CARRARA SPINELLI, Chiara

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARRARA SPINELLI, Chiara (Clara)

Felice Del Beccaro

Nata a Bergamo il 13 marzo 1814 dal conte Giambattista e da Ottavia Gambara, dalla madre, di carattere ardente e irrequieto, fu affidata al collegio degli Angeli, a Verona. Qui strinse amicizia con la contessina Teresa Mosconi, che le decantava le conoscenze illustri della propria madre - I. Pindemonte, G. Perticari, V. Monti - suscitandole curiosità e interesse per l'ambiente letterario contemporaneo. Alla morte della madre, il padre trasferì la C. a Milano nell'istituto di educazione di madame Garnier, frequentato dalle figlie degli aristocratici.

Vi si insegnava religione, lingua e conversazione francese, musica, danza, e soprattutto belle maniere per ben figurare in società. Ma l'insegnamento del padre, letterato, sempre affettuosamente vigile, dovette avere non poca parte nella formazione della fanciulla. Alcuni suoi consigli di costume (cfr. Barbiera) sembrano preformare la fondatrice del famoso "salotto": "La libertà della buona conversazione non si gode dalle signore che in casa loro: se non che, per fruire di così schietto passatempo, bisogna por giù quel sostenuto e quel contegnoso che a favellare non invita, e mette quasi in soggezione colui che avrebbe voglia di conversare. Se la tua conversazione è pel consorzio dell'amicizia e del merito, puoi sbandire da essa tutti quei riguardi che chiamansi pregiudizi, i quali inceppano un conversare allegro e disinvolto. Talora le gentildonne rugose, che hanno lo spirito di vent'anni, sono meglio vedute e frequentate che le giovani fresche ed eleganti".

Era ancora in collegio quando il padre le presentò un giovane poeta trentino, di Molina in Val di Ledro, maggiore di lei di sedici anni, Andrea Maffei, che già si era fatto conoscere nell'ambiente culturale milanese. Lo sposò il 10 marzo 1832, e si stabilì col marito a Milano, dove questi era impiegato presso il Tribunale d'appello. La morte della figlia, che non superò l'anno di vita, la colpì in modo particolare; trovò conforto nelle numerose amicizie che il marito e il padre si ingegnarono di accrescerle, soprattutto in campo letterario, per distrarla. Si formò in questo modo, nel corso dell'anno 1834, secondo quanto ha ricostruito il Barbiera, il "salotto della contessa Maffei", nella sua casa di via dei Tre Monasteri, poi via del Monte di Pietà; ne furono promotori M. d'Azeglio, G. Carcano e T. Grossi, e tra i primi frequentatori fu il pittore F. Hayez.

Il salotto ebbe in un primo tempo carattere di ritrovo prevalentemente artistico-letterario, con un inevitabile tono mondano, senza però escludere interessi patriottici. Ben presto la sua notorietà si diffuse anche all'estero, in particolare in Francia, a Parigi, come fanno fede i rapporti epistolari della C. con G. Sand, e le visite che le fecero Balzac nel febbraio del 1837 (guidato dalla C. nella visita ai monumenti milanesi), e F. Liszt con Marie d'Agoult, meglio nota con lo pseudonimo di Daniel Stern, l'anno successivo.

L'incontro con Balzac segnò l'inizio di una reciproca cordiale amicizia. Secondo il Barbiera, sarebbe stata la C. a suggerire a Balzac il titolo Gambara per un racconto, stampato ma non posto in commercio in quel medesimo anno 1837, che ha per sfondo la vita in esilio dei patrioti italiani. Lo scrittore regalò all'amica le bozze dei Martyrs ignorés, e, nel 1842, le dedicò il racconto La Fausse maîtresse che fa parte delle Scènes de la vie privée.Altri stranieri di passaggio ricevuti dalla C. furono il pianista S. Thalberg, il compositore C. A. Gomez, il poeta F. Coppée, W. E. Gladstone e J. Webb Probyn. Notevole parte ebbe nel salotto Maffei anche la presenza di musicisti e l'attività musicale con concerti.

Particolarmente affettuosa fu l'amicizia tra la C. e G. Verdi. Le venne presentato dopo il successo alla Scala del Nabucco (9marzo 1842), e rimasero in corrispondenza. Le fece visita nel 1847, in compagnia di G. Carcano, nella paterna villa di Clusone dove era solita trascorrere parte dell'estate e dell'autunno e che aveva particolarmente cara. Andrea Maffei scrisse il libretto dei Masnadieri, e collaborò a quello del Macbeth di cui è autore F. M. Piave. Nei periodi di permanenza a Clusone la C. riservava il "salotto" soltanto agli intimi.

Nel 1842 il salotto Maffei - era stato trasferito nel palazzo Belgioioso - annoverò, tra i frequentatori, letterati e uomini politici quali G. Prati, G. Giusti, C. Cattaneo, G. B. Bazzoni, C. Betteloni, F. Romani, C. Correnti, L. Manara, E. Cernuschi, G. Zanardelli.

L'unione tra la C. e il marito non durò a lungo. La separazione, cui giunsero di comune accordo, è attestata da un atto notarile steso da T. Grossi il 16 giugno 1846, nel quale figurano testimoni G. Carcano e G. Verdi. Il Maffei si trasferì a Venezia, e la C. andò ad abitare in via del Giardino, poi via Manzoni, portando infine il salotto, nel 1850, in via Bigli, che ne fu l'ultima sede. L'orientamento degli interessi e delle discussioni, dal 1848 al 1959, fu prevalentemente politico e in consonanza con la nascente egemonia moderata; nello stesso tempo, l'influenza d'opinione del salotto oltrepassò la Lombardia. In quel periodo vi passarono o ne furono frequentatori G. Rosa, E. Dandolo, S. Jacini, R. Bonghi, P. Ferrari, C. e A. Boito, G. e E. Visconti Venosta, I. Nievo. La C., da seguace delle idee di Mazzini, diventò, durante la preparazione della campagna del '59, simpatizzante e sostenitrice della politica moderata liberale; ciò forse anche per influsso dell'amicizia e dei legami sentimentali con C. Tenca, il cui giornale Il Crepuscolo nacque appunto nell'ambiente del celebre salotto.

Durante le Cinque giornate (18-22 marzo 1848) la C. si prodigò nel soccorrere i feriti. In quelle circostanze ebbe occasione di incontrare anche Cristina di Belgioioso, che non vedeva da tempo e che entrò in Milano insorta il 6 aprile successivo alla testa di un battaglione napoletano; fra le due donne però non ci fu intesa. Al ritorno degli Austriaci (agosto del '48) la C., in compagnia del Tenca e della madre di questo, riparò da Milano a Locarno; lì incontrò il Mazzini, il quale sembra non le dimostrasse molta simpatia. Successivamente tornò a Milano; per quanto in sospetto, non fu mai perseguita dalla polizia. Fu in apprensione per i compromessi nel moto del 6 febbr. 1853, ché la severità della repressione colpì anche taluni frequentatori del salotto, come A. Lazzati, G. Finzi e C. De Cristoforis, il quale ultimo, ardente mazziniano, riuscì a mettersi in salvo a Zurigo.

La successiva politica di distensione e di promesse riforme dell'Austria, che inviò a Milano il mite e colto arciduca Massimiliano, non trovò consensi nell'ambiente del salotto Maffei. Soltanto lo Jacini, già affermato economista, rispose all'invito di studiare le tristi condizioni dei contadini della Valtellina, il che non piacque agli amici del salotto. Prodigandosi nella sua attività patriottica, la C. raccolse i fondi per il monumento ai soldati del regno di Sardegna caduti in Crimea, e fu più che mai infaticabile nel soccorrere i feriti della campagna del '59, che aveva veduto emigrare in Piemonte per arruolarsi gran numero di giovani lombardi fra i quali non pochi frequentatori del salotto Maffei. In quel periodo erano aperti a Milano altri due salotti patriottici, quello di Carlo e Mariquita D'Adda e quello di Marianna Trivulzio Rinuccini, aristocratici ambedue, mentre quello Maffei era frequentato in prevalenza dalla borghesia intellettuale.

L'8 giugno 1859 le truppe franco-piemontesi entravano in Milano con in testa i rispettivi sovrani, e il salotto Maffei ricevette festosamente gli ufficiali dei due eserciti. Il 31 dicembre, per festeggiare la conclusione dell'anno in cui la Lombardia si era liberata dallo straniero, la C. organizzò un grande ricevimento al quale partecipò, fra gli altri, la improvvisatrice Giannina Milli che declamò un sonetto inneggiante alla libertà.

L'attività della C. ebbe una eco particolare in Francia. Emile Saigey, sotto lo pseudonimo di Edgar Saveney, pubblicò un articolo, La Lombardie depuis la guerre de l'Indépendance, sulla Revue des Deux Mondes, 15nov. 1860 (pp. 374-399), nel quale, pur senza farne il nome, tesseva un caldo elogio della C. mettendone in evidenza l'appassionato amor di patria, la cultura, la finezza, la signorilità, per concludere: "Qu'on fasse l'Italie une sous un gouvemement quelconque et elle mourra contente". Intorno a quei medesimi anni riceveva la visita della poetessa francese Louise Colet che ne scrisse poi con ammirazione, paragonando la C. a madame Récamier e riconoscendole "une foi politique inébranlable et un patriotisme éloquent".

Il salotto Maffei continuò a seguire con i suoi interessi patriottici le tappe successive dell'indipendenza italiana. La C. strinse sempre più l'amicizia con Manzoni, che conosceva di persona, e con Verdi. Al primo faceva visita settimanalmente, raccogliendo il meglio delle conversazioni in un diario che fu poi ritrovato dal Barbiera. Volle anche che i due si incontrassero (andò una volta a far visita a Verdi a Sant'Agata nel maggio del '68), ciò che avvenne in casa Manzoni il 30 giugno 1868. Era ormai stabilmente legata al Tenca, per quanto assai diversi per alcuni aspetti: lui di origini umili, formatosi sulla cultura illuministica e ateo, lei aristocratica e profondamente credente.

Il carteggio intercorso fra i due, per quanto molte lettere siano andate perdute, illumina a sufficienza i loro rapporti; non una appassionata storia d'amore: "i due si volevano bene, ma di personale c'è poco più che una fittissima documentazione su viaggi, occupazioni, amici e parenti…" (G. Bezzola). Il carteggio vale soprattutto a rendere la psicologia dei due corrispondenti, e contribuisce ad illustrare certi modi di sentire le vicende italiane dopo l'Unità (1861-82): "la nota più viva è quella della delusione, nel vedere che, anche dopo la presa di Roma, l'Italia da fare era assai più indietro di quanto non si pensasse, e in gran parte sorda alle parole di patriottismo e di progresso della borghesia liberale" (Bezzola).La C. rivide il marito il 29 nov. 1868 in casa di comuni amici, e i loro rapporti ripresero su di un piano di semplice per quanto cordiale amicizia. Nel marzo 1876, passato il potere dalla Destra alla Sinistra, il salotto Maffei manifestò diffidenza verso la politica di A. Depretis. Dei due frequentatori divenuti ministri, il Correnti e lo Zanardelli, fu privilegiato il secondo, il primo rivelando simpatie per la Sinistra. Ma l'autorevolezza e l'influenza del salotto Maffei erano venute decadendo, anche per la scomparsa di un'epoca e degli amici più assidui. Tra gli ultimi frequentatori furono: A. Aleardi, L. Calamatta, E. Broglio, E. Praga, G. I. Ascoli, I. U. Tarchetti, S. Farina, P. E. Giudici, A. Torelli, G. Verga, C. Percoto, E. Cattermole (Contessa Lara), A. Catalani, G. Negri. In là con gli anni, di salute sempre più cagionevole, la C. si veniva chiudendo in un mondo di ricordi. Gravemente ammalata, venne in ultimo assistita da Verdi, recatosi sollecitamente a Milano da Montecatini in Val di Nievole dove si trovava per cura. La C. morì a Milano il 13 luglio 1886.

La C., per la quale anche F. Dall'Ongaro riprese la definizione di "Récamier d'Italia", ebbe i limiti ferrei della cultura delle fanciulle aristocratiche d'allora, una formazione in sostanza di donna come ornamento mondano. Fu benefica, e abilissima nel ricevere con signorilità e nel creare armonia tra i suoi frequentatori, ma seppe anche, pur con i limiti e dell'origine e della sua disponibilità agli orientamenti d'idee prevalenti, interpretare certe esigenze d'emancipazione femminile, oltre che arricchendosi con le molte letture ed i fitti rapporti sociali, anche impegnandosi nel discorso politico e rivendicando, al di là di motivazioni esibizioniste, spontaneità e libertà da convenzioni.

Fonti e Bibl.: Carteggio Tenca-Maffei (1861-1882), I-III, a cura di L. Iannuzzi, Milano 1974; L. Colet, L'Italie des Italiens, I, Paris 1862, pp. 135-140, 384 e passim;R.Barbiera, Il salotto della contessa Maffei e la società milanese (1834-1886), Milano 1895; A. Monti, Una passione romantica dell'Ottocento: C. Maffei e C. Tenca, Milano 1940; G.Bezzola, in Corriere della Sera, 30 ott. 1974.

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