CASTAGNETTO, Cesare Giambattista Trabucco conte di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASTAGNETTO, Cesare Giambattista Trabucco conte di

Maria Grazia Gajo

Nacque a Torino il 1° giugno 1802 dal conte Carlo Giuseppe e Teresa Luisa Caccia di Romentino. Conseguita la laurea utriusque iuris nel 1819 presso l'ateneo torinese, entrò nella carriera della magistratura come volontario nell'ufficio del governatore generale della Camera dei conti, arrivando nel 1828 al grado di sostituto sovrannumerario del procuratore generale. Maggiordomo e intendente generale di casa Carignano, nel 1831 passò al servizio della Real Casa col grado di maggiordomo e intendente generale in seconda, e lo stesso anno sposava Gabriella dei marchesi Asinari di Bernezzo; nel 1834 era nominato, segretario di gabinetto. Nel 1835 sostituì G. B. De Gubernatis nella funzione di segretario privato del re: fu da allora l'uomo di fiducia e il consigliere di Carlo Alberto fino, all'abdicazione, legato al monarca da una devozione scrupolosa e completa. Proseguiva intanto la carriera del C.: i meriti di capace amministratore gli valsero nel 1836 la nomina a procuratore generale del patrimonio privato del re. poi nel 1839 il grado di intendente generale della Real Casa, quindi nel 1844 quello di sovrintendente generale del patrimonio privato e segretario privato del re. Nel 1846 riceveva da Pio IX la Gran Croce dell'Ordine di Gregorio Magno.

Rigido cattolico, d'orientamento "guelfo-teocratico-nazionale" e moderato, era sensibile alle richieste di riforma dello Stato e alla insofferenza contro il predominio austriaco, e su questa via egli fu fedele esecutore dei voleri del re che incontravano aperte opposizioni nella corte e fra gli stessi principi. Gli avvenimenti del 1847, l'occupazione austriaca di Ferrara (13 agosto), prospettarono l'eventualità di una guerra con l'Austria. Il C. stabili allora dei contatti con l'ambiente liberale moderato di Milano, tramite il conte L. Torelli.

Il 3 sett. 1847, al congresso dell'Associazione agraria a Casale, il C. ebbe il compito di leggere una lettera a lui indirizzata da Carlo Alberto contenente la prima manifestazione della volontà del re di agire per la libertà d'Italia e del pontefice. Creato nel frattempo primo segretario di Stato, si diede ad incoraggiare questo atteggiamento, ancora tutt'altro che definitivo, e, pur mantenendosi sempre su caute posizioni moderate, divenne l'intermediario tra Carlo Alberto, i cospiratori lombardi e i liberali piemontesi. Davanti all'iinprovvisa concessione della costituzione da parte di Ferdinando II sostenne, benché scettico sulla maturità dei tempi, la necessità di non rimanere indietro, soprattutto per timore d'intemperanze radicali. L'indecisione di Carlo Alberto ("le roi n'a pas de système: le jésuitisme l'entraine et d'autre part il presse les libéraux", aveva scritto il C. nel suo Diario il 13 genn. 1848: in Romeo, p. 256) poteva causare disordini: il C. contribuì a spingere il re sulla via delle concessioni.

Scoppiata a Milano l'insurrezione, il C. utilizzò M. Farina, nominato console generale sardo, inviato presso il governo provvisorio, il quale fece da intermediario tra lui, G. Casati e il ministero piemontese, anche con viaggi tra Torino e Milano. Delineatosi in seguito il pericolo dell'affermazione di uno schieramento repubblicano, il C., nel carteggio fittissimo con il Casati, manifestò sospetti e dubbi richiedendo garanzie per l'intervento militare sardo e per il suo re. Dichiarata infine la guerra, il 26 marzo il Consiglio dei ministri gli attribuì il compito di tenere la corrispondenza ufficiale col gabinetto piemontese ed una ufficiosa col Casati.

Verso il governo provvisorio lombardo sostenne l'immediata fusione della Lombardia con il Regno sardo, asserendo che era una esigenza fondamentale per l'andamento della campagna militare considerata pericolosa e difficile; nonostante l'opposizione del governo provvisorio, tentò di ottenere, con l'aiuto di E. Martini, dalle città di Brescia, Bergamo e Cremona un pronunciamento favorevole all'unione immediata ed incondizionata col Piemonte. Creato senatore, non partecipò alle sedute parlamentari per l'intensa attività che svolgeva al campo presso Carlo Alberto. Nonostante la sua radicale avversione per la corrente repubblicana, il C. tentò di avvicinare il democratico F. De Boni e, tramite F. Campanella, il Mazzini, sforzandosi di prospettare la guerra come tappa per l'unità nazionale, ma incontrando resistenza sul proposto obiettivo politico di un regno solo dell'Italia settentrionale, pur accompagnato da proposte di spazio per una maggior influenza democratica nell'elaborazione degli articoli della nuova costituzione.

Intanto, il sempre più diffuso malcontento per l'incerto andamento degli avvenimenti rese critica la posizione dei C., indicato a torto, in quanto consigliere privato di Carlo Alberto, come capo di una camarilla reazionaria che mirava a boicottare le operazioni militari. In realtà, per una serie di motivi politici e tecnici, gran parte dell'aristocrazia e dell'ufficialità era contraria agli scopi della guerra, o inadeguata ai compiti. Lo stesso re scriveva il 19 maggio '48: "l'armée m'obéit... Mais est loin, bien loin d'avoir cet enthousiasme pour la cause de l'indépendance italienne, que l'on peut croire à Turin" (Romeo, p. 317); e il C. (Diario, 10 febbr. '49: ibid., p. 318) noterà: "l'armée fut remplie d'officiers inhabiles....".

Il giornale L'Opinione cominciò ad attaccarlo, dapprima indirettamente (9, 21, 24 giugno 1848), e presto gli si affiancò La Concordia. Preso a bersaglio anche e soprattutto dall'ala reazionaria che temeva il successo della sua influenza moderata sul re, il 30 luglio fu costretto ad abbandonare il suo posto al campo e a ritirarsi in campagna. Riapparve accanto al sovrano dopo l'armistizio Salasco, ma la sua posizione proprio in seguito all'armistizio era ormai compromessa. Gli attacchi dell'Opinione continuarono in agosto; O. Thaon di Revel, allora di fatto a capo del ministero, lo consigliò di allontanarsi mentre il re però gli sconsigliava l'esilio. Ritiratosi di nuovo in campagna, il C. fece pubblicare sulla Concordia (26ag. 1848) una protesta contro le accuse rivoltegli chiedendo un'inchiesta del ministero di Grazia e Giustizia; il 30 settembre successivo, sempre sulla Concordia, pubblicava la risposta del ministero che respingeva la proposta di inchiesta per mancanza di elementi atti a giustificarla.

Era a fianco del re alla ripresa delle ostilità. Dopo la sconfitta di Novara (23 marzo 1849) avrebbe voluto seguire in esilio Carlo Alberto, ma questi lo proibì. Nominato intendente generale della lista civile dal nuovo sovrano Vittorio Emanuele, alla morte di Carlo Alberto il C. lasciò il servizio effettivo. Gli fu concesso il Gran Cordone dei SS. Maurizio e Lazzaro.

Continuò la sua attività al Senato, dove era stato nominato nell'aprile 1848. Di fronte all'indirizzo liberale della politica governativa, il C. militò nell'ala conservatrice, e fu deciso oppositore del ministero durante la discussione delle leggi Siccardi e accanito avversario di ogni modifica dei rapporti concordatari (discorso del 6 apr. 1850). Il suo orientamento, ora di cattolico intransigente, lo spinse ad opporsi ad ogni tentativo di riforma nei rapporti tra Stato e Chiesa, e di conseguenza i suoi interventi trattarono in maggioranza di problemi di politica ecclesiastica.

Così, nel dicembre 1851, si opponeva all'apertura di un tempio valdese in Torino, e l'anno successivo alla soppressione della Congregazione di S. Paolo (18 e 21 febbraio), quindi al progetto di matrimonio civile (15 dicembre). Il 23 aprile del 1855 egli apriva in Senato la discussione sul progetto di legge "sulla soppressione di comunità e stabilimenti religiosi ed altri provvedimenti intesi a migliorare le condizioni dei parroci più bisognosi", ricalcando le tesi del partito clericale. Successivamente, la sua partecipazione ai dibattiti parlamentari divenne sempre meno assidua. Nel 1865 parlò contro l'obbligatorietà del matrimonio civile, e nell'agosto 1867 si schierò contro il progetto di legge sull'asse ecclesiastico.

Dopo l'entrata dell'esercito italiano in Roma (20 sett. 1870), il suo impegno di difensore delle istituzioni cattoliche e del potere temporale l'indusse a prendere più volte la parola contro la politica attuata nei riguardi del papa. Il 20 dicembre protestò contro l'accettazione del plebiscito delle province romane, e durante la discussione sulla legge delle Guarentigie sostenne per la Chiesa l'assoluta indipendenza nell'esercizio della sua giurisdizione spirituale senza alcun vincolo o limitazione. Deluso dall'infruttuosità dei suoi sforzi, dal 1871 in poi evitò di presentarsi di persona alle sedute del Senato, limitandosi ad inviare ai colleghi delle lettere: l'ultima risale a pochi mesi prima della morte (20 giugno 1888).

Morì il 25 ott. 1888 nel castello di Moncalieri. di cui era governatore, assistito dalla famiglia e dalla principessa Clotilde di Savoia.

Fonti e Bibl.: Carteggio Casati-C. (19 marzo-14 ottobre 1848), a cura di V. Ferrari, Milano 1909; I. Raulich, Un manipolo di lettere del conte di C. a G. Giovannetti, in Rassegna storica del Risorgimento, IX (1922), pp. 841869; N. Bianchi, Scritti e lettere di Carlo Alberto, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, III (1879), pp. 711 s.; A. Colombo, Carlo Alberto nella campagna del '48 attraverso un carteggio inedito del conte di C., in Il Risorgimento italiano, XI (1932), pp. 412-515; Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, Epistolario, XVII, p. 343; XVIII, pp. 73, 111, 116, 123, 148, 164; XX, p. 9; L. Torelli, Ricordi intorno alle Cinque giornate, Milano 1884, pp. 47-48, 286-287; G. B. Ghirardi, Il conte C. di C., in L'Illustrazione italiana, XV (1888), pp. 353 s.; A. Brofferio, Storia del Parlamento subalpino, Milano 1866, 1, pp. CLXVIII s.; G. Vicenzi, Il Conto C. T., segretario del re Carlo Alberto, Milano 1909; S. Jacini, La politica ecclesiastica italiana da Villafranca a Porta Pia, Bari 1938, pp. 110, 128, 253, 297, 308, 335, 375, 475; N. Rodolico, Carlo Alberto negli anni 1843-1849, Firenze 1943, pp. 257 ss.; A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1948, pp. 355 s.; F. Ceccato, L'insurrezione e la guerra del 1848, in Storia di Milano, XIV, Milano 1960, pp. 326, 385, 386, 394, 396, 417, 419, 422, 430; Storia del Parlamento ital., a cura di G. Sardo, Palermo 1963-69, I, pp. 358, 362, 364; II, p. 356; III, pp. 208, 210-211, 386; IV, p. 74; VI, p. 196; A. M. Ghisalberti, Mazzini e Carlo Alberto, aprile 1848, in IlVeltro, XVII (1973), pp. 519-36 (definitiva messa a punto del tentativo del C. e della parte dei Campanella); R. Romeo, Cavour e il suo tempo (1842-1854), I-II, Bari 1977, ad Indicem;T. Sarti, IlParlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, ad vocem; Diz. del Risorgimento naz., II, ad vocem.

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