CEVA GRIMALDI PISANELLI, Giuseppe, marchese di Pietracatella, duca delle Pesche

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CEVA GRIMALDI PISANELLI, Giuseppe, marchese di Pietracatella, duca delle Pesche

Alfonso Scirocco

Nato a Napoli l'8 sett. 1777 da Francesco Maria e da Maria Spinelli dei principi di Cariati, dopo la prima educazione impartitagli da un abate fiorentino entrò nel 1786 nel convitto dei padri del Calasanzio, dove approfondì gli studi dell'italiano, del latino e del greco formandosi una cultura classica che poi improntò la sua produzione poetica (consistente prevalentemente in libere traduzioni di Ovidio ed Orazio) e appesantì di fastidiosa erudizione le opere di carattere economico-politico. Il C. allargò in seguito i suoi interessi culturali studiando gli illuministi italiani e stranieri (nelle Riflessioni sulla polizia, Aquila 1817, cita spesso Beccaria, Helvétius, Montesquieu, Voltaire) e le vicende politico-legislative della Francia rivoluzionaria e napoleonica, in modo da inquadrare nei suoi precedenti l'organizzazione statale stabilita nel Mezzogiorno durante il Decennio e conservata nella Restaurazione. Si mantenne pure al corrente dello sviluppo di leggi ed istituzioni nei principali paesi europei, soprattutto in Francia ed in Prussia. Amico di molti esponenti della cultura napoletana del suo tempo e in cordiali relazioni col Metternich, col Guizot, col Nesselrode, col duca di Blacas, ebbe stima di uomo colto, tanto che in occasione del congresso degli scienziati tenuto a Napoli nel 1845 il principe di Canino lo definirà "onore delle lettere e della morale filosofia" (Atti della VII adunanza degli scienziati italiani, Napoli 1846, I, p. 675).

Nel 1799 non collaborò col governo repubblicano; invece al ritorno di Ferdinando IV fu membro della commissione incaricata di riordinare la pubblica istruzione. Non ebbe altri incarichi dai Borboni fino al 1806 e si tenne in disparte sotto il regime napoleonico. Mortogli il padre ed entrato in possesso alla maggiore età dei beni della famiglia, dedicò molta cura al patrimonio trovato in cattive condizioni, e gli restituì floridezza incrementandolo con un'oculata gestione. Il 30 maggio del 1805 sposò Marianna Cavalcanti duchessa di Caccuri, che gli diede due figlie, Maria e Rachele, e morì venticinquenne il 25 marzo 1809.

Tornò alla vita pubblica con la Restaurazione. Il 13 sett. 1815 fu nominato intendente di Abruzzo Ultra II (Aquila) e amministrò la provincia con zelo e competenza. Nel gennaio del 1816 faceva riaprire l'antica Accademia Aternina dei Velati, di cui divenne vicecustode col nome di Eumelo Finicio. Nel marzo 1817 fu nominato intendente di Basilicata. I buoni propositi enunziati il 12 ottobre nel discorso di apertura del Consiglio provinciale non poterono trovare attuazione, perché alla fine dello stesso mese il C. fu inviato in Terra d'Otranto (Lecce), mentre l'intendente di quella provincia, Domenico Acclavio, lo sostituiva in Basilicata. Lo scambio era stato determinato da ragioni politiche. In Terra d'Otranto dalla carboneria si era staccato un gruppo più violento, i "decisi", entrato in aspra lotta con la setta reazionaria dei "calderari"; nei contrasti erano rimaste coinvolte le autorità locali, compreso l'intendente Acclavio, simpatizzante per i carbonari, mentre l'ordine pubblico era ulteriormente turbato da bande di briganti. Il C., che era tra i pochi fedeli dei Borboni ritenuti capaci amministratori, sembrò l'uomo adatto a ristabilire il rispetto della legge.

Tra l'altro il C. nel febbraio del '17 aveva pubblicato all'Aquila un opuscolo, dedicato al direttore del ministero di Polizia Patrizi, in cui aveva trattato dei compiti e dell'organizzazione della polizia, a suo dire ancora carente nelle province. Egli denunziava i danni della Rivoluzione francese, che aveva sconvolto l'antica maniera di pensare: toccava ora alle autorità ridare permanente tranquillità alla nazione sorvegliando e dirigendo lo spirito pubblico. Per il C. un abile servizio di informazioni sulla vita religiosa, sull'opinione nei riguardi del governo, sulle riunioni settarie, sulle voci allarmanti e sulle discordie tra individui o tra comuni poteva favorire la prevenzione dei delitti. Verso le classi pericolose (uomini senza professione, vagabondi, mendicanti, detentori di armi, sospetti di furto, ex carcerati, giocatori d'azzardo) era necessario adottare misure repressive (multe, prigionia temporanea, servizio militare coatto, deportazione), colpendo decisamente i delinquenti potenziali, dopo aver loro offerto la possibilità di un lavoro onesto: a questo proposito il C. auspicava l'istituzione di comitati di soccorso circondariali e provinciali incaricati di formare un piano di lavori pubblici in cui impiegare tutti i disoccupati con un salario inferiore di un quarto a quello corrente. Infine il C. indicava le linee generali dell'organizzazione da dare alle forze di polizia, ispirandosi alla legislazione francese.

In Terra d'Otranto però la situazione era così grave, che il C. fu costretto a chiedere l'intervento dell'esercito. Il governo inviò in Puglia il generale R. Church, che giunse a Lecce con rinforzi di truppa a fine dicembre del '17. Questi propose immediatamente l'arresto dei capi degli opposti partiti, compresi i principali esponenti calderari, entrando in conflitto col C. che, favorevole alle idee del principe di Canosa, temeva la diffusione della carboneria e si era schierato apertamente coi calderari. Il governo appoggiò il Church, al quale l'11 febbr. 1818 diede i pieni poteri, ma non rimosse il C. che, rimasto in una posizione falsa, curò col solito zelo, ma con scarso successo l'amministrazione della provincia, nella quale dall'estate '19 fu sostituito di fatto dal segretario generale G. Amante.

Tornato a Napoli, il C. con decreto del 12 apr. 1820 fu nominato sovrintendente generale degli archivi, e conservò la carica fino al dicembre 1826. Durante la reazione che seguì alla rivoluzione del 1820-21 i suoi convincimenti di legittimista conservatore lo misero in evidenza. Fu componente, poi dal 2 luglio 1822 presidente, della giunta di scrutinio per la pubblica istruzione stabilita con decreto 12 apr. 1821 e sciolta nel settembre del '22. Quindi fu tra i trenta membri della Consulta generale del Regno designati il 23 sett. 1821, e fu riconfermato nella nomina definitiva dei consultori fatta il 15 giugno 1824. Nel marzo 1826 ricevette l'incarico di recarsi nella provincia di Terra d'Otranto, turbata dalle faziose persecuzioni antiliberali dell'intendente Cito, ed in quelle di Terra di Bari, Capitanata e Principato Ultra (Avellino), per fare una scrupolosa ispezione sull'amministrazione civile, finanziaria, giudiziaria, militare e della polizia ed osservare le condizioni della morale e dello spirito pubblico. Il C. inviò una serie di rapporti particolareggiati su funzionari, magistrati, ecclesiastici, sulla vita economica, sulle cause del malcontento, sulla diffusione delle sette: in complesso, pur riconoscendo l'esistenza di una sorda opposizione, ridimensionò l'importanza delle società segrete; mise invece in evidenza la miseria dei contadini, la gravità del peso fiscale, la durezza degli esattori, e propose misure per migliorare l'economia.

Dal 27 nov. 1826 ministro senza portafogli, alla morte di Francesco I fu tra le persone più vicine al nuovo re e, secondo il Neri, fu lui a stilare il proclama dell'8 nov. 1830, col quale Ferdinando II criticò la politica paterna annunziando provvedimenti riparatori, e l'atto sovrano di indulto a favore dei condannati politici del 18 dicembre. Ministro dell'Interno e della Pubblica Istruzione dal 21 novembre, il C. contribuì alla realizzazione delle nuove direttive con i decreti del'11 genn. 1831, con i quali il governo dimezzò il dazio sul macinato istituito nel Mezzogiorno dal 1827 e, prescrivendo una generale economia nelle spese comunali, diminuì il peso dei dazi di consumo, gravanti particolarmente sulle classi popolari. I risultati ottenuti furono esposti nel Giornale del Regno delle Due Sicilie (10 marzo e 28 maggio 1831) come prova dell'efficace interessamento del re per le necessità del paese.

In realtà i provvedimenti adottati denotavano una visione angusta della politica economica in quanto consistevano principalmente in licenziamenti e riduzioni di stipendi, con conseguenze tanto deleterie per l'amministrazione comunale e l'istruzione elementare, che nel giro di pochi anni il governo fu costretto a ripristinare le spese abolite. Il C. sentiva il dovere di venire incontro alle classi misere, ma restringeva l'intervento dello Stato alla diminuzione del peso fiscale sui ceti meno abbienti ed al buon funzionamento degli enti assistenziali, senza elevarsi a provvedimenti di ampia portata, miranti a sviluppare l'economia ed a creare nuove fonti di lavoro. Sono indicative in proposito le osservazioni sulla questione sociale fatte nel 1845. Sinceramente pensoso delle condizioni degli operai, il C. si doleva per l'abolizione dell'organizzazione medievale del lavoro, che per mezzo delle corporazioni aveva tutelato gli artigiani. Ora, egli osservava, mentre i capitalisti riuscivano facilmente ad accordarsi per difendere i loro interessi, gli operai erano abbandonati all'arbitrio dei padroni o si lasciavano trascinare a scioperi e a proteste dannose per la maggioranza. Unico rimedio gli appariva la costituzione di associazioni di mutuo soccorso, volte a curare la formazione e la disciplina degli operai, la loro istruzione morale e religiosa, la soluzione delle controversie di lavoro, l'assistenza ai soci ed ai familiari (Del lavoro degli artigiani,osservazioni di G. Ceva Grimaldi,presidente della Reale Accademia delle Scienze di Napoli,lette nella tornata del 1 luglio 1845, pubblicate in opuscolo a Napoli nel 1845).

Conservatore illuminato, il C. non intendeva favorire mutamenti nell'ordine politico, sociale, economico, amministrativo, auspicando, d'altra parte, onestà, zelo, competenza nei ministri e nei funzionari statali. Così nel campo della pubblica istruzione nell'ottobre del 1831 volle che la cattedra di logica e metafisica, rimasta vacante nell'università di Napoli, fosse assegnata a P. Galluppi, benché questi non avesse partecipato al concorso (A. Zazo, Ricerche e studi storici, I, Benevento 1931, pp. 161 ss.), sostenendo che all'insegnamento universitario si doveva accedere non per concorso aperto alle mediocrità, ma per opere insigni. Quindi fu tra gli oppositori della riforma della pubblica istruzione proposta nel 1838 da G. M. Mazzetti: in un ampio parere del novembre '42 (pubbl. in A. Zazo, L'istruzione pubblica e privata nel Napoletano,1767-1860, Città di Castello 1927, pp. 301-305) il C., soffermandosi soprattutto sull'istruzione primaria, sostenne infatti che le leggi vigenti erano buone, e che le disfunzioni lamentate nascevano dal fatto che esse non erano eseguite. In caso di riforma, propose che si tenessero presenti gli ordinamenti della Francia, della Prussia e della Sassonia, e consigliò che non solo fosse affidato agli ecclesiastici l'insegnamento elementare, ma che anche si affidassero alle comunità religiose che si occupavano dell'istruzione (somaschi, scolopi, gesuiti, barnabiti) la direzione e l'insegnamento in tutti i collegi del Regno.

L'entusiasmo con cui adempiva i compiti di ministro ne fiaccò in pochi mesi la non robusta fibra. Inoltre, nel marzo del 1831, fu colpito dalla morte della seconda moglie, Adelaide Martini, sposata il 27 ott. '29, dalla quale aveva avuto un figlio maschio, Francesco. Avendo manifestato i sintomi della tisi, trascorse in congedo i mesi di novembre e dicembre nella speranza di recuperare la salute, ma alla fine del '31 fu costretto alle dimissioni. Ferdinando II non volle privarsi della sua collaborazione, e nel sostituirlo con Santangelo nel ministero dell'Interno lo nominò ministro senza portafogli e presidente della Consulta (decreti del 25 dic. 1831). In quest'ultima carica il C. ebbe modo di far valere la sua preparazione giuridica e la sua esperienza amministrativa. Di sua iniziativa inviò al re anche relazioni con osservazioni di carattere politico. Nell'agosto del 1834, dopo un viaggio in Sicilia, denunziò il grave malcontento dell'isola, ne analizzò le cause e si dichiarò favorevole alla concessione di una certa autonomia; nel gennaio '35, allarmato per la tensione esistente in Europa, lo stato della Sicilia ed il lavorio cospirativo nel Mezzogiorno, alimentato dalla miseria, ritenne suo dovere mettere in guardia il sovrano.

In questi anni il C. partecipò anche al dibattito sullo sviluppo del paese, nel quale intervennero i principali economisti.

Il C. si era sempre interessato ai problemi economico-sociali. In un Itinerario da Napoli a Lecce, pubblicato a Napoli nel 1821, ad una prima parte dedicata alla descrizione delle cittadine attraversate, carica di erudizione storico-archeologica, aveva fatto seguire interessanti notizie su agricoltura, manifatture, commercio, caratteristiche degli insediamenti urbani, abitudini, cultura, lavori pubblici, popolazione. Pubblicò nel 1836 a Napoli le Considerazioni sulla conversione delle pubbliche rendite, in cui combatté la conversione forzosa della rendita ad interesse più basso; nel '37, sempre a Napoli, le Considerazioni sul dazio d'introduzione dei libri stranieri nel Regno, in cui si dichiarò favorevole alla diminuzione del dazio, che dava un'eccessiva protezione alle tipografie indigene e non ostacolava la diffusione dei libri perniciosi, contro i quali doveva agire la censura; nel '39 a Napoli le Considerazioni sulle opere pubbliche della Sicilia di qua del Faro dai Normanni sino ai nostri tempi, utile per la parte relativa al periodo borbonico per l'esposizione delle leggi che regolavano il settore dei lavori pubblici e per un'ampia appendice di documenti ricchi di dati statistici (un capitolo Del modo come i pubblici lavori sono eseguiti in Francia,in Inghilterra,nell'America del Nord testimoniava la larghezza d'interessi del C.); ancora a Napoli nel '39 le Considerazioni sulla riforma dei pesi e delle misure nel Regno delle Due Sicilie al di qua del Faro, in cui, pur riconoscendo l'utilità di un sistema unico per tutto il Mezzogiorno, giudicava controproducente una disposizione legislativa e consigliava la diffusione dei pesi e delle misure della capitale con una paziente opera di persuasione da parte delle autorità.

Il C. tornò al governo nel gennaio del 1840, assumendo la carica di presidente del Consiglio dei ministri alla morte del duca di Gualtieri. In quell'anno ci fu un contrasto con l'Inghilterra: nel 1838 il governo aveva concesso ad una compagnia francese il monopolio del commercio dello zolfo siciliano, allora molto richiesto, provocando le proteste dei negozianti inglesi. L'Inghilterra pretese fin dal primo momento l'annullamento del contratto, e poiché con le pressioni diplomatiche non raggiunse lo scopo, nell'aprile del '40 passò a rappresaglie, con la cattura di un certo numero di navi mercantili napoletane. Dopo avere invano tentato di resistere, il governo borbonico dovette accettare la mediazione francese e subire le imposizioni dell'Inghilterra: scioglimento del contratto e risarcimento dei sudditi inglesi danneggiati (esteso ai commercianti francesi). Il C., favorevole all'accordo all'inizio del '40, fu col re nel proposito di resistere alla prepotenza quando fu attuato l'intervento armato, ma non ebbe parte preponderante nell'andamento della vertenza, gestita da Ferdinando II (cfr. V. Giura, La questione degli zolfi siciliani,1838-1841, Genève 1973). Anche nel 1844, in occasione dell'arresto dei fratelli Bandiera, il C. fu per l'intransigenza e sostenne la necessità dell'esecuzione della condanna a morte. In effetti era consapevole del fermento esistente nel Regno, aggravato dalla carestia del 1943-44, e temeva lo scoppio di una rivoluzione europea come nel 1820: perciò propugnava una politica di prevenzione e di repressione. In questo si incontrava con le convinzioni di Ferdinando II, che dal 1837-38 aveva accentuato l'accentramento in politica interna, e dopo lo scacco del '40 l'isolamento in politica estera.

Tale indirizzo non era ben visto dal duca di Montebello, ambasciatore francese a Napoli, che in un rapporto al Guizot del 1844 così illustrava le ragioni dell'influenza esercitata sul re dal C., rappresentato come un reazionario: "Integro in un paese dove tale virtù è così rara - egli scriveva -, avente il vantaggio di seguire un sistema e essere guidato da dei principii tra uomini che non pensano che alla loro vanità o ai loro interessi, egli ha abilmente esplicato la sua posizione di presidente del Consiglio per tenersi in una sfera superiore a quella dei suoi colleghi, per non partecipare ai loro fatti, restare estraneo ai loro intrighi ed esercitare su di essi una specie di controllo, avendo cura di far desiderare i suoi avvisi, di far comprendere al re la convinzione del suo spirito onesto e disinteressato" (M. H. Weil, Le condizioni del Regno di Napoli nell'autunno del 1843 e dopo la fucilazione dei fratelli Bandiera, in Arch. stor. per le prov. napol., XLVII [1922], pp. 365-388).

Conservatore intelligente, il C., se voleva la dura punizione degli elementi che giudicava sovversivi, non riteneva che si potesse trascurare l'evoluzione dell'opinione moderata in corso in Italia, specialmente in seguito alla pubblicazione del Primato giobertiano. Nel 1845, in occasione del congresso degli scienziati, intervenne affinché fosse permessa al Salvagnoli la venuta a Napoli, vietata per ragioni politiche dal ministro di Polizia. Dopo l'elezione di Pio IX avvertì l'esigenza di non deludere le attese della classe dirigente. Nell'estate del '46 prospettò l'utilità di ridurre il prezzo del sale e di abolire il dazio sul macinato o diminuire la fondiaria. Quindi in una lunga relazione al re dell'8 settembre fece una serie di proposte tendenti a migliorare l'amministrazione dello Stato, a dare pubblicità ai bilanci, a rendere effettiva l'autonomia di province e comuni, a concedere una limitata libertà di stampa, a venire incontro alle richieste di autonomia della Sicilia. Il C. concludeva mettendo l'accento sulla moderazione delle sue proposte: proprio perché avverso ai regimi costituzionali, egli riteneva necessario fare qualche sacrificio alla pubblica opinione, e cercare di rafforzare il regime assoluto ottenendogli l'adesione della media borghesia.

Ferdinando II non seguì tempestivamente i suggerimenti del suo ministro. Una riduzione delle imposte a far tempo dal 1º genn. '48 fu concessa il 13 ag. '47, e solo il 17 genn. '48 furono date le riforme amministrative proposte dal C.: ormai la rivoluzione trionfante in Sicilia e le manifestazioni politiche che si susseguivano a Napoli rendevano anacronistiche le modeste concessioni. Costretto dagli avvenimenti, il re decise di dare la costituzione, e il C. si dimise il 27 gennaio con tutto il ministero.

Ritiratosi a vita privata, restò in disparte anche dopo il ritorno all'assolutismo, continuando soltanto una ridotta attività culturale quale membro dell'Accademia delle scienze. Come presidente di questa non volle firmare un indirizzo al re per l'abrogazione della costituzione, ritenendo non degno del sovrano ritirare una concessione liberamente fatta.

Morì a Napoli dopo breve malattia il 21 maggio 1862, assistito dalla terza moglie, Isabella Neri, che aveva sposato il 31 maggio 1834.

Scritti: Quadro dello stato di amministrazione della provincia di Aquila dall'epoca del ritorno di Sua Maestà, Aquila 1816; Opere, I-II, Napoli 1847 (tranne l'opuscolo sopracitato e le Riflessioni su la polizia, comprende tutti gli scritti pubblicati fino a tale data, composizioni poetiche, elogi e discorsi accademici, saggi economico-politici).

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Archivio Borbone: corrisp. del C. con Ferdinando II (fascio 807/11) e col duca di Gualtieri (fascio 1121/1); corrisp. di minore interesse con Ferdinando I del 1820-23 (f. 281), con G. Caprioli e D. Corsi del 1840-41 (f. 826), con G.B. Fardella del 1835-36 (f. 1131), col comandante della colonna mobile nel Molise nel 1847 (f. 939). Docc. raccolti dal C. riguardanti la missione del 1826 nelle province, l'ordine pubbl. nel 1823-36 e 1840-44, i Bandiera e il moto di Cosenza sono in Arch. di Stato di Napoli, Arch. privati,Carte Ceva Grimaldi di Pietracatella. Per l'atto di nascita cfr. Napoli, chiesa di S. Giorgio dei Genovesi, Libro terzo dei battezzati(1753-1826), f. 47. Attestati dei tre matrimoni sono in Arch. di Stato di Napoli, Arch. privati,Archivi Serra di Gerace,Alberi genealogici (mss.). La biogr. princ. è di C. Neri, G.C.G., marchese di Pietracatella. Cenni biogr., Napoli 1879. Si v. inoltre, per alcuni problemi e vicende, R. Church, Brigantaggio e società segrete nelle Puglie(1817-1828), Firenze 1899, pp. 24 s., 43, 47, 149 s., 286, 290 s.; V. Zara, La Carboneria in Terra d'Otranto,1820-1830, Torino 1913, pp. 19, 131 ss.; A. Genoino, Le Sicilie al tempo,di Francesco I, Napoli 1934, pp. 287-90, 297, 333, 375; G. Cingari, Il dibattito sullo sviluppo econ. del Mezzogiorno, in Problemi del Risorgimento meridionale, Messina-Firenze 1965, pp. 7, 28, 31, 53, 64-67, 90 s., 117.

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