CHIARENTI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CHIARENTI

Michele Luzzati

Famiglia di mercanti e banchieri pistoiesi originaria di Montemagno e inurbatasi all'inizio del secolo XIII. I C. incominciarono la loro attività come cambiatori, dapprima nella città e nel suo distretto, in seguito con un raggio di azione sempre più vasto, fino all'affermazione su scala europea.

Incerta è la ricostruzione della genealogia della famiglia per il periodo più antico. Il ricordo di un Braccio di Migliorato Chiarenti, che nel 1237 prestava cinquecento libbre al Comune di Pistoia, fa ritenere che il Chiarente da cui probabilmente trasse il nome la famiglia sia vissuto nella seconda metà del sec. XII. Dal Chiarente di Anselmo, attestato fra i firmatari della pace giurata fra Pistoia e Bologna nell'anno 1219, e tradizionalmente indicato come capostipite dei C., non discenderebbe, dunque, che uno dei rami della famiglia, sia pure il più importante. Il problema, tuttora insoluto, di una correta ricostruzione della genealogia, acquista rilievo, come si vedrà, anche ai fini dell'analisi della struttura della grande compagnia commerciale e bancaria più tardi costituita dai Chiarenti.

Già nel 1242 si ricorda un Chiarente che, insieme con altri mercanti toscani diretti in Francia, cadde in un'imboscata nei pressi di Piacenza, (Herlihy, p. 187). Verso la Francia, dove nel 1248 è attestato Anselmo di Chiarente, dovette rivolgersi inizialmente la famiglia per i suoi traffici; almeno dall'anno 1253 i C. avevano una filiale a Genova dove, anche nei decenni successivi, importavano panni; più tardi appaiono stabilmente installati in Francia sia come cambiatori sia come mercanti, dediti principalmente al commercio di tessuti, penne per ornamento, piume, panni. Nell'anno 1269 risulta operare a Parigi il fattore Fuccio di Soffredo; nel 1272 vi risiedeva Lanfranco di Anselmo; all'inizio del Trecento rappresentava la compagnia a Parigi Bonino di Gherardino. Agli anni '70 risale la prima attestazione della filiale di Montpellier, diretta da Giovanni di Gualandesco. Nell'ultimo decennio del Duecento risultano filiali a Aigues-Mortes, Nîmes, Marsiglia e Loyon (quest'ultima diretta dal Prova di Conte che nel 1281 era console dei mercanti pistoiesi a Nîmes: cfr. Chiappelli, Notizie, p. 100). Frequentissime sono infine le attestazioni sulla presenza dei C. alle fiere di Champagne.

Insieme con tutti gli altri "lombardi" attivi nel regno di Francia, i C. vennero colpiti dai provvedimenti con cui Filippo il Bello tentò, nel 1292, di distruggere o quantomeno di limitare il monopolio della banca e del commercio italiani. Dalla Francia i C. passarono inoltre a Barcellona (dove nel 1299 li rappresentavano Giusto di Forese e Guglielmuccio di Iacopo) e a Londra, dove, nel 1304-1305, la filiale era diretta da Lotto Anselmi, Buonavia Buosi e Niccolò da Pistoia, che appaiono in strette relazioni con i Gallerani.

In Italia il principale centro di attività dei C. divenne Bologna dove essi operavano almeno dal 1265 (Davidsohn, Storia, IV, p. 457), specializzati dapprima nella vendita di panni, ma poi sempre più nei prestiti agli scolari, e strettamente collegati ad un'altra grande compagnia pistoiese dalle analoghe attività, quella degli Ammannati. Il quarantennio 1265-1305, nel corso del quale la famiglia C. fu continuativamente attiva in Bologna, merita di esser studiato più a fondo di quanto finora sia stato fatto, ma i documenti già messi in luce non lasciano dubbi sul fatto che la città sia stata il vero trampolino di lancio di una società tecnicamente molto ben organizzata che, per evidenti ragioni di concorrenza, non avrebbe potuto assicurarsi pari successo in Firenze, Siena o Lucca.

È stato sottolineato che gli scolari dello Studio bolognese furono un importante strumento di collegamento fra la città emiliana e i vari centri europei in cui i mercanti operarono, ma, a nostro avviso, non nel senso che gli scolari abbiano avuto una sorta di funzione di "corrieri" per gli Ammannati, i C. e le altre compagnie (Zaccagnini, Nuove notizie, p. 127); al contrario, sembra esser ben più probabile che questi mercanti (già provvisti, come i C., di una vasta rete di filiali) abbiano per così dire "seguito", al loro rientro in patria, quegli scolari che a Bologna erano stati loro clienti e che probabilmente erano rimasti indebitati sia per gli acquisti (di libri e di panni soprattutto) sia per i prestiti ricevuti.

Compagnie come quella dei C. avrebbero acceso in Bologna crediti rimborsabili non solo in città italiane, ma anche oltremonti, e avrebbero potuto dislocare in vari centri, all'interno e fuori della penisola, i capitali necessari per nuove attività. Non solo, ma i molti ecclesiastici, provenienti da ogni angolo di Europa, che avevano frequentato lo Studio bolognese ed erano divenuti clienti di compagnie come quelle dei C., continuavano, o per fiducia, o perché ancora invischiati nei debiti, ad avvalersi della loro opera, specialmente per il trasferimento dei censi dovuti alla Camera apostolica. È anche per questa via, probabilmente, che i C. si trovarono spianata la strada a divenire, con poche altre compagnie, tesorieri ufficiali della Chiesa sotto Niccolò IV, Bonifacio VIII e Benedetto XI.

Sempre a Bologna le ingenti disponibilità finanziarie consentirono ai C. di gettarsi in grosse imprese. Nel settembre del 1292, attraverso il loro procuratore, Bartolomeo di Dato, essi trattarono con gli ufficiali del Sale del Comune e con le società del Cambio e della Mercanzia per ottenere l'appalto del sale a Bologna, Modena, Argenta e in tutta la Romagna. Ebbero questo incarico ancora per molti anni, insieme con altri mercanti toscani, soprattutto gli Acciaiuoli e i Frescobaldi (Davidsohn, Storia, IV, p. 105, 2 maggio 1299): i C. appaiono comunque esser sempre in posizione preminente, come nel 1296, quando il Consiglio degli ottocento deliberava di riaffidare loro l'appalto del sale (ibidem, p. 439). La permanenza in Bologna fu a volte interrotta da provvedimenti di bando, non sempre dovuti a ragioni politiche. Nel 1290 gli scolari reclamarono contro l'espulsione dalla città degli Ammannati e dei C., la cui funzione di prestatori degli studenti era ufficiale; anche il pontefice Niccolò IV li definiva "mercatores universitatis" nel 1291 (Registres, n. 5821). Il 24 maggio del 1296 si decideva di riammettere in Bologna i banditi per delitti di sangue, ma si escludevano, fra gli altri, i C.: non doveva trattarsi tuttavia che di alcuni di essi, perché un loro rappresentante, Neri di Bartolomeo, era a Bologna il 16 maggio dello stesso anno.

Abbiamo infine notizia, per il 1305, di un processo a carico di Migliorato C., accusato di aver fatto circolare a Bologna monete false provenienti dalla "Rascia", di dantesca memoria; l'operazione avrebbe fruttato ingenti guadagni a Migliorato e ai suoi complici che nel luglio vennero condannati a pagare una multa di 17.600 lire di bolognini (Zaccagnini, I banchieri pistoiesi..., doc. XXXIII, pp. 29 s.).

Sebbene i C. avessero più volte operato ai limiti del lecito - nell'anno 1292 avevano ottenuto un'assoluzione collettiva da Niccolò IV per i guadagni conseguiti "per usuras" e "per contractus pravos et illicitos" (Registres, n. 6926) a patto che versassero 1.000 once d'oro per le riparazioni di S. Maria Maggiore in Roma - una operazione spericolata come lo spaccio di moneta falsa non può che apparire come un rimedio estremo di fronte ad una situazione senza vie di uscita. Nel 1305, infatti, stava ormai crollando la potenza finanziaria dei C., in gran parte costruita sui rapporti con il mondo ecclesiastico e sulle esigenze della Camera apostolica.

La presenza dei C. a Viterbo nel 1271, dove operava un figlio di Anselmo di Chiarente, Chiarentino, risulta già indicativa dello svilupparsi di rapporti finanziari con la Curia. Nel corso del 1283 i C., insieme con i Mozzi e con gli Spini, ottennero l'appalto della riscossione delle rendite della Chiesa per tutta la cristianità. Questo collegamento con le due grandi compagnie fiorentine e con la Camera apostolica aprì ai C. altre nuove aree di intervento, come l'Italia meridionale. Non è certo che appartenesse alla compagnia il pistoiese Giovanni di Gherardino che nel 1272 imprestò a Carlo I d'Angiò più di 1.000 once d'oro, ricevendone in pegno gioielli della corona (Chiappelli, Notizie, p. 94); ma poco dopo la morte del sovrano, nel 1285, i C., per conto dei suoi eredi, appaiono essere collettori delle somme che gli erano state promesse dai Comuni toscani (ibid., p. 96). Più tardi, al tempo di Carlo II, i loro legami con le finanze angioine si fecero ancora più stretti, ed anche la corona d'Aragona si avvalse dei servizi finanziari della compagnia. L'impegno nei confronti degli Angiò e della casa d'Aragona fu tuttavia limitato: non risulta che al momento del fallimento i C. vantassero crediti nei confronti delle due corone ed è certo che nel 1295 e nel 1298 Giacomo II d'Aragona, nonostante le sollecitazioni papali, si vide rifiutare dai C. i prestiti richiesti (Acta Aragonensia, I, pp. 28, 51 s.; III, p. 72).

Sviluppo assai maggiore ebbero i rapporti con la Chiesa. Nell'anno 1288 i C. divennero "mercatores camerae", un titolo che comportava responsabilità ben più specifiche di quello di "mercatores romanam curiam sequentes", che designava altri mercanti che avevano sì un rapporto privilegiato con la Camera apostolica, ma non una condizione di quasi monopolio, tale da indurre il Renouard a parlare di loro, come dei Mozzi e degli Spini ("agentes in camera officium mercatorum") addirittura come di "fonctionnaires" (Relations, pp. 93, 194, 419). In verità almeno in un caso incontriamo uno di questi mercanti davvero nelle vesti di "funzionario": il 18 luglio 1288 Niccolò IV nominava infatti tesoriere della Chiesa nella Marca anconetana un Simone Bonaccorsi "de societate Clarentum de Pistorio", e gli affiancava, qualche giorno dopo, un notaio egualmente pistoiese (Registres, nn. 7094, 7102). Il fatto stesso che un individuo investito di un ufficio pubblico da parte della Chiesa venisse esplicitamente designato come membro di una società commerciale è indicativo della difficoltà di segnare una chiara linea di distinzione fra l'attività "ufficiale" e quella privata di questi "mercatores camerae". La ambiguità della posizione consentiva così di affrontare operazioni che nessun tesoriere ufficiale della Chiesa avrebbe potuto compiere, come ad esempio anticipare del proprio, dietro corresponsione di congrui interessi, i pagamenti dovuti alla Camera dagli ecclesiastici di tutta Europa, o ritardare la corresponsione alla Chiesa del denaro riscosso, per investirlo in operazioni commerciali o in prestiti. Si apriva così un gioco vorticoso di debiti e crediti che coinvolse, con la Camera apostolica, prelati italiani e stranieri e che si prolungò fino a tutto il pontificato di Benedetto XI.

Per fare alcuni esempi i C. furono collettori nel 1291 delle decime delle diocesi di Treviri, Colonia, Brema e Magdeburgo; essi lucrarono sui cambi a Roma in occasione dell'anno santo 1300; trasferirono, insieme con gli Spini e i Mozzi, i denari raccolti in Inghilterra nel 1302 "in subsidium Terre Sancte".

La crescente insolvenza dei prelati incominciò a mettere in difficoltà le compagnie "ufficiali" della Chiesa già negli ultimi anni del pontificato di Bonifacio VIII, ma la crisi scoppiò soltanto con Benedetto XI, che ripetutamente intervenne per sollecitare la restituzione da parte dei prelati delle somme concesse loro in prestito dalla società dei Chiarenti. Il 10 marzo 1304 i C. insieme con i Cerchi, aggiuntisi alle compagnie "ufficiali" della Camera apostolica, si impegnavano a recuperare i crediti dell'altra grande compagnia pistoiese, quella degli Ammannati, già falliti, al fine di tacitare chi vantasse diritti nei loro confronti. Questa operazione fa supporre che le società "ufficialmente" legate alla Chiesa, come i C., avessero cercato di ridurre i loro rischi coinvolgendo anche società estranee al "cartello" principale. È forse il caso, oltre che degli Ammannati, dei Frescobaldi che nel 1311 risultano anche essi debitori dei C. (Renouard, Relations, p. 570).

Per il crescente indebitamento nei confronti della Camera apostolica, questa, lasciati ormai i C., gli Spini e i Mozzi, si rivolgeva ad altre compagnie, come i Cerchi e i Bardi. Alla luce della documentazione oggi nota non è possibile parlare di un fallimento dei C. legalmente sancito, ma non c'è dubbio che con papa Clemente V costoro appaiono definitivamente licenziati. Nel 1308 venne definita l'entità dei debiti della società nei confronti della Camera; secondo un accordo stipulato a Bordeaux nell'aprile di quell'anno i C. dovevano, "ratione residui decimae et proventum", 11.744 fiorini, una somma che venne poco più tardi arrotondata, a quanto pare, a 11.000. In seguito a questo riconoscimento di debito i C. ottennero l'11 apr. 1309 una lettera di sollecitazione di Clemente V per la restituzione delle somme mutuate a diversi prelati. Ma evidentemente la compagnia non riusciva a recuperare le somme pretese, perché il 5 nov. 1311 un inviato pontificio sequestrava loro beni immobili in Pistoia (Regestum Clementis... V, nn. 3876, 10391, 10392, 10400, 10404, 10506). Le difficoltà non venivano soltanto dalla Camera apostolica: il 9 maggio 1314, in Firenze, due procuratori della compagnia dei Bardi ricevevano l'incarico di tentare a Pistoia il recupero di quasi 1.000 libbre dovute dalla compagnia dei C. (Sapori, Crisi, p. 245). La loro assoluta insolvibilità ci è testimoniata da una serie di lettere di Giovanni XXII che, fra il 1320 e il 1321, non solo sollecitò ancora una volta i soci della compagnia a saldare i loro debiti, ma rivolse la sua attenzione direttamente alle "personae ecclesiasticae" debitrici dei C., i quali avevano forse ceduto alla Camera apostolica parte delle loro ragioni.

Dopo Giovanni XXII avrebbero ancora insistito per recuperare le somme dovute dai C. perfino papa Clemente VI, Innocenzo VI e Urbano V (Renouard, Relations, pp. 575 s.), ma si tratta evidentemente di strascichi che nulla hanno più a che fare con la storia delle fortune della società.

In mancanza di fonti documentarie dirette, emananti cioè dall'azienda stessa, siamo poco informati sulla sua struttura organizzativa; così come poco sappiamo, per carenza di studi specifici, sui rapporti dei soci della compagnia con la vita politica della città da cui provenivano, Pistoia. È già difficile, in primo luogo, stabilire quali e quanti dei soci appartenessero alla famiglia C. e quali invece ad altre famiglie pistoiesi: per fare due soli esempi, il nome di battesimo "Chiarente" venne usato anche da persone non appartenenti alla famiglia e l'indicazione "de Clarentis" valse talora a indicare la compagnia e non la famiglia. Un sommario esame delle fonti (per lo più lettere papali, nelle quali - fatto abbastanza eccezionale - si danno spesso per i C. lunghi elenchi di nomi di soci della compagnia) ci permette di identificare alcuni legami di parentela.

Anselmo di Chiarente, che fu anziano del Popolo a Pistoia nel 1265, è attestato in Francia nel 1248, a Genova nel 1259 e nel dicembre del 1269, a Bologna nel 1268, 1269 e 1274; la società sembra ancora intitolarsi a lui nell'aprile 1288 (Les registres de Nicolas IV, n. 7015), ma nell'agosto dello stesso anno si parla ormai della "sotietas filiorum Clarentis" (ibid., n. 7112). La denominazione si giustificherebbe per la partecipazione alla compagnia di almeno due fratelli di Anselmo: Migliorato, attestato a Genova nel 1269, e Braccio, attestato a Bologna nel 1268.

Da Anselmo conosciamo un Giovanni, a Genova con il padre nel dicembre del 1269, un Lanfranco e il Clarentino che era a Viterbo nel 1271. Questi ultimi due appaiono a capo della società a partire almeno dall'agosto 1288: di Lanfranco abbiamoattestazioni fino al 25 marzo 1299 (Les registres de Boniface VIII, n. 2939); di Clarentino fino al 19 febbr. 1304 (Les registres de Benoît XI, n. 353). Da Lanfranco conosciamo un Lapo e un Corrado, detto "Blancus", che Bonifacio VIII creò canonico di Pistoia nel 1296, sebbene avesse soltanto nove anni: come accadde a tante altre famiglie di mercanti al servizio della Chiesa anche i C. furono privilegiati sul piano della concessione di benefici ecclesiastici (Les registres de Boniface VIII, n. 1425).

Da Migliorato di Chiarente conosciamo un Anselmo e un Marsoppino, il primo attestato dal 1288 al 1304, il secondo dal 1292 al 1309. Figli di Anselmo furono Lotto, a capo della filiale di Londra nel 1304-1305, Betto attestato fra il 1298 e il 1300 e Simone, attestato dal 1288 al 1309, quando cedeva a Tommaso del fu Fino, già socio dei Gallerani, diritti su parte di un deposito effettuato alcuni anni prima dai Chiarenti presso i Pulci e i Gallerani (Bigwood, II, pp. 93, 234-235, 237-238); da Marsoppino conosciamo il Migliorato, vivente nel 1305, che avrebbe sposato Contessa di Alberto di Napoleone, conte di Mangona.

Di Braccio di Chiarente potrebbero esser figli Merguliese e Giovanni "Braccii" (secondo lo Zaccagnini, Banchieri, p. 138, e il Piattoli, Documenti, pp. 57-66, sarebbero dei Guinicelli, ma un Braccio di Migliorato è attestato, come si è visto, nel 1237) che compaiono fra i soci il primo fra il 1288 e il 1304, il secondo fra il 1292 e il 1309. Da Merguliese conosciamo un Andrea (oltremonti nel 1295, poi fra i soci dal 1296 al 1304) e un Niccolò attestato nel 1304.

Altro ramo dei C. fu quello disceso da Gherardino di Bonino, a Bologna fra il 1269 e il 1290, ancora vivente nell'anno 1299. Fra i suoi figli - attivi anche in Francia - furono Braccio, Chiarente e Rodolfo (tutti attestati sotto Bonifacio VIII e Benedetto XI), e soprattutto Bonino, che partecipò alle trattative del 1308-1309 con Clemente V per fissare l'ammontare dei debiti nei confronti della Camera apostolica e che operava con Simone di Anselmo C. in occasione della cessione di credito del 1309 di cui sopra si è detto.

Altri soci della compagnia provenivano dalle famiglie dei Fortebracci, dei Gai, dei Pepi e soprattutto dei Fioravanti (Puccio, Baldo e Fortino di Ranieri; Ranieri di Fortino; Lapo di Baldo; Giovanni di Puccio), i quali ultimi, insieme con i C. e un Nello di Andrea, condussero le trattative per la composizione con Clemente V.

I C. non ebbero probabilmente una grande influenza nella vita politica pistoiese. Ghibellini, a detta del Davidsohn (Storia, IV, p. 358) furono costretti a trasferirsi a Firenze, ma l'esilio, se vi fu, non interessò certamente tutti i membri della famiglia e tutti i soci della compagnia: nel 1302, ad esempio, il papa Bonifacio VIII intervenne per far esentare i C. dai processi contro i pistoiesi che erano stati condannati come ribelli in quanto ghibellini. Nel 1305, poi, uno dei soci della compagnia, Moco Pepi, era fra gli Anziani e due dei C., Simone di Anselmo e Anselmo di Migliorato, appartenevano al Consiglio dei duecento (Calisti, p. 137). Nel 1308-1309, al tempo delle trattative con papa Clemente V, e nel 1314, al tempo del tentativo di recupero di un credito da parte dei Bardi, i C. erano senz'altro in Pistoia. Il fatto che uno Iacopo, creato cavaliere da Uguccione della Faggiuola, o da Castruccio Castracani, e morto nel corso di un attacco ghibellino a Pistoia nel 1320, fosse esule, non implica che tutta la famiglia fosse stata espulsa dalla città.

Ricorderemo infine che un Lapo C. nel 1322 era alla corte di Avignone, non sappiamo con precisione in quale veste (Chiappelli, Notizie, pp. 97 s.), e che Chiarentino fu uno dei due ambasciatori che nel 1329 firmarono i preliminari di pace fra Pistoia e Firenze (Storie pistoresi, p. 134).

Fonti e Bibl.: Storie pistoresi, in Rer. Italicarum Script., 2 ed., XI, 5, a cura di S. A. Barbi, pp. 72, 134; Regestum Clementis Papae V... editum cura et studio monachorum ordinis Sancti Benedicti, I-VIII, Romae 1885-1888; Appendices, I, Romae 1892; Tables des Registres de Clément V publiés par les Bénédictins, a cura di Y. Lanhers-C. Vogel, Paris 1948-1957, ad Indicem; Les registres de Benoît XI, a c. di Ch. Grandjean, Paris 1883-1905, ad Indicem; Les registres de Nicolas IV, a c. di E. Langlois, Paris 1886-1893, ad Indicem; Les registres de Boniface VIII, a c. di A. Thomas-M. Faucon-G. Digard-R. Fawtier, Paris 1907-1935, ad Indicem; Lettres communes de Jean XXII(1316-1334), a cura di G. Mollat, III, Paris 1906, ad Indicem; Acta Aragonensia, a c. di H. Finke, I, Berlin-Leipzig 1908, pp. 28, 51, 52; III, ibid. 1922, p. 72; C. Piton, Les Lombardes en France et à Paris, Paris 1892, pp. 81, 233; R. Davidsohn, Forsch. zur Gesch. von Florenz, III, Berlin 1901, ad Ind.; IV, ibid. 1908, p. 274; G. Arias, Studi e docum. di st. del diritto, Firenze 1901, pp. 90, 103, 107; A. Ferretto, Cod. diplom. delle relazioni fra la Liguria,la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, in Atti della Società ligure di storia patria, XXXI(1901), pp. 187, 271; L. Chiappelli, Note bibl. per la storia di Pistoia, III, Notizie sui banchieri e sui mercanti pistoiesi nel Dugento, in Bull. stor. pistoiese, XVII(1915), pp. 89-111; Id., Una lettera mercantile del 1330 e la crisi del commercio ital. nella seconda metà del Trecento, in Arch. stor. ital., LXXXII(1924), p. 243; G. Zaccagnini, I banchieri pistoiesi a Bologna e altrove nel sec. XIII, in Bull. stor. pistoiese, XX (1918), pp. 131-44, 188-94; XXI (1919), pp. 102, 117-30; XXII (1920), p. 25; Id., Nuove notizie attorno ai banchieri pistoiesi nel secolo XIII,ibid., XXXII (1930), pp. 125-32; Id., Ancora dei banchieri e mercanti pistoiesi a Bolognae altrove nei secc. XIII e XIV,ibid., XXXVI (1934), pp. 149-58; G. Calisti, Le relazioni fraFirenze e Pistoia..., ibid., XXV(1923), p. 137; R. Piattoli, Docum. intorno ai banchieri pistoiesinel Medioevo, I, Una rappresaglia dei C. contro il Comune di Prato(1297),ibid., XXV(1933), pp. 57-66; R. S. Lopez, L'attività economicadi Genova nel marzo 1253 secondo gli atti notarilidel tempo, in Atti d. Società ligure di storia patria, LXIV (1935), p. 162; R. Doehaerd, Les relationscommerciales entro Gênes,la Belgique et l'Outremont d'après les Archives notariales génoises auxXIIIe et XIVe siècles, Bruxelles-Rome 1941, nn. 1125, p. 617, 1283, pp. 712 s.; Y. Renouard, Les relations des papes d'Avignon et des compagniescommerciales et bancaires de 1316 à 1378, Paris 1941, pp. 81, 90, 93, 125, 194, 419, 432, 570, 572 ss., 581; Id., Recherches sur les compagniescommerc. et bancaires utilisées par les papes d'Avignon..., Paris 1942, p. 48; R. Davidshon, Storiadi Firenze, IV, Firenze 1960, ad Indicem;G. Bigwood, Les livres des comptes des Gallerani, I-II, Bruxelles 1961-62, ad Indicem;A. M. Nada Patrone, Clemente V,gli Ammannati el'Abbazia di Montieurneuf..., in Studi in onoredi A. Fanfani, III, Milano 1962, p. 300; D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo e nel Rinascimento, Firenze 1972, ad Indicem;A. Sapori, Gli italianiin Polonia fino a tutto il Quattrocento, in Studidi storia economica, III, Firenze 1967, p. 155; Id., La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi edei Peruzzi, Firenze 1926, p. 245; Id., I mercantie le compagnie mercantili e bancarie toscane finoai primi del Quattrocento, in Il gotico a Pistoia, Pistoia 1975, pp. 37, 51 s.; F. Melis, L'econ. dellecittà minori della Toscana, in Le zecche minoritoscane fino al sec. XIV, Pistoia 1975 [ma 1974], p. 33; G. Ganucci, Pistoia nel XIII secolo, Firenze 1975, p. 191.

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