'oro a Venezia; mentre altri registi (per es. J. Weiss in Uloupená hranice, 1947, La frontiera violata) sfruttarono ampiamente il tema della cessione forzata dei Sudeti al Terzo Reich.

Dopo le elezioni del febbraio 1948, che sancirono la 'vittoria' del comunismo sotto la presidenza di K. Gottwald, iniziò un periodo di stretto controllo sul Paese e di interventi repressivi; molti cittadini ‒ tra cui maestranze del cinema ‒ emigrarono. Nel campo delle arti fu adottata nel 1948, seguendo l'esempio sovietico, l'estetica del 'realismo socialista'.

In tale cupa atmosfera Vávra riuscì a girare il miglior film sull'occupazione nazista, cercando di far emergere, metaforicamente, i valori socialisti e democratici, già posti in discussione dallo stesso regime: Němá barikáda (La barricata muta, 1949, da alcune novelle di J. Drda, co-sceneggiatore), in cui si rivivono i cinque giorni dell'insurrezione di Praga del maggio 1945 e ispirato al mi-glior realismo sovietico e al Neorealismo italiano. Vide anche la luce il primo lungometraggio a soggetto in lingua slovacca, Vlčie diery (1948, Le tane dei lupi) di Pal′o Bielik, dove l'eroismo quotidiano dei partigiani è reso in un racconto di grande semplicità.

Nell'aprile 1950 fu approvata dal Comitato centrale del Partito comunista una 'Risoluzione sul film' che stabiliva la superiorità della sceneggiatura sulla regia, indicava i temi da affrontare nei soggetti e istituiva la censura preventiva, attraverso l'Ideově Umělecká Rada (IUR, Consiglio artistico-ideativo). Alcuni cineasti preferirono allora emigrare, e quell'anno furono girati pochissimi film. Negli anni successivi il cinema, come le altre arti, visse la fase più acuta del 'realismo a tesi', e rari furono i film degni di nota, tra cui Měsíc nad řekou (1953, La luna sul fiume) e Stříbrný vítr (1954, La brezza argentata), entrambi di Václav Krška.

Sul piano produttivo nella prima metà degli anni Cinquanta si ebbe una media di circa 15 film all'anno; fu anche notevolmente estesa la rete delle sale, che salirono a circa 3000, di conseguenza aumentò in maniera sensibile il numero degli spettatori, dai 128 milioni del 1951 ai 186 milioni del 1957 (la cifra più alta mai raggiunta). Con la creazione nel settembre 1953 dei primi studi cinematografici della Slovacchia, a Koliba, il ritardo in cui essa ancora si trovava iniziò a colmarsi, almeno sul piano materiale (per quello artistico bisognava attendere gli anni Sessanta).

Dopo il XX Congresso del PCUS (1956), con il di-sgelo chruščëviano e la critica al culto della personalità, anche nel cinema si registrò una tenue apertura. Gli autori manifestarono agli ideologi di partito il desiderio di superare una concezione manichea dell'arte. La nuova atmosfera emerse in C. nella prima coproduzione con la Francia: Dědeček automobil (1957, Nonnino automobile) di Alfred Radok, premiato a San Sebastián: il film, umoristico omaggio alle gare automobilistiche francesi di inizio Novecento, spezzò, per un momento, la pressione dell'estetica di partito. Seguì un gruppo di film dagli esiti estetici disomogenei, oscillanti tra una ricerca poetica delle piccole cose e l'affermazione di una morale meno dottrinaria: Ztracenci (1957, I perduti), di Miloš Makovec; Vlčí jáma (1957; La tana del lupo) di J. Weiss; Touha (1958, Desiderio) di Vojtěch Jasný; Zde jsou lvi (1958, Qui sono i leoni) di V. Krška; Probuzení (1959; Le notti ladre) e Vyšší princip (1960; Il principio superiore) di Jiří Krejčík; Velká samota (1959, La grande solitudine) di Ladislav Helge. Emergevano in Vlčí jáma e in Zde jsou lvi le prime critiche al sistema socialista del lavoro; Touha, considerato il primo film d'autore del dopoguerra, che riallacciava il filo spezzato con la felice stagione tra le due guerre (Rovenský, Vávra, Frič, Vančura), era un film lirico, dalla delicata struttura analogico-metaforica, articolato in quattro racconti, legati alle stagioni, simboleggianti le quattro fasi della vita; Vyšší princip, ancora un ottimo film sul tema della scuola, raccontava in modo asciutto e scevro da enfasi la storia di una classe di studenti con il loro insegnante di latino sotto l'occupazione nazista.

Nel maggio del 1959, al Congresso della cinematografia di Banská Bystrica (Slovacchia), l'allarme per l'abbandono delle tematiche del realismo socialista aveva portato alla condanna per revisionismo di quel cinema che conteneva critiche alla società. Fu un ritorno indietro, all'atmosfera cupa dei primi anni Cinquanta, ma dopo il 1962 si aprirono nuovi spiragli: venne abolita la censura preventiva; la produzione, riorganizzata in un sistema di concorrenza, giunse nel decennio a superare la media di quello precedente.

La Nová Vlna

Nel 1962 si fa iniziare la 'nuova ondata' del cinema cecoslovacco che, con espressione mutuata dalla Nouvelle vague francese, viene denominata Nová Vlna (v.). Fece da battistrada una storia ambientata nell'altra 'capitale', a Bratislava, Slnko v síeti (Il sole nella rete) di Štefan Uher, in cui inaspettatamente, la vita di tre adolescenti viene ritratta con accenti malinconici, esistenziali, fuori dall'ottimismo ufficiale. In una città estiva, assolata e vuota, i protagonisti attendono l'eclissi, metafora di un qualcosa di nuovo (forse la libertà), che però tarda a giungere. Uher, Věra Chytilová(Pytel blech, 1962, Un sacco di pulci) e Miloš Forman, furono i rappresentanti più significativi dell''onda dei trentenni' cui subito si aggiunsero altri nomi: Jan Němec, Pavel Juráček, Evald Schorm, Ivan Passer, Jiří Menzel, Jan Švankmajer, Hynek Bočan, Drahomíra Vihanová, e gli slovacchi Juraj Jakubisko, Jaromil Jireš, Juraj Herz, Dušan Hanák, Stanislav Barabáš, Dušan Trančík. Tutti squarciarono con i loro film il velo su una società in trasformazione con giovani e adulti insoddisfatti, e vecchi privi del falso sorriso ottimista; tutti alla ricerca di 'qualcosa d'altro'. Il cinema viveva una rinascita e la giovane generazione riuscì a rivitalizzare, nello stile e nei temi, sia la vecchia generazione formatasi tra le due guerre (Vávra, Frič, Elmar Klos e Jan Kadár, H. Haas, Josip Novak), sia i primi diplomati della FAMU del secondo dopoguerra (V. Jasný, Karel Kachyňa, František Vláčil).

La Primavera di Praga e gli anni della repressione

Il cinema aveva presentito e in parte preparato l'arrivo di un periodo di democratizzazione. Tra il febbraio e il luglio del 1968 l'intero Paese e il suo cinema vissero il periodo più libero e creativo del dopoguerra. In quei pochi mesi andarono in produzione una serie di felici soggetti che arricchirono la già variegata produzione della scuola di Praga. Ma in agosto arrivò l'invasione sovietica. Nel 1969, i film terminati non furono distribuiti. Vennero vietati tutti i film più recenti sino a risalire a quelli del 1962. Rimasero chiusi nelle casseforti circa cento film, alcuni con la dicitura 'vietati per sempre', ma non furono distrutti e riemersero nel febbraio del 1990. La Nová Vlna venne decimata. Alcuni emigrarono: Němec, Juraček, Jasný, Forman; altri, come Schorm, furono costretti a ripiegare in teatri di provincia o a nascondersi in mansioni minori. Il cinema della C. fu negli anni Settanta controllato e normalizzato, spesso risultò piattamente governativo. Solo alcuni esponenti della Nová Vlna ripresero a lavorare, come Uher, Menzel, Herz, Jireš, Hanák, Trančík e, più tardi la Chytilová e Jakubisko, affiancati da due autori 'classici' come Kachyňa e Vláčil: ma il controllo sulle sceneggiature fu ossessivo, i risultati modesti. I pochi film sfuggiti alla censura conquistavano premi all'estero, ma erano vietati in patria. Skřivánci na niti (Allodole sul filo) di Menzel, sui 'campi di riabilitazione' durante lo stalinismo, realizzato nel 1969, fu proiettato, dopo il dissequestro, solo vent'anni dopo (ottenendo un Orso d'oro a Berlino nel 1989); Obrazy starého světa (1972, Immagini di un vecchio mondo) di Hanák, sulla povertà occultata dal socialismo, fu proibito fino al 1988; Panelstory (1979, Storia di prefabbricati) della Chytilová, satira dei palazzi popolari concepiti come pollai, fu ritirato dopo pochi giorni e ridistribuito soltanto nel 1981; Ja milujem, ty miluješ (1980, Io amo, tu ami) dello slovacco Hanák, accusato di 'estetizzazione della bruttezza' e proiettato solo nel 1988, ottenne un Orso d'argento a Berlino.

Quasi tutti gli autori finirono quindi per limitarsi a opere di livello dignitoso ma devitalizzate: Menzel con una commedia gentile ma poco incisiva come Na samotě u lesa (1976, In solitudine nel bosco), Postřižiny (1981, La tonsura, da B. Hrabal), Vesnička má středisková (1986, Il mio piccolo dolce villaggio: nomination all'Oscar); Jireš, perseguendo una raffinata ricerca stilistica, con il racconto surrealista Valérie a týden divů (1970; Le fantasie di una tredicenne, da V. Nezval); la Chytilová con la parodia del 'dongiovannismo' maturo Faunovo velmi pozdní odpoledne (1984, Il tardo pomeriggio di un fauno); Jakubisko con l'affresco storico-antropologico Tisícročná včela (1984, L'ape millenaria). Anche la generazione che esordì negli anni Ottanta ‒ Jaroslav Sokoup, Fero Fenič, Jiří Svoboda ‒ dovette faticosamente barcamenarsi tra commedia e sottile simbolismo.

Sul piano industriale tra gli anni Settanta e Ottanta la produzione crebbe fino a una media annua di 60 film, ma la qualità si abbassò notevolmente e il pubblico diminuì dai 120 milioni del 1969 fino ai 70 milioni del 1989.

Nonostante la perestrojka promossa da M. Gorbačëv in URSS nella seconda metà degli anni Ottanta, il partito comunista cecoslovacco sembrava impermeabile a ogni apertura; pur tuttavia i censori, presentendo qualcosa, aprirono alcuni spiragli autorizzando il primo film sul tema della droga, Pavučina (1986, La ragnatela) del critico Zdeněk Zaoral, e Vojtěch, řečený sirotek (1990, Adalberto detto l'orfano) di Zdeněk Tyc che, nella vicenda di un giovane uscito di prigione, simboleggia il desiderio di libertà e prefigura la fine del totalitarismo. Ma Kouř (1989, Il fumo) di Tomáš Vorel, un musical, metafora del cambiamento imminente, è stato proiettato solo nel 1991.

Tendenze recenti

La 'Rivoluzione di velluto' del novembre 1989 ha aperto la via al ritorno della democrazia, ma anche, dal gennaio 1993, alla consensuale divisione del Paese in due Stati (Repubblica ceca e Slovacchia). Nel cinema è stato abolito nel 1991 il monopolio statale ed è stata eliminata la censura, mentre sono stati privatizzati gli studi di Barrandov e le sale. Sono rimaste invece allo Stato le principali forme di finanziamento.

Dalla FAMU si è affacciata all'inizio degli anni Novanta una nuova generazione di registi, quasi tutti tra i venticinque e i trent'anni. I più interessanti si possono considerare Jan Svěrák, Saša Gedeon e Jan Hřebejk.

Svěrák, il 'caso' del nuovo cinema, ha rivelato il suo talento con Obecná škola (1991; Scuola elementare), racconto pervaso da un umorismo hrabaliano-menzeliano che è stato considerato il miglior film del periodo e ha ottenuto una nomination all'Oscar; ha poi realizzato Jízda (1994, La gita), primo road-movie del cinema ceco, dove il percorso di un gruppo di giovani dalla Boemia alla Moravia è metafora del viaggio nella conoscenza del proprio Paese; infine con Kolja (1996; Kolya), Oscar per il miglior film straniero nel 1997, ha confermato un cinema 'poetico', finemente umoristico, delle piccole cose.

Gedeon in Indiánské léto (1995, L'estate indiana) ha descritto con atmosfere alla Kachyňa, le insicurezze giovanili e i rapporti tra adolescenti; mentre in Návrat idiota (1999; Il ritorno dell'idiota), liberamente tratto da F.M. Dostoevskij, ha affrontato il tema dell'innocenza nella società contemporanea.

Hřebejk ha debuttato con il musical comico Šakalí leta (1993, Gli anni dello sciacallo), sull'arrivo del dirompente rock 'n' roll in C. alla fine degli anni Cinquanta; in Pelíšky (1999, Coccole) ha rievocato con ironia l'atmosfera del regime poco prima del 1968, attraverso la vita di due famiglie, una comunista e l'altra anticomunista; in Musíme si pomáhat (2000, Bisogna darsi una mano), che ha ottenuto una nomination all'Oscar, ha tentato un intreccio di umorismo e suspense ambientato durante gli anni dell'occupazione tedesca.

Tra le opere degli altri esordienti, vanno ricordate: Corpus delicti (1991) di Irena Pavlasková, studio psico-antropologico, ambientato nel 1989, su alcune coppie di funzionari comunisti che temono la fine del loro mondo; Requiem pro panenku (1992, Requiem per una ragazza) di Filip Renč, sulla violenza degli ospedali psichiatrici, dallo stile quasi espressionistico; Díky za každé nové ráno (1994, Grazie per ogni nuovo mattino) di Milan Šteindler, tra documentarismo alla Hanák e fiction, sulle vicissitudini di una famiglia di immigrati ucraini nella C. socialista; Knoflíkáři (1997, I ladri di bottoni) di Petr Zelenka, che rinnova la struttura del racconto di humour nero; Mrtvej brouk (1998, Lo scarafaggio morto) di Pavel Marek, film surreale/ista a metà tra animazione e film dal vero. All'interno della ricerca per il rinnovamento del racconto va ricordato Praha očima (Storie di Praga, 1999), primo esempio di film a episodi postdittatura, che, pur diseguale nella resa estetica, è una sincera riflessione sul tema dell'incomunicabilità nella metropoli boema. Gli episodi sono firmati da Vladimir Michálek, Michaela Pavlátová, Martin Šulík e Artemio Benki.

In Slovacchia si è messo in luce soprattutto Martin Šulík, con Všetko čo mám rád (1992, Tutto quello che amo) Záhrada (1995, Il giardino) e Orbis pictus (1997).

Degli autori della Nová Vlna, mentre Jireš è morto nel 2001, sono ancora attivi Kachyňa, Menzel, Jakubisko, Chytilová, Bočan, Jasný, Švankmajer, Vihanová, alcuni dei quali ritornati dall'esilio; ma per loro sembra difficile rinnovare motivi e stilemi che vadano oltre il prevedibile serial televisivo (Bočan) o il film memoriale sul ritorno dell'emigrato (Jasný).

Bibliografia

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F. Pitassio, Cinema ceco e slovacco, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 3° vol., L'Europa.

Le cinematografie nazionali, t. 2, Torino 2001, pp. 1251-83.

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