CENNE della Chitarra

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979)

CENNE (Bencivenne) della Chitarra

Pasquale Stoppelli

Di origine aretina, nacque, quasi certamente, nella seconda metà del sec. XIII. Fu giullare, come appare dall'appellativo antonomastico che si riferisce allo strumento della sua professione, con il quale è sempre citato in codici e documenti. Di lui non si sa nient'altro oltre al fatto che fu l'autore di una corona di sonetti che contrappunta per le rime quella dei mesi di Folgore da San Gimignano, e che morì tra il 1322 e il 1336. In un documento che risale a quest'ultimo anno si parla, infatti già di suoi eredi, mentre ancora nel 1322 era citato come testimone in uno strumento rogato da un notaio aretino.

"Cenne da la Chitara da Arezo respose per contrari a li suonetti di misi de Folgore de San Zeminiano". Questa didascalia, dovuta a un copista veneto, introduce nel più importante manoscritto, di Folgore (il Vat. Barb. 3953), dopo la collana dei mesi, la serie parodistica di Cenne. Da allora in qua il nome e la fortuna critica del giullare aretino non sono mai andati disgiunti da quelli del rimatore di San Gimignano.

Nella tradizione volgare italiana Folgore era stato l'unico a sperimentare con ampiezza le possibilità espressive del plazer, uno dei generi della poesia provenzale, caratterizzato dalla enunciazione in chiave ottativa di stati e situazioni amene. Da Folgore questo tipo compositivo era stato intrecciato ad un'altra tradizione viva nella cultura letteraria e figurativa dell'Europa romanza, quella dei mesi, che fin dalla civiltà greco latina era valsa a scandire in modo emblematico, a opera di artisti e poeti, i cicli del lavoro umano. Allorché mese per mese il poeta di San Gimignano augura, secondo la maniera dei plazer, gli svaghi più nobili e raffinati a una brigata senese, dinanzi a una siffatta celebrazione di mondanità preziosasa ed evasiva non è sorprendente che si levi immediatamente il controcanto di un giullare a reimporre, in tono tra il beffardo e il divertito, i diritti della realtà, che soprattutto dalla sua angolatura doveva apparire, anche per una posa connaturata al mestiere, secondo ben altre fattezze. Del resto il procedimento era noto alla poesia comica toscana: basti soltanto pensare alle variazioni angiolieresche della mitologia dello stilnovo. Ma non per questo la risposta di C. è meno letterata. Dal punto di vista della tipologia letteraria i suoi mesi applicano gli strumenti della tecnica responsiva, uno dei banchi di prova dello stile comico, ad un genere di ascendenza tardoprovenzale, le enuegz - lenoie - che pure lasciano una loro esilissima traccia nella nostra poesia dei primi secoli (da Girardo Patecchio ad Antonio Pucci) e la cui peculiarità consisteva nell'accostamento, per giustapposizione, di serie di fatti o cose spiacenti (l'opposto del plazer). Ma, nonostante il genere delle enuegz si fosse affermato con il Monaco di Montaudon proprio quando nella cultura occitanica andavano maturando i germi della polemica anticortese, e fosse deputato istituzionalmente all'espressione di umori e risentimenti moralistici, non per questo nei sonetti di C. è lecito cogliere la presenza di ragioni morali o polemiche: essi restano, nella sostanza, lo scherzo intelligente di un giullare che ama ostentare nel gioco della parodia le risorse di un mestiere consumato. Così alla sua brigata avara e squattrinata, aggirantesi tra l'Umbria e le Marche sotto la guida di un certo Paglierino, C. fa l'augurio di ogni sorta di fastidio: in gennaio acqua e vento, letti scomodi, la compagnia di donne vizze; di febbraio neve a volontà, servitori scimuniti, terremoti, mogli petulanti; e poi, in aprile, tafani, montoni, asini e ramarri; in maggio torme di villani "scapigliati e gridatori" e ragionar "di pecore e di porci"; così di male in peggio fino al fango e alla ghiaccia di dicembre fra cibi disgustosi di cuochi sciagurati e l'ospitalità di osti maremmani. C. finisce in tal modo per canzonare i nuovi riti di una anstocrazia cittadina che ama riscoprire i suoi valori e modellare i costumi sui codici etici e mondani della pratica cortese, e che per questa via arriva a prospettarsi una sorta di manuale del "bel vivere" - oltre che del "ben vivere" -, in cui ricchezza e liberalità restino gli attributi senza i quali è impedito l'esercizio di ogni cortesia: l'amore, i bei ragionamenti, la caccia, i cani, i cavalli, le danze, i cibi raffinati.

La migliore edizione della collana dei mesi di C. è compresa nei Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, II, pp. 421-34.

Bibl.: La fortuna riflessa di cui ha goduto C. fa sì che la sua bibliografia finisca per coincidere in larga misura con quella di Folgore. Su quest'ultimo è fondamentale la monografia di G. Caravaggi, Folgore da San Gimignano, Milano 1960, che serve moltissimo anche per Cenne. Su C., in partic., si veda: Le Rime di Folgore da San Geminiano e di C. della C., a cura di G. Navone, Bologna 1880; F . Neri, Isonetti di Folgore da San Gimignano, Cittàdi Castello 1914, pp. 24-25; A. F. Massera, Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, II,Bari 1920, pp. 98-99; G. Cappuccio, Folgore da San Gimignano e C. della C., Siracusa 1924; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1966, pp. 102 s.; M. Marti, Il "sogno" di Folgore e la "realtà" di C., in Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa 1953, pp.148-51; F. Ageno, Per l'interpretaz. di C. della C., in Studimedioevali, VII(1966), pp. 197-201.

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