CHIARAMONTE, Manfredi, conte di Modica

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CHIARAMONTE (Chiaromonte), Manfredi, conte di Modica

Salvatore Fodale

Figlio illegittimo di Giovanni (II) il Giovane (m. nel 1342), fu il terzo della famiglia con questo nome. In data imprecisata divenne capitano di Siracusa e di Lentini, appartenenti alla Camera reginale. Informato della rivolta guidata da Lorenzo Murra, scoppiata a Palermo contro il governo dei Chiaramonte, nel dicembre 1350, si mosse in armi dal Val di Noto in soccorso della propria fazione e di Manfredi (II), il capo della famiglia che era rimasto assediato nella città.

Ad Agrigento il C. unì le proprie forze a quelle di Simone Chiaramonte, insieme con il quale si trasferì a Caccamo altro possedimento della famiglia, donde, con tutti gli uomini che erano andati raccogliendo dai propri territori, il 25 genn. 1351 entrarono in Palermo, liberando il conte Manfredi (II) e soffocando la rivolta nel sangue. Tornato a Siracusa, nel marzo dello stesso anno, nonostante la tregua conclusa nel precedente novembre tra le fazioni che si contendevano il predominio sull'isola, sequestrò alcune degli avversari, che trasportavano a Catania il bottino fatto a Licata da Artale d'Alagona, e fece anche alcuni prigionieri tra i marinai. Proseguendo la lotta, il 13 maggio 1353 occupò Vizzini.

Dopo la morte del conte Manfredi (II), nell'aprile 1354 seguì a Messina Simone Chiaramonte, nuovo conte di Modica, e gli altri capi della famiglia e del partito chiaramontano, i quali riuscirono a imporre a Matteo Palizzi che il re Ludovico lasciasse la città, sottraendo così il sovrano al suo controllo. In giugno il re fu trasferito a Taormina, dove lo attendeva il C., che lo prese in custodia. Ma un mese dopo, alla morte del fratello, l'infante Giovanni, il re dovette essere ricondotto a Messina. Il C., intanto, proseguiva nella sua lotta contro l'Alagona: il 28 apr. 1354 aveva partecipato all'assedio di Catania e, costretto a ritirarsi, in maggio era stato a sua volta assediato in Lentini. Tuttavia l'alleanza dei Chiaramonte con Enrico Rosso, conte di Aidone, vecchio nemico dei Palizzi, che lo avevano esiliato da Messina, stava per provocare all'interno della parzialità latina lo scontro per il predominio tra le due famiglie dei Chiaramonte e dei Palizzi. Il 17 luglio 1354 Messina si rivoltò contro Matteo Palizzi, deponendolo dall'ufficio di stratigoto: la sommossa popolare giustificò l'intervento armato dei Chiaramonte, accampati col Rosso fuori della città, che si concluse con l'uccisione del Palizzi.

A metà gennaio 1355 il C. stroncò a Lentini un complotto contro di lui. Ma il 2 maggio anche Siracusa si ribellò alla sua signoria: la città contava infatti sul soccorso dell'Alagona, che andava allora devastando con i suoi fedeli la contea di Modica, approfittando della momentanea debolezza chiaramontana provocata dall'assenza dalla Sicilia del conte Simone, il quale, ribellatosi apertamente all'autorità del sovrano e condannato a morte e alla confisca dei beni, era riparato a Napoli dove perfezionava gli accordi per la adesione sua e del suo partito alla regina Giovanna I d'Angiò. Nel tentativo di riprendere Siracusa, il 9 maggio, il C. subì una dura sconfitta in battaglia campale. Il 13 maggio anche Lentini fu assediata e soltanto dopo che in giugno venne tolto l'assedio il C. uscì a devastare le terre di Mineo, Sortino, Noto e Caltagirone. Ciononostante Lentini, la roccaforte del suo potere, finì col cedere e fu occupata da Artale d'Alagona. Ma qualche tempo dopo le forze congiunte, per complessivi 600 cavalli, del C. e di Simone Chiaramonte, tornato dal continente, tesero un'imboscata ad Artale, infliggendogli gravi perdite: in seguito a questo scontro, Lentini poté tornare al C., ma Siracusa restò agli Alagona. Intanto, nel dicembre del 1355, a Lentini il C. avviò per i Chiaramonte nuove trattative di pace con gli Alagona, trattative che, proseguendo tra reciproci sospetti e violazioni di tregua, non portarono a concreti risultati. Continuarono anzi le azioni di guerra. Ai primi di maggio del 1356 il C. conquistò Cassibile; il 22 settembre, chiamato da Enrico Rosso, fece ingresso in Motta Sant'Anastasia, ma due giorni dopo dovette ritirarsi a Lentini, rinunciando a ogni operazione contro Catania, per la sortita dalla città delle truppe alagonesi.

Avuta notizia del solenne ingresso a Messina dei sovrani napoletani (24 dic. 1356), il C., imbarcatosi ad Augusta, raggiunse la città dello Stretto e qui, a nome proprio e di tutti i chiaramontani, prestò omaggio di fedeltà alla regina Giovanna I ed al marito di lei Luigi di Taranto; quindi rimase a Messina per trattare con gli Angioini e attendere e preparare la venuta del conte di Modica, il quale chiedeva di sposare Bianca d'Aragona, una sorella del re siciliano Federico IV, prigioniera degli Angioini. Le trattative matrimoniali non raggiunsero risultati positivi, oltre che per la sospettosa opposizione di Luigi di Taranto, anche per l'improvvisa morte del conte Simone, avvenuta a Messina il 16 marzo 1357, con sospetto di avvelenamento. Si diffuse contemporaneamente la notizia che il C. fosse tenuto prigioniero dagli Angioini. Sepolto però Simone, alla cui morte era stato presente, Mantredi lasciò Messina, riconducendo con sé a Lentini le truppe chiaramontane e imbarcando anche un carico di frumento.

Dopo la battaglia di Aci e il conseguente ritorno sul continente dei sovrani napoletani, il C. fu indotto dal peggioramento della situazione a concludere una tregua il 18 nov. 1357. L'accordo riguardava, da parte chiaramontana, i territori di Lentini, Buscemi, Palazzolo, Ragusa, Vizzini, Caltagirone, Piazza e Augusta, quella parte cioè del Val di Noto controllata ancora dai Chiaramonte e sottoposta al C., donde partivano gli attacchi contro Catania. La tregua venne rotta il 17 apr. 1358 da Artale d'Alagona, il quale il giorno dopo assediò il C. in Lentini ed attaccò poi Caltagirone e Piazza, che finirono col cadere in sua mano; anche Vizzini e Avola furono cinte d'assedio. Rifiutata l'offerta di un ingente riscatto, l'assedio di Lentini terminò l'11 maggio, dopo che gli armati dell'Alagona avevano completamente devastato la campagna circostante e distrutto tutte le messi. Ricevuti rinforzi da Napoli, il 28 luglio il C. compì a sua volta una scorreria contro Catania, arrivando fino alle mura della città. Nell'ottobre Vizzini venne nuovamente attaccata, nonostante la nuova tregua che Federico (III) Chiaramonte aveva concluso con i suoi avversari. Federico (III) Chiaramonte, in base al testamento del fratello Manfredi (II), era succeduto nella contea di Modica al nipote Simone, in mancanza di altri eredi. Dal Val di Mazara, dove forse era andato a unirsi in Corleone al nuovo conte di Modica, avuta notizia dei fatti di Vizzini, il C. tornò in Val di Noto e compì una scorreria contro Siracusa. Intanto Sutera, Piazza e Caltagirone in seguito a rivolgimenti interni tornarono ai Chiaramonte. Verso l'inizio del 1359, il C. andò in ambasceria alla corte di Napoli. Ai primi di aprile fu di ritorno a Messina, ma Artale d'Alagona aveva approfittato della sua nuova assenza per lanciare un altro attacco contro Lentini e, distruggerne di nuovo le messi. Il 24 aprile, tuttavia, il C. sbarcò ad Augusta e riuscì a raggiungere Lentini, sfuggendo ad un'imboscata tesagli dall'Alagona. Pochi giorni dopo Artale tolse l'assedio e il C. si mise allora a sua volta a compiere scorrerie nei territori di Buccheri, Giarratana e Mineo. Andò quindi alla difesa di Vizzini, nuovamente minacciata, ma in giugno dovette passare in Val di Mazara, per portare soccorso a Federico Chiaramonte, in difficoltà presso Salemi, e, benché avessero prima concluso un'altra tregua, l'Alagona approfittò della sua partenza per nuove devastazioni attorno a Vizzini.

Sia le perdite subite, sia il ritorno di Enrico Rosso alla parzialità catalana, resero più grave la situazione per i Chiaramonte: nell'agosto 1360 Lentini fu strettamente assediata e ai primi di novembre il C. si vide costretto a riparare a Messina in cerca di soccorsi. Tra il 28 e il 29 dicembre Lentini fu conquistata, con eccezione del castello vecchio, dove la moglie del C., Margherita Passaneto, figlia del conte Ruggero, rimase assediata con i figli fino al 25 marzo 1361, quando, caduto il castello per tradimento, madre e figli vennero fatti prigionieri e trasferiti a Catania. A Messina il C., scoperta una congiura filoalagonese, faceva strage degli avversari; devastò quindi la piana di Milazzo e, armate nove galee, il 14 maggio 1361, tentò di sbarcare a Siracusa e di riconquistare la città, ma dovette accontentarsi della cattura di alcune imbarcazioni.

Già ai primi di gennaio del 1361 i Chiaramonte, riappacificatisi col re, erano tornati all'obbedienza di Federico IV d'Aragona, ma l'accordo tra le fazioni fu definitivo solo con la pace di Castrogiovanni e di Piazza del 14 ott. 1362. Soltanto il C., il quale nell'ottobre 1361 era stato nominato dagli Angioini ammiraglio di Sicilia e vicario regio nell'isola e nel ducato di Calabria, si mantenne fedele a Napoli, benché avesse trattato anche lui col re Federico. Sospettato di tradimento, verso la fine del 1361 fu privato dell'amministrazione di Messina, che venne assunta da Niccolò Acciaiuoli, e costretto a recarsi a Napoli per rinnovarvi l'omaggio ai sovrani. Nell'ottobre 1363 era ancora a Napoli e, come uno degli ambasciatori della regina Giovanna, era atteso in Sicilia per trattare il matrimonio del re Federico IV con Giovanna di Durazzo, nipote e, in quel momento, probabile erede della regina. Il trattato di pace, che avrebbe dovuto accompagnare il matrimonio, prevedeva la riabilitazione del C. e il suo ritorno nell'isola.

Il matrimonio non fu concluso, ma nel 1364 il C. tornò, ultimo della sua famiglia, dopo circa un decennio, alla fedeltà al sovrano aragonese. Il 7 ottobre fu nominato dal re Federico ammiraglio del Regno e si adoperò efficacemente per la riconquista di Messina. La morte di Federico (III) Chiaramonte (2 genn. 1363), cui era succeduto nella contea di Modica il figlio Matteo, ne aveva del resto già innalzato la posizione e il prestigio anche nell'ambito della famiglia. Il 7 giugno 1365 ricevette dal re la contea di Mistretta, che era appartenuta ad Artale d'Alagona, il 4 maggio la contea di Malta, il 5 il feudo di Eraclea. Ma, soprattutto, ebbe di fatto, in sostituzione di Federico Chiaramonte, la signoria di Palermo, dove si trasferì da Messina, con la moglie Margherita e tutta la famiglia, alla fine del 1367. Non molto tempo dopo, rimasto vedovo, sposò in seconde nozze Eufemia Ventimiglia, figlia di Francesco (II) conte di Geraci e di Golisano, ponendo fine alle rivalità con quella famiglia. Nei primi del 1374 si rifiutò di accogliere il re, impedendogli di stabilirsi nella capitale, dove il sovrano intendeva essere incoronato, e lo obbligò a risiedere nel Castellammare, ma nel settembre lo accolse infine solennemente a Palermo.

Da allora, di anno in anno il C. accrebbe la sua forza, accentrando nelle sue mani i beni della famiglia. Nel 1374 ereditò da Giovanni (III) Chiaramonte la contea di Chiaramonte con Caccamo, nel 1377 da Matteo Chiaramonte la contea di Modica. Con privilegio reale del 1374, confermato nel 1375, ricevette in feudo Castronovo e Mussomeli. Nell'aprile 1380 la vedova di Enrico (I), Lillisendra de Moncada, gli donò tutti i beni sia feudali sia allodiali che avevano costituito la sua dote. Ereditò quindi anche i beni di Elichesenda, che era nipote ed erede di Ugo Talac. La sua signoria, esercitata in vario modo e a vario titolo, di diritto o soltanto di fatto, su terre feudali o demaniali, divenne vastissima, comprendendo, oltre a quelli indicati. moltissimi altri territori, tra i quali anche Trapani e Agrigento.

Dopo la morte del re Federico IV (27 luglio 1377), la Sicilia venne di fatto divisa tra quattro vicari generali, che dovevano amministrarla in nome della regina Maria. Nel 1378 il gran giustiziere Artale d'Alagona, nominato vicario nel testamento del sovrano, si associò nel vicariato il C., Guglielmo Peralta, conte di Caltabellotta, e Francesco Ventimiglia, in base agli accordi raggiunti nel convegno di Caltanissetta. Il 23 genn. 1379 la regina venne intanto sottratta alla tutela del gran giustiziere da Guglielmo Raimondo Moncada, conte di Augusta, non senza l'approvazione iniziale e la connivenza, dello stesso C., che voleva impedirne il matrimonio con Gian Galeazzo Visconti, progettato dall'Alagona, all'insaputa degli altri vicari. Rapita la regina Maria dal castello Ursino di Catania, Manfredi fornì infatti la galea necessaria per il trasferimento a Licata, territorio sottoposto alla sua signoria, ma, resosi conto delle finalità favorevoli agli Aragonesi che si proponeva il Moncada, e valutato il pericolo che esse costituivano per l'indipendenza dell'isola, tentò inutilmente di impossessarsi della regina, che finì invece per lasciare la Sicilia in mano agli Aragonesi. Martino d'Aragona, duca di Montblanc, si mise intanto in rapporti diretti con i vicari per preparare la spedizione in Sicilia. A partire dal 1382 scambiò con il C. lettere e ambasciatori.

La potenza del conte di Modica raggiunse, in questo momento, l'apice e, incontrastata tra i "latini", dava ombra allo stesso Artale d'Alagona. Egli intratteneva infatti rapporti diretti col papa Urbano VI, con le repubbliche marinare di Venezia, Genova e Pisa, con Napoli e con Firenze. Già imparentato attraverso la moglie Eufemia Ventimiglia con uno degli altri vicari, nel 1388 concluse il matrimonio della figlia Isabella con Nicolò Peralta, primogenito del vicario Guglielmo e dell'infanta Eleonora d'Aragona: assegnò alla figlia una dote di 12.000 once d'oro, di cui 10.000 in contanti.

Ad accrescere la magnificenza del suo palazzo palermitano, lo Steri, tra il 1377 e il 1380 fece eseguire la stupenda decorazione pittorica del soffitto della sala magna o dei baroni. La sua ricchezza e la posizione preminente da lui conquistata in Sicilia sono confermate, tra l'altro, anche dal pagamento nel 1388 del censo arretrato dovuto dall'isola al papa Urbano VI. Mentre il Peralta e il Ventimiglia contribuirono con mille fiorini ciascuno, e l'Alagona con 4.000, la quota versata dal C., in rapporto all'estensione del proprio vicariato, fu di 6.000 fiorini d'oro, cioè la metà dell'intera somma pagata dalla Sicilia in quell'occasione.

Nello stesso anno 1388 il C. organizzò una spedizione navale contro l'isola di Gerba, da dove partivano le incursioni della pirateria saracena. Ottenne per l'impresa l'approvazione e la benedizione di Urbano VI (bolla del 18 apr. 1388) e la partecipazione di dodici galee genovesi, cinque pisane e cinque veneziane, che si aggiunsero alle altre cinque allestite dallo stesso ammiraglio. Al suo comando, in agosto, i crociati conquistarono Gerba. Il C., che si proponeva di completare la conquista occupando le isole Kerkenna, ma che nel 1390 aveva perso nuovamente la stessa Gerba, ne ottenne probabilmente l'investitura da Urbano VI, al quale aveva inviato i suoi ambasciatori per farne richiesta, o dal successore Bonifacio IX. Infatti, già in un documento pontificio del 23 maggio 1390, in favore della sorella Angela, badessa del monastero di S. Chiara a Palermo, e poi nel testamento che, ormai malato, redasse l'8 sett. 1390, compare col nuovo titolo di "dux Gerbarum".

Il 15 ag. 1390 a Gaeta venne celebrato il matrimonio, che gli ambasciatori delle due parti avevano concluso, tra una sua figlia dodicenne, Costanza, e il re di Napoli Ladislao di Durazzo. Né gli ambasciatori inviatigli da Luigi II d'Angiò valsero a distogliere il C. dall'alleanza con i Durazzo, ai quali egli prestò aiuto finanziario e militare.

Nel marzo 1391 il C. morì. L'ultimo documento in cui si trova nominato è del 2 marzo, mentre da un documento pontificio del 1ºaprile risulta già morto. Gli sopravvivevano allora cinque figlie, nate dal secondo matrimonio: Isabella (o Elisabetta), Costanza, Giovanna, Eleonora e Margherita. Gli succedette nei titoli e nei feudi, Andrea Chiaramonte. Fu sepolto a Palermo in S. Nicolò la Kalsa.

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