RUSTICI, Cencio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUSTICI, Cencio

Massimiliano Albanese

RUSTICI (de' Rustici), Cencio (Cincius, Cinthius). - Nacque forse a Roma da nobile famiglia romana tra il 1380 e il 1390; il padre fu Paolo di Cencio, non conosciamo invece il nome della madre.

A Roma visse nel rione Pigna. Sposato con Agnese (m. 1463), di ignota famiglia, ebbe diversi figli, tra cui Paolo, forse il maggiore, Sigismondo, i due umanisti Agapito (vescovo di Ancona e di Camerino) e Marcello (segretario e scrittore apostolico, cancelliere della città di Roma) e Brigida, che sposò Lelio Della Valle, canonico di S. Eustachio e avvocato concistoriale (fu loro figlio il letterato Niccolò); e ancora un «Rusticus, Agapyti et Marcelli frater» viene anche ricordato da Pio II nei suoi Commentarii per l’ardore con cui si distinse nella repressione della sommossa fomentata da Tiburzio di Maso.

Rustici fu inizialmente al servizio di papa Innocenzo VII (1404-06), come alcuni dei maggiori uomini di cultura del tempo. Fu allievo di Francesco da Fiano e di Manuele Crisolora, che gli insegnò greco antico dal 1410 al 1415 e per testamento lo fece erede di una parte della propria biblioteca, più precisamente la quarta parte dei codici depositati a Firenze presso Palla Strozzi (Lombardi, 2003, pp. 41 s. nota 7).

Dal 15 settembre 1411 è poi attestato come scrittore apostolico nella cancelleria di Giovanni XXIII, che seguì a Firenze nel 1413 e a Costanza per il concilio, insieme con Manuele Crisolora e Poggio Bracciolini. A Costanza rimase dal 1415 al 1417. A partire da quest’anno fu segretario apostolico di Martino V, che dopo il concilio di Costanza riportò definitivamente la Curia a Roma nel 1420. Lo stesso papa lo creò suo nunzio nel 1418 (Wilmanns, 1899, p. 68) e notaio nel 1421 (ibid., pp. 68, 78). Fino al termine della vita, Rustici rimase al servizio della Curia pontificia, che non smise mai di accompagnare nei suoi spostamenti (ad esempio a Firenze e a Bologna durante il pontificato di Eugenio IV).

Dopo la morte di Crisolora (1415), insegnò greco a Bartolomeo Aragazzi da Montepulciano, che in una lettera ad Ambrogio Traversari (l. XXIV, ep. 9) ricorda di aver trascritto numerosi testi di Platone e la Synkrisis del Crisolora (un confronto tra l’antica e la nuova Roma, ossia tra Roma e Costantinopoli) per desiderio del maestro: «plurimaque Platonis opuscula, Protagoram, De amicitia, De fortitudine eius viri, <Chrysolorae> De laudibus utriusque Romae, ipso <Cincio> hortante et suadente, conscripsi». Durante la permanenza a Costanza, Rustici insieme con Aragazzi accompagnò Poggio in uno dei viaggi che questi intraprese nel giugno e nei primi di luglio del 1416, recandosi al monastero di San Gallo alla ricerca di codici antichi. Una lettera che in quell’estate Rustici scrisse a Francesco da Fiano (edita da Bertalot, 1975, pp. 144-147) costituisce uno dei documenti più importanti sulle scoperte di Bracciolini (anche se Cencio non cita correttamente i testi ritrovati).

A Roma, dove si era stabilito con la curia di Martino V dopo il concilio di Costanza, insegnò nello Studium Urbis: sappiamo che nei corsi universitari lesse e commentò la Rhetorica ad Herennium, il De oratore e il De officiis di Cicerone, come si ricava dalle prolusioni legate al suo nome. Inoltre, viene ricordato come critico del testo di Livio da Lorenzo Valla, nell’Antidotum in Facium del 1447 (nel quarto libro, costituito dalle Emendationes in Titum Livium).

Nel De verbis Romanae locutionis di Biondo Flavio si fa riferimento a una famosa discussione sulla lingua dei Romani antichi, cui prese parte anche Rustici. La discussione si svolse nel 1435 nell’anticamera di Eugenio IV a Firenze, durante il soggiorno della Curia nella città toscana, dove ovviamente anche Rustici si era trasferito al seguito del papa. Protagonisti del dibattito furono Leonardo Bruni e il Biondo, ma intervennero anche Rustici e Antonio Loschi (sostenitori della tesi del bilinguismo avanzata dal Bruni, secondo il quale nella Roma antica il latino colto degli eruditi sarebbe coesistito col latino volgare parlato da chi non aveva istruzione), e sul fronte avverso Poggio Bracciolini e Andrea Fiocchi (sostenitori della tesi del Biondo, secondo cui la lingua latina sarebbe stata unica per tutti). Cencio godeva di ampia stima come erudito, ma Valla criticò lui e gli altri letterati della medesima generazione, quali Loschi e Bracciolini, considerandoli ormai superati dagli umanisti più giovani, come lo stesso Valla, Leonardo Bruni e Guarino Guarini, che avevano acquisito anche una migliore conoscenza del greco. Anche Rustici è menzionato nella lettera con la quale Niccolò Loschi riferì di queste critiche al padre Antonio.

Per la cancelleria pontificia Rustici redasse bolle e brevi, e scrisse un gran numero di lettere d’ufficio, conservate nei registri vaticani. Sono giunte sino a noi anche sue epistole private, in discreto numero.

Bertalot (1975) ne raccolse e pubblicò 26, ai seguenti destinatari: i figli Marcello e Agapito, Francesco da Fiano (estate 1416), Paolo Lapi arcivescovo di Monreale (Costanza, agosto 1416), il cardinale Giuliano Cesarini (Firenze, estate 1434), un dominus Iulianus (forse lo stesso Cesarini non ancora cardinale, cfr. Lombardi, 1992, p. 38), Niccolò Tedeschi arcivescovo di Palermo (Grottaferrata, 1435), Antonio Loschi (Bologna, 18 agosto <1436>), Cosimo e Lorenzo de’ Medici (Bologna, 28 settembre <1436 o 1437>), Poggio Bracciolini (Ferrara, 15 ottobre 1438), re Edoardo I di Portogallo (Bologna, <1433-38>), Giovanni Crisolora figlio di Manuele (una lettera pubblicata da Bertalot era stata già edita da Lehnerdt, 1901, pp. 150 s.), Francesco Salimbeni senatore di Roma (Firenze, 1441), Francesco Barbaro, il teologo Agostino Favaroni, Lorenzo Lelli, Pietro de la Zardiere (Bologna), Giovanni da Castiglione (Bologna), Giovanni Canuzzi, Alto Conti (edita anche da Lehnerdt, 1901, pp. 151 s.), Giannozzo Strozzi, il medico Lorenzo da Prato.

A questa lista occorre aggiungere una breve lettera autografa a Gomes Eanes da Lisbona, abate della Badia Fiorentina, scritta da Osimo e databile tra il 1414 e il 1418 (Firenze, Biblioteca nazionale, Conventi Soppressi da ordinare, Badia 4, olim 3, c. 221r-v, edita in Kristeller, 1981, p. 375) e una risposta (ricordata da Lombardi, 2003, pp. 42 s nota 9) a Porcellio Pandoni, che in un carme (edito da Bertalot, 1975 p. 177) aveva lodato Rustici per le sue qualità di poeta. Si sono conservate anche diverse lettere dirette a Rustici, scritte da Poggio Bracciolini, Pier Candido Decembrio, Francesco Filelfo, Antonio Loschi, Giovanni Toscanella, Giovanni Crisolora.

Nella produzione letteraria di Rustici hanno rilevanza soprattutto le sue versioni dal greco in latino. Tradusse alcuni opuscoli di Plutarco, brevi dialoghi pseudoplatonici, l’Inno a Dioniso di Elio Aristide (orazione XLI), composto «exercitationis gratia» (ovvero a scopo di esercitazione retorica), come Rustici afferma nella prefazione, e lettere apocrife attribuite a Eschine.

Queste le opere tradotte: De Baccho di Elio Aristide, versione eseguita a Costanza intorno al 1416, con dedica a un certo Pandolfo (il prologo è edito da Lehnerdt, 1901, pp. 159 s.; per la traduzione, Rustici utilizzò il cod. Wroclaw, Biblioteka Uniwersytecka, Akc.1949.Kn.60, cc. 73r-75r, nel quale forse egli stesso vergò il testo greco di Aristide; cfr. Rollo, 1998, p. 262 e per la riproduzione della c. 73r si veda tav. 1); De virtute et vitio (o De virtute et malitia) di Plutarco, tradotto tra il 1426 e il 1431 (forse nel 1428), con dedica ad Angelotto Fosco, vescovo di Cava (futuro cardinale di S. Marco; la prefazione è edita da Lehnerdt, 1901, pp. 160 s.); De passionibus animi et corporis di Plutarco, versione anteriore al 1435, con dedica ad Antonio Loschi (prefazione edita da Lehnerdt, 1901, pp. 161 s.); Axiochus dello ps.-Platone, tradotto a Bologna tra il 1436 e il 1437 (durante il soggiorno della Curia in città), con dedica al cardinale Giordano Orsini (prefazione edita da Lehnerdt, 1901, pp. 163 s. e da Bertalot, 1975 pp. 134 s.) e spesso preceduta anche da una prefazione a un certo Vellio (edita da Lehnerdt, 1901, pp. 162 s.). Considerando l'intera produzione letteraria di Rustici, è proprio questa versione il testo che conobbe maggior diffusione; esso venne tradotto a sua volta in spagnolo da Pedro Díaz de Toledo, che scrisse anche la prefazione a Iñigo López de Mendoza, marchese di Santillana. Vanno ricordate infine la traduzione del De virtute dello ps.-Platone, eseguita ancora a Bologna tra il 1436 e il 1437, con dedica a Bornio da Sala (prefazione edita in Kristeller, 1981, pp. 368 s.; la versione latina di Rustici si legge ibid., pp. 369-374), e le Epistolae dello ps.-Eschine (undici lettere), tradotte ancora a Bologna tra il 1436 e il 1437, senza dedica.

Rustici fu anche autore. Oltre alle dediche citate, restano di lui diversi scritti (soprattutto orazioni e prolusioni legate alla sua attività di insegnante).

Una prolusione in versi a un corso su Cicerone si trova nel cod. Parigi, Bibliothéque nationale, Paris. lat. 16225, appartenuto a un allievo di Rustici, e contenente le Partitiones oratoriae e il De oratore ciceroniani; nello stesso ms., a c. 11v è presente anche un carme latino di Rustici composto da dieci esametri (edito da Lehnerdt, 1901, p. 152 e Lombardi, 2003, p. 48 nota 25, inc. Te precor orbatum, Tulli, batthismate, castris), seguiti dalla precisazione «carmina supra dicta fecit Cinchius quando incoepit Rethoricam Tullii». Un’altra prolusione in prosa, ancora per un corso su Cicerone, è conservata nel cod. Vat. Ottob. lat. 1487, cc. 46r-48r (dalla stessa prolusione, parzialmente edita da Valentini, 1936, pp. 46 s., si ricava che Rustici lesse e commentò il De officiis ciceroniano). Si può ricollegare al suo insegnamento anche un’altra prolusione in prosa (v. Kristeller, 1981, p. 360), ossia l’Oratio in laudem Ciceronis, nel cod. Vat. Ross. lat. 1024, cc. 101r-102v (ma l’autore del discorso è uno studente, come appare dal testo). Va poi ricordata un’orazione per l’incoronazione dell’imperatore Sigismondo, scritta nel 1433, ma probabilmente mai pronunciata (edita da Lehnerdt, 1901, pp. 152-159); e si ritiene infine che sia stata composta da Rustici, o almeno col suo aiuto, anche l’orazione che il figlio Agapito rivolse a papa Martino V prima di recarsi a Padova per gli studi giuridici.

Della scrittura autografa di Cencio rimangono solo pochi esempi. La sua umanistica, che imita la minuscola carolina del IX secolo, è «piuttosto simile alla umanistica di Poggio e più precisamente alla scrittura di Poggio quale ci appare dai codici da lui copiati nel secondo decennio del secolo» (Lombardi, 2003, p. 46).

Autografi certi sono: alcune lettere di Cicerone, ossia le Epistolae ad familiares (mancanti del libro VIII), l’epistola a Bruto (I, 16-17) e quella a Ottavio contenute in un codice conservato a Berlino (Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Lat. fol. 609, già Phillipps 8875), nel cui colophon a c. 168r si legge: «has Ciceronis epistolas ego Cincius duodetriginta diebus absolvi lucubrando maxime» (due riproduzioni parziali in Rollo, 1998, tavv. 2a e 2b e per il colophon cf. la tav. 1 in Scrittura, 1983). Inoltre sembra che le parole greche usate da Cicerone siano state trascritte da Rustici dai margini del cod. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 49.7; si può dunque pensare che egli disponesse di questo ms. durante il soggiorno fiorentino del 1413 (Rollo, 1998, p. 264 nota 21). Sono autografe infine la già ricordata lettera all’abate Gomes Eanes da Lisbona e la versione latina dell’Inno a Dioniso di Elio Aristide nel cod. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 90 sup. 42 (in gran parte autografo di Bartolomeo Aragazzi).

Rustici possedette verosimilmente una biblioteca ricca di codici latini e greci (cfr. Lombardi, 2003, p. 42 nota 7), ma non ne è rimasta traccia, anche se degli accenni si possono trovare nell’epistolario di Ambrogio Traversari, che appare molto interessato ad alcuni codici greci da lui posseduti (contenenti la vita di Gregorio Nazianzeno e le omelie di Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Matteo; si vedano rispettivamente l. VIII, ep. 36, del marzo 1431, e l. XIII, ep. 6, del 15 giugno 1436). Sembra che Rustici nutrisse interesse anche per i reperti antichi e che nella sua casa di Roma conservasse una raccolta di antiche iscrizioni, ricordata nel cod. Milano, Biblioteca Ambrosiana, T.12 sup., c. 73r-v («Epitaphia antiqua Romae reperta et carmina reperta in aula Cintii Romani»).

Rustici morì a Roma poco prima del 24 luglio 1445 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria sopra Minerva. Il suo monumento funebre (attribuito alla scuola di Andrea Bregno) venne realizzato nel 1488 su commissione di Antonio, figlio di suo figlio Marcello, e accolse i resti mortali anche dello stesso Marcello.

Vespasiano da Bisticci ha lasciato una biografia di Rustici di poche righe: lo ricorda come segretario apostolico, dottissimo in greco e latino, traduttore, buon prosatore, autore di varie opere (ma il biografo non le cita, perché ammette di non averne notizia), aggiungendo anche un’osservazione sul carattere: «fu uomo di poche parole, di natura molto freddo, e per questa sua freddezza non dimostrava quello ch’egli era» (Vespasiano da Bisticci, 1976, p. 97).

Fonti e Bibl.: Ambrosii Traversarii generalis Camaldulensium... Latinae epistolae a domno Petro Canneto... illustratae..., Florentiae 1759, II, ad ind.; A. Wilmanns, Cincius Romanus, in Genethliacon zum Buttmannstag, Berlin 1899, pp. 65-82; M. Lehnerdt, Cencio und Agapito de’ Rustici, in Zeitschrift für Vergleichende litteraturgeschichte und Renaissance Litteratur Berlin, XIV (1901), pp. 149-164, 289-312, 316-318; R. Valentini, Gli Istituti romani di alta cultura e la presunta crisi dello ‘Studium Urbis’ (1370-1420), in Archivio della R. Deputazione romana di storia patria, LIX (1936), pp. 44-48; A.C. de La Mare, The Handwriting of Italian Humanists, I, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Coluccio Salutati, Niccolò Niccoli, Poggio Bracciolini, Bartolomeo Aragazzi of Montepulciano, Sozomeno of Pistoia, Giorgio Antonio Vespucci, Oxford 1973, pp. 85, 88 s.; L. Bertalot, Studien zum italienischen und deutschen Humanismus, II, a cura di P.O. Kristeller, Roma 1975, pp. 131-180; Vespasiano da Bisticci, Le vite, a cura di A. Greco, II, Firenze 1976, p. 97; P.O. Kristeller, Un opuscolo sconosciuto di Cencio de’ Rustici dedicato a Bornio da Sala: la traduzione del dialogo «De virtute» attribuito a Platone, in Miscellanea Augusto Campana, I, Padova 1981, pp. 355-376; G. Lombardi, La città, libro di pietra. Immagini umanistiche di Roma prima e dopo Costanza, in Alle origini della nuova Roma. Martino V (1417-1431). Atti del Convegno (Roma, 2-5 marzo 1992), a cura di M. Chiabò et all., Roma 1992, pp. 24-26, 30-44; C. Bianca, Dopo Costanza: classici e umanisti, ibid., in part. pp. 86-89; A. Carlini, Sulla traduzione di Cencio de’ Rustici del ‘De virtute’ di ps.-Platone, in Scritti in memoria di Dino Pieraccioni, a cura di M. Bandini - F.G. Pericoli, Firenze 1993, pp. 115-122; A. Rollo, Crisolora, Cencio de’ Rustici e una lettera anepigrafa in un codice di Bartolomeo Aragazzi, in Interpres, XVII (1998), pp. 257-274; F. Vendruscolo, Cencio de’ Rustici, Bartolomeo Aragazzi e il ‘De Baccho’ di Elio Aristide: una nota testuale, in Studi classici e orientali, XLVII (1999), pp. 405-407; T. González Rolán - P. Saquero Suárez-Somonte, El Axíoco pseudo-platónico traducido e imitado en la Castilla del siglo XV: edición y estudio de la versión romance de Pedro Díaz de Toledo y de su modelo latino, in Cuadernos de filología clásica. Estudios latinos, XIX (2000), pp. 157-197; Chr. Förstel, Bartolomeo Aragazzi e lo studio del greco, in Manuele Crisolora e il ritorno del greco in Occidente. Atti del Convegno internazionale (Napoli, 26-29 giugno 1997), a cura di R. Maisano - A. Rollo, Napoli 2002, pp. 205-221; G. Lombardi, Saggi, Roma 2003, pp. 39-49; A. Grisafi, Cincius Romanus, in Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), II.5, Firenze 2008, pp. 617 s.

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