Certezza pubblica [dir. amm.]

Diritto on line (2014)

Auretta Benedetti

Abstract 

La nozione di certezza pubblica viene ridefinita a partire dal suo nucleo centrale, quale conoscenza certa di dati, stati, fatti, qualità, garantita dall’esercizio di funzioni riservate ad amministrazioni pubbliche o a privati qualificati e preordinate alla sicurezza delle relazioni sociali e di mercato. Si analizzano le caratteristiche proprie delle funzioni di certezza, articolate nelle differenti attività in cui possono realizzarsi: la registrazione o l’iscrizione ai fini della pubblicità;  l’identificazione, l’autenticazione e la verificazione; le certificazioni. In ultimo si focalizza l’attenzione sulle trasformazioni più recenti dell’ordinamento che hanno influito sulla sfera delle funzioni di certezza analizzate (come le diverse forme di semplificazione documentale) modificandone in certa misura il profilo caratterizzante.

Ambito di rilevanza della nozione

Nell’ordinamento giuridico italiano la difficoltà di individuare con esattezza i confini della nozione di certezza pubblica, in assenza di una sua definizione normativa, deriva dalla tendenza registratasi negli ultimi decenni ad abbracciare con tale termine un insieme assai eterogeneo di attività, latamente ascrivibili alla sfera pubblica, dirette a garantire la fiducia nei rapporti tra consociati e la sicurezza nei traffici.

La frammentarietà delle figure è tale che la scienza giuridica ha messo in luce il carattere polivalente della nozione di certezza pubblica, disarticolandola in sub-nozioni differenti (certezze legali/certezze notiziali – certezze stabilità/certezze affidamento) e assumendo come dato insuperabile l’impossibilità del giurista di ricondurre la complessità delle fattispecie osservabili alla schematicità di elaborazioni teoriche lineari (Giannini, M.S., voce Certezza pubblica, in Enc. dir., Milano, 1960; Romano Tassone, A., Amministrazione pubblica e produzione di certezza: problemi attuali e spunti ricostruttivi, in Dir. amm., 2005).

Nell’operazione di decostruzione del termine ha contribuito anche la parallela rivisitazione concettuale della nozione di certezza giuridica nelle scienze sociali, per effetto degli studi neo-positivistici che ne hanno spostato l’asse focale dai contenuti classici della sicurezza e della prevedibilità, a quelli della garanzia procedurale e della controllabilità (Bertea, S., La certezza del diritto nel dibattito teorico giuridico contemporaneo, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2001).

Le difficoltà definitorie sembrano, in ultimo, enfatizzate per effetto del moltiplicarsi delle certificazioni private nei mercati internazionali, ancorate a forme di legittimazione tecnica di tipo reputazionale, che introducono nuove dinamiche (Benedetti, A., Certezza pubblica e certezze private. Poteri pubblici e certificazioni di mercato, Milano, 2010) e rendono obsolete le rappresentazioni più risalenti della fiducia come prodotto esclusivamente riconducibile all’esercizio di una funzione pubblica di certezza svolta da un potere pubblico o da un privato incaricato di pubbliche funzioni (Zanobini, G., L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Tratt. Orlando, II, Milano, 1935).

Proprio l’osservazione di questi fenomeni induce a non dilatare ulteriormente la nozione di certezza pubblica, ma obbliga piuttosto a circoscriverne rigorosamente i contenuti al fine di individuarne un nucleo giuridico significativo.

Occorre, in modo specifico, rivalutare la pregnanza dell’aggettivo pubblica riferita alla certezza, che ne indica la necessarietà ordinamentale, l’ancoraggio a una forma di legittimazione politica, per cui la produzione delle certezze è ascrivibile direttamente a quelle funzioni mediante le quali la società si organizza. In questo senso l’attribuzione all’amministrazione (o a un privato qualificato) di una funzione di certezza non è riconducibile tanto alla specifica competenza o alla peculiare capacità di accertamento del soggetto pubblico, quanto alla scelta della collettività che affida all’apparato pubblico o a privati che sono in una specifica posizione ordinamentale, funzioni che non è opportuno che siano lasciate all’autonomia privata.

Ciò rende ragione di come le certezze siano fatti istituzionali, intesi come quei fatti che, sulla base di un riferimento empirico, esistono in quanto siano creati dal contesto sociale al quale si riferiscono (Taruffo, M., La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Bari, 2009). Appartengono a tale ambito funzioni come quelle di registrazione, autenticazione e verificazione, non casualmente espressioni, in passato, di quella sfera di attività che nell’ordinamento francese era ricondotta alla police administrative.

La ridefinizione del nucleo della certezza pubblica in corrispondenza di questo genere di attività consente di sgombrare il campo sia dall’equivoco di includere in essa qualsiasi produzione di fiducia che non risponda a simili caratteri (come sono, appunto, le certificazioni di mercato); sia dalla tentazione di includervi ogni genere di accertamento amministrativo o addirittura la mera attività provvedimentale dell’amministrazione (nel presupposto che ogni provvedere contenga in sé la risoluzione di un dubbio e quindi generi certezza).

Proprio nella complessità del panorama giuridico attuale, più forte è la necessità di ancorare la certezza pubblica al suo nucleo qualificante, che si esprime in una serie di attività finali, organizzate in modo da realizzare un fine di pubblico interesse (offrire ai privati delle utilità informative non dubbie) e quindi, sotto questo esclusivo profilo, ascrivibili alla sfera delle funzioni pubbliche.

La funzione pubblica di certezza (come “conoscenza certa”)

Coerentemente con l’etimologia del termine certezza (derivante dal latino cernere e dal greco krinein ovvero separare) il contenuto delle attività di certezza è tradizionalmente riconducibile a quell’alveo di attività pubblicistica, di carattere non giurisdizionale, in base alla quale il vero è separato dal falso.

In tal senso la certezza è intesa, in senso soggettivo, come quella proprietà epistemica che segnala l’attitudine soggettiva a considerare come veri determinati assunti, a prescindere dall’esperienza diretta, in base all’affidabilità della fonte dalla quale gli assunti stessi provengono; in senso oggettivo, come la corrispondenza di un dato con la verità, affermata in modo obiettivo e impersonale (Gentile, F., Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, Padova, 2005).

Le ben note dispute dottrinarie che hanno messo in dubbio la predicabilità, in questo contesto, del principio di verità, spostando l’attenzione al differente concetto veridicità (Giannini, M.S., Certezza pubblica, cit.), hanno avuto il merito di evidenziare come nelle attività di certezza pubblica assuma centralità il profilo di formalizzazione del dato dichiarato, sottratto alla necessità di autoverifica dei soggetti dell’ordinamento e destinato alla circolazione giuridica.

Ciò consente di rileggere il criterio iniziale non nella prospettiva dell’affermazione di dati veri quanto piuttosto in quella di dati certi perché non falsi, nella misura in cui sono oggetto di controllo e non risultano falsificati secondo le procedure previste dall’ordinamento.

La certezza pubblica identifica, dunque, una funzione pubblica in ragione di specifiche utilità che gli apparati pubblici (e i privati in una qualificata posizione ordinamentale) sono chiamati a offrire alla collettività. Si tratta essenzialmente di veicolare utilità conoscitive, con un grado di sicurezza idoneo a generare la fiducia nei rapporti tra consociati (e a rendere più agevole l’attività ricostruttiva dei fatti da parte del giudice).

La funzione di certezza pubblica si connota per alcuni elementi in modo specifico: la destinazione erga omnes dell’informazione contenuta nell’atto di certezza; la peculiare stabilità di quanto dichiarato, assistito da una fede privilegiata; la situazione di oggettiva conoscibilità delle informazioni medesime.

Più problematico è l’elemento relativo alla mancanza della discrezionalità del dichiarante, che invece era ritenuto centrale ai tempi in cui gli atti di certezza era annoverati tra quelli non negoziali. In particolare l’attività certificativa era distinta da quella provvedimentale in quanto non indirizzata a manifestare una volontà dell’amministrazione, quanto piuttosto a dichiarare la sua conoscenza mediante atti destinati alla circolazione giuridica (Romano, S., Principi del diritto amministrativo italiano, Milano, 1912). Ancora oggi pochi dubbi sussistono sul carattere vincolato di gran parte delle attività produttive di certezza pubblica (nell’accezione indicata), al punto che su questo elemento è fondato il riparto di giurisdizione.

È più discussa la riconduzione dell’attività di certezza a species dell’accertamento. Sotto questo profilo occorre chiarire che nella certezza pubblica la funzione conoscitiva supera l’esigenza dell’accertamento in quanto tale, poiché lo scopo degli atti di certezza non è quello di rimuovere dubbi sull’esistenza di determinati fatti o requisiti e generare un effetto preclusivo (Falzea, A., Accertamento (teoria generale), in Enc. dir., I, Milano, 1958) o piuttosto concretizzare una disciplina in sé completa (Tonoletti, B., L’accertamento amministrativo, Padova, 2001). L’attività di certezza pubblica consente, prima ancora, di eliminare uno stato di ignoranza (Pugliatti, S., La trascrizione. La pubblicità in generale, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1957) ovvero di conseguire la conoscenza indubbia di quegli stessi contenuti (Giannini, M.S., Certezza pubblica, cit.).

Si tratta di una conoscenza che risponde esclusivamente ad una necessità operativa e pratica: è un «conoscere per fare, concreto appunto nel suo farsi e nel fare a cui è preordinato» (Pugliatti, S., Conoscenza e diritto, Milano, 1961) e ciò spiega la ragione per cui l’attività di certezza pubblica eccede i confini della mera rimozione del dubbio. Essa introduce nella realtà giuridica delle asserzioni conoscitive, relative a determinati fatti o requisiti, che concorrono alla descrizione giuridica della realtà e si oppongono a rappresentazioni diverse.

Si tratta, altresì, di una conoscenza necessaria, in quanto richiesta da norme dell’ordinamento giuridico e sottratta all’autonomia privata (Giacchetti, S., Certificazione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988). In tal senso la conoscenza trasmessa tramite l’atto di certezza si assume legata da un nesso di corrispondenza con la realtà del contenuto informativo trasmesso: tale corrispondenza è oggetto di uno speciale interesse pubblico, attorno al quale l’ordinamento struttura le modalità organizzative e procedimentali di acquisizione della certezza, nonché i rimedi in termini di correzione, aggiornamento, rimozione delle certezze non coerenti con la realtà.

Occorre, in ultimo, distinguere tra la conoscenza certa, che costituisce l’oggetto della funzione di certezza pubblica, e la mera conoscenza che l’ordinamento preordina all’esigenza di trasparenza, mediante una serie di obblighi di pubblicità imposti alle amministrazioni pubbliche (da ultimo in base alla normativa in materia di anticorruzione). Gli obblighi di legge di questo secondo tipo afferiscono al “modo di essere” dell’amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni, rispetto al quale è definito uno specifico controllo generalizzato da parte dei cittadini (da qui la nuova definizione di pubblicazione di cui al d.lgs. 14.3.2013, n. 33). Nel caso delle attività di certezza pubblica il fine stesso dell’attività è rendere stabile, sicura e quindi certa la conoscenza di dati o fatti, per i soggetti dell’ordinamento, in funzione di garanzia e ordine nello svolgimento delle relazioni civili ed economiche.

In questo senso va ricostruita anche la distinzione tra la funzione di conoscenza certa che è ascrivibile alle attività di certezza pubblica rispetto a quella, tipicamente processuale, che è assolta dagli strumenti di prova. Le certezze pubbliche sono, infatti, declinabili su un piano sostanziale, hanno una circolazione giuridica molto più ampia, la cui finalità di ordine è ascrivibile alla prevenzione rispetto all’insorgere di controversie, piuttosto che nella concreta risoluzione giudiziale delle stesse. Ciò non impedisce tuttavia di rilevare, per un verso, come il procedimento probatorio sia diretto a consentire al giudice l’acquisizione di conoscenza e, sotto altro aspetto, come l’attività di certezza pubblica generi atti aventi una fede privilegiata nel processo. In modo specifico la querela di falso è lo strumento a sostegno della certezza generata dagli atti pubblici ex art. 2699 c.c. e da quegli atti qualificati tali secondo la legge o la giurisprudenza, opponibili a terzi per la certezza del loro contenuto o di alcuni loro contenuti. Ad una esigenza di certezza è riconducibile la devoluzione al giudice civile della querela di falso, anche laddove la questione sia sollevata all’interno di un processo amministrativo (C. cost. 11.11.2011, n. 304).

Fattispecie rilevanti

Ricondurre la funzione di certezza pubblica alle attività che realizzano, grazie all’intermediazione di amministrazioni pubbliche o di privati qualificati, la conoscenza certa di determinati contenuti informativi da parte dei consociati, consente di enucleare le fattispecie caratterizzanti, escludendo tutte quelle figure in cui l’effetto di certezza non costituisce l’elemento centrale e caratterizzante (come si verifica per le autorizzazioni o gli accreditamenti che scaturiscono da un accertamento istruttorio).

Secondo tale criterio si può individuare il nucleo della certezza pubblica nelle attività di registrazione o iscrizione in funzione di pubblicità; d’identificazione, autenticazione, verificazione; di certificazione, nelle sue varie accezioni.

La registrazione o l’iscrizione in funzione di pubblicità

I pubblici registri, le varie forme di anagrafe, gli elenchi, gli albi nascono con la funzione di acquisire, conservare e rendere pubblici dati relativi a soggetti, beni, fatti, qualificazioni, al fine di conferire certezza ai diritti dei soggetti interessati e consentire una conoscenza pubblica oggettiva dei dati stessi.

In particolare, tra le figure più rilevanti di registri pubblici si annoverano i registri dellanagrafe della popolazione; i registri delle imprese; i registri immobiliari; il catasto; i registri aereonautico, navale; il pubblico registro automobilistico; i registri relativi ai marchi e brevetti. A questi si uniscono le diverse tipologie di albi professionali.

La funzione comune dei registri e degli albi è la pubblicità, la stabile e duratura segnalazione del dato informativo, al fine di consentire una conoscenza certa da parte della collettività, favorendo l’ordinato sviluppo delle relazioni sociali ed economiche.

La dottrina distingue la pubblicità dichiarativa da quella costitutiva a seconda che la pubblicazione del dato sia, in base alla legge, mero strumento di conoscenza o integri la fattispecie: nel primo caso la fattispecie, in sé esistente, diviene opponibile a terzi per il tramite dell’iscrizione (come nel caso di trascrizione di un negozio di trasferimento della proprietà di beni immobili); nella seconda ipotesi essa viene a esistenza grazie all’iscrizione (si pensi alla qualificazione professionale a seguito dell’iscrizione a un albo; o piuttosto all’iscrizione o alla cancellazione nel registro delle imprese delle società di capitali – Cass., S.U., 22.2.2010, n. 4060). La differenza, desumibile dal dato normativo, è rilevante non solo per il soggetto interessato all’iscrizione, ma anche per i terzi: solo nell’ipotesi di pubblicità dichiarativa, che pure genera una presunzione di conoscenza, il fatto non registrato potrà essere opposto a terzi, provandone la conoscenza da parte degli stessi. Quindi l’opposizione del fatto iscritto potrà realizzarsi solo nella misura in cui sia esistente (non essendo la pubblicità idonea a crearlo) e sarà aperta la possibilità di provare la conoscenza di fatti non iscritti.

Nel caso invece della pubblicità costitutiva, il fatto non iscritto non viene a giuridica esistenza e un fatto iscritto non conforme alla realtà potrà generare un’apparenza del diritto. Nel caso di errore nell’acquisizione dei dati (secondo quanto richiesto dalle norme) e quindi di registrazione di un fatto non conforme alla realtà, la legge prevede dei rimedi (come la cancellazione o simili) contro la falsa rappresentazione della realtà registrata o iscritta.

Agli effetti di certezza la registrazione può ricollegare il sorgere di specifici diritti in capo agli interessati, direttamente opponibili ai terzi, come avviene nel caso dei marchi e dei brevetti, presupposto per la definizione di diritti di esclusiva in capo ai titolari, pur sempre nell’interesse alla sicurezza e allo svolgersi dei traffici (d.lgs. 10.2.2005, n. 30). La specificità della fattispecie rende rilevante, nella disciplina dell’iscrizione, l’opposizione di terzo, regolata da norme puntuali.

Sotto il profilo organizzativo, la tenuta dei registri e degli albi fa capo ad amministrazioni, enti pubblici, in specie associativi (come le camere di commercio o gli ordini professionali) mentre una disciplina speciale riguarda i registri e repertori notarili (l. 22.1.1934, n. 64). L’attività di tenuta del registro risponde a specifici obblighi (in particolare sotto il profilo della completezza della verifica funzionale all’iscrizione); i procedimenti che hanno effetti restrittivi per gli interessati (come quelli diretti alla cancellazione o alla radiazione) devono consentire la partecipazione dei soggetti interessati (Cass., 8.8.2001, n. 10959).

Secondo una giurisprudenza consolidata, sia civile che amministrativa, sono devolute al giudice ordinario le controversie relative ai provvedimenti di iscrizione o cancellazione dai registri delle imprese, dai registri anagrafici (da ultimo TAR Piemonte, sez. I, 26.2.2011, n. 211 per gli ampi riferimenti giurisprudenziali; Cons. St., sez. IV, 16.1.1990, n. 14); similmente, di regola, appartiene al giudice ordinario il contenzioso in materia di iscrizione o cancellazione in albi professionali (Cass., S.U., 27.6.2006, n. 14760; Cons. St., sez. IV, 31.12.2003, n. 9298), con alcune eccezioni come quella in materia di professione forense (si v. Cass., S.U., 15.12.2008, n. 29293 sull’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione in materia di delibere del consiglio nazionale forense con cui si dà corso alla radiazione dall’albo) o per altre professioni specifiche. La giurisdizione del giudice ordinario trova fondamento nella situazione di diritto soggettivo dei soggetti che aspirano all’iscrizione (o si oppongono alla cancellazione o simili), rispetto alla quale non sussiste un potere di apprezzamento discrezionale dell’amministrazione. In tali ipotesi si parla di giurisdizione piena, poiché il giudice, valutati i presupposti di legge, può direttamente disporre la misura (es. la cancellazione dal registro) o ordinare all’amministrazione di emanare il provvedimento satisfattivo del diritto.

L’identificazione, l’autenticazione, la verificazione

L’attribuzione o il riconoscimento certo dell’identità di un soggetto o di talune caratteristiche identificative di beni, con valore erga omnes, costituisce un’altra area caratterizzante della certezza pubblica.

Sin da tempi remoti, in particolare, l’ordinamento affida al pubblico ufficiale o al notaio le funzioni d’identificazione certa di un soggetto, ovvero d’imputabilità ad un soggetto di una firma o di un atto, nonché la dichiarazione di conformità di copie a documenti originali, al fine di garantirne lo stesso valore giuridico, specie sotto il profilo probatorio.

Il meccanismo si basa sulla qualità dei notai e dei pubblici ufficiali di essere depositari della fede pubblica e quindi mediatori attendibili nella comunicazione di una realtà giuridica che essi hanno formato o della quale sono stati testimoni. Ad essi spetta, infatti, attestare quanto avvenuto o dichiarato in propria presenza (come nel caso degli atti di notorietà): la dichiarazione così formulata diventa strumento di certezza per la generalità dei consociati (oltre che per le medesime autorità pubbliche). Così l’atto pubblico, al quale si collegano gli effetti giuridici di maggiore certezza, sia in termini sostanziali che processuali, è quello “redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato” (art. 2699 c.c.). Nel caso specifico del notaio, la giurisprudenza è costante nel ritenere che la formazione dell’atto pubblico comporti una funzione di adeguamento all’ordinamento (sotto il profilo specifico del compito del notaio di individuare la soluzione giuridica più idonea a soddisfare gli interessi manifestati dalle parti) laddove l’autenticazione di un documento sarebbe equiparabile ad una mera funzione certificativa, che non comporta speciali valutazioni se non quelle attinenti a un mero controllo di legalità (Boero, P., Autenticazione, in Dig. Disc. Priv., I, Torino, 1987).

Nelle questioni connesse alla certezza, in simili contesti, risulta dunque centrale l’individuazione del pubblico ufficiale (ne sono equiparati il cancelliere, il segretario comunale; la legge prevede, inoltre, che a determinati fini possano svolgere funzioni di autenticazione anche taluni professionisti) e il rispetto delle formalità previste dalla legge, almeno in una misura minima (si v., ad esempio, Cass., S.U., 28.11.2005, n. 25032 sulla validità della procura speciale alla lite anche senza attestazione di autenticità).

Il principio della necessaria interposizione di soggetti depositari della fede pubblica nei processi d’identificazione e autenticazione, ai fini di certezza pubblica, subisce una duplice erosione per effetto dell’evoluzione più recente dell’ordinamento.

La prima spinta in tale direzione proviene dalla semplificazione nei rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni. Il T.U. in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. 28.12.2000, n. 445, ha introdotto forme di semplificazione che riguardano le autenticazioni di firme (art. 21), le copie di documenti (artt. 18-19), le sottoscrizione di istanze (art. 38), oltre che le dichiarazioni sostitutive di certificazione (art. 46) e di atti di notorietà (art. 47). Esse presuppongono non necessaria intermediazione di un pubblico ufficiale o di un notaio, ma solo ai limitati fini del rapporto con amministrazioni pubbliche e gestori di servizi, nel presupposto che tali soggetti possano procedere alle verifiche idonee circa la corrispondenza tra il dichiarato e il reale.

L’altro fattore di erosione proviene dalle esigenze connesse all’informatizzazione e digitalizzazione dei rapporti giuridici. In particolare il T.U. n. 445 del 2000 (artt. 22 ss.) e il codice dell’amministrazione digitale, di cui al d.lgs. 7.3.2005, n. 82 (artt. 24 ss.) disciplinano la firma digitale, ovvero quel meccanismo elettronico che, in base un sistema di chiavi crittografiche, consente di imputare in modo univoco e con il necessario grado di sicurezza, un documento ad un soggetto identificato. Tuttavia in simili contesti non si prescinde del tutto dalla necessità di un’autenticazione: le norme disciplinano, infatti, anche la firma digitale autenticata (art. 24, T.U. n. 445/2000 e art. 25 del d.lgs. n. 82/2005) che presuppone l’intermediazione di un pubblico ufficiale o di un notaio (operanti peraltro secondo le medesime modalità: si v. l’atto notarile informatico introdotto con d.lgs. 2.7.2010, n. 110).

Al di fuori delle funzioni identificative dei soggetti dell’ordinamento, rientrano in questa sfera una serie articolata di attività (si pensi alla funzione di toponomastica stradale affidata ai comuni in base alle l. 24.12.1954, n. 1228, recante l’ordinamento delle anagrafi della popolazione residente).

Tra le fattispecie particolari, una di quelle più antiche, caratterizzanti della funzione di certezza pubblica dei pubblici poteri è rappresentata dalla verificazione dei pesi e delle misure. In particolare il diritto metrico si è sviluppato, sin da epoche remote, nel presupposto che la libertà degli scambi necessitasse di una funzione pubblica volta a dichiarare in modo certo e vincolante per i privati le unità di misura, mediante la creazione conservazione dei prototipi e la verificazione degli strumenti di misura rispetto a quelli (Amorth, A., Misure e pesi (diritto amministrativo), in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976). La rilevanza della funzione era tale per cui la più antica dottrina tedesca qualificava la determinazione dei pesi e delle misure come esercizio di un diritto assoluto di sovranità, al pari della funzione monetaria (Laband, P., Le droit public de l’Empire Allemand, Giard & Brière, Paris, III, 1902). Attualmente è la legge a rendere obbligatorie determinate unità di misura, stabilite a livello internazionale, e a definire le attività amministrative di verifica. La verificazione degli strumenti di misura, con funzione di certezza, è affidata a organi dello stato o laboratori privati che agiscono in regime di concessione della conformità metrologica.

Le certificazioni

Il termine certificazione è utilizzato dalla dottrina e dalla giurisprudenza in modo assai promiscuo, come identificativo di un’attività e dell’atto che ne costituisce l’esito; come comprensivo di atti costitutivi di situazioni soggettive o qualità giuridiche (cd. certazioni) o semplicemente ricognitivi delle risultanze di registri pubblici (quali quelli delle anagrafe) o di fatti avvenuti in presenza del soggetto certificante (verbali) e/o sottoposti alla propria valutazione (attestazioni); quali aventi carattere solo informativo (certificazioni improprie) o piuttosto aventi efficacia legale, vincolante per i destinatari (certificazioni proprie). In questi ultimi casi la certificazione pubblica ha “rilevanza di diritto sostanziale, e precisamente una funzione di qualificazione giuridica” (C. cost. 10.11.1995, n. 483).

Nel panorama assai vasto delle fattispecie certificative vanno dunque lette le più recenti modifiche dell’ordinamento, che tendono a ridurne l’incidenza nei rapporti tra cittadini, imprese e amministrazioni, in funzione di semplificazione.

La cd. decertificazione introdotta dalle più recenti riforme (si v., in particolare, l’art. 15, l. n. 12.11.2011, n. 183), circoscrive la validità delle certificazioni riguardanti stati, qualità personali e fatti ai soli rapporti tra privati, obbligando le amministrazioni ad acquisire le informazioni d’ufficio ovvero tramite la richiesta di dichiarazioni sostitutive.

Il nuovo rilievo assunto dalle dichiarazioni sostitutive non le fa assurgere, per questo motivo, a strumenti di certezza pubblica, com’è costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale esse non hanno una funzione certificatoria ma «attenuano, e precariamente, all’interno del singolo procedimento, l’onere delle dimostrazioni che il privato sarebbe tenuto a offrire tramite documenti pubblici» (Cons. St., sez. VI, 11.5.2011, n. 2781). La conseguenza è che il loro contenuto risulta sempre esposto alla prova contraria e non è idoneo a costituire delle preclusioni o restrizioni nel patrimonio conoscitivo dell’amministrazione.

Sono escluse da tali misure di semplificazione talune specie di certificati (come i certificati medici e di qualità, antimafia) che per il loro contenuto implicano una valutazione del certificatore non sostituibile da una dichiarazione del destinatario interessato.

Atteso che la corrispondenza con il vero del dichiarato nella certificazione è oggetto di tutela penale, proprio la giurisprudenza penale aiuta a individuare la necessaria presenza di un momento valutativo o accertativo previo rispetto alla dichiarazione, come elemento imprescindibile di qualsiasi certificazione (Cass. pen., sez. V, 2.2.2012, n. 18687, con riferimento ai certificati medici). Questione dibattuta nella giurisprudenza amministrativa è se il potere certificativo debba essere sempre espressamente attribuito dalla legge o non possa essere ritenuto implicito nella sfera di competenza dell’amministrazione (prevale il primo orientamento: TAR Puglia, Bari, sez. II, 16.7.2012, n. 1441). Altrettanto discussa è la questione se un’amministrazione pubblica possa parzialmente discostarsi dalle valutazioni attestate in un certificato prodotto da altra amministrazione chiamata, in via esclusiva, a produrlo, facoltà tendenzialmente negata dalla giurisprudenza (Cons. St., A.P., 4.5.2012, n. 8).

Le trasformazioni delle funzioni di certezza pubblica

L’organizzazione delle funzioni di certezza pubblica registra oggi trasformazioni significative per effetto dell’intrecciarsi di processi di carattere economico, come l’apertura dei mercati, che fanno nascere l’esigenza di allargare lo spettro della conoscenza certa al di là dei confini statali; di carattere tecnico, come la rivoluzione digitale, che elimina le barriere spazio/temporali consentendo un’organizzazione più efficiente delle funzioni di certezza; di carattere politico, come la formazione dell’Unione europea, che progressivamente scardina l’autoreferenzialità dei singoli ordinamenti statali, riformulando in termini nuovi i quesiti sulle garanzia di certezza nei rapporti interprivati.

L’asimmetria tra lo spazio dei mercati e l’ambito territoriale di esercizio delle funzioni pubbliche statali spinge in direzione della formazione di registri, albi e altre forme di certezza a fini di pubblicità secondo ambiti territoriali progressivamente più ampi.

A livello europeo, in particolare, si registra un moltiplicarsi di figure che nascono dal coordinamento dei registri degli Stati membri o passano attraverso obblighi imposti alle amministrazioni nazionali. Così è, ad esempio, per l’European Business Register (EBR), che consente la consultazione di dati riguardanti le imprese europee attraverso una rete di collegamento con i diversi registri pubblici (consultabili secondo le regole di ogni paese); o per il registro on-line dei certificati e-Certis, volto a favorire a livello europeo lo scambio di certificati e altri documenti probatori richiesti dalle amministrazioni aggiudicatrici (strumento che sarà potenziato e reso obbligatorio, secondo la disciplina delle direttive europee in materia di appalti pubblici, del marzo 2014).

Nel settore dei marchi è attiva a livello internazionale l’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale presso la quale è possibile la registrazione internazionale dei marchi (WIPO/OMPI) e la classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione. Anche l’attività di verificazione dei pesi e delle misure è basata sulla formazione degli standard, delle unità di misura e dei prototipi a livello internazionale, coerentemente alle più ampie dimensioni dei mercati.

Altro fattore di centrale rilievo nel processo di trasformazione delle funzioni di certezza pubblica è rappresentato dalla rivoluzione digitale, che consente, in primo luogo, la raccolta, la gestione e la conoscibilità diretta di quantità sempre maggiori di dati. Si moltiplicano le banche dati digitali, costantemente aggiornate e consultabili dalle amministrazioni e dai soggetti interessati, non solo in corrispondenza alle necessità di sviluppo dei mercati: un esempio significativo, nell’ordinamento interno, è rappresentato dall’Anagrafe nazionale della popolazione residente, istituita dal d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. in l. 17.12.2012, n. 221 e basata su un’infrastruttura tecnologica finalizzata al continuo aggiornamento dei dati, alla loro conservazione in condizioni di sicurezza e alla loro immediata accessibilità da parte del pubblico.

Nella trasformazione delle certezze pubbliche assume particolare significato (come si è in parte anticipato) lo spostamento verso le tecnologie informatiche, idonee a garantire livelli specifici di sicurezza, di talune funzioni dapprima affidate ai soggetti dotati di fede pubblica (si v. l’imputazione certa di firma digitale) o di attività prima centrate sulla rilevanza formale del documento cartaceo. È significativo, al riguardo, l’art. 32, l. 18.6.2009, n. 69, secondo il quale, in tema di albo pretorio, la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni integra gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti con funzione di pubblicità legale.

In ultimo vanno considerate le trasformazioni che derivano alle forme tradizionali di certezza per effetto dell’ordinamento europeo, che ha introdotto taluni sistemi di produzione di informazioni qualificate basate su meccanismi di mercato, mantenendo tuttavia ai pubblici poteri una funzione di certezza (in termini di controllo e di tenuta di registri nazionali e comunitari a fini di pubblicità). Sono ascrivibili a questo ambito diverse forme di certificazioni europee dirette al mercato (marcatura CE; prodotti alimentari a denominazione protetta; certificazioni alimentari o ambientali). Le certezze dirette ai mercati assumono, in questi casi, una conformazione ibrida, in cui il ruolo d’interposizione dei pubblici poteri rimane centrale, ma solo per alcuni segmenti dell’attività.

Fonti normative

Art. 2193 c.c.; art. 2331 c.c.; art. 2644 c.c.; art. 2697 c.c.; art. 2698 c.c.; art. 2699 c.c.; art. 2700 c.c.; art. 2701 c.c.; art. 2703 c.c.; art. 2714 c.c.; art. 2715 c.c.; art. 2716 c.c.; art. 2717 c.c.; art. 2808 c.c.; art. 469 c.p.; art. 470 c.p.; art. 472 c.p.; art. 473 c.p.; art. 476 c.p.; art. 477 c.p.; art. 478 c.p.; art. 479 c.p.; art. 481 c.p.; art. 483 c.p.; art. 495 c.p.; art. 496 c.p.; art. 497 c.p.; l. 22.1.1934, n. 64; l. 24.12.1954, n. 1228; l. 29.12.1993, n. 580; d.P.R. 28.12.2000, n. 445; d. lgs. 10.2.2005, n. 30; d.lgs. 7.3.2005, n. 82; d.lgs. 12.4.2006, n. 163; l. 18.6.2009, n. 69; l. 31.12.2009, n. 196; d.lgs. 2.7.2010, n. 110; l. 12.11.2011, n. 183; d.l. 9.2.2012, n. 5, conv. in l. 4.4.2012, n. 35; d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. in l. 17.12.2012, n. 211; d.lgs. 14.3.2013, n. 33

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