CHEIRONOMIA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)

CHEIRONOMIA (χερονομία)

I. Jucker

Fonte principale per l'identificazione del significato sono le menzioni letterarie, di cui quella nell'Onomastikon di Polluce (2, 153) offre la definizione più esatta: χειρονομῆσαι δὲ τὸ ταῖν χεροῖν ἐν ῥυϑμῷ κινηϑῆναι (gesticolare ritmicamente).

Dobbiamo al solo Quintiliano una descrizione dettagliata dell'estensione del significato del termine cheironomia; gli altri scrittori l'impiegano unicamente per determinati aspetti del concetto nel suo complesso. Quintiliano tratta della ch. (Inst. orat., i, ii, 15-19) affermando: haec chironomia, quae est, ut nomine ipso declaratur, lex gestus ... La sua traduzione di cheironomia con lex gestus è inesatta (in latino si dice gestus non solo delle mani, ad esso corrisponde in greco il termine ϕορά; in -nomia Quintiliano vede νόμος "legge", ciò che è falso. Cheironomia è sostantivo verbale di χειρονομέω, cioè *χεῖρας νόμειν, "muovere o agitare le mani [o le braccia]", espressione che veramente in Grecia non è provata da testimonianze. Invece in Pindaro (Nem., 6, is) si trova πόδα νέμειν e in Omero (x, 24) già πόδα νομᾶν [iterativo]. Concludendo avremmo dunque: πόδας νομᾶν in Omero, πόδα νέμειν in Pindaro, *χεῖρας νέμειν, χειρονομέω), il che però mostra che almeno nel I sec. d. C. con ch. s'intendeva un movimento con norme fisse.

Il termine ch. si riferisce a: 1) lo sport (palaestra); 2) la retorica (pronuntiatio); 3) la danza (saltatio).

Nelle fonti scritte greche cheironomia è per lo più collegata in qualche modo con la danza, già nella più antica e più famosa testimonianza di Erodoto (vi, 129), dove si tratta dell'episodio di Ippocleide.

Questo nobile pretendente della figlia del tiranno Clistene di Sicione si giocò il matrimonio, dapprima danzando dopo il pranzo con sfrenatezza su un tavolo (ὠρχήσατο), poi appoggiandosi con la testa sul tavolo e dimenando le gambe (τοῖσι σκέλεσι ἐχειρονόμησε). A causa del non appropriato (οὐκ ἔστιν κυρία λὲξις) uso del termine cheironomèo il passo viene citato da Aristotele (Eth. ad Eud., 7, 13, 2), da Eustazio (Comment. ad Iliad., A 598), da Polluce (Onomastikon, 2, 153). Anche in Senofonte (Symp., 2, 19), l'espressione viene usata in antitesi ad una danza ordinata: Carmide ha sorpreso Socrate che danza e vorrebbe rivaleggiare con lui; dato che non ha mai imparato a danzare, si accontenta di esercizi con le braccia (ἐχειρονόμουν).

Queste prime citazioni mostrano ambedue che cheironomèo originariamente significava semplicemente "muovere le braccia"; ciò si deduce anche dalla derivazione etimologica della parola data precedentemente. Successivamente il riferimento del termine al movimento delle mani e delle braccia nella danza diviene sempre più esclusivo, come si può dedurre soprattutto da due passi di Ateneo:

Nel libro 14, 631 c, si dice che la pirrica è chiamata anche ch., come ripete Eustazio (Comment. ad Iliad., XIII, 731); ciò si deve spiegare con il fatto che il movimento delle braccia nella danza guerriera ha avuto una parte così predominante che poté senz'altro dare la denominazione a tutta la danza. Anche la gimnopedica affine alla pirrica si contraddistingue per grazia e atteggiamenti delle mani: Ateneo (ἐρρύϑμους ϕοράς τινας ἀποτέμνοντες καὶ σχήματά τινα τῶν χειρῶν κατὰ τὸ ἁπαλόν.

In Ateneo (14, 629 b) leggiamo che erano conservate sculture di antichi artisti, rappresentanti figure in atteggiamento di danza, che apparivano elaborate con particolare cura riguardo alla cheironomia. Di simili sculture ben poco è giunto sino a noi; si pensa alle cosiddette danzatrici in bronzo da Ercolano al museo di Napoli. Per queste figure danzanti Ateneo adopera il concetto di ch. nello stesso senso di κινήσεις e σχήματα, che egli usa poco dopo per le stesse figure. Con Esichio infine χειρονόμος ha preso lo stesso significato di ὀρχηστής. In Giovenale (Sat., 2, 6, 63) e in Aristeneto (Epist., I, 26) cheironòmos significa pantomima. Aìtre volte i poeti latini circoscrivono il concetto cheironomèo con brachia iactare e simili espressioni (ad es. Lucrezio, 4, 769; Ovidio, Fasti, 3, 536, ecc.).

Importante è Ateneo (i, 21 f - 22 a), per cui Telesi, o Teleste, il maestro di orchestra di Eschilo, sarebbe stato un danzatore così straordinario da riuscire con le mani a rendere le parole completamente chiare: ἄρκως ταῖς χερσὶ τὰ λεγόμενα δεικνύς. Ciò preannuncia già la successiva evoluzione della danza nel pantomimus romano; δεικνύς ricorda la σεῖξις in Plutarco (Quaest. conv., 9, 15, 747 B), che indubbiamente si riferisce al pantomimus romano. La ch. è partecipe in tutti i tre elementi, ϕορά, σχῆμα, δείξις, di cui si compone, secondo questo filosofo, la danza. La ch. è estranea alla danza soltanto quando i danzatori, come in determinate ridde, si prendono per mano.

È notevolmente più difficile afferrare la ch. nella tradizione figurativa di quanto lo sia nella letteratura antica.

Del gran numero di nomi di danze tramandatici o di singoli σχήματα debbono essere scelti quelli che certamente abbiano da fare qualcosa con le mani, così χεὶρ σιμή, χεὶρ, σιμή, χεὶρ καταπρηνής, σκώπευμα, forse anche ξιϕυσμός. In una minuziosa indagine V. Festa (1918) ha indicato in skòpeuma, chèir simè e chèir kataprenès, la ch. della sìkinnis e cita come la più convincente testimonianza figurativa il consta Nikoleos sul vaso napoletano di Pronomos, il quale tiene pie in su la mano sul braccio steso orizzontalmente. Certo non è lecito riferire questo schèma unilateralmente alla ch. della sìkinnis, poiché esso è annoverato da Polluce e da Esichio tra gli schemata tragica e appare altrettanto di frequente nelle danze di carattere serio, così nella Tomba del Triclinio a Tarquinia, e su una metopa del tempio alla foce del Sele. Con sicurezza si può indicare anche il gesto dello σκοπός, σκώπευμα o ὑπόσκοπος χείρ, per cui possediamo molte ed esatte fonti letterarie nonché una quantità di esempi nelle arti figurative. Una ch. caratteristica era propria della danza "con le mani intrecciate", evidentemente derivata dalla Persia, di cui ha trattato ultimamente E. Roos; purtroppo per questo schema, rappresentato spesso nell'arte greca, non abbiamo nessun nome antico.

Ch. nella palaestra: il suo significato risulta chiaro da una perifrasi di Platone (Leg., 8, 830 c).

Per la preparazione ad un incontro di pugilato ci si serve di un pupazzo (εἴδωλον), altre volte chiamato kòrykos, per esercitare i colpi su di esso come ad esempio sulla cista Ficoroni (v.); qualora manchino sia allenatori sia un pupazzo, si lotterà con le "ombre" (σκιαμαχεῖν) oppure si "gesticolerà" (χειρονομεῖν). La parola in questo nesso si è trasformata in un termine tecnico del linguaggio del pugilato, come si rileva da Plutarco (Quaest. conv., 9, 15, 747 B), da Luciano (De salt;, 78) e soprattutto da Pausania (6, 2, cap. 9, 9-10, 3) e significa: "essere padrone di una determinata tecnica dei colpi". Questa tecnica aveva Glauco, vincitore di numerosi incontri di pugilato, di cui Pausania vide ad Olimpia la statua di vincitore nell'atteggiamento di un "lottatore con le ombre"; la statua era stata innalzata appunto senza il corrispondente avversario. Il rilievo sepolcrale del pancraziaste Agacle ad Atene, benchè eseguito alcuni decenni dopo, ci può dare un'idea approssimativa dell'aspetto della statua. Una arguta illustrazione per l'esercizio dello skiamachéin la possediamo su una pelìke a figure nere del VI sec. a. C. a New York in cui due pugilatori tirano i loro colpi in aria ritmicamente con l'accompagnamento del flauto.

Come ch. si annovera infine anche quella dei retori.

Già in Omero (Iliade, iii, 216 ss.) Odisseo come ambasciatore dei Greci appare sciocco ai Troiani perché tiene immobile il suo scettro mentre parla (il passo è commentato da Eustazio). Ma particolari più esatti sui gesti dell'oratore li possediamo per la prima volta da Quintiliano, il quale, riferendosi a Socrate, Platone e Crisippo, cita la ch. come una disciplina dell'educazione dei giovani (Inst. orat., I, Il, 15 ss.). Egli raccomanda dapprima una certa preparazione nella ch. della danza e della palestra, che deve poi servire come base alla ch. retorica per la quale egli sviluppà nel libro xi un sistema completo (3, 65 ss.; per quanto concerne le mani, 85 ss.). Anche qui è insita nella ch. una legge, dato che essa deve seguire a tempo esattamente il discorso (108 ss.). E senza dubbio problematico collegare i gesti delle statue dei filosofi greci conservateci e i filosofi in gran parte si sentivano oratori - con la ch., per esempio del Demostene di Polieuktos, del Grisippo o della statuetta di bronzo nel British Museum (cfr. Cic., De fin., i, 39 e Sid. Apoll., Epist., 9, 9, ii). Possediamo invece un gesto dei retori della metà del V sec. a. C. nell'Hermes Ludovisi, il cui moderno braccio destro deve essere completato come quello della statua di Kleomenes (v.) al Louvre.

La ritmica della ch. sopravvive nel significato medievale di "dirigere" che si trova già in un passo nella tarda letteratura greca (Aristeneto, Epist., 1, 10). Egualmente in epoca tarda ed isolatamente compare il significato di "linguaggio a segni" (Claud. Ael., Var. hist., 14, 22). Come "linguaggio dei gesti" in senso generale il termine ch. non viene usato, mentre si adopera σχῆμα (schema).

Monumenti considerati. - Consta Nikolaos sul vaso di Pronomos: Furtwängler-Reichhold, tav. 143-145.

Tomba del Triclinio a Tarquinia: Mem. Am. Ac., vi, 1927, tav. 2.

Metopa dell'Heraion del Sele: P. Zancani-Montuoro-U. Zanotti Bianco, Heraion alla foce del Sele, Roma 1951, i, tav. 41-43.

Rilievo sepolcrale del pancraziaste Agacle: B. Schröder, Der Sport im Altertum, Berlino 1927, tav. 93.

Pelike a figure nere di New York: Journ. Hell. Stud., LXXI, 1951, p. 40 5., fig. 2; J. D. Beazley, Black-fig., 1956, p. 384, n. 19.

Demostene di Polieuktos: T. Dohrn, in Jahrbuch, lxx, 1955, p. 65 ss.

Crisippò: K. Schefold, Die Bildnisse der antiken Dz,'chter, Redner und Denker, Basilea 1943, p. 125, n. 3.

Statuetta in bronzo del British Museum: K. Schefold, op. cit., p. 146, n. 2.

Hermes Ludovisi: E. Paribeni, Museo Nazionale Romano. Sculture greche del V secolo, Roma 1953, p. 26, fig. 28, confronta Enciclopedie Photographique de l'Art, 3, Parigi 1938, Tav. 270 Ss.; Röm. Mitt., l, 1935, p. 251 ss.

Bibl.: J. Meursius ha raccolto ed interpretato molti antichi passi nel Thesaurus Graecarum Antiquitatum di J. Gronovius, Venezia 1688, 8, s. v. Orchestra, col. 1298 ss., s. v. Χειρονομέω e Χειρονομία. Altre fonti citate nel Thesaurus Graecae Linguae di Stephanus, 8, col. 1413 ss., s. v. Χειρονομέω; Liddell-Scott, A Greek-English Lexicon, s. v. Χειρονομέω. Alle citazioni di questi lessici va aggiunto: Stephanos in Aristoteles, Rhet., 3, 8 (1408 b 36); Pauly-Wissowa, 3, 1899, c. 2224, s., s. v. cheironomia e II serie, 4, 1932, c. 2243, s. v. Tanzkunst; C. Sittl, Die Gebärden der Griechen und Römer, Lipsia 1890, p. 226 e p. 242; M. Emmanuel, Essai sur l'orchestique grecque, Parigi 1895, p. 94 ss.; id., De saltationis disciplina apud Graecos, Parigi 1895, p. 19 s., p. 2, s., p. 39 ss.; V. Festa, Sikinnis, Storia di un'antica danza, in Mem. d. R. Acc. di Napoli, III, 1918, p. 37 ss.; L. B. Lawler, The Maenads, in Memoirs Am. Acad., VI, 1927, p. 74; B. Schröder, Der Sport im Altertum, Berlino 1927, p. 148 per quanto riguarda la palestra; per il gesto dello Skops, skòpeuma: I. Jucker, Der Gestus d. Aposkopein, Zurigo 1956, p. 11 ss e fig 1 (anfora da Orvieto, J. D. Beazley, Black-fig., 1956, p. 244, nn. 46); E. Roos, Die tragische Orchestik im Zerrbild der altattischen Komödie, Stoccolma 1951, pp. 168, 176, 176; L. B. Lawler, Phora, Schêma, Deixis, in the Greek Dance, in Transactions and Proceedings of the American Philological Association, 85, 1954, passim. Sulla sopravvivenza della ch. nel Medioevo: C. Sachs, Rhytm and Tempo, New York 1953, p. 217.