CERAMICA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)

CERAMICA

D. Lollini
M. T. Lucidi
M. T. Lucidi
D. Lollini
S. Bosticco
P. Mingazzini
V. Bianco
A. Stenico

La c., nata dalla scoperta che l'argilla umida mediante il calore perde il suo carattere di plasticità e si solidifica conservando la forma, che le si è data, costituisce una delle principali conquiste nella storia dell'umanità. Il suo apparire coincide quasi sempre con il sorgere stesso dei primi insediamenti stabili nel continente euroasiatico e nel bacino del Mediterraneo, quando, dopo la crisi climatico-ambientale del Mesolitico, si verificò il rivoluzionario passaggio da un'economia basata essenzialmente sulla caccia e sulla raccolta, ad un'economia produttiva che esercita, nelle proporzioni consentite dalle possibilità offerte dall'ambiente, la coltivazione della terra e l'allevamento del bestiame.

Le c. presentano notevoli variazioni sia nella pasta, la quale può essere a grana più o meno fine, sia nella composizione chimica della pasta stessa, sia nel metodo di cottura dal quale dipende il colore del biscotto; differiscono inoltre per granulosità, porosità, spessore delle pareti dei manufatti e per il metodo di colorazione Dalla diversità d'impasto, compattezza, colore e cottura si determina una classificazione della c. di cui la terracotta, la faïence (faenza), il grès, la terraglia e la porcellana sono i tipi più noti. Il grado di compattezza e colore si ottiene mediante l'impasto, il quale a seconda della sua natura va trattato, per la cottura, con un diverso grado di calore. Porosità e colore possono essere corretti con rivestimenti come le vernici e gli smalti: una vernice a base di piombo detta "cristallina" che fonde a bassa temperatura per le paste tenere, una vernice boracica o feldspatica detta "coperta" che fonde ad alta temperatura per la paste dure. Tra gli smalti quelli più usati furono lo smalto detto alcalino usato dai vasai egiziani, persiani e siriani e quello di piombo che aderisce ad ogni tipo di argilla e che fu adoperato nella terracotta assiro-babilonese.

È opinione diffusa che le forme del vasellame più antico imitino quelle dei vasi domestici prodotti con altro materiale (quale ad esempio legno, zucche, vesciche o fibre vegetali intrecciate; presenti, questi ultimi, nei giacimenti predinastici del Fayyūm). Anzi, secondo alcuni studiosi, la c. avrebbe avuto origine proprio dall'incendio casuale di un recipiente fabbricato con fibre vegetali ed impermeabilizzato con argilla; in realtà la più antica c. fino ad oggi conosciuta presenta forme ovalari dai fondi tondeggianti ed una decorazione impressa a crudo con l'unghia o con una sgorbia o con il peristoma di una conchiglia (v. cardiale, decorazione) o con altro strumento, decorazione che sembra appunto voler riprodurre le impressioni lasciate sulla superficie dell'argilla dalla rivestitura vegetale, anche se la sua prima e più intima origine deve essere senza dubbio ricercata in quell'esigenza estetica, che sempre accompagna e distingue l'uomo in ogni sua attività.

Nonostante la vasta area di diffusione (livelli a c. decorata a crudo sottostanti stratigraficamente ad altri a c. dipinta sono stati rinvenuti anche in Cina; per la c. preistorica cinese e giapponese v. cinese, arte; giapponese arte), la c. impressa presenta ovunque caratteri pressoché costanti, il che non esclude tuttavia sensibili specializzazioni locali. La durata della tecnica ad impressione è comunque diversa da località a località perdurando essa fino a che non sopraggiunga una situazione storicamente nuova a segnarne la fine. Così mentre nell'Africa del N la c. decorata a crudo sembra avervi continuato immutata fino alla prima Età del Ferro, in Asia, già nel V millennio, si sviluppa in seno a comunità agricole un orizzonte a c. dipinta. Con l'introduzione dell'uso del colore la c. si arricchisce di espressioni decisamente artistiche ed accanto a motivi geometrici compaiono per la prima volta rappresentazioni figurate di uomini e di animali. Anche le forme vascolari diventano più complesse e più ricercate.

(D. Lollini - M. T. Lucidi)

1. Preistoria orientale. - La produzione fittile pree protostorica non può essere considerata isolatamente, in quanto rientra nel quadro della protostoria euroasiatica ed evidenti sono le corrispondenze tra le varie regioni. Si può comunque affermare che la produzione iranica è quella che più influenza il mondo circostante (v. asia, civiltà antiche).

Il centro iranico di irradiazione e di transito per molti motivi è verosimilmente Tepe Siyalk, che già nel V millennio a. C. conosce un tipo di c. rossa con zone scure causate dal fuoco, mal regolato, di un primitivo forno. Contemporaneamente si ha l'introduzione della c. dipinta. Le coppe dalla forma di larghe tazze sono decorate con linee orizzontali che danno un'imitazione del "cesto". Un piccolo disegno geometrico formato da due triangoli uniti ai vertici va considerato, forse, già come una forma di stilizzazione, in quanto questo motivo non abbandonerà più la produzione fittile iranica e sfidando tempo e spazio ritornerà con una frequenza certo non casuale: è la stilizzazione del capride, animale caratteristico della fauna dell'altipiano e della c. iranica. La progressiva trasformazione e modificazione su basi astratte-geometriche della rappresentazione dell'animale perviene ad una semplificazione concettuale cosi sottile che dell'idea originaria e naturalistica non rimane che una figura-simbolo dichiaratamente geometrica. Questo processo e questo stile geometrico è chiaro nella produzione del II e del III strato di Siyalk.

L'influenza della c. iranica è riscontrabile fin dall'inizio nella regione mesopotamica. Qui si trova, nel V millennio a. C., la c. detta, dal principale centro di ritrovamento, di Tell Hassūnah (v.). I vasi di Ḥassūnah sono normalmente a fondo piatto, e povero è il repertorio delle forme; tra queste si distinguono vasi a globo e a collo corto e ampie coppe dal bordo svasato. L'argilla è chiara e i motivi decorativi, per lo più rettilinei e dipinti in nero, si stagliano con vivezza sulla superficie polita o trattata a sabbia. Si trova anche una produzione la cui decorazione è incisa sull'argilla ancora umida. Segue subito dopo (IV millennio a. C.) la c. di Samarra (v.), trovata abbondantemente oltre che in questo centro, anche nella località di Baghuz, l'antica Korsote.

Osservando le immagini vascolari della produzione di Samarra (nella Mesopotamia settentrionale) non si può non rilevare la stretta analogia che corre tra questo sito e quello iranico di Siyalk (II strato). Il confronto è soprattutto suggerito dalla decorazione di una coppa che mostra una combinazione, stilizzata geometricamente, di quattro capridi. Tale combinazione dà come ultimo risultato una variante (o nuova trasformazione) della croce di Malta ottenuta con accorti espedienti di disporre il motivo decorativo, che è appunto proprio quello di Siyalk (il capride stilizzato formato da un triangolo). Sola differenza è il movimento circolare impresso a questi animali. Da rilevare il particolare modo di disporre la rappresentazione decorativa dell'artista di Samarra, il quale mostra una spiccata tendenza a questo movimento, ed è dotato di una tale abilità tecnica da tentare di produrre l'illusione di un moto rotante. Questa particolarità non è prerogativa solo di Samarra, in quanto la ritroviamo in un vaso a forma conica di Tell-i Bakun e più tardi a Shahi-tump. Questi siti, Samarra, Bakun e forse la stessa Susa, hanno accolto quindi un modello dell'altipiano iranico rivisto con occhio e gusto locale: Bakun dà l'accento alla macchia di colore, Samarra alla linea e Susa (che però non presenta la visione rotante) a schemi più liberi, tanto che, dopo un primo periodo in cui si muove nella sfera della produzione fittile di Siyalk, combinerà (allontanandosene poi) questo gusto decorativo con uno stile e con motivi vicini alla sensibilità mesopotamica. In confronto a quella di Tell Ḥassūnah, la c. di Samarra è più elegante e la stessa argilla normalmente di un color rosa pallido si arricchisce di una tonalità verdastra. La decorazione predilige i motivi geometrici disposti in zone. Talvolta si ritrovano, nel centro delle larghe coppe o piatti, delle eleganti e sofisticate figurine femminili, sempre stilizzate, o di uccelli dal lungo collo che mostrano la tendenza al movimento rotante come la coppa con i capridi esaminata in relazione al motivo iranico di Siyalk.

Negli strati più antichi di Tell Ḥassūnah (VI) e di Samarra si trova anche un tipo di c. nera polita (ne abbiamo dei frammenti) tecnicamente vicina a quella dei livelli più antichi di Sakçagözü e Mersin in Cilicia.

L'origine della c. di Tell Ḥalaf (v.), che segue quella di Samarra, può essere ricercata in Siria e nel Kurdistan. È finemente lavorata e varia nelle forme, tra cui sono diffuse quelle carenate ed angolari. Spesso decorata con disegni in rosso e nero su un fondo terra di Siena chiara (color camoscio, o buff) presenta motivi geometrici (croce di Malta, rosette) e animali stilizzati. La rappresentazione del capride è ben realizzata nel vasellame di Tell Arpashiyyah (livelli VI-X) tra cui pregevole la coppa color crema che ricorda la lavorazione del metallo battuto.

Segue la cultura di el-῾Ubaid (ultimi secoli del IV millennio a. C.) che denota una chiara derivazione dai siti dell'altipiano iranico, e la cui ceramica si ritrova anche a Tepe Gaura, Uqair, Ur e Uruk. Il biscotto ha una tonalità verdastra su cui spiccano, perché leggermente lucidi, dei motivi geometrici, stilizzazioni di uccelli acquatici che ricordano il tipo che si svilupperà a Susa D (II stile). Varie le forme, alcune delle quali denotano un significato simbolico come i vasi a lungo becco.

Mentre in Mesopotamia si sviluppa la cultura di el-῾Ubaid, nell'Iran (ove tale cultura dura più a lungo) si svolge un periodo che segna il momento migliore per la produzione fittile non solo di Tepe Siyalk (III strato), ma di ogni regione e cultura iranica, con la sua individualità di forme, decorazioni e stili. Così a Susa e a Persepoli sarà adottato uno stile a macchia e si darà la preferenza alla grande ciotola (Susa) e alla forma a tronco di cono (Persepoli); l'artefice di Tepe Siyalk e di Tepe Hissar predilige invece il calice. Si nota il desiderio del movimento: l'animale è infatti più accennato che disegnato e sempre in stato di corsa, di movimento o di brusco arresto; ci si è allontanati completamente dalla visione statica del periodo precedente, quello ad esempio del II stanziamento di Tepe Siyalk, pervaso da un forte geometrismo. In notevole contrasto con la stilizzazione quasi geometrica che la c. di el-῾Ubaid presenta in Mesopotamia, la produzione iranica del IV millennio è più ricca di elementi naturalistici, più dinamici e vivi: così nella c. della stessa Tepe Siyalk III (livelli 4-7), di Tepe Hissar I, di Tepe Giyan V-c, le cui produzioni fittili presentano tra loro somiglianze per tecnica, gusto e stile (per contenuto e forma in ultima analisi) assai strette, meglio riassunte nella affine c. di Susa A (secondo la terminologia usata dal Mc Cown per la sequenza cronologica di Susa). A tale fase succederà poi l'elegantissima ma un pò fredda stilizzazione della c. di Susa B (la cosiddetta Susa I stile) i cui magnifici esemplari rappresentano le più alte espressioni artistiche raggiunte dalla c. dell'Asia Anteriore antica.

Con la fine del III strato di Tepe Siyalk si arresta la fioritura della c. iranica. Il periodo che segue (Siyalk IV) dimostra che la cultura tradizionale si è interrotta.

In Mesopotamia frattanto, tra il IV e il III millennio a. C., compare una nuova cultura, caratterizzata da una nuova c. che sostituisce quella di el-῾Ubaid: si entra nel periodo predinastico, che comunemente viene diviso nei due periodi di Uruk VI-IV (3000-2800 a. C.) e di Gemdet Naṣr (2800-2600 a. C.). La c. della cultura di Uruk marca una frattura dalla produzione precedente: infatti non è più dipinta, ma lucida, rossa o grigia, accostandosi con ciò alla c. iranica settentrionale di Anau e Tepe Hissar. Con questo periodo ha praticamente termine l'uso della c. dipinta nella regione mesopotamica, eccezion fatta per alcuni siti come, ad esempio, Gemdet Naṣr. Lo stile dei vasi di questa ultima località si presenta come un ulteriore sviluppo di quello precedente, specie nel vasellame comune color bruno e nelle forme usate; la novità è data da un tipo di c. con disegni in nero e rosso prugna, il che fa presentire la cosiddetta "ceramica scarlatta" che ritroveremo in India, in modo particolare a Kulli.

Nell'Irān, la cultura di Tepe Siyalk IV, contemporanea a quella mesopotamica di Gemdet Naṣr, coincide con la formazione dello stato elamita (prima organizzazione statale susiana) per cui i centri iranici settentrionali, come Tepe Siyalk e Tepe Giyan, presenteranno una c. monocroma rossa con evidenti influssi susiani, che giustificano la tesi di stretti contatti e rapporti stabilitisi con l'Elam.

Questo vasellame monocromo che appare a Susa, verosimilmente, già alla fine della fase B (importato forse da Uruk), si svolge e caratterizza il periodo definito Susa C. Tepe Hissar intanto segue più da vicino lo stile di Anau, dove, anche qui, alla tradizione della c. dipinta e decorata si sovrappone una c. grigio-nera e lucida. Solo nel periodo detto Susa D (meglio conosciuto come Susa II stile) ritorna in voga la c. dipinta. I vasi, per lo più a forma di piccole giare, sono decorati in nero e mostrano di preferire la rappresentazione di uccelli: a volte solo le loro creste, più spesso in atto di assalire una preda che è il motivo cosiddetto "a pettine" caratteristico di Susa e che incontriamo nel vasellame di Tepe Giyan IV veramente notevole per le forme geometriche mosse e la tecnica "a macchia".

Tepe Giyan si muove quindi nel raggio di azione elamita; ma nel III strato mostra influssi nuovi riconoscibili nell'apparizione di una nuova c. che porta una forma estranea alla produzione iranica più tipica: il tripode. Questi vasi hanno paralleli e strette analogie di forma e di decorazione con quelli cinesi di Mach'ang. Nel II strato, Giyan ritorna alla decorazione animale del tipo protoiranico, ma accanto a questa, decisamente di tipo locale, appare la fine e lucida c. grigio-nera caratteristica di zone più settentrionali (come Anau e Tepe Hissar). Anche la cultura di Siyalk (V-VI) presenta nel vasellame evidenti rapporti con gli strati ultimi di Tepe Giyan e paralleli con il mondo culturale di Tepe Hissar. Questa c., detta anche della Necropoli A e B, si pone cronologicamente al IV e V millennio a. C., giungendo fino agli inizi del I; essa ritorna alla vecchia tradizione: al movimento, ai contrasti di vuoti e pieni, alla esaltazione dell'elemento umano ed animale il quale ora sarà, in genere, sostituito dal cavallo. Veramente bella questa produzione le cui forme dal lungo becco fanno pensare a vasi sacrali (per riti sacri e funerarî).

Anche l'India come l'Iran fu un attivo centro di irradiazione e di attrazione di molti motivi decorativi. È infatti nella valle dell'Indo e dei suoi affluenti che nel III millennio si sviluppa un'altra grande civiltà agricola a c. dipinta dell'Oriente preistorico. Le principali località esplorate, Mohenjo-Daro (v.) sull'Indo e Harappa (v.) sul Ravi (v. indiana, arte), rivelano una facies culturale in certo senso omogenea, nonostante la vastità dell'area interessata. I vasi, nella fabbricazione dei quali è usato il tornio, offrono una notevole varietà di forme, tra cui più tipiche sono il piccolo bicchiere a fondo appuntito, il bacino su alto piede e l'olla cilindrica dalle pareti forate. La decorazione dipinta in nero sul rosso dell'ingubbiatura, che eccezionalmente può anche presentarsi color crema, è caratterizzata dall'impiego di vaste superfici, dove si alternano larghe zone e pannelli ricoperti sia da motivi vegetali stilizzati, sia da rosoni, triangoli, scacchiere, segni a cuore o a semicerchio, ecc. variamente ripetuti.

La documentazione archeologica della c. ci offre elementi per affermare che la grande civiltà di Harappa ha ricevuto ampî e vitali influssi dall'Irān (v. asia, civiltà antiche). La c. di Quetta denota infatti analogie con la ceramica iranica di Tepe Siyalk, Susa e Tell-i Bakun per la pasta color camoscio ed il suo stile geometrico "libero" che si vale del solo nero per la decorazione. Vaghe sono, invece, le corrispondenze iraniche nel vasellame di Amri e Nal; dove più strette affinità si notano con la produzione propria di Harappa come il ripetuto motivo decorativo dei circoli intersecantisi o quello delle foglie dell'albero di pipal. Anche la c. di Kulli è del gruppo Buff Ware (cioè c. con fondo color camoscio) ed usa decorazioni in nero con parco impiego del rosso come colore addizionale. Vi sono tracce notevoli di influenza iranica, ma non determinanti in quanto stretti sono i rapporti con Harappa. Lo stile di Kulli predilige la macchia, il movimento, la visione allungata dell'animale, che è quasi sempre il toro. Anche Zhob mostra interferenze dall'Irān. La sua c. ha preferenza per la linea fine e delicata, per quei motivi appena accennati, tanto che, nei confronti con il vasellame di Kulli, sembra statica ma in effetti non lo è. La tendenza alla staticita e invece ben visibile nel geometrismo di Amri, dove tutta la decorazione è intenta a fissare lo sguardo verso il centro della composizione. Più dotata di movimento è la produzione di Shahi-tump, che però è più tarda. Ci sono inoltre delle produzioni di siti che sono posteriori a Harappa: quelle di Jhukar e Jhangar con una c. particolare (grigia). Comunque è chiaro che la c. di queste culture si muove su fondi culturali diversi da quelli propri delle città dell'Indo, cioè Harappa e Mohenjo-Daro, la cui produzione fittile è il risultato di assorbimento e assimilazione dei motivi delle culture belucistane, per lo più di origine iranica, con altri proprî del fondo più antico, e che prevarrà, chiaramente indiano.

Questa osservazione è avvalorata dagli ultimi scavi (1955-57) condotti a Kot Diji (vicino a Khairpur nel Sind) dove nei livelli più bassi (18-20 in tutto) si è trovata una c. diversa da quella degli strati superiori e del tipo di Harappa. Coppe a sfera, piccoli bicchieri e larghi piatti su fondo normalmente rosa (presenti anche superfici di color camoscio) con semplici decorazioni a bande orizzontali qualche volta frangiate, attestano un gusto e una sensibilità straniera.

Tra la produzione dell'Irān e quella dell'India si pone la c. protostorica dell'Afghanistan dove gli scavi condotti dalle missioni francesi e americane hanno stabilito l'esistenza di un vasellame che ha a volte un carattere intermedio rispetto alla produzione delle regioni indo-iraniche. Qui, in territorio afghano, si sono formate regioni di interferenza e, verosimilmente, di attardamento. Sono stati trovati infatti a Nad-i Alì vasi a becco lungo, accompagnati da altra c. che ricorda quella indo-iranica, che appaiono in stretta connessione con quelli provenienti da Tepe Siyalk VI (Necropoli B). Le forme mostrano analogie iraniche; la pasta è quasi sempre porosa ed il biscotto risulta di un fondo rosso pallidissimo con sfumatura tra l'arancione ed il giallo.

Le culture siberiane meridionali forniscono analogie, seppure lievi, con le culture del Turkestan che ci riportano a quelle dell'Iran settentrionale. La c. di Afanasevo, a fondo puntuto o piatto e dalle forme ovoidali o sferiche, è decorata con disegni lineari verticali e orizzontali bianchi su un fondo rosso dello stile di Tepe Siyalk ed Anau, mentre le giare a corpo ovoidale e a fondo rotondo ricordano in particolare quelle simili di Kuban (nel Caucaso).

Anche la produzione fittile di Andronovo preferisce i motivi geometrici (spine di pesce e triangoli) decorati su una superficie lucida di color bruno. Diversa invece è la c. di Karasuk, fatta in genere a mano, a fondo piatto o leggermente tondo, perché, anche se decorata con motivi geometrici comuni alla produzione osservata ad Andronovo, se ne differenzia per la presenza di altri motivi ornamentali che denotano chiare corrispondenze con il mondo cinese settentrionale, del periodo tardo (v. cinese, arte).

Bibl.: E. Pottier, J. de Morgan, R. de Mecquenem, in Mémoires de la Délégation en Perse, XIII, Parigi 1912; H. Frankfort, Studies in Early Pottery of the Near East, I-II, Londra 1924-27; H. de Genouillac, Céramique cappadocienne, Parigi 1926; R. de Mecquenem, Note sur la céramique peinte archaïque en Perse, in Mémoires de la Mission archéologique de Perse, XX, Parigi 1928, pp. 99-132; L. Le Breton, Note sur la céramique peinte aux environs de Suse, ibidem, XXX, Parigi 1947, pp. 120-219; M. Welker, The Painted Pottery of the Near East in the Second Millennium B. C., Filadelfia 1948; H. H. von der Osten, Buntkeramik in Anatolien, in Orientalia Suecana, I, 1952, pp. 15-37; B. Hrouda, Die bemalte Keramik des zweiten Jahrtausend in Nordmesopotamien und Nordsyrien, Berlino 1957.

(M. T. Lucidi)

Per i gruppi della ceramica "filistea" si veda palestina.

2. Preistoria occidentale. - Dopo essere sorta nel continente asiatico, la c. dipinta trovò nelle città della costa siriana e nell'Anatolia la principale via di diffusione nell'Europa preistorica. Nel III millennio nasce in Anatolia con caratteri propri la civiltà di Troia, la cui influenza in un primo periodo viene registrata anche nella vita del mondo egeo (specialmente a Lemno e a Lesbo). Nella produzione della c., quale ci è documentata dalla sequenza di sette principali periodi, la cura del ceramista è più volta alla creazione di nuove fogge o alla modellazione di anse che all'abbellimento del vaso mediante la decorazione. Quest'ultima, che è del resto molto rara, è parcamente costituita da motivi rettilinei a solchi od incisi. Più interessanti risultano invece le forme vascolari, tra cui si notano brocche ad orlo obliquo, vasi a tre piedi, askòi, nappi biansati, pissidi e soprattutto vasi singolarmente modellati a forma umana, in cui viso, seni e braccia sono indicati schematicamente (v. antropoidi, vasi).

La pittura vascolare occupa peraltro un posto assai importante nella complessa civiltà che Creta, nel Mediterraneo orientale, press'a poco nello stesso periodo, viene elaborando su premesse neolitiche egeo-anatoliche (v. minoico-micenea, arte). Frattanto facies culturali neolitiche ad economia agricola, tutte caratterizzate dalla presenza di c. dipinta, si sviluppano anche nella Grecia continentale, in Macedonia, Valacchia, Dobrugia, Moldavia, Bessarabia ed Ucraina. Nella civiltà di Sesklos (v.) fiorita nelle grandi vallate della Tessaglia e della Grecia centrale, sono state distinte due fasi. Nella prima la c. dipinta presenta una grande varietà di colori, che vanno dal rosso su fondo chiaro, al bianco od anche nero su rosso, al rosa su rosso, al grigio su grigio, ecc. Motivi prevalentemente lineari, ma anche a fiamma, a scacchiera e a scala, costituiscono il repertorio decorativo. Nella fase successiva, nota soprattutto per gli scavi di Dimini (v.) presso Volo, si ha un'accresciuta gamma coloristica a base tricromica (motivi in bianco ed in rosso orlati di nero rispettivamente su fondo rosso e su fondo gialliccio), mentre nell'ornato fanno la loro comparsa il meandro e la spirale. Le forme vascolari principali sono le scodelle a tronco di cono munite sotto l'orlo di prese a schema facciale umano od animale, le fruttiere su alto piede e le olle ansate.

Molto affine a Dimini, specialmente nella tecnica e nelle decorazioni della c., si mostra la civiltà di Ariusd (v. erösd) in Transilvania, per la quale d'altra parte non mancano rapporti nemmeno con quella cultura ampiamente diffusa dai Carpazi al bacino del Dnieper, che, pure nella diversità degli aspetti locali, presenta una fondamentale unità ed i cui centri più importanti sono stati riconosciuti a Cucuteni, HăbăŞeŞti e Tripolje. Particolarmente nota è la c. di Tripolje (v.), che vede l'impiego di una pittura sia monocroma nera su fondo arancione o su ingubbiatura chiara, sia policroma con associazione di nero e rosso su ingubbiatura bianca o di nero e bianco sul fondo rosso dell'argilla. In un primo periodo motivi a spirale ricorrente ricoprono interamente la superficie del vaso, in seguito le spirali si trasformano in cerchi ed alla libera composizione dell'ornato si sostituisce una distribuzione tettonica, che sottolinea le varie parti del fittile. Nella successione delle varie fasi si incontrano forme vascolari tipiche come i sostegni tubolari, i vasi a "binocolo", le olle piriformi con coperchio ad "elmetto", le coppe a tre o più piedi, ecc.

Anche l'Italia centro-meridionale presenta aspetti culturali agricoli a c. dipinta in relazione più o meno stretta con l'ambiente balcanico. Pure nell'ambito dello stesso orizzonte culturale si possono distinguere vari gruppi, di cui quello più settentrionale, che prende nome dalla stazione di Ripoli nel Teramano, usa una caratteristica argilla figulina gialliccia con la quale vengono fra l'altro modellate coppe a calotta, tazze a fondo emisferico con ansa ad anello verticale lobata e piatti decorati sull'orlo da file di borchiette lenticolari. La decorazione pittorica, eseguita in colore bruno e spesso distribuita in riquadri limitati da fasce punteggiate, è contenuta in un repertorio rigorosamente geometrico: fasci di linee spezzate, triangoli riempiti da linee o da reticolo, losanghe, ecc. Nell'ambiente àpulo-materano è accertata una successione di fasi: ad un orizzonte a c. dipinta a fasce o fiamme rosse su fondo chiaro, semplici, a quanto pare in un primo momento ed in un secondo marginate, segue il periodo della c. dipinta nel cosiddetto stile di Serra d'Alto, in cui l'ornamentazione, oltre all'impiego di losanghe, triangoli e bande a piccoli zig-zag marginati, si compiace di intricate derivazioni dal meandro e dalla spirale, onde il nome di meandrospiralica sotto cui è anche conosciuta. Particolare rilievo assume in questo momento la modellazione di anse complesse, nelle quali domina la spirale e la testa di toro o di ariete stilizzata, mentre ad una fase finale del periodo sembrerebbe accennare la c. rinvenuta in una capanna di Serra d'Alto, in cui la decorazione si riduce a rare sottili fasce di tremolo marginato e le anse assumono forme tubolari o a rocchetto. Sempre nello stesso ambiente àpulo-materano, contemporaneamente alla produzione di vasi dipinti, si sviluppa quella di una bella c. a superficie scura levigata e con decorazione graffita "a cotto" formata da triangoli e bande riempiti di tratteggio, motivi a spina di pesce, zigzag, losanghe e scacchiere, il tutto ravvivato dall'uso frequente di incrostazioni di materia bianca o rossa. Forme diffuse sono le coppe a calotta, i recipienti globulari con collo cilindrico e le tazze con fondo tondeggiante e collo troncoconico impostato sulla spalla. Nel versante tirrenico della penisola altro particolare stile decorativo pittorico viene offerto dalla grotta delle Felci di Capri e dall'isola di Lipari: qui bande e fiamme rosse marginate di nero spiccano sul fondo dell'argilla, il cui colore tende prevalentemente al roseo. Quanto alla Sicilia, dopo un periodo di limitata influenza àpulo-materana, tre successive facies culturali a c. dipinta vengono elaborate indipendentemente dal resto dell'Italia, con originaria influenza egeo-balcanica ed egeo-anatolica. Nella cultura di Serraferlicchio (Agrigento) la c. dipinta in nero opaco su rosso violaceo lucido, presenta una grande varietà sia di forme che di motivi decorativi. Sono olle sferoidali, ovali ed anche globulari con e senza anse, anfore biansate a corpo globulare e collo cilindrico, tazze sferoidali monoansate ed infine, veramente singolari, coppe munite di quattro grandi lobi elevantisi sull'orlo, che suggeriscono l'idea di grandi fiori a quattro petali. L'ornato, che non obbedisce a regole di sintassi decorativa, presenta denti di lupo, zone a reticolo, fasci di linee semplici, schemi a clessidra, ecc. Tipica della facies di S. Ippolito di Caltagirone è, invece, una decorazione dipinta alquanto semplice a righe verticali o a grossi punti, ma anche qui, come già a Serraferlicchio, non mancano esempi di c. policroma (fasce nere bordate di bianco su fondo rosso). L'aspetto culturale di Castelluccio infine è caratterizzato da un'ornamentazione molto uniforme, basata essenzialmente sul motivo delle bande incrociate e dalla presenza di un numero alquanto limitato di forme, tra cui degne di nota le coppe su piede conico, munite generalmente di tre anse verticali, i vasetti mono e biansati a forma di clessidra e le pissidi globulari con piede conico.

Nei Balcani centrali le stazioni di Bubanj, Vinča e Starčevo accusano un poliformismo culturale, che è evidente soprattutto nell'ornamentazione della c. e che si richiama sia all'ambiente egeo e del basso Danubio sia alla civiltà Danubiana propriamente detta. E quest'ultima una civiltà agricola che si sviluppa nelle pianure dell'Europa centrale, dal territorio a N del Sava fino alla Polonia, Germania e Belgio e la cui influenza è stata registrata anche nelle regioni dell'Italia settentrionale: vasi a "bocca quadrata" del Piemonte, Liguria (Arene Candide), Lombardia ed Emilia (Chiozza). Caratterizzata nella prima fase da una decorazione costituita dai motivi incisi della spirale ricorrente nel meandro (v. bandkeramik), successivamente sotto l'influenza dei gruppi a c. punzonata della Germania occidentale evolve la primitiva ornamentazione ed introduce l'uso di riempire le bande di fitte punteggiature, mentre i motivi angolari prendono il sopravvento su quelli curvilinei (v. danubiana, civiltà).

Nell'Europa occidentale tutte le facies neolitiche si distinguono per la presenza di una c. affatto o poco decorata ed un prevalere di fondi tondeggianti. Nelle stazioni del S-E della penisola iberica (El Garcel, Tres Cabezos e Navarrés), dove si notano fra l'altro olle a fondo conico, che ricordano quelle dell'Africa del N, qualsiasi decorazione vascolare è di regola mancante; solo talvolta compaiono delle linee incise e distribuite sulla superficie del fittile senza alcuna preoccupazione compositiva (v. el garcel). Nel gruppo Cortaillod-Chassey-Lagozza (v.), così denominato da località rispettivamente della Svizzera, Francia ed Italia e caratterizzato dalla presenza di vasi carenati e da protuberanze multiple forate (anse a "flauto di Pan", di Lagozza-Chassey), l'aspetto francese, di cui tipici sono anche supporti cilindrici per vasi, sviluppa una peculiare decorazione graffita a "cotto" e costituita da scacchiere, fasce e triangoli riempiti di reticolo, che non trova confronti se non nell'ambiente mediterraneo (soprattutto in quello àpulo-materano). Molto rara e ridotta a temi assai semplici utilizzati con discrezione è l'ornamentazione del gruppo di Michelsberg (territorio svizzero-belga), la cui c. si distingue per una grande varietà di fogge, tra cui il vaso a forma di tulipano, l'anfora sferoidale od ovoide con collo ad imbuto e munita generalmente nel punto di massima espansione da una fila di protuberanze forate, il bicchiere tronco-conico e la brocca ansata. Nel gruppo di Windmill-Hill (Isole britanniche), alla quasi totale assenza della decorazione, che in proporzioni molto modeste fa una tardiva apparizione nel periodo finale della facies, si accompagna una estrema povertà delle forme vascolari, che sono quasi esclusivamente rappresentate dal tipo di vaso a fondo tondeggiante sia emisferico che leggermente carenato.

Nella prima metà del II millennio l'Europa appare investita dall'ondata di diffusione di un singolare complesso culturale, il cui elemento più caratteristico è rappresentato dal cosiddetto bicchiere "campaniforme". Questo vaso, che si presenta straordinariamente uniforme, nonostante la vastità dell'area interessata e nella quale rientrano anche l'Italia settentrionale (Remedello), la Sardegna (Anghelu Ruju) e la Sicilia (Villafrati), unisce alla peculiarità della forma quella di una decorazione costituita da motivi impressi od anche incisi disposti in zone orizzontali, alternate con altre lisce (v. campaniforme, vaso). Assai per tempo nell'Europa centrale (Germania e Paesi Bassi) il vaso "campaniforme" viene a contatto - ed il risultato è la creazione di un tipo di fittile ibrido - con quell'altro importante complesso culturale, anch'esso ampiamente diffuso, che dal singolare metodo di ornamentazione vascolare, viene denominato della ceramica "a cordicella" e che è proprio di genti guerriere (v. cordicella, decorazione a).

Nella seconda metà del II millennio, mentre in Oriente e nell'Egeo continua, sia pure con carattere sempre più commerciale, la produzione della c. dipinta, ed in alcune regioni europee, come ad El Argar (v.), con l'affermarsi della c. monocroma a superficie lucente, l'ornamentazione vascolare cade in completo disuso anche se si modellano forme dal profilo svelto ed elegante ed in altre (soprattutto nel N) perdura la tecnica della decorazione a cordicella, l'Europa centrale e l'Italia mostrano una particolare ricerca della decorazione vascolare. La Civiltà dei Tumuli che dalla Moldava e dalla Saale si estende fino alla Francia, offre una notevole varietà di motivi e di tecniche in relazione alle varie facies locali. Sono bozze, sia applicate sia ricavate dalla pasta del vaso, solcature, cerchielli stampati, motivi geometrici sia incisi sia ritagliati (diffusi questi ultimi specialmente nel gruppo dell'alto Reno e dell'Alsazia), mentre per quello che riguarda le fogge vascolari si nota la tendenza a valorizzare una forma di vaso ansato con alto collo ad imbuto. Una certa eterogeneità di tecniche e di motivi decorativi si ha anche nella ceramica di quella cosiddetta Civiltà dei Campi di Urne (Urnenfeldernkultur) che costituisce uno dei fenomeni archeologici di più ampia portata che abbia conosciuto l'Europa. Tuttavia tra gli elementi tipici di questa cultura oltre alle urne biconiche, ai vasi a colonnette, ecc. può essere annoverata, data la sua diffusione, anche la decorazione a bugne e a solcature. Valore di caratteristica distintiva assumono poi le larghe bozze coniche emergenti da depressioni circolari nella facies culturale di Lausitz (v.), manifestazione periferica del moto irradiante della corrente incineratrice, quantunque, specie in un secondo momento, anche le solcature siano in particolare pregio. In Italia la piena Età del Bronzo vede tra l'altro il fiorire, rispettivamente nell'Emilia e nel centro-meridione della penisola, di due aspetti culturali particolarmente importanti: quello terramaricolo e quello appenninico. Mentre per il primo, che presenta vasi vigorosamente sagomati con armoniosa combinazione di profili concavi e convessi, ed una decorazione dalle palesi tendenze plastiche, che trovano la loro espressione in bugne scanalate, solcature, cuppelle, ecc. (v. terramare), sembrerebbero sicuri i rapporti con la zona danubiano-balcanica, nella Civiltà Appenninica, caratterizzata da una lussureggiante ornamentazione incisa a motivi di bande curvilinee e meandrilormi riempite di puntini o di tratteggio ed incrostate di materia bianca, e dalla creazione di anse di un gusto plastico tutto particolare, si ha veramente una delle più interessanti elaborazioni originali dell'arte vascolare dell'Europa preistorica (v. appenninica, civiltà). La cosiddetta facies protovillanoviana, che ad un certo momento viene ad inserirsi nello sviluppo della Civiltà Appenninica, nonostante l'elaborazione di una peculiare decorazione a solcatura e cuppelle, la modellazione di fogge tipiche come l'urna biconica e la tazzetta con orlo distinto dal corpo e la creazione di graziose figurine fittili riproducenti in miniatura, spesso con verismo considerevole, animali quali il cavallo, il bue ed il cane e che trovano il più diretto confronto con gli analoghi esemplari restituitici dalle terramare, riflette ormai un nuovo orientamento nella tecnica e nella decorazione vascolare che avrà pieno sviluppo in Europa durante l'Età del Ferro (v. preistorica, arte; villanoviana, civiltà). Per la c. iberica, v. iberica, arte.

Bibl.: V. Gordon Childe, The Danube in Prehistory, Oxford 1929; U. Rellini, La più antica ceramica dipinta in Italia, Roma 1934; Passek, Le céramique tripolienne, Mosca-Leningrado 1935; M. A. Heurtley, Prehistoric Macedonia, Cambridge 1939; G. Säflund, Le Terremare delle Provincie di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, in Acta Inst. Rom. Regni Sueciae, VII, 1939; C. Hawkes, The Prehistoric Foundations of Europe to the Mycenean Age, Londra 1940; R. R. Schmidt, Die Burg Vucèdol, Zagabria 1940; P. Laviosa Zambotti, Le più antiche culture agricole europee, Milano 1943; J. H. Gaul, The Neolithic Period in Bulgaria (Am. School of Preh. Research, 16), 1948; V. Von Gouzenbach, Die Cortaillodkultur in der Schweiz, Basilea 1949; C. W. Blegen, J. L. Caskey e M. Rawson, Troy, Princeton 1953; B. Laviosa Zambotti, I Balcani e l'Italia nella Preistoria, Como 1954; HăbăŞeŞti (Acad. Rep. Pop. Rom.), Bucarest 1954; I. San Valero Aparisi, El neolitico europeo y sus raices (Cuad. de Hist. Primitiva, IX-X), 1954-55; G. Bailloud - P. Mieg de Boofzheim, Les civilisations néolithiques de la France, Parigi 1955; M. Gimbutas, The Prehistory of Easter Europe, I (Amer. School of Preh. Research, 20), 1956; L. Bernabò Brea, Gli scavi nella caverna delle Arene Candide, 2°, Bordighera 1956.

(D. Lollini)

3. Egitto faraonico. - L'industria ceramica egiziana risale al Neolitico ed è attestata nelle stazioni del Fayyūm, di Merimdeh (Delta occidentale) e di Deir Tāsa (Medio Egitto). Gli esemplari del primo gruppo sono costituiti da un impasto di terra argillosa grossolana mescolata con paglia trita, modellato a mano e cotto in modo non uniforme. La tipologia comprende vasi sferici e globulari con fondo arrotondato o piatto, piatti rettangolari e marmitte con le pareti molto spesse. Più evoluta si rivela la ceramica di Merimdeh che si suddivide in due classi: quella dei vasi rossi e quella dei vasi neri. Accanto alle forme più comuni si notano bottiglie e brocche piriformi, vasi con anse a ferro di cavallo oppure con fori per la sospensione; inoltre compaiono alcuni schemi di decorazione a spina di pesce. Molti esemplari dispongono di un piede, più o meno alto. A Deir Tāsa la ceramica appare di colore nero, bruno e grigio, di rado rosso. Tipici sono i vasi caliciformi decorati con incisioni, colmate con pasta bianca, di elementi triangolari disposti in registri orizzontali delimitati da fasci di linee parallele.

Durante il periodo eneolitico, maggiormente documentato al N, l'industria ceramica raggiunse un alto livello di perfezione tecnica, specie per quel che concerne la decorazione; la modellatura fu sempre eseguita a mano. La produzione di el-Badārī (Medio Egitto), il centro eneolitico più antico, si distingue per i vasi dicromi (rossi o bruni con bordo nero), per le forme carenate e sferiche, per l'assenza di anse e di colli, ma in particolare per un sistema di decorazione a striature eseguite prima della cottura con uno strumento a forma di pettine. L'Eneolitico più recente, o Civiltà di Naqādah, dal nome della località nell'Alto Egitto maggiormente rappresentativa di questa facies, è stato suddiviso dal Petrie in una serie di "sequence dates" basate sulla tipologia della ceramica. Le date di successione vanno dal numero 1 all'8o: quest'ultimo corrisponde all'inizio del periodo storico (2850 circa). Il Petrie ha inoltre raggruppato i vasi naqadiani in nove classi: B (black-topped) rossi con bordo nero; P (polished) rossi levigati; F (fancy) con forme di fantasia; C (cross-lined) rossi con decorazione bianca; I (incised) neri con decorazione incisa; W (wavy-handled) con anse ondulate; D (decorated) rossi con decorazione violacea; R (rough) con forme grossolane; L (late) tipi tardi. Le classi più importanti sono la C attestata soltanto per il periodo antico (Naqādah I) e la D limitata invece a quello recente (Naqādah II). I motivi ornamentali della classe C sono in alcuni casi semplici schemi geometrici (triangoli, losanghe, linee ondulate, stelle, cerchietti) oppure stilizzazioni di elementi floreali (rami, cespugli), associati ai primi. Di spiccato interesse appaiono le raffigurazioni di animali (ippopotami, coccodrilli, giraffe, bovidi, asini, capridi, pesci, tartarughe, scorpioni), talora circondati da elementi floreali o acquatici, ma soprattutto le scene in cui compare l'uomo (cacce, danze rituali). Anche la classe D presenta schemi semplici tra cui la spirale e la linea ondulata, temi floreali (pianta di aloe) e animali (capridi, struzzi), ma il motivo più frequente del repertorio è la rappresentazione di barconi a remi con due cabine e un insegna a poppa. Il valore documentario di tali insegue, sormontate da emblemi, si rivela importante poiché costituiscono la prima attestazione di quelle che saranno in epoca storica i simboli religioso-politici dei nomi. Fra i tipi della classe I si segnalano i vasi gemini; con beccuccio; teriomorfi (uccelli, pesci); con decorazione plastica in rilievo (dea della fertilità).

Con il periodo thinita (2850-2650 circa), così chiamato dal nome della città di This presso Abido, si manifestò un regresso qualitativo nella produzione ceramica dovuto in massima parte all'incremento dell'industria dei vasi in pietra. I vasi perciò, non più considerati oggetti di lusso, assunsero forme solide e massicce, prive di piedi e di decorazione: il colore si presenta rosso o bruno. Alcuni tipi del periodo di Naqādah si ripetono in forme degenerate; caratteristico invece di questo periodo è un giarrone destinato a conservare alimenti solidi e liquidi, che può raggiungere un metro in altezza, con il collo rinforzato da un ispessimento e munito di tappo conico.

L'adozione graduale del tornio a mano appare documentata durante l'Antico Regno. Particolarmente sotto le dinastie IV-V (2600-2350) si rivela tipica un'anfora con piede a punta, modellata con un impasto omogeneo di colore bruno, mentre sotto la XII dinastia (1991-1786) predominano le forme globulari e piriformi.

Le ceramiche della XVIII dinastia (1570-1314) presentano forme maggiormente caratterizzate, tra le quali sono peculiari i vasi bulbiformi ansati con alto collo che si allarga alla bocca. La decorazione, dicroma (rosso, nero) oppure policroma, presenta elementi geometrici, simboli religiosi, ghirlande floreali stilizzate, animali. Si notano anche fra le ceramiche del Nuovo Regno imitazioni di vasi egei e siro-palestinesi. Ma soprattutto spiccano per eleganza di forma e accuratezza di esecuzione le coppe smaltate azzurrine, spesso adorne di motivi tratti dalla vita acquatica (pesci, ninfee, papiri), oppure esili calici a forma di fiore di loto.

I tipi di ceramiche della Bassa Epoca non presentano caratteristiche notevoli, anzi si nota una degenerazione dei tipi e della tecnica.

Bibl.: H. Wallis, Typical Examples of the Art of the Egyptian Pottery, Londra 1900; W. M. F. Petrie, The Arts and Crafts of Ancient Egypt2, Londra 1910, cap. XII; id., Corpus of Prehistoric Pottery and Palettes, Londra 1921; G. Nagel, La céramique du Nouvel Empire à Deir el Médineh, Il Caio 1938; A. Lucas, Ancient Egyptian Materials and Industries, Londra 1948, pp. 420-41; J. J. Vandier, Manuel d'archéologie égyptienne, I, Parigi 1952, passim.

(S. Bosticco)

4. Creta: v. minoico - micenea, arte.

5. Antichità classica: dalla fine dello stile miceneo alla fine del periodo ellenistico.

Tecnica. - La tecnica della ceramica nell'antichità classica non ci è nota in tutti i suoi particolari. Sappiamo che i Greci ereditarono dal mondo miceneo due conquiste tecniche, il tornio e la cosiddetta vernice. Con questo termine (improprio, ma entrato oramai nel gergo archeologico) si suole designare una sostanza nera e brillante, che una volta applicata e cotta non si scioglie né con l'acqua né con alcun altro solvente. La composizione chimica della cosiddetta vernice dev'essere molto semplice e primitiva, ma la formula non è stata ancora trovata. I vasi dipinti erano sottoposti ad una doppia cottura; la seconda, che avveniva quando la pittura era stata già applicata sul vaso, aveva lo scopo di fissare il colore. Però già sui particolari delle due cotture esistono dubbi: sembra tuttavia abbastanza sicuro che per la prima cottura occorresse un tempo assai lungo (si dice due settimane, ma è probabile che nel computo fosse compresa la essiccazione) e che, per i vasi di grandissime dimensioni, questa cottura potesse avvenire anche in forni aperti, come quelli adoperati per la cottura dei mattoni. La seconda cottura sembra invece che si effettuasse entro un forno chiuso (modernamente chiamato muffola) e durasse un tempo brevissimo (non più di mezz'ora, a quanto sembra). Il fumo, naturalmente, non entrava nella muffola, salvo nei casi in cui l'affumicamento era ricercato, come - pare - nel bucchero (v.) etrusco e nella cosiddetta terra nigra della Renania. Ma sulla ricostruzione delle fornaci sussistono ancora molte incertezze. Certa è però l'esistenza di sostegni e di cassette per impedire ai vasi, ancora crudi, di pendere e di appiccicarsi fra loro.

Alcuni particolari del modo di dipingere i vasi ci sono forniti dai vasi stessi, soprattutto da quelli a figure rosse del VI e del V sec. a. C. Le figure sono costantemente contornate da una pennellata di vernice più densa di quella che copre il resto del fondo. Evidentemente il maestro, dopo aver finito di dipingere le sue figure, non si dava la pena di riempire di nero tutto il campo, ma lasciava questa fatica all'apprendista. Prima però di iniziare il lavoro, il maestro tracciava, mediante una stecca dalla punta assai aguzza, il contorno delle singole figure: per quanto tenue, la traccia dell'incisione è assai spesso riconoscibile tanto nel caso che vi siano stati pentimenti (nel qual caso le incisioni non coincidono col contorno definitivo), quanto nel caso contrario. I pentimenti ci permettono di seguire l'artista nel suo lavoro.

Una raffigurazione nell'interno di una coppa attica ci attesta che i pittori dipingevano tenendo il pennello stretto nel pugno, sistema che rendeva la mano assai ferma, cosa tanto più necessaria, in quanto i pennelli erano assai sottili: anzi, quelli adoperati per alcuni particolari erano costituiti addirittura da un'unica setola di maiale. In quest'ultimo caso la setola era appoggiata sul vaso e poi tirata verso l'alto. In età arcaica, per determinati motivi decorativi si adoperava il compasso. I particolari delle figure nere erano dati con uno strumento aguzzo, che rimase per una cinquantina di anni in uso anche per le figure rosse per distinguere dal fondo il contorno della zona dei capelli; più tardi si preferì delimitarli mediante una linea del colore del fondo, per ottenere la quale bastava un pennello bagnato di acqua. La stessa vernice, diluita, esprimeva i particolari che dovevano immaginarsi meno accentuati, come le pieghe meno profonde, i muscoli meno pronunciati; densa, invece, sino a formare pallottole plastiche, poteva indicare i capelli ricci e spessi di un Eracle.

I colori adoperati per ravvivare il disegno delle figure nere erano solo il bianco ed il rosso; per le figure rosse del V sec. persino l'uso di questi due colori fu limitatissimo; sui vasi italioti si adoperò inoltre anche il giallo, ma sempre con molta parsimonia. A questa moderazione fa riscontro il numero limitatissimo dei colori adoperato anche dai pittori greci di megalografie prima dell'ellenismo.

Sulla base di alcuni esperimenti, si crede che in taluni rari casi, per ottenere un effetto coloristico particolare, si spalmasse la cosiddetta vernice sopra la zona già verniciata e cotta, ma in uno strato assai sottile e si sottoponesse il vaso ad una terza cottura di intensità minore dell'ordinario. In tal modo si sarebbe ottenuto un rosso brillante che avrebbe contrastato efficacemente col nero. Infine si noti che sui vasi àpuli del IV sec. si è constatato, per alcune figure continuamente ripetute, l'uso di sagome ritagliate; ma schemi reversibili, cioè da usarsi per diversi atteggiamenti variando solo il disegno interno, dovettero esser usati anche nelle officine attiche.

Tipologia. - Tipologicamente i vasi possono dividersi in vasi a decorazione dipinta e vasi a decorazione impressa; ma poiché la decorazione impressa è stata in uso per tutti i quindici secoli della c. classica, mentre quella dipinta lo fu per la metà circa dello stesso periodo, e siccome in fatto di stile i disegni eseguiti nelle due tecniche concordano quando cronologicamente coincidono, non è sembrato opportuno farne due trattazioni interamente separate, ma si tratteranno simultaneamente.

Forme. - (Per la nomenclatura tipologica v. pag. 499 ss.). Le sagome dei vasi greci antichi sono modellate con un gusto così sicuro e con una così costante rispondenza di ritmi nelle singole parti, pur nell'incessante susseguirsi delle mutazioni, che è lecito pensare che colui che si firmava come il facitore (ὁ δεῖνα ἐποίησεν) del vaso, fosse non soltanto il proprietario dell'officina, ma anche colui che aveva disegnato il modello della sagoma, cui gli antichi davano, in molti casi, nella valutazione estetica di un vaso, un peso forse anche maggiore che non alle pitture stesse.

Le sagome dei vasi hanno quindi, nella valutazione artistica, un'importanza non minore delle pitture che ne rivestono la superficie. Eccetto casi assolutamente sporadici, le forme dei vasi greci (e di gran parte di quelli di età imperiale romana) sono modellati con lo stesso supremo senso dell'armonia, dell'equilibrio, della misura, con cui sono disegnate o impresse le immagini. Ma poichè una inscindibile unità lega le scene dipinte alla loro cornice decorativa e questa, a sua volta, alla sagoma del vaso, un grande affiatamento artistico deve aver regnato fra la mente di chi ha disegnato la sagoma del recipiente e quella di colui che lo ha decorato con le sue pitture. Le forme dei vasi antichi seguono lo stesso svolgimento lento e graduale, dall'età arcaica attraverso la classica e l'ellenistica sino al tardo Impero, delle altre manifestazioni d'arte. I nomi antichi oggi assegnati alle singole forme sono spesso puramente convenzionali, nel senso che non sappiamo se essi fossero adoperati sempre ed esclusivamente per quelle determinate forme; anzi in molti casi sappiamo che questa esclusività non c'era; ma, d'altra parte, per noi moderni abituati alle classificazioni, questa convenzione è pur necessaria.

Una distinzione di ordine pratico (che però ha la sua importanza indiretta anche per l'arte) raggruppa da un lato i recipienti, dall'altro i vasi che si portavano direttamente alla bocca ed infine i vasi non destinati alla mensa. Tra i primi vanno annoverati: il cratere, distinto nelle sue varietà di cratere a colonnette (il nome antico era κρατὴρ κορινϑιουργής, ossia cratere di lavoro corinzio, probabilmente perché ivi assunse per la prima volta la forma canonica), cratere a campana (nome antico: κρατὴρ μιλησιουργής, ossia di fabbrica milesia), a calice, a volute ed a mascheroni; il dèinos, ossia il cratere a caldaia, senza piede e senza anse; l'hydrìa (che effettivamente serviva per attingere l'acqua), caratterizzata da tre anse, di cui quella mediana, verticale, ha lo scopo di facilitare la presa del vaso a chi versa, mentre le altre due, orizzontali, rendevano più facile tenere il vaso in equilibrio), con la variante della kàlpis; lo stàmnos, vaso con due anse orizzontali; lo psyktèr, ossia - come dice l'etimologia della parola - un vaso refrigerante, destinato a mantenere fresco il vino, di cui conosciamo due varianti: una a doppia parete, con un foro inferiore di fuoruscita della neve disciolta, l'altro a fungo, il cui stelo s'immergeva in un vaso a calice. Alcune di queste forme sono legate, come si è detto, ad un determinato periodo: il cratere a colonnette s'inizia già nell'VIII sec., continua, assai modificato, nel VI e termina alla fine del V o agli inizi del IV; il cratere a campana è legato allo stile a figure rosse e così pure quello a calice; quello a volute è quasi esclusivamente legato agli stili italioti; quello a mascheroni lo è del tutto. Il dèinos e lo psyktèr ebbero breve voga, limitata alla seconda metà del VI sec. È in tal modo possibile, determinata la fortuna di una forma attraverso lo stile delle figure, dalla forma determinare la data dell'esecuzione del vaso, anche quando figure non ve ne siano. Ciò accade anche con l'anfora e con le sue suddivisioni principali, dal collo nettamente distinto dalla spalla e dal collo che gradualmente si fonde con essa (due forme alle quali sono associati due diversi sistemi decorativi), nonché una variante caratterizzata dalle anse attorte ed un'altra dal corpo rigonfio come un otre ritto e pieno a metà, cui si dà il nome di pelìke; lo è per la oinochòe, o brocca che dir si voglia, con la variante chiamata òlpe; ma lo è soprattutto per la lèkythos, il vaso da unguenti che troviamo già in uso al principio dell'VIII sec., che ritroviamo ancora alla fine del IV e che presenta, attraverso quattrocento anni, le sagome più svariate, ognuna associata ad un periodo particolare. Così, ad esempio, la cosiddetta epìchysis è tipica del IV sec. avanzato. Sotto il nome di ampulla, la lèkythos continua a vivere in età ellenistica. Quasi esclusiva delle fabbriche della Campania è la situla (ossia la secchia), un vaso ad una sola ansa disposta sopra la bocca, come il manico di una secchia, mentre frequentissimo in tutti i tempi in Beozia è il kàntharos, il vaso a due alte anse verticali (popolarità dovuta probabilmente a ragioni rituali). Esclusiva dell'età ellenistica è la làgynos, conosciuta a Roma col nome di lagaena, una sottospecie della brocca.

Se passiamo ai recipienti che si accostano alle labbra, il posto massimo è occupato dalla coppa, tipica dei simposi, in greco kölix, più profonda in età arcaica, più larga e piatta nel periodo del fiore della c. attica a figure rosse di stile severo. Il bicchiere ad un'ansa verticale è poco usato; più amato è invece lo sköphos, con due anse verticali; una variante, ancora senza nome, ha un'ansa verticale ed una orizzontale, specie di piccolo staio, o grosso bicchierone senza piede che può aver servito tanto da recipiente per mescere il vino, quanto per essere portato alle labbra. In età arcaica abbiamo invece in Etruria il calice, che è dubbio se abbia mai servito ad uso comune oltre che funerario; lo troviamo infatti in bucchero nelle tombe ed inoltre in lamina di bronzo ed in avorio (o osso che sia), tanto nella elegante forma dall'unico piede svasato a guisa di tromba, quanto con l'aggiunta di quattro sostegni a forma di figurine umane, o di lamine decorate a giorno.

Vengono infine i vasi che non han servito per bere, ma a scopi pratici - ad esempio per gli unguenti - oppure a scopo di culto. Un vaso da unguenti è la già nominata lèkythos; più diffuso ancora è l'aröballos, nelle sue forme più svariate, da quella globulare, diretta discendente del vaso a staffa miceneo, a quella a pera, o di otre rigonfio in basso, o di sacchetto cilindrico ugualmente largo per tutta la sua lunghezza (generalmente adorna in alto di un bustino: si trova esclusivamente in alabastro), o anche di ciambella; infine sotto forma di statuette munite di un bocchino in alto e di due piccolissimi peducci di sostegno in basso, talora sostituiti da un anello di sospensione in alto. Questi vasi figurati assumono forme diversissime: di schiavo accoccolato, di scimmia, di porcospino, di lepre corrente, di coniglio, di cerbiatta, di testa maschile entro un elmo, di testa femminile, di mandorla, persino di genitali virili. Le fabbriche di Corinto si dedicarono specialmente a questo genere di vasetti; gli Etruschi li imitarono come meglio poterono. Invece gli Attici preferirono adornare con un viso umano, generalmente femminile, certi vasi che possono chiamarsi tanto piccole brocche come grossi bicchieri, i quali forse non hanno avuto alcuno scopo pratico, ma solo decorativo. Puramente decorativa sembrerebbe anche la funzione del rhytòn, vaso a forma di corno che termina alla punta con una testa di animale (cavallo, cinghiale, cervo, grifo e così via), ma l'impossibilità di posarli se contenenti del liquido fa pensare a scherzose gare fra bevitori commensali. Altre volte però le teste animalesche, poggiate su piede, costituirono il corpo del vaso. Non mancano di tale tipo di rhytòn esempi a forma di testa umana. Le fabbriche attiche ci si sbizzarrirono; quelle àpule furono le uniche, o quasi, che si cimentarono a seguirle su questa strada.

Un predecessore della lucerna ad olio fu certamente il cosiddetto kòthon, ossia una grossa coppa con i margini ripiegati in dentro, per impedire che, camminando con il lume in mano, l'olio traboccasse: con l'invenzione della lucerna nel IV sec., il kòthon scompare; ma la primitiva lucerna del tipo della coppetta senza anse permase a lungo nel rito funerario e divino. Il cosiddetto guttus (un vaso chiuso, eccetto un bocchino sottile per la fuoruscita del liquido ed un forellino in alto per riempirlo) serviva probabilmente per versare l'olio nella lucerna stessa. Un tipo particolare di guttus dovette servire da poppatoio. Agli unguenti era certamente destinata la lekàne, una coppa profonda munita di coperchio, che sui vasi dipinti vediamo in mano a coloro che si recano a far visita ai morti; ed agli unguenti era similmente (se non esclusivamente, certo prevalentemente) destinata la pisside, grazioso oggetto da toletta, spesso adorno delle più eleganti e gentili scene della vita femminile. Un altro oggetto di uso pratico del mondo femminile era l'epinetron, una specie di minuscola culla rovesciata, che la donna sistemava sul ginocchio e sulla gamba per torcervi sopra la lana. Pochi esemplari ne sono giunti sino a noi; ma quei pochi sono adorni di graziose scene confacenti alle persone cui erano destinati. Al culto - compreso quello funerario - erano riserbati la patera ed il piatto. Un vaso di culto era anche il kèrnos, vaso a ciambella internamente vuoto, con tre minuscoli vasetti applicati al sommo (è molto probabile che tutti i vasi multipli fossero connessi con il culto).

Un elenco completo delle forme con tutte le loro varianti risulterebbe assai lungo: nel catalogo dei vasi del museo di Berlino del Furtwängler, edito nel 1885, l'atlante delle sagome, benché incompleto (non comprende infatti i vasi di età romana imperiale) ci dà ben 345 forme diverse.

Criterî di datazione. - La trama cronologica, entro la quale si è riusciti ad inserire la storia dello sviluppo della c. classica, è frutto di lunghissime ricerche. Il criterio principale è, naturalmente, di natura stilistica ed è stato possibile, per questa via, stabilire una cronologia relativa con l'approssimazione di una generazione, ossia all'incirca di un terzo di secolo. Le firme dei pittori e dei proprietari delle fornaci (soprattutto dei proprietarî che ebbero varî pittori alle loro dipendenze e dei pittori che lavorarono alla dipendenza di varî fabbricanti), nonchè - in Atene ed in un certo periodo della sua storia - l'uso di esprimere sui vasi la propria ammirazione per la bellezza di alcuni giovinetti, permettono di restringere, nella ceramica attica del VI e del V sec., i limiti dell'approssimazione sino ad un decennio. Scavi fortunati, datati da circostanze esteriori (come quelli dati dalla cosiddetta colmata persiana sull'acropoli di Atene) e dalla stratigrafia archeologica di altre città di cui si conoscono le date di fondazione o di distruzione, o di ambedue questi episodî (come la vecchia Efeso, Camarina, Selinunte, Alessandria di Egitto); o, in qualche caso fortunato, come quello del tumulo dei caduti di Maratona, o, in casi fortunatissimi, persino una moneta rimasta nella stessa tomba, o il nome di un sovrano inciso sopra un vaso (come quello del faraone Bocchoris su un vaso trovato entro una tomba etrusca) o, per la c. di tipo aretino, la data dell'abbandono dei singoli accampamenti romani nella zona di guerra presso la frontiera germanica, hanno permesso di sostituire una data assoluta a quella relativa, di cui era stato giocoforza contentarsi per l'innanzi.

Assai più frequenti sono però i casi in cui è stata proprio la c. cosi datata, che ha servito alla datazione dei ruderi entro cui è stata rinvenuta: persino avanzi di tipo preistorico han dovuto rassegnarsi a vedere abbassata la loro datazione assoluta per la presenza della c. classica. Si che la c., materiale fragile, ma che il tempo non altera nel suo aspetto, è stata definita la spina dorsale dell'archeologia. È vero che in qualche caso è stata la plastica a fornire alla c. un criterio di datazione esteriore per un determinato fenomeno stilistico: il caso più tipico è dato dal fregio del Tesoro dei Sifnî, datato nel 525, che ha permesso di assegnare al 530 l'inizio della tecnica a figure rosse e del rendimento tridimensionale delle pieghe nel panneggio. Ma, a sua volta, la ricchezza incomparabile dei documenti ceramici permette di scaglionare passo passo i prodotti plastici coevi.

Il periodo geometrico. - Verso il 1000 a. C. si fan terminare le ultime propaggini dello stile sub-miceneo. A tale data infatti si attribuiscono i vasi di Enkomi a Cipro. Nasce allora, o poco più tardi, lo stile geometrico, in netto contrasto con lo stile miceneo-tardo (v. geometrico, stile).

I primi tre secoli dell'ultimo millennio avanti l'èra volgare e parte del VII sono occupati dallo stile geometrico (persistenze si hanno anche nel VI e costituiscono lo stile sub-geometrico) nelle sue varie fasi, protogeometrica, geometrica matura e geometrica tarda. Esso è caratterizzato dall'impiego, dapprima esclusivo, poi prevalente, infine limitato a parti sempre più secondarie, della decorazione di tipo geometrico, soprattutto del meandro e della scacchiera, più tardi anche del triangolo, della losanga e della linea spezzata. Verso la metà del sec. VIII cominciano ad infiltrarsi le figure tratte dal mondo vivente: serie di uccelli e di quadrupedi ed alla fine di esseri umani, questi ultimi non in semplici file decorative, ma composti in scene con un determinato significato (processioni dietro al morto, lamenti attorno al cadavere, ecc.). È interessante notare come il desiderio di raffigurare la vita nella sua realtà - la quale esige una differenziazione individuale dei personaggi e delle situazioni - combatta già col senso ornamentale che vorrebbe ridurre anche gli esseri animati a schemi decorativi.

Lo stile geometrico è noto da molte regioni del mondo greco (naturalmente in ognuna con la relativa differenziazione), ma soprattutto dall'Attica. In Italia compaiono alcuni elementi dello stile geometrico greco sui cosiddetti vasi villanoviani.

Il VII secolo. - Nel VII sec. le due correnti corrono parallelamente ed intersecandosi dan luogo ad una terza. Una, visibile nella enorme maggioranza dei vasi di stile protocorinzio (nome convenzionale, in attesa di definire in quale parte dell'Argolide debba localizzarsi la patria principale di questo stile, che certamente fu imitato in vari centri greci ed inoltre in Etruria), continua ad adoperare gli elementi dello stile geometrico, ma illeggiadriti sino a farne un merletto; un'altra, quasi esclusivamente manifestatasi in Attica, dà alle scene figurate un'importanza sempre maggiore (v. protoattici, vasi); alla terza possiamo assegnare (come tendenza, non come centro produttore) quei vasi di stile protocorinzio nei quali la figura animata s'inserisce fra la decorazione di stile geometrico. La differenza fra il protocorinzio a figure ed il protoattico sta in ciò: che il protocorinzio adopera la figura animata - sfingi e leoni assisi, lepri e cani correnti - isolatamente, o tutt'al più a coppie simmetriche ed in funzione prevalentemente decorativa, mentre il pittore attico vuole comporre vere e proprie scene di contenuto narrativo. Com'è naturale, i vasi protocorinzi sono superficialmente più gradevoli a vedersi dei protoattici, i cui esecutori cercavano affannosamente la propria strada, senza l'aiuto di nessun prototipo, proponendosi problemi originali di forma, di tecnica, di decorazione. Avventurandosi con spirito e con occhi nuovi nel mondo della realtà circostante, che infinito si apriva innanzi a loro, gli artisti attici aprirono le porte ad innumerevoli possibilità. Senza i tentativi dei ceramisti protoattici, non avremmo avuto - o almeno non avremmo avuto così presto - la magnifica fioritura della c. attica a figure nere del VI sec.

Alla fine del VII sec. a. C., quando la pittura attica aveva già quasi raggiunto il suo equilibrio, si affianca ad essa la c. cicladica; nome provvisorio anche questo, in attesa di determinarne il centro produttore, o almeno il centro principale: una volta era detta c. melia, ma Melos [Milo] e le altre isole doriche sono escluse; Nasso sembra avere per sé le migliori probabilità; subito dopo viene Paro con una fioritura assai bella, ma di corta durata. La c. rodia di fase orientalizzante (che il centro produttore della c. rodia sia una delle tre città dell'isola di Rodi è ipotesi probabile, ma non ancora sicura; altri pensa a Mileto) può essere paragonata a quella protocorinzia per le due qualità, una negativa e l'altra positiva, del perfetto senso decorativo e della monotonia dei motivi ornamentali. Simile ad essa nel tipo generale è la c. di Chio (una volta era attribuita a Naukratis in Egitto), che però è un po' più vivace nella policromia. La c. cretese, infine, nota a noi soprattutto per gli scavi ad Arkades (v.) nel centro dell'isola non presenta - salvo poche eccezioni - scene narrative, né ornamentali. Si tratta di uno stile provinciale, come quello beota e quello etrusco di questo secolo.

Un posto a sé occupa il cratere di Aristonothos (v.), notevole anche perché su di esso è dipinta la più antica firma vascolare a noi giunta. É un prodotto isolato di una fabbrica sconosciuta e mostra contatti con la produzione protoattica.

Un'innovazione nella tecnica disegnativa assai importante si riscontra verso la metà del VII secolo. Sui più antichi vasi geometrici le figure sono dipinte a silhouette piena, senza il miniino particolare interno, né inciso né dipinto; su quelli più recenti questa tecnica è appena attenuata dall'uso di indicare l'occhio mediante uno spazio circolare risparmiato (ossia non coperto da vernice), con un puntino in mezzo. Dalla metà del secolo in poi, invece, tanto sui vasi figurati cretesi, quanto su quelli cicladici, rodioti, protoattici, sul cratere di Aristonothos (ma non, salvo casi isolati, sui vasi protocorinzî) appare la tecnica della silhouette vuota (o per dirla con Plinio - la pictura linearis), ottenuta "conducendo le linee attorno all'ombra dell'uomo" (sono sempre parole di Plinio; ma ombra non può essere altro che il contorno) senza colore sovrapposto, ma segnando linee nell'interno e lasciando questo nel colore dell'argilla. Plinio, che si appella a fonti greche, attribuisce questa innovazione ad artisti di Sicione o di Corinto; ma sinora non siamo in grado di controllare questa notizia; giacché se è vero che su alcuni vasi e su alcune tavolette (pìnakes) corinzie - tra cui una firmata - del VI sec. appare la tecnica della silhouette vuota (v. timonidas), d'altra parte è vero che proprio i vasi protocorinzi - da molti attribuiti a Sicione - ne fanno scarsissimo uso. Del resto, spesso l'uso della silhouette vuota si limita, anche negli altri stili, quasi esclusivamente al profilo della testa.

Il VII sec. è stato definito, all'ingrosso, il periodo orientalizzante: il mondo greco, venuto in contatto con le civiltà orientali, immensamente superiori per ricchezza materiale e per tradizioni, ne desume elementi iconografici e ornamentali al tempo stesso che si pone con esso in emulazione. Ma la reazione, come si è detto, non fu uniforme nel mondo greco: gli uni accolsero la festosità decorativa dei prototipi orientali e li fecero proprî; per gli altri - soprattutto per Atene, dove lo studio della figura umana fu sempre in auge - fu causa di un fermento, cui successe, all'inizio del VI sec., nell'Attica, come pure a Corinto e Sicione, una reazione disciplinatrice.

La ceramica a figure nere. - Il VI sec. è occupato quasi tutto dalla c. a figure nere, riflesso - diretto ad Atene e Corinto, indiretto per gli altri luoghi - della grande arte pittorica; anzi, non riflesso, ma piuttosto arte pittorica in tono minore; qualche volta addirittura quasi alla pari. Alla testa sta Atene, che d'ora in poi dominerà incontrastata nel campo dell'arte (v. attici, vasi); al secondo posto, ad una distanza che diviene col tempo sempre maggiore, Corinto (v. corinzî, vasi); indi, in ordine decrescente d'importanza, l'ignota patria dello stile protocorinzio nella sua fase finale (cui si deve il capolavoro dello stile, il vaso Chigi) con scene che sono veri fregi pittorici, forse Calcide (v. calcidesi, vasi), l'ignota città ionica patria delle cosiddette idrie ceretane (v. ceretane, idrie), Clazomene (v. clazomenî, sarcofagi; northampton, gruppo di), Sparta (v. laconici, vasi), Rodi (v. vroulià, vasi di; fikellura), uno o più centri della Ionia asiatica (caratterizzati dall'abbondante uso dell'ingubbiatura, ossia di una sostanza bianca messa a bagno, che, quando è asciutta, facilmente si sfarina), uno o più centri della Beozia ed uno o più centri dell'Etruria (v. pontici, vasi). Per ognuna di queste fabbriche, vedi le voci relative; qui sia notato che la prevalenza di Atene non è un'illusione dovuta al fatto che l'esportazione attica si riversò soprattutto in Etruria e che le necropoli etrusche sono, per una serie di circostanze fortuite, le più note. Dopo che numerose necropoli, anche non etrusche, sono state accuratamente scavate e pubblicate, possiamo dire che Atene ha soppiantato tutte le fabbriche rivali, non solo per ragioni politiche o di organizzazione commerciale, ma principalmente per l'alta qualità ed in pieno regime di concorrenza non solo commerciale, ma anche artistica. A criteri decorativi, infatti, si deve se la c. attica a figure nere, seguita da quasi tutta la rimanente c. greca, non si attenne alla tecnica lineare della grande pittura (che pure offriva maggiori possibilità ai pittori desiderosi di dare i particolari interni). Il vaso infatti esige un equilibrio di pieni e di vuoti, in altri termini di zone risparmiate e di zone verniciate. La tecnica lineare distruggeva questo rapporto, al quale anche i pittori a figure rosse non vollero rinunziare: infatti, invertendo la tecnica, il rapporto non cambiò.

Nella policromia le singole fabbriche differiscono fra loro. Tutte, senza eccezione, limitano l'uso dei ritocchi (così si sogliono chiamare i colori sovrapposti alla vernice nera) al bianco ed al paonazzo; ma mentre alcune fabbriche - come ad esempio la corinzia - sono più prodighe di colori, l'attica è più parca e lo diviene sempre più, man mano che si scende verso il 530 (naturalmente, in linea generale con alcune eccezioni). Forse per la stessa ragione gli Attici evitano di dare il bianco direttamente sul fondo (anche qui con qualche eccezione), mentre i Corinzî ed i Calcidesi sono un po' meno restii.

Tecnica a rilievo. - In questo periodo, la tecnica a rilievo è quasi completamente assente. Solo in Etruria ne abbiamo alcune scarse manifestazioni sui vasi di bucchero e su certi grossi recipienti detti pìthoi, nonché sui bracieri che spesso sono ad essi associati. Il rilievo è ottenuto tanto mediante stampini piatti, quanto mediante rulli.

Ceramica a figure rosse. - Gli inizî del V sec. videro il trionfo della tecnica a figure rosse, iniziatasi verso il 530. Non solo nelle località secondarie le fabbriche locali cessano ben presto ogni produzione, ma anche in Attica la tecnica a figure nere dura ancora per due decennî al massimo e poi muore, eccetto - per ragioni rituali - nelle anfore panatenaiche (v. attici, vasi). Per i primi cinquant'anni del V sec. la c. attica fu non la prima, ma la sola c. a figure rosse esistente nel mondo greco (v. attici, vasi e le voci dei singoli artisti). Verso la metà del secolo alcuni artisti emigrati nell'Italia meridionale - probabilmente nella colonia attica di Thurî - fondano una fabbrica (c. protoitaliota) che, pur conservandosi attica nel disegno e nello spirito, lentamente si provincializza, come inevitabilmente accade a chi si allontana dalle sorgenti vive dell'ambiente artistico primario con le sue lotte e le sue tradizioni.

La c. attica a figure rosse si mantiene a grande altezza - nonostante una leggera decadenza dal 480 in poi - per tutto il V sec. (v. attici, vasi); ma nel IV sec. decade con impressionante rapidità, nonostante le varie innovazioni tecniche che s'iniziano verso la metà del secolo (colore dato sul fondo bianco; decorazione impressa; rilievo; rilievo dorato). I vasi a fondo bianco che lasciano alla tecnica consueta un posto secondario, non sorpassano la fine del V sec.; la tecnica del rilievo e dello stampiglio, che nel V sec. occupa un posto secondario, avrà, al contrario, un grande avvenire nei secoli seguenti.

La decadenza della c. attica nel IV sec. fu accompagnata dal sorgere di fabbriche provinciali di differente valore. La più importante è quella dei vasi àpuli (v. àpuli, vasi), il cui centro di produzione viene principalmente localizzato a Taranto; i suoi prodotti si distinguono fra tutti per numero, qualche volta per dimensioni, bellezza ed originalità. La sua produzione può seguirsi per tutto il IV secolo. Un sottogruppo della c. àpula è costituito dai vasi con soggetti fliacici (v. fliacici, vasi); un altro dal cosiddetto stile di Gnathia, puramente decorativo, ma permeato dell'innato gusto ellenico.

I vasi lucani - il cui Centro produttore, indubbiamente greco, non è stato ancora identificato con sicurezza - dipendono certo da quelli àpuli, da cui sono stati fortemente influenzati; né sembra che durino quanto quelli (v. lucani, vasi). I vasi campani (v. campani, vasi), che vanno localizzati probabilmente a Napoli, risentono molto dello stile attico, il che non desta meraviglia a chi pensi che la città conteneva molti elementi ateniesi nella sua composizione etnica. Ma, nel confronto, si vede quanto sia lontano il grande centro culturale greco: si direbbe che operai oschi abbiano copiato con mano rustica il modello attico.

Una scuola eminente fiorì invece a Paestum, per merito di due artisti locali, Assteas e Python. Una scuola locale fiorì in Sicilia. La Beozia sembra invece che abbia avuto una c. a figure rosse nel IV sec., meno importante però, tutto sommato, di quella del Kabirion (v. cabirici, vasi), che, dalla seconda metà del V al IV sec. conservò, per ragioni probabilmente rituali, la tecnica delle figure nere. Invece l'Etruria, durante il IV sec., offre, nelle tre fabbriche principali di Volterra, Perugia e Falerî (v. falisci, vasi; alcuni pensano però, anziché a Falerî, a Roma), uno spettacolo simile a quello dell'Apulia e, sia pure in grado infinitamente minore, dell'Attica: una gran quantità di prodotti scadenti fra i quali emergono pochi singoli pezzi di eccezione (v. etruschi, vasi).

Verso la metà del IV sec. la decadenza della c. dipinta assume forme sempre più gravi. Al primo Venticinquennio del IV sec. risale l'aröballos di Xenophantos, che unisce la pittura al rilievo; l'aiuto di elementi non pittorici, come l'oro e gli altri colori, diviene sempre più frequente nel corso del secolo; uno studioso (l'Albizzati), crede persino che sui vasi àpuli i contorni di certe figure frequentemente ripetute venissero preparati mediante sagome ritagliate. Nuocciono, soprattutto, alla coerenza tra decorazione dipinta e forma del vaso, le tendenze del disegno prospettico, tridimensionale, che distruggono l'unità della superficie dipinta con la stessa loro ricchezza e complessità.

Vasi a rilievo e a vernice unita. - Prende in compenso uno sviluppo sempre più ampio la c. a decorazione a rilievo, il cui dominio rimane praticamente esclusivo per tutta l'età ellenistica (nessun vaso dipinto - con l'eccezione di due sole classi che vedremo più sotto - sembra che scenda oltre il 285) e poi per tutta l'età imperiale sino alla fine del mondo antico. Atene anche qui, come sempre, è alla testa per il buon gusto delle forme e della decorazione e per la bontà della tecnica, la quale permette di dare alla superficie nera del vaso uno smalto lucente ed uniforme, che la rende simile ad un bel prodotto metallico: talora un festoncino decorato in bianco o in giallo, per dare l'illusione dell'argento o dell'oro, applicato con mano leggera sulle parti lisce (le altre sono impresse con profonde costolature) aggiunge un'altra nota di eleganza discreta all'effetto d'insieme.

Naturalmente, questa c. interamente verniciata fu abbondantemente imitata; in Italia ed altrove, in tutto il mondo mediterraneo, non c'è scavo dei secoli ellenistici che non ci dia, intere o in frammenti, coppe del cosiddetto tipo etrusco-campano (così dette perché si era in dubbio se fossero state fabbricate in Etruria o in Campania; in verità se ne facevano in Etruria ed in Campania ed in molti altri luoghi ancora): specialmente piccole coppe poco profonde, senza anse e quasi senza piede, decorate - e nemmeno sempre - da alcune palmette, generalmente quattro o cinque, stampigliate nell'interno. Verso la fine dell'ellenismo, dopo tre secoli d'uso, questo tipo di decorazione (i vasi non attici non hanno la lucentezza di quelli attici e restano in tal modo privi di quello che costituiva uno dei pregi principali di questa classe di c.) finì finalmente per stancare e fu sostituito da prodòtti non verniciati affatto, oppure adorni da una vernice rossa lucente (la c. aretina).

Naturalmente, il senso artistico antropomorfico greco, cessata la c. dipinta, volle che le figure comparissero di nuovo in qualche altra parte. Su coppe del III sec., prodotte dapprima ad Atene, poi ad Alessandria, infine in qualche altra località - si è pensato a qualche centro dell'Asia Minore - il medaglione interno è adorno di figure sovente riunite in gruppi. Anche i recipienti (hydrìai, brocche) con decorazione a solchi (vasi a costolature, come si sogliono chiamare) si adornano, durante il III sec., di una decorazione sempre più abbondante: prima di sole teste di satiri e menadi, più tardi (specie le coppe) di figurine di ogni specie, ed in genere decorate mediante una creta liquida sovrapposta a pennello. Nelle coppe ellenistiche a rilievo si notano due sottotipi speciali: le cosiddette coppe megaresi (v.), con motivi prevalentemente vegetali e le cosiddette coppe omeriche (v.), con soggetti tratti dai poemi omerici e da altre fonti letterarie e con lunghe didascalie (che han fatto pensare a scopi didattici, come sembrò di poter dedurre dalla denominazione greca di ποτήρια γραμματικά). L'alfabeto usato assegna al I sec. a. C. le coppe omeriche; le coppe cosiddette megaresi possono salire anche sino al II secolo.

Un altro gruppo speciale è dato dalla c. calena v. caleni, vasi), la quale, nonostante il nome, può considerarsi romana, perché posteriore alla fondazione della colonia romana di Cales nel 334. L'inizio può collocarsi nel III secolo; la fine, nell'età di Augusto. Nell'ambito della c. interamente verniciata occupa un posto a parte quella di Teano, assai bella e persino con qualche firma in greco, oppure in osco. Anche a Volsini in Etruria sembra che ci sia stata, tra il III e il II sec., una buona fabbrica di vasi non verniciati con decorazioni a rilievo; ma mancano studi esaurienti in proposito.

Un posto a parte occupano tre fabbriche ellenistiche, ognuna delle quali distinta da un particolare carattere. La c. di Hadra (v.) in Egitto continua in pieno III sec. la tecnica della decorazione pittorica, limitata però a semplici festoncini sul fondo non verniciato. I vasi Canosini (v.) rappresentano l'apogeo del cattivo gusto: su vasi già abbastanza pesanti sono applicate statuette a tutto tondo, pesanti anch'esse e sproporzionate rispetto alle dimensioni del vaso. Vengon datati generalmente verso il 100 a. C. Un vero pregio d'arte hanno, al contrario, i vasi di Centuripe (v.), la cui decorazione dipinta non è data dalla consueta vernice, ma da veri colori che purtroppo non hanno bene resistito all'azione del tempo. Data l'estrema scarsezza di documenti pittorici antichi anteriori all'8o a. C., (cioè allo sviluppo della pittura a Pompei), queste pitture vascolari - che possiamo attribuire al II sec. - hanno anche un valore documentario non indifferente per la storia della pittura.

Maiolica. - Prima di lasciare l'argomento della

c. a rilievo ellenistica, è necessario accennare alle maioliche antiche. Ve n'ha di due tipi: azzurre e verdi, nonché, sembra, brune. Queste maioliche sembra che fossero fabbricate ad Alessandria ed in Asia Minore e che vadano assegnate al III sec. a. C. quando ripresero una tecnica che era stata in uso, tre secoli prima, in una fabbrica da localizzarsi probabilmente a Naukratis, dove ai Greci era stato concesso dal faraone di stabilirsi.

Bibl.: Il trattato generale più recente è costituito da E. Buschor, Griechische Vasen, Monaco 1940, magnifica esposizione del fenomeno estetico, ma di scarsa utilità didattica; il manuale di E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, presenta notevoli difficoltà di esposizione e di ordinamento della materia. La tecnica della cottura dei vasi: Ch. Fabre, in Revue Arch., N. S., V, 1935, pp. 99-100. Per la terza cottura: G. M. A. Richter, in Annual of the British School at Athens, XLVI, 1951, pp. 143-150. Sagome applicate sul fondo: C. Albizzati, in Dissertazioni della Pont. Accademia di Archeologia, N. S., XIV, 1920, p. 155, nota 4 contro, E. Pottier, in Catalogue des vases antiques du Louvre, III, p. 656; M. Farnsworth, H. Wisely, Fifth Cent. Intentional Red Glaze, in Am. Journ. Arch., LXII, 1958, p. 165 ss. Forme: G. M. A. Richter, Shapes and Names of Athenians Vases, New York 1935 (per le sole forme di vasi attici); aggiungi P. Mingazzini, in Röm. Mitt., XLVI, 1931, pp. 150-152 (per il solo cratere a campana): E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, cit., I, pp. 46-47; H. Bloesch, Formen Attischer Schalen, Dissertat. Bern, 1940. Disegno preparatorio e pentimenti: E. Pottier, op. cit., pp. 662-666; E. Pfuhl, op. cit., I, p. 340. Pennello di setola: E. Pottier, op. cit., pp. 668-672. Contorno inciso e risparmiato dei capelli: E. Pfuhl, op. cit., p. 341. Uso della vernice diluita e fitta: E. Pfuhl, op. cit., p. 340. Ritocchi bianchi, paonazzi e gialli: E. Pottier, op. cit., pp. 666-668. Uso dei quattro colori nella grande arte pittorica: J. Overbeck, Schriftquellen, 1067. Valore estetico delle forme dei vasi: J. Hambridge, Dynamic Symmetry, Oxford 1920; L. D. Caskey, Geometry of Greek Vases, Boston 1922. Cronologia: manca sinora, com'è naturale, una cronologia generale per tutta la ceramica greca. Per i vasti attici a figure rosse di stile severo: E. Langlotz, Zur Zeitbestimmung der strengrotfigurigen Vasenmalerei und der gleichzeitigen Plastik, Lipsia 1920. Criterî di datazione: E. Pfuhl, op. cit., pp. 29-30. Per le singole classi, vedi la bibl. delle singole voci. Rapporti etnici fra stile geometrico e razza greca: E. Pfuhl, op. cit., p. 55. Stile geometrico in Italia: A. Åkerstrom, Der geometrische Stil in Italien, Lund 1943. I vasi ellenistici senza speciale pregio d'arte: J. H. Holwerda, Het laat-grieksche en romeinsche Gebriksaardewerk uit mittelandsche-zee-gebiet (con riassunto in tedesco). C. ellenistica interamente verniciata: N. Lamboglia, in Atti del primo congresso internazionale di studi liguri, 1952, pp. 139-206.

(P. Mingazzini)

Forme vascolari.

Nello stabilire l'ordine in cui si trattano le varie forme, e per la classificazione tipologica nell'ambito di queste, si è seguito in linea di massima il criterio della Richter (v. bibl.). Le indicazioni cronologiche per le varie forme si riferiscono prevalentemente alle classi di vasi in cui predomina la decorazione figurata, e specialmente alla c. attica.

1. Recipienti:

Anfora (ἀμϕορεύς, anticam. ἀμϕιϕορεύς). - Recipiente per contenere vino o olio, fornito di due anse laterali, da cui prende nome (Athen., xi, 501 a). Il tipo decorato compare già nel periodo geometrico e, da allora, subisce molte variazioni di forma. Le principali possono raggrupparsi in 2 classi: con il collo che continua la curva della spalla (i); con il collo nettamente distinto dalla spalla (ii). Tipi:

i a) corpo panciuto, anse a bastoncello, labbro verticale o lievemente espanso. La decorazione è limitata a riquadri (a. a metopa). Fine VII-fine V sec. a. C.;

i b) simile al i a; le anse sono piatte, coi margini rilevati; il piede a due ripiani. Metà VI-metà V sec. circa;

i c) simile al i a; il collo è svasato ed il labbro ingrossato. Dal secondo venticinquennio del VI sec., al 470 circa;

ii a) corpo ovoide, labbro a echino, anse a bastoncello o a nastro a 2, 3, 4 costolature. La decorazione è generalmente su una sola zona continua. Molto in uso nella seconda metà del VI sec.; s'accosta a questo tipo l'a. "nicostenica" (con collo molto alto, anse a largo nastro, piede a 2 sezioni, decorazione estesa su tutta la superficie) e l'a. "nolana" più snella, anse con una o più costolature o a treccia, decorazione limitata a 1 o 2 figure su ogni lato;

ii b) corpo con fianchi quasi verticali e spalla distinta; anse usualmente a treccia, bocca usualmente a 2 sezioni. V-IV sec.;

ii c) a. "panatenaica", così chiamata perché usata come premio nelle gare panatenaiche. Corpo piriforme, anse a bastoncello, decorazione a metope. Nel VI sec. ha bocca leggermente svasata, piccole anse; nel IV sec. il corpo è più allungato ed il collo più alto, la bocca è molto espansa e la distinzione tra collo e spalla poco marcata;

ii d) amphariskos (ἀμϕορίσκος), corpo terminante a punta; anse prevalentemente a bastoncello; collo alto; decorazione su tutta la superficie. Frequente nel V sec.

Cratere (κρατήρ). - "Mischiando yino ed acqua nei crateri..." (Hom., Od., i, 110). Sulla base di figurazioni vascolari, il nome è stato dato ad un recipiente dal largo corpo (poggiava su un sostegno detto ὑποκρατήριον, opp. ὑποκρατηρίδιον) e larga bocca, anse generalmente piccole, diffuso in tutte le epoche. I tipi principali sono:

i) "c. a colonnette", cosiddetto dalla particolare forma delle anse. Ha basso piede e basso collo. Ciascun'ansa consiste in una coppia di sbarrette cilindriche che sostengono un elemento orizzontale attaccato all'orlo.La decorazione è generalmente a fregio continuo; i pochi esemplari attici a figure nere, hanno decorazione metopale. Forma frequente nel tardo corinzio (detto perciò anche "c. corinzio"), fino a tutto il VI sec.; ricompare poi alla metà del V, con collo più alto e più stretto e corpo più slanciato;

ii) "c. a volute", cosiddetto dalle anse alquanto sopraelevate che terminano in due spirali attaccate all'orlo. Largo collo, solo leggermente espanso. Più frequente dalla prima metà del VI sec. (il vaso François è uno dei primi esempi) fino allo stile severo della tecnica a figure rosse, con corpo allora leggermente più allungato. Questo tipo assume grande sviluppo nelle fabbriche italiote, ove le anse vengono trattate con molte varianti;

iii) "c. a calice", dalla caratteristica forma svasata, priva di collo e con bocca espansa. Ha una ripresa verso il basso, sulla quale sono impostate obliquamente le anse. La decorazione è sempre a fregio continuo. Molto in uso dalla fine del VI al IV sec.);

iv) "c. a campana", cosiddetto perché simile ad una campana rovesciata, senza collo e con bocca espansa; piccole anse orizzontali attaccate in alto (inizio V-IV sec.).

Kàlathos (κάλαϑος). - Le fonti intendono "paniere" (Arist., Lys., 579), psyktèr o tazza (Esichio). Per convenzione si dà questo nome ad un tipo di cratere piuttosto raro, a pareti verticali e piccole prese sotto la bocca, munito di un becco vicino alla base (V sec.).

Lèbes (λέβης), Dìnos (δῖνος, δεῖνος). - "Il lebes che ha il suo posto sopra il fuoco" (Eschilo, in Athen., ii, 37 f). Doveva essere perciò usualmente in bronzo e serviva a bollire l'acqua. Il nome è stato dato ad una classe di vasi con profondo bacino, base arrotondata, larga bocca, senza anse, di uso affine a quello del cratere, onde alcuni preferiscono il nome di "cratere-dinos". Servivano anche come premio nelle gare ed a volte come urne cinerarie. La decorazione corre generalmente su tutta la superficie. Già nel VII, fino a tutto il V secolo.

Lèbes gamikòs (λέβης γαμικός o νυμϕικός). - Lèbes con alto sostegno in un sol pezzo e due piccole anse. La decorazione è su tutta la superficie (VI-V sec.).

Loutrophòros (λουτροϕόρος). - "Era costume provvedere all'acqua per il bagno nel giorno delle nozze... ed anche di porre una loutrophòros sulla tomba di quelli che erano morti senza sposarsi" (Harpokr., s. v.). Nome dato ad una categoria di vasi dal corpo slanciato, lungo collo imbutiforme e bocca molto espansa, decorati quasi sempre con scene nuziali o funebri e frequentemente riprodotti in quel genere di rappresentazioni. Due tipi:

i) simile ad un'anfora molto allungata, con 2 anse;

ii) simile ad una hydrìa, con 3 anse. La decorazione è su tutta la superficie (V e IV sec.).

Pelìke (πελίκη). - Le fonti la identificano ora con la kölix (Athenaeus, xi, 495 a), ora con l'oinochòe (Cratete) ora con la lekàne (Fozio, s. v. "pelìke"). Per convenzione si intende, invece, per p. una varietà di anfora con il corpo rigonfio verso la base, non distinto dal largo collo. Anse a nastro o a costolatura centrale o piatte. Decorazione a figure isolate o su tutta la superficie (fine VI-IV sec.).

Psyktèr (ψυκτήρ). - Recipiente per raffreddare il vino, sulla cui forma e dimensioni le fonti sono molto imprecise e spesso discordi. Il nome è stato dato a due forme diversissime, ma evidentemente adibite allo stesso uso:

i) simile ad un'anfora della i classe, con doppia parete e doppio fondo (VI sec.);

ii) bacino ad alto piede, con bocca stretta e due ansette sulla spalla (fine VI-metà V sec.). La decorazione è a fregio continuo lungo la zona di massima espansione.

Stàmnos (στάμνος, σταμνίον). - Doveva essere simile ad una larga anfora ed adibito allo stesso uso (Etym. Magnum). Ma per convenzione si intende un tipo di cratere a largo corpo, collo corto e tozzo, piccole anse orizzontali. La decorazione è su tutta la superficie (fine VI-V sec.). Molto in uso nella tecnica a figure rosse; il corpo tende ad allungarsi.

2. Vasi per attingere o per versare:

Alàbastron (ἀλάβαστρον). - La Suda (s. v.) dice che gli Ateniesi danno questo nome ad una lèkythos per profumi; viene identificato in una forma spesso rappresentata in scene di toletta femminile. Corpo allungato (Plinio lo paragona ad una perla), labbro espanso ed imboccatura stretta. La forma si mantiene inalterata, solo il collo si fa più alto. Generalmente senza anse, a volte con presette o fori di sospensione. Decorazione su tutta la superficie (VI-V sec.).

Aröballos (ἀρύβαλλος). - Termine raramente usato nel dialetto attico; Esichio dice che è la traduzione dorica per lèkythos in attico. Per convenzione si intende un recipiente a largo corpo e collo stretto, usato dagli atleti per contenere l'olio; infatti appare spesso nella pittura vascolare appeso al polso di atleti o vicino ad altri attrezzi ginnastici. Due tipi principali:

i) corpo sferoidale, collo stretto, bocca a forma di basso cilindro, una sola ansa. Molto in uso nella ceramica corinzia: decorazione continua. Scompare nel V sec.;

ii) simile al III tipo della lèkythos, ma con due piccole anse di forma particolare. Diffuso in Attica (V-IV sec.).

Bombölios (βομβύλιος). - Nome dato ad una classe di vasi molto affini all'alàbastron, con corpo ovoidale che si allarga verso la base, labbro a disco, piccole prese, frequente nel Corinzio iniziale.

Hydrìa (ὑδρία), Kàlpis (κάλπις). - Vaso per attingere l'acqua, a bocca espansa e con 3 anse, due orizzontali per sollevarla ed una verticale per mescere. Usata anche nelle votazioni e come urna cineraria. Denominazione sicura per una didascalia sul vaso François. Due tipi principali:

i) col collo che continua la curva della spalla. Questa forma è, per convenzione, denominata kàlpis, ma le fonti non fanno distinzione tra le due varianti (Arist., Lys., 327 e 358). La decorazione generalmente occupa solo la zona mediana del vaso, includendo la spalla (fine VI-IV sec.). Il corpo tende poi ad allungarsi. Avrà molta fortuna nelle fabbriche italiote;

ii) col collo nettamente distinto dalla spalla. La decorazione è incorniciata e divisa tra spalla (trattata a fregio) e corpo (trattato a metopa); a volte una terza zona incorniciata (per solito un fregio di animali) corre più in basso. Variante importante è l'hydrìa "ceretana", che ha corpo più panciuto e decorazione su tutta la superficie; frequente nel VI secolo.

Lèkythos (λήκυϑος, ληκύϑιον). - "Non c'è olio nella lèkythos!" (Arist., Aves, 1589). Il nome è dalle fonti genericamente applicato a recipienti per contenere olio ed unguenti sia per il bagno degli atleti che per l'offerta funebre; ma per convenzione è stato limitato ai vasi adibiti al secondo uso, diffusissimi in tutte le epoche. Tipi principali:

i) collo tozzo e corpo allungato, stretto alla base; una sola ansa; non c'è distinzione tra collo e spalla; decorazione metopale o anche continua. Prima metà VI sec., specialmente a Corinto;

ii) il collo è più lungo e distinto dalla spalla, che è piatta o leggermente concava e, a sua volta, distinta dal corpo. L'ansa è compresa tra collo e spalla, la bocca è espansa; decorazione generalmente continua molto popolare in Attica (metà VI-IV sec.);

iii) ha corpo più largo che lungo, bocca quasi a forma di tazza, solo parzialmente decorata, spesso con scene di vita femminile. Frequente soprattutto nelle fabbriche italiote (fine V-IV sec.).

Oinochòe (οἰνοχόη). - Brocca monoansata per attingere o versare il vino (Esichio, Frinico, Euripide, ecc.). Forma molto diffusa con molte varianti. Tipi principali:

i) corpo panciuto con curva continua dalla bocca alla base, bocca trilobata, piede basso, ansa non sopraelevata. Molti esemplari di formato ridotto nelle tombe di fanciulli. Decorazione spesso metopale (fine VI-IV sec.);

ii) corpo arrotondato, collo nettamente distinto dalla spalla, bocca circolare, ansa sopraelevata. Decorazione metopale. Frequente nel VI sec.;

iii) come il ii tipo, ma con bocca trilobata (VI e V sec.). Tra le varianti minori, un tipo appare verso la metà del periodo della ceramica a figure rosse ed è molto popolare in Apulia: ha corpo allungato, alto piede, alto collo ed ansa a gomito, sopraelevata: chiamato per convenzione pròchoos (πρόχοος). Sempre in Apulia un'altra tarda variante dell'oinochòe è la cosiddetta epìchysis (ἐπίχυσις), con basso corpo cilindrico, spalla nettamente distinta dal collo, priva di piede, un lungo becco sporgente.

Olpe (ὄλπη). - Importante varietà di oinochòe con il corpo molto più snello che s'allarga verso la base, bocca trilobata o circolare, collo unito alla spalla; decorazione metopale. Più comune nelle figure nere, una variante con spalla leggermente distinta dal corpo si trova anche nelle figure rosse.

3. Vasi per bere, per mangiare, per libagioni:

Askòs (ἀσκός). - Nelle fonti il termine è dato usualmente a recipienti di pelle: per convenzione è riferito ad un vaso che presenta qualche rassomiglianza con un otre. Ve ne sono vari tipi. Il principale ha corpo schiacciato e collo impostato fuori centro, obliquamente, cui si attacca un'ansa arcuata (inizio sec. V-IV). Nelle fabbriche italiote il corpo è alquanto più alto e la rassomiglianza con un otre più evidente.

Kàntharos (κάνϑαρος). - (Athen., xi, 473 d). Citato spesso in relazione a Dioniso. Identificato in una tazza dal corpo fondo, generalmente su alto piede, fornita di due anse a nastro, che partono dalla zona inferiore del corpo, spesso sopraelevate all'orlo al quale si attaccano. La decorazione ricopre generalmente tutta la superficie. Forma non molto popolare in ceramica, ma presente in tutte le epoche.

Köathos (κύαϑος). - La Suda lo paragona ad un cucchiaio; Esichio lo definisce una piccola misura. Il nome è stato dato ad una specie di ramaiolo a forma di tazza, con alta ansa sopraelevata. Si incontra piuttosto raramente. La decorazione è continua (tardo VI-metà V sec.).

Kölix (κύλιξ). - È una tazza a due anse orizzontali su alto piede, molto diffusa in tutte le epoche. Sia la forma che la decorazione subiscono un continuo sviluppo, dall'età micenea alla fine del V sec. Tipi principali:

i) in età micenea ha un profilo curvilineo allungato, decorazione libera;

ii) piede e labbro nettamente distinti dalla coppa, piede

alto. Decorazione su tutta la superficie, interna ed esterna, o limitata ad una fascia lungo il bordo esterno del labbro, o con una o due figurine su campo chiaro nei "miniaturisti" (VI sec.);

iii) il labbro è unito al corpo, il piede nettamente distinto. La decorazione occupa tutta o quasi la superficie esterna, spesso con motivi decorativi fissi (occhioni, ecc). Frequente nella seconda metà del VI sec.;

iv) una curva continua dall'orlo al piede. Molto in uso nel periodo delle figure rosse. La decorazione principale è generalmente nel tondo centrale interno. Negli esemplari tardi la forma si allarga e perde le proporzioni tradizionali (fine VI-V sec.).

Mastòs (μαστός). Tazza a due anse a forma di mammella. Poco frequente. Decorazione su tutta la superficie.

Phiàle (ϕιάλη). - Aristotele la paragona ad uno scudo (Ret., iii, 44). Coppa poco profonda, fornita sul fondo di un ombelico (ὀμϕαλός) per poter essere portata "sulla punta delle dita" (Polluce, vi, 95). Usata nelle libagioni. Forma piuttosto rara, comune solo nel III-II sec., specie ad opera di ceramisti operanti a Cales in Campania. Comunemente designata col termine latino patera.

Plemochòe (πλημοχόη), ο Kòthon (κώϑων). - Vaso a corpo schiacciato, poggiato su alto piede e fornito di coperchio; usato nelle libagioni. Appare nella seconda metà del VI sec. Deve aver perdurato a lungo.

Rhytòn (ῥυτόν). - Secondo Epinico (Athen., xi, 496 e) sono tazze a forma di testa di animale; per Edilo (ibid., 497 b-e) a forma di corno. Le fonti usano anche, indifferentemente, i nomi di rhèon, protomè e kèras. Presentano un ricco repertorio di varianti. La decorazione pittorica è limitata all'imboccatura, generalmente a forma di basso cilindro, che sormonta la testa modellata plasticamente (metà V-IV sec.). La stessa imitazione plastica di una forma di natura si ritrova nell'Astràgalos (ἀστράγαλος), che ha la forma dell'omonimo osso del tallone.

Sköphos (σκύϕος), o Kotöle (κοτύλη). - In Omero (Od., xiv, 112) sta per ciotola da latte; anche Alcmane dice che era usato nelle campagne. Il nome è stato dato ad una forma molto popolare in Beozia (specialmente nei vasi del Kabirion), una profonda e larga tazza su basso piede, con due piccole anse, a labbro non distinto. La decorazione è continua. Già nella ceramica protocorinzia, fino al sec. IV. Due tipi principali:

i) con anse volte in alto e attaccate sotto l'orlo;

ii) con anse orizzontali ed a livello dell'orlo. Corpo più allungato. Questo secondo tipo è da alcuni chiamato kotyle, termine dalle fonti usato genericamente per tazza.

4. Vasi e ceramiche di uso vario:

Epìnetron (ἐπίνητρον), Onos (ὄνος). - Utensile per la filatura di forma semicilindrica, aperto su un fianco e ad un'estremità (v. epinetron).

Lekanìs (λεκανίς). - Nome generico per un largo bacino impiegato a varî usi. Secondo Fozio si chiamavano lekànion e lekanìs recipienti forniti di prese, per cibi cotti. Su basi molto incerte è stato dato il nome ad una specie di piatto biansato, con coperchio, il quale è piano e fornito di un alto pomo a disco. La decorazione corre sul bordo esterno del vaso e sul coperchio (VI-fine V sec.). Altri danno il nome di lekàne (ληκάνη) allo stàmnos àpulo caratterizzato da alte anse e fornito di coperchio molto elaborato. Anche quest'identificazione è molto dubbia.

Pìnax (πίναξ). - Piatto raramente fornito di piede, quasi sempre circolare, presente in tutte le epoche. Nella ceramica attica è comune solo nel VI secolo. La decorazione ricopre tutto l'interno.

Pyxìs (πυξίς). - In dialetto attico era termine generico per "scatola" (Etym. Magnum); la nostra forma si chiamava kylìchnis, ed ebbe il nome di pyxìs solo in età romana. È una scatola fornita di coperchio, cilindrica, per conservare cosmetici ed altri articoli da toletta. La decorazione corre su tutta la superficie esterna e sul coperchio. Forma molto popolare. Tipi principali:

i) Corpo diviso in tre grandi lobi (VI sec.);

ii) alquanto schiacciata, con pareti concave, basso piede (tardo V-IV sec.);

iii) più alta, anch'essa a pareti concave; coperchio con alto pomo;

iv) cilindrica, con coperchio piatto e senza pomo.

Sostegno. - Disco piano e circolare su piede. Pochi esemplari di uso non accertato nel sec. VI. Scarsa decorazione.

Bibl.: H. B. Walters, History of Ancient Pottery, vol. I, Londra 1905, cap. IV; L. D. Caskey, Geometry of Greek Vases, Boston 1922; G. M. A. Richter-M. Milne, Shapes and Names of Athenian Vases, New York 1935.

(V. Bianco)

6. Età romana. - Nel periodo romano, tanto in Italia e nelle regioni occidentali quanto in Oriente, ebbe larghissimo predominio la c. decorata con rilievi: essa, nelle prime fasi, non è che la continuazione di produzione, di tecniche e di gusto di classi ceramiche già presenti nel periodo ellenistico. Oltre che nella decorazione, il vasaio cerca di dar pregio ai suoi prodotti sia per mezzo della varietà dei profili e della ricercata complessità, in certi casi, delle sagome, sia per mezzo di caratteristiche tecnologiche assai spesso molto perfezionate, come la sottigliezza delle pareti, l'argilla ben depurata e sonora e, soprattutto, l'aspetto delle superfici; o anche attraverso vernici di varia composizione e di vario effetto o con semplici ingubbî o in altra guisa. Assai ampia è la produzione in tutto il mondo ellenistico-romano e poi imperiale romano di vasellame da mensa liscio, anch'esso spesso con firme del fabbricante, oppure con scarsa ed insignificante decorazione impressa con punzoncini o con cilindretti. Tali prodotti sono in molti casi reperti di notevole valore per la precisazione cronologica degli strati archeologici in cui sono presenti, ma, naturalmente non presentano in se stessi interesse dal lato storico-artistico. In gran parte i vasi lisci uscirono dalle botteghe che prepararono vasi decorati più pregevoli.

In Italia, accanto alla produzione cosiddetta calena (v. caleni, vasi) la cui sistematica e i cui limiti sono ancora da rivedere, accanto alla ancor meno nota produzione detta etrusco-campana e ad altre non ancora ben individuate, si hanno i vasi che si suol chiamare megaresi-italici, imparentati per sagome e tecnica con i vasi megatesi del bacino orientale del Mediterraneo, ma con decorazione tipica, fabbricati in Umbria e nell'Etruria meridionale, il cui produttore meglio noto fu C. Popilius, detti per questo vasi di Popilius. Gli studi su questa classe ceramica sono appena abbozzati: si ritiene che le officine siano state attive dal III al I sec. a. C. In località incerte dell'Italia settentrionale dovevano trovarsi le fabbriche di un'altra classe, ceramica più recente che dal nome del più noto fra i suoi produttori è detta ceramica di Aco: incerta è la cronologia, ma l'attività di queste fabbriche fu abbastanza lunga. Anche di questa produzione, che dovrà forse essere distribuita a più centri, solo una minima parte del materiale ricuperato è nota e non è stata finora affrontata una trattazione esauriente di essa.

Meglio nota ed indagata è la vastissima categoria che comprende la terra sigillata occidentale: dalla ceramica aretina (v. aretini, vasi), a quella (poco studiata) puteolana, dai prodotti pressocché ignorati di altre fabbriche italiche non localizzate (ad esempio la cosiddetta terra sigillata tardo-italica), si entra nella vastissima produzione della terra sigillata delle province, le cui officine erano sparse in tutto l'Occidente romano dalla Gallia alla Pannonia, dalla Penisola Iberica alla Britannia e la cui attività fu assai lunga.

Più complessa, e ancora in via di elaborazione nella classificazione delle varietà locali e di diversa cronologia, è la terra sigillata orientale, da quella "pergamena" a quella "samia", al vasellame tardo-romano A, B, C e D. Anche l'Africa ebbe officine di terra sigillata.

A centri di produzione orientali (asiatici ed egiziani) nella maggior parte è attribuita la ceramica in mezza-porcellana o in creta o in terraglia ricoperta di vernici vetrificate a piombo o quarzose blu-malachite o alcaline: qualche fabbrica d'imitazione è testimoniata anche in Occidente.

La tecnica per ottenere il rilievo in queste categorie è varia: in certi casi è ottenuta da stampi, interi (matrici) o a più valve o settori; altre volte il rilievo è applicato, oppure modellato à la barbotine o nella poltiglia, oppure direttamente sulla superficie del vaso o in essa inciso. Le forme dei vasi sono comuni anche alla toreutica e al vasellame vitreo. La sintassi, lo stile ed il gusto della decorazione in alcuni casi dimostrano l'intenzione di imitare il vasellame in metallo; in altri casi tuttavia ciò non avviene e la decorazione risulta di pretto gusto figulino. Il repertorio narrativo e decorativo della ceramica romana è vastissimo e potrebbe dare utile documentazione per la storia dell'arte ove fosse sotto questo aspetto indagato.

Vi sono, in età romana (piuttosto tardi in Occidente, molto prima e più a lungo in Oriente) soprattutto nelle zone periferiche del mondo classico, anche serie di vasellame policromato: in certe serie (ad esempio la cosiddetta Castor ware O alcuni prodotti renani del III sec. d. C., ecc.) la decorazione con contrasto di colori si otteneva attraverso una variante della tecnica à la barbotine aggiungendo crete e terre di colore diverso da quello del fondo del vaso. In altri casi siamo in presenza di veri e propri disegni e pitture con colore assorbito dalla creta del vaso (per esempio la ceramica nubiana, quella cosiddetta copta, quella "nabatea", ecc.). Anche queste classi, soprattutto quelle orientali, sono assai scarsamente note e poco studiate.

Bibl.: Non esiste una trattazione complessiva recente e scientifica della ceramica romana. Può servire, ma con molte cautele, la vecchia trattazine di essa in H. B. Walters, History of Ancient Pottery, II, Londra 1905, p. 430 ss. oppure quella premessa come prefazione dallo stesso autore al Catalogue of the Roman Pottery in the Departments of Antiquities, British Museum, Londra 1908. Classico, ma di scarsa utilità, soprattutto a causa dell'estrema concisione, è Friedrich Behn, Römische Keramik mit Einschluss der hellenistischen Vorstufen (Kataloge des röm.-germanischen Central-Museums, Nr. 2), Mainz 1910. Più recente e con buona documentazione fotografica, ma di tono divulgativo è R. J. Charleston, Roman Pottery, Londra 1955. Per le pubblicazioni su singole classi della ceramica romana si veda la bibl. indicata a proposito delle singole voci.

(A. Stenico)

7. Estremo oriente: v. cinese, arte; giapponese, arte; indiana, arte.