CHIRURGIA

Enciclopedia Italiana (1931)

CHIRURGIA (gr. χειρουργία da χείρ "mano" e ἔργον "opera"; fr. chirurgie; sp. cirugía; ted. Chirurgie; ingl. surgery)

Mario DONATI
Giuseppe E. GENNA
Antonio BIANCHERI

Il termine di chirurgo (chirurgus, vulnerum medicus) è stato impiegato fin dall'origine per indicare quel medico che curava certe lesioni con atti manuali, come suture delle ferite, riduzioni di lussazioni e fratture, medicazioni delle ulcere, ecc.; e ancora oggi la parola chirurgia designa quella branca speciale della terapeutica che si vale dell'impiego della mano, sola o armata di strumenti, nella cura delle malattie o delle lesioni traumatiche. Sennonché, se questo è il senso letterale, non c'è a rigore un campo separato della medicina e della chirurgia nello studio e nella cura dei morbi, perché le loro interferenze sono continue e molteplici.

Già in Ippocrate troviamo nettamente espressi codesti concetti, allorché egli ammette che alla chirurgia si ricorre quando sia riconosciuta l'insufficienza dei mezzi dietetici e medicamentosi, ed esalta la potenza e l'efficacia del ferro chirurgico. "Quaecumque non sanant medicamenta, ea ferrum sanat; quae ferrum non sanat, ea ignis sanat; quae ignis non sanat, ea incurabilia putare oportet" dice Ippocrate nell'Aphorisma LXXXV, sez. 7ª . Non esiste dunque in Ippocrate distinzione fra malattie mediche e malattie chirurgiche, ma solamente fra qualità di mezzi terapeutici. Concetto unitario magnifico, che rimase attraverso tutta la medicina greca, romana e araba; nessuna distinzione cioè fra malattie esterne e interne, come avvenne nel Medioevo e com'è perdurato fin quasi ai giorni nostri, ma soltanto distinzione fra i varî mezzi di cura. Vero è che nell'aforisma ippocratico surriferito, mentre s'esalta la potenza della chirurgia, e per quanto per Ippocrate scopo precipuo della cura sia d'intervenire al momento giusto "poiché rapidamente esso sfugge", è implicito il pensiero che la chirurgia sorregga là dove viene a mancare il soccorso delle cure mediche e perciò tutte le risorse di queste debbano essere esaurite prima di ricorrere all'intervento chirurgico. Dottrina questa della quale, con lo sviluppo moderno della chirurgia, si sentono tuttavia i gravi danni, poiché assai spesso l'intervento chirurgico solo allora riesce utile quando è tempestivo; il che in molti casi significa quando è eseguito precocemente. Oggi pertanto, accettando nella sua interezza il concetto ippocratico unitario per il quale non esistono processi morbosi di competenza medica e altri di competenza chirurgica, dobbiamo rifuggire dal pensiero di una obbligata successione nel tempo dei presidî di natura medica e chirurgica, e ritenere che essi si compenetrano e possono essere entrambi necessarî nella cura di uno stesso morbo, contemporaneamente o con la più varia successione. Questo concetto fondamentale è tanto più da porre in evidenza oggi che il chirurgo è ben lungi dal poter essere considerato un "operaio della mano".

Un abisso ci separa infatti dai tempi oscuri del concilio di Tours (1163). Era allora la chirurgia in gran parte nelle mani di ecclesiastici, secondo una tradizione millenaria che considerava l'esercizio di essa, al pari della medicina, un sacerdozio, e i sacerdoti i più degni di possederne i segreti. Ma quando, per effetto dell'anatema lanciato da detto concilio, fu proibito agli ecclesiastici di eseguire operazioni cruente, la chirurgia fu abbandonata agli empirici, considerata un'arte inferiore, privata d'ogni dignità.

Poi venne il fiorire degli studî anatomici e con esso il rinascere lento, ma sicuro, della chirurgia; rinascita particolarmente italica, con Antonio Benivieni, Giovanni da Vigo, Berengario da Carpi, con Gabriele Falloppia, con Girolamo Fabrici e altri ancora, che ne furono i pionieri. Venne poi, con Giovanni Battista Morgagni, l'era degli studî e delle scoperte anatomo-patologiche iniziate già dal Benivieni nel sec. XV, e furono poste così, con l'anatomia umana normale e patologica, le fondamenta della scienza e dell'arte salutare e più specialmente della chirurgia.

Infine altre nozioni fondamentali apportarono le scienze biologiche nel sec. XIX; la patologia generale, la batteriologia, la sierologia, la fisiologia, la fisico-chimica sorgevano o si sviluppavano su nuove basi, mentre le scoperte dell'emostasi, dell'anestesia e del metodo antisettico nelle operazioni e nel trattamento delle ferite permettevano uno sviluppo rapidissimo della chirurgia.

Ed ecco sorgere la figura del chirurgo moderno: scienziato e artista. Poiché la chirurgia non è più soltanto un'arte nel senso antico di questa parola e tanto meno una tecnica, ma è anche, e soprattutto, una scienza. Al chirurgo invero spetta sviscerare il problema diagnostico, e penetrare così nel segreto mistero del morbo, allo scopo di stabilirne la natura e poter di conseguenza decidere la condotta terapeutica; e tanto più profonde saranno le conoscenze possedute intorno all'uomo ammalato, tanto più facilmente il chirurgo sarà in grado d'immaginare e d'applicare la migliore terapia, spesso cioè la migliore tecnica curativa per raggiungere con facilità, rapidità e sicurezza lo scopo terapeutico. Per tutto ciò il chirurgo può essere definito un medico, che cura i morbi con mezzi chirurgici, e che perciò, oltre la cultura specifica, deve possedere la stessa cultura generale del medico e procedere con gli stessi criterî allo studio del malato e a formulare su questo i suoi giudizî.

Unità di metodo dunque in medicina e in chirurgia, e unità, come fu detto, di leggi biologiche che governano diagnosi e terapia; unità anche, e non solo affinità, di campo d'azione, così che malattie un tempo considerate d'esclusiva competenza medica, sono entrate nel novero di quelle curabili anche o esclusivamente con mezzi chirurgici e viceversa. Il concetto ippocratico che la scienza dell'uomo ammalato costituisce un tutto indivisibile, concetto che nella storia della medicina troviamo più volte abbandonato e ripreso, rimane dunque saldo e deve essere considerato fondamentale. Ma se di ciò si tiene conto nella preparazione scientifico-pratica del medico, cosicché a ogni chirurgo non vengono a mancare un'adeguata cultura e un'esperienza biologica e medica, e a ogni medico non mancano le nozioni di chirurgia, dando modo così al pratico, soprattutto a quello che è isolato nelle condotte, di fronteggiare con eguale bravura ogni evento, è pur vero che la ferrea legge della divisione del lavoro impone al chirurgo una dedizione totale alla sua disciplina. Cosicché dalla stessa chirurgia si sono a poco a poco staccate alcune specialità chirurgiche, che hanno ormai quasi tutte storia, tradizioni, metodi proprî e cultori esclusivi e valenti. Sono queste l'odontologia, l'otorinolaringologia, l'ortopedia, la chirurgia infantile, l'oculistica, la ginecologia, l'urologia, la traumatologia, la proctologia. Oggi la tendenza alla specializzazione è forse persino eccessiva; e se realmente particolari gruppi di affezioni, come quelle trattate dall'otorinolaringoiatria, dall'oculistica, dall'ostetricia, si giovano della separazione dal ceppo comune, e se è ammissibile che in certi grandi centri sorgano reparti specializzati per chirurgia del sistema nervoso, o delle vie urinarie, per ortopedia, traumatologia, ecc., la chirurgia generale rimane in realtà con tutti i suoi diritti su ciascuna delle branche nella quale è venuta suddividendosi.

Nelle scuole mediche l'insegnamento della chirurgia si suddivide in varie parti, e precisamente:

1. La patologia speciale chirurgica, che definisce e descrive le varie malattie, ne studia le cause, le alterazioni anatomo-patologiche, l'evoluzione con tutte le possibili varianti, gli esiti, le complicazioni, la prognosi e i concetti generali di terapia.

2. La semeiotica chirurgica, che studia i sintomi delle varie affezioni e insegna i varî mezzi per riconoscerli e valutarli.

3. La medicina operativa, che insegna le regole generali operative, illustra i metodi d'anestesia, d'emostasi, ecc., fornisce le descrizioni dei singoli atti operativi, con i varî processi immaginati all'uopo, e si occupa pertanto di tutti i particolari di tecnica, cioè della successione delle manualità nei varî tempi dell'operazione, e dell'impiego degli strumenti atti a compierla. Analogo è, in certi paesi, l'insegnamento di terapeutica chirurgica. Sussidio fondamentale è lo studio dell'anatomia topografica, o meglio dell'anatomia chirurgica, la quale rievoca le nozioni di anatomia indispensabili ai fini d'un determinato intervento.

4. La clinica chirurgica, che col presupposto delle conoscenze generali e particolari suddette, pone dinnanzi alla mente caso per caso e risolve il problema diagnostico, terapeutico e prognostico.

Storia.

Chirurgia dei primitivi. - La chirurgia è antica quanto l'umanità stessa. L'uomo, sin dal suo primo apparire, faceva già opera chirurgica, quando si toglieva dalla pelle la spina e in generale il corpo estraneo che vi si era conficcato e gli produceva dolore. Del resto atti chirurgici elementari, dettati dall'istinto di difesa e di conservazione, sono comuni anche in altri primati, come nel gorilla che fu visto da Livingstone estrarre dal suo corpo la lancia che lo aveva colpito e spingere foglie entro la ferita certo per frenare l'emorragia. Ma l'attività chirurgica dell'umanità preistorica oggi ci è rivelata con dati obiettivi solo dall'apparecchio scheletrico, l'unico che si è conservato attraverso i millennî fino a noi.

Già nel Paleolitico sono diffuse la carie dentaria, l'osteoartrite deformante e altre malattie delle ossa. Ma soprattutto ricordiamo le ferite da colpi, che abbondano nel Neolitico e poi nelle età dei metalli, indice delle lotte tra gli uomini di quei tempi remoti; così sono state trovate ossa umane che portano ancora conficcate punte di frecce di silice (Prunières) e altre, per es. un femore (Bartels) e una vertebra (Meyer-Steineg; fig. 1), con punte di freccia di bronzo; in questi casi la neoformazione ossea attorno al proiettile dimostra la guarigione anatomica della ferita e quindi la sopravvivenza dell'individuo colpito. Sono noti anche casi ben guariti di fratture complicate delle ossa lunghe e di anchilosi da tubercolosi articolare, segno, secondo Broca, dell'assistenza che già nell'epoca neolitica si prestava agli infermi.

In tempi meno remoti, in Egitto, durante la quinta dinastia già si immobilizzavano gli arti fratturati mediante speciali apparecchi contentivi (Elliot Smith). Oggi molti popoli naturali (Negri e Australiani) ne sanno improvvisare con mezzi primitivi, come bastoni di giunco, canne di bambù, argilla. Gl'indigeni della Penisola della Gazzella della Nuova Britannia (già Nuova Pomerania) praticano con successo anche la guarigione cruenta delle fratture, spingendo in profondità, fino a contatto dei monconi ossei da immobilizzare, schegge di bambù opportunamente tagliate e asportandole dopo circa due settimane a consolidamento Gl'indigeni delle Isole della Lealtà usano raschiare le ossa lunghe nelle malattie reumatiche fino all'apertura del canale midollare, ma senza vantaggio, anzi soffrendo per di più forti dolori a causa dell'aderenza all'osso della cicatrice cutanea che si viene a formare (Ella).

Badouin ha descritto in ossa lunghe e recentemente anche in astragali, provenienti da ossarî neolitici francesi, depressioni, intacche e strie, attribuite all'azione di strumenti di silice e in un caso anche di coltello d'osso, di cui trovò conficcata la punta in un astragalo; e, poiché nell'astragalo queste lesioni sono localizzate sulle superficie articolari inaccessibili nel vivo, egli ritiene che siano state fatte sul cadavere nell'atto di disinserire i legamenti articolari a scopo di scarnificazione. Quest'uso di togliere al cadavere le parti molli e non seppellire che lo scheletro fu ammesso anche da Pigorinì e Colini, i quali ritennero che la caratteristica colorazione in rosso rinvenuta sulle ossa di tombe neolitiche italiane fosse stata fatta direttamente sulle ossa scarnificate poco prima del seppellimento.

Ma l'operazione chirurgica preistorica della quale si hanno prove irrefutabili è la trapanazione del cranio. Il primo cranio preistorico trapanato fu apertamente riconosciuto in Francia da Prunières nel 1873. Da allora nei dolmen e nelle caverne sepolcrali della Francia sono stati trovati più di duecento cranî trapanati, e molti altri in Inghilterra, Svezia, Danimarca, Germania, Cecoslovacchia, Russia, Balcani e anche Spagna, Isole Canarie, Africa settentrionale. In questa grande cerchia di ritrovati, nel 1928, si è inserita anche l'Italia col cranio trapanato trovato da Antonielli nella valle del Liri (tra Casamari e Monte S. Giovanni Campano, insieme con resti eneolitici, armi silicee e ceramica) e studiato da Genna (fig. 2).

Gli strumenti di silice usati nel Neolitico per questa operazione debbono essere stati di forme diverse e adoperati in maniere diverse, come si può giudicare dal vario aspetto degli orifici ottenuti. In alcuni casi si può pensare a un raschiatoio fatto girare su sé stesso con la punta ottusa compressa sulla teca cranica in modo da ottenere un foro rotondeggiante a forma di scodella, i cui margini venivano poi scalpellati a piccoli colpi in modo da renderli perpendicolari (Genna; fig. 2). In altri casi si può pensare a un raschiatoio mosso a va e vieni, in modo da ottenere un foro allungato ovale (Broca). In altri casi sembra si sia usata una sega (fig. 3), in modo da circoscrivere una placca ossea a contorno curvo o poligonale o irregolare, che poi si staccava, venendo a costituire una cosiddetta rondella, di cui sono stati trovati molti esemplari in Francia (fig. 4), talora ricavati dal margine di altri antichi fori di trapanazione (M. De Mortillet). Più complicato sarebbe stato il metodo di fare con una punta acuta di silice numerosi fori piccoli, avvicinati in cerchio, di riunirli in seguito mediante incisioni, in modo da staccare un disco osseo, e di eguagliare infine i margini dell'apertura mediante il raschiamento (Lucas Championnière). Molti di questi procedimenti sono stati sperimentati sul cranio secco, sul cadavere e anche su animali viventi, impiegando sempre pochissimo tempo e, nell'ultimo caso, con esito in guarigione (Holländer, Broca, Capitan, H. Müller).

Lo scopo della trapanazione preistorica non può che essere incerto. Si può ammettere in primo tempo uno scopo terapeutico, come la cura di fratture craniche da colpi, e poi, anche la cura di sintomi cerebrali, come convulsioni e delirî, di origine non traumatica (Prunières). Secondo Broca, invece, l'operazione sarebbe ispirata da idee animistiche, p. es. dall'intenzione di aprire una via di uscita agli spiriti maligni che, imprigionati nella testa, avrebbero determinato gli accessi convulsivi dell'epilessia e di altre malattie; le rondelle poi sarebbero state amuleti contro varie malattie.

Altra operazione neolitica sul cranio è rappresentata da una cicatrice, forse da cauterizzazione, a forma di T, T sincipitale (Manouvrier), di cui il ramo longitudinale segue la linea mediana dal mezzo del frontale fino a livello dei fori parietali e il ramo trasverso scende da questo punto fin dietro la bozza parietale di ciascun lato (fig. 5). Il T sincipitale è di dubbio significato ed è stato trovato solo in pochi cranî femminili dei dolmen di una regione limitata per un raggio di 50 km. a nord di Parigi. Le marques sincipitales sono cicatrici arrotondate, forse da cauterizzazione, trovate pure da Manouvrier in cranî neolitici. Von Luschan ha trovato spesso (10%) sugli antichi cranî guanci di Teneriffa, in corrispondenza della regione bregmatica, delle cicatrici superficiali, praticate forse a scopo religioso, mediante strumenti di pietra. Lehmann-Nitsche, in base a informazioni antiche, ritiene, invece, trattarsi di cauterizzazione fatta contro dolori di testa. R. Virchow ha messo in evidenza, anche, la possibilità che si tratti di necrosi da corrosivi chimici.

La trapanazione risulta diffusissima nell'America precolombiana dalle origini del Mississippi al Messico e, con una grande lacuna nell'America Centrale, fino al Chile. Nell'America Settentrionale i cranî trapanati provengono dai Mound-Builders, ma sono pochi. Essi, invece, abbondano nel Perù (figg. 6, 7). G. Sergi, su 46 cranî provenienti dal Perù e conservati nel museo antropologico di Roma, ne trovò trapanati 14, cioè poco meno di un terzo. I metodi usati sono quello del raschiamento (fig. 8) e quello di quattro tagli rettilinei delimitanti una placca quadrilatera (fig. 9). Lo scopo sembra essere quello della cura di ferite da fionda e qualche volta da randello o da ascia di rame, mai da punta di freccia e tanto meno da palle di fucile (Muniz e McGee, 1897; MacCurdy, 1923; Roy Moodie, 1925).

Oggi, la trapanazione è ancora in uso tra i Berberi dell'Algeria, in Abissinia (rara), e anche tra gli Albanesi e i Serbi della costa dell'Ionio e dell'Adriatico (Trojanovic Sima 1900).

Tra i popoli primitivi odierni la trapanazione è assai diffusa nella Melanesia, dove è praticata col metodo del raschiamento (fig. 10) e a scopo essenzialmente terapeutico, per la cura delle fratture craniche da mazza e da fionda, per la cura delle malattie convulsive e anche nei bambini a scopo profilattico contro queste malattie (fig. 11), come risulta dalle testimonianze e relazioni di Ella, di Turner, di Parkinson (1907).

D. J. Wölfel (1925) ha affermato l'unità di metodo e di scopo della trapanazione nelle isole del Pacifico, il cui motivo fondamentale originario sarebbe la cura delle fratture craniche causate dalla fionda, dalla mazza a clava di legno e dalla mazza a pomo di pietra; il campo di distribuzione di queste mazze e verosimilmente anche quello della fionda corrisponde all'area di distribuzione della trapanazione. Confrontando poi la trapanazione delle isole del Pacifico con quella dell'America, Wölfel trova identici, non solo il metodo e le indicazioni dell'operazione, ma anche gli elementi culturali che l'accompagnano, quali la fionda e le mazze, per cui egli conclude che la trapanazione fa parte integrante di quel ciclo culturale al cui complesso organico appartengono quelle armi, cioè al ciclo della cultura a due classi di Graebner e Schmidt, lo strato più antico delle culture matriarcali. La trapanazione non potrebbe essersi originata nel ciclo culturale totemistico, di cui sono armi caratteristiche le mazze a punta, perché la punta, urtando sul cranio, scivola o penetra fino al cervello producendo la morte immediata.

Per effetto di queste osservazioni di Wölfel la trapanazione è elevata da fatto accidentale a dignità di fenomeno etnologico, dignità che veramente le spetta, se si tiene presente che essa è l'operazione chirurgica che risulta la più estesa nel tempo e nello spazio. Genna inoltre ha messo in rilievo che l'area di distribuzione della trapanazione corrisponde nelle sue linee generali a quella delle deformazioni craniche artificiali, potendosi, difatti, riconoscere anche per queste ultime gli stessi centri d'irradiazione, e cioè l'America e le isole del Pacifico; ciò che fa pensare a un substrato comune alle due categorie di fatti etnologici.

Riguardo la chirurgia delle parti molli, lo studio è forzatamente limitato ai popoli primitivi attuali. I quali per lo più si mostrano indolenti anche di fronte a gravi infermità, certamente a causa della profonda ignoranza dei processi vitali normali e patologici.

D'altra parte si hanno casi bene accertati di operazioni complesse e pericolose condotte a felice esito, sì da fare veramente meraviglia, come il taglio cesareo sul vivente a cui assistette Felkin nell'Uganda (fig. 12, 13, 14); come il caso di un vedda, che ebbe squarciato l'addome da un cinghiale, ma che riuscì a salvarsi e a guarire (salvo una grossa ernia addominale residua), perché un compagno gli rimise i visceri a posto e lo fasciò; come il caso di quel capo indiano, a cui fu tagliato un pezzo di polmone fuoruscito da una ferita al petto, pezzo di polmone che fu cotto e fatto mangiare al paziente stesso, il quale guarì bene, salvo un'ernia polmonare che a ogni colpo di tosse si faceva prominente. Per spiegare come possano guarire, senza complicazioni, queste ferite cavitarie operatorie o accidentali in infermi sporchi, curati con mani e strumenti sporchi, Bartels ammette nei primitivi una resistenza speciale ai processi infettivi.

Si conoscono casi di amputazione, p. es. delle mani, come pena; ritirando la pelle prima dell'intervento e con l'applicazione di polveri astringenti e di fasce compressive, ordinariamente i primitivi riescono a dominare l'emorragia e a ottenere la guarigione del moncone. Nell'asportazione dei corpi estranei, penetrati anche profondamente, i primitivi posseggono una straordinaria abilità: così i Samoani, per estrarre una lancia penetrata in un arto, tagliano questo dal lato opposto al foro d'entrata, dentro cui poi spingono ancor più la lama per farla uscire agevolmente attraverso il taglio fatto (Turner).

Per le ferite superficiali i primitivi non hanno in genere tanti riguardi. Essi per lo più applicano cataplasmi vegetali, foglie fresche o riscaldate, polveri di carbone, cenere calda, unguenti e impiastri resinosi, e la guarigione avviene naturalmente per seconda intenzione. La cute non sembra sia di regola suturata; ricordiamo però la sutura con le formiche, in uso presso gl'Indiani del Brasile: questi avvicinano i margini della ferita e li fanno mordere da grosse formiche, a cui quindi torcono l'addome; allora le mandibole delle formiche in istato di crampo mantengono strette insieme le labbra della ferita. Uno dei metodi, anche oggi molto usato nei popoli civili, per colmare perdite della cute del naso è universalmente conosciuto col nome di metodo indiano, perché praticato originariamente dai Koomas, corporazione religiosa indiana. In India vi sono anche cerretani indigeni, come del resto anche in Europa nei secoli scorsi, che sanno fare il cosiddetto taglio della pietra.

Le operazioni sugli organi sessuali sono fra le più caratteristiche della mentalità primitiva, connesse a idee religiose e talvolta anche a idee rudimentali d'igiene sociale. Tali sono la circoncisione, praticata in genere a scopo rituale sia nei ragazzi sia nelle ragazze, l'uretrotomia esterna o subincisione (Australia), la castrazione, l'ovarotomia e altre operazioni sul cui significato v'è discussione e per le quali si rimanda il lettore alla voce deformazioni e mutilazioni del corpo. Riguardo alle pratiche chirurgiche di minore entità, ricordiamo che le suppurazioni vengono fatte maturare in varî modi e gli ascessi sono talora aperti col succhiamento. L'emostasi viene ottenuta con polveri astringenti e con fasce compressive e spesso con la cauterizzazione. Quest'ultima è diffusissima e praticata in svariate maniere con pietre, ferri, gusci di noce di cocco, ecc., infuocati e applicati contro i più diversi stati morbosi, come emorragie, ulcerazioni, reumatismi, ecc. In Cina e Giappone usavano, per cauterizzare, la moxa, cioè la lanugine che ricopre le foglie disseccate dell'Artemisia chinensis L. o Artemisia moxa D. C.; ne facevano una specie di cono, del quale accendevano l'apice e poggiavano la base sulla parte da cauterizzare: il calore e il dolore aumentano di mano in mano che la combustione si approssima alla pelle. Anche in Europa, in passato, si facevano moxe con materie diverse.

Salasso, coppette, scarificazioni sono comunissimi nei primitivi. La ferita della cute è ottenuta mediante spine, denti di pesce, pezzetti di osso, schegge di pietra o coltelli. Gl'Indiani dell'istmo di Panamá e i Papua della Nuova Guinea scoccano da vicino con l'arco una freccia con punta cortissima nella vena, per evitare il dolore inutile. Altri applicano con successo il succhiamento immediato del punto sanguinante.

Anche il massaggio è diffusissimo e applicato efficacemente nelle forme più diverse, dallo sfioramento delicatissimo fino ai trattamenti più violenti, come frustate con verghe e ortiche. In Cocincina, per favorire l'espulsione della placenta, gl'indigeni usano comprimere cautamente l'addome. A Giava, gl'indigeni provocano con manovre esterne la retroflessione dell'utero per impedire il concepimento, e quando la prole è desiderata, con manovre opposte rimettono l'utero nella posizione normale.

Bibl.: La letteratura più antica è elaborata ed elencata nell'opera fondamentale di M. Bartels, Die Medizin der Naturvölker, Lipsia 1893; per la bibliografia posteriore: W. von Brunn, Kurze Geschichte der Chirurgie, Berlino 1928; per la trapanazione del cranio: G. E. Genna, La trapaazione del cranio nei primitivi, in Rivista di antropologia, XXIX, Roma 1931.

Chirurgia orientale. - Venendo a tempi storici, non è facile stabilire il succedersi dei rapporti fra la medicina dei varî popoli. I documenti che si posseggono non sono numerosi e spesso le somiglianze fra i testi lasciano indecisi sull'influenza reciproca delle varie civiltà, se anche si può ammettere che lo sviluppo progressivo si sia verificato dalle valli dell'Eufrate e del Tigri alle coste mediterranee. Col Castiglioni si può approssimativamente ritenere che nel terzo millennio a. C. abbia avuto inizio un pensiero medico sistematico nella Mesopotamia meridionale, dal quale è derivata la medicina assiro-babilonese. Nel terzo millennio, si è pure sviluppata la medicina egizia; intorno al 1500 la medicina del popolo d'Israele, intorno al 1000 la medicina omerica. Per quello che si riferisce alla chirurgia nei varî popoli suaccennati, si deve rilevare come nell'antica Mesopotamia la medicina sia stata prevalentemente sacerdotale e per lo più magica. Lo stesso carattere più o meno conserva la chirurgia babilonese, nella quale al chirurgo spetta probabilmente un rango di secondo ordine in confronto del medico. Gli onorarî dei chirurghi erano fissati secondo la qualità del cliente e nel codice di Hammurabi (2200 a. C.) sono stabilite pene per gli errori compiuti nelle operazioni. Da tal codice s'apprende che erano usati coltelli di bron1zo, dei quali del resto sono stati scoperti interessanti esemplari negli scavi di Ninive e che si facevano aperture d'ascessi, amputazioni di lingua, castrazioni, cure di fratture, ecc., e cioè anche interventi non elementari.

In Egitto sembra che le conoscenze mediche e anche quelle chirurgiche fossero relativamente progredite fin dall'epoca dell'antico impero (circa 3000 a. C.). Secondo Erodoto, la medicina era praticata presso gli Egizî da specialisti quasi per ogni malattia, il che, per quanto si sa, non avrebbe particolarmente giovato ai progressi delle scienze mediche. Nel papiro Ebers, di fondamento empirico, scoperto a Luksor nel 1873 e conservato a Lipsia, v'è un passo che sembra riferirsi all'operazione di cataratta. Coltelli in rame, probabilmente chirurgici, sono stati scoperti da Comrie nel 1909. Sono state rinvenute inoltre coppette fatte in corno di bue, lancette, coltelli, forbici, seghe, aghi, uncini, pinzette, sonde bottonute, ecc. Alcune operazioni chirurgiche sono talora documentate nei bassorilievi parietali delle dimore funerarie; così, per esempio, la circoncisione, che in Egitto si praticava anche alle donne, è ben raffigurata nella cosiddetta "tomba dei medici" di Saqqārah, della V o della VI dinastia (2300-2200 a. C.), dove compare anche il pedicure. Apparecchi di fissazione per fratture, composti di strisce di legno strette da fasce, sono stati ritrovati in mummie (E. Smith). A tal proposito si ricordi il bellissimo esemplare di frattura delle ossa dell'avambraccio contenuta da stecche e bende, che si trova nel Museo egizio di Torino; esso fu rinvenuto da E. Schiaparelli nella necropoli di Gebelen, e risale all'epoca compresa tra la VI e la XI dinastia (2300-2000 a. C.) e offre grande interesse per la storia della chirurgia (fig. 15).

Anche nei due papiri Brugsch sono contenuti molti rimedî e prescrizioni d'indole chirurgica. È detto il modo di frenare le emorragie col cauterio, ed è indicato come si curano i tumori, specialmente quelli del collo, sia col coltello, sia col ferro rovente. Ma il papiro chirurgico di gran lunga più importante è quello di Edwin Smith, depositato a Chicago, il quale rappresenta una copia fatta sotto la XVII dinastia di un altro papiro molto più antico, cioè della XII dinastia (2000-1900 a. C.); v'è registrata tutta la terminologia scientifica, le malattie vi sono elencate in ordine topografico, e ogni caso è metodicamente presentato con spirito dottrinale singolare. Il papiro Hearst è invece fondato sull'empirismo e sulla superstizione, con numerose formule magiche per ottenere la guarigione delle varie malattie. A ogni modo vi si trovano notizie sul trattamento delle ferite, sui metodi d'emostasi, sulla riduzione e sulla contenzione delle fratture, soprattutto per mezzo di stecche. Sono descritti bendaggi per fratture costali, sono dati precetti per la cura di contusioni, paterecci, ecc.

Si deve notare che la pratica delle dissezioni dei cadaveri per ottenere poi la mummificazione, per quanto nelle mani di specialisti non medici, ha dato luogo a un notevole sviluppo delle conoscenze anatomiche in Egitto.

Chirurgia ebraica. - Il popolo d'Israele, presso il quale tutte le pratiche igienico-sanitarie sono state rigorosamente imposte dalla religione, ha avuto notevoli conoscenze chirurgiche. Tuttavia nella Bibbia s'accenna soltanto ad atti chirurgici di non grande importanza, come l'asciugare le ferite, l'ungerle con olio, il fasciarle, l'applicare bendaggi per fratture, ecc. E la stessa circoncisione, che deve essere considerata un atto rituale piuttosto che giustificato da ragioni igieniche, è rimasta per consuetudine attuata preferibilmente con le antiche pietre acuminate e con precetti tutt'altro che encomiabili. All'incontro nel Talmud, che probabilmente ha sentito l'influenza della medicina greca, poiché appartiene al sec. II d. C., si parla di atti chirurgici ben più importanti, come la cura di fistole e di atresie anali, la riposizione di lussazioni, le amputazioni, la trapanazione del cranio, il taglio cesareo (su donna morta), ecc. È menzionato anche il salasso e si dànno prescrizioni per il trattamento di ferite consigliandone la recentazione prima della sutura e prescrivendo di non toccarle con le mani, perché "la mano dà infiammazione". Si fa pure menzione, il che ha notevole interesse storico, di arti artificiali.

Chirurgia indù. - Meriterebbe una lunga trattazione perché è una delle più complete e perfezionate dell'antichità, essendosi la civiltà indiana sviluppata assai precocemente. I documenti tuttavia che la riguardano sono relativamente tardivi, cosicché ne è nata una controversia per stabilire come gl'Indiani e i Greci si sono reciprocamente influenzati. Ormai si ritiene che la chirurgia indiana preceda la greca, poiché ha una tradizione antichissima risalente al periodo vedico, e possiede caratteristiche sue proprie inconfondibili. Che se i trattatisti più noti (Caraka, Sus'ruta, Vāghbata, Nlādhava) sembrano appartenere ai primi secoli dell'era volgare durante l'epoca buddhista, non è noto in realtà a quando risalgano esattamente i loro testi.

In Vāghbata la chirurgia è trattata in sei capitoli, sui trenta dei quali è composto il primo libro. Sono distinti gli strumenti in yantra, non taglienti, e sastra, taglienti, quali coltelli, seghe per amputazioni, aghi per suture, sonde. Si richiedono dal chirurgo esperienza clinica, fermezza, destrezza di mano, ferro affilato, assenza di sudore e di tremito, presenza di spirito. Gli si raccomanda di far bere all'infermo bevande fortemente inebrianti prima di operarlo se egli non è in grado di sopportare il dolore. Molto curate sono le norme per la purificazione (disinfezione) della ferita, che viene sottoposta a suffumigi con foglie di Nimba (Azadirachia indica) e d'altre piante resinose e aromatiche cosparse di burro. Sono elencate quindici forme di fasciature e dettate le norme per l'uso dei caustici corrosivi e attuali (cauterî).

Il testo di Sus'ruta è particolarmente celebrato per il contenuto anatomico e chirurgico; Sus'ruta è l'autore indiano che ha trattato la chirurgia per primo e più ampiamente.

Al chirurgo, egli dice, sono necessarie la teoria, appresa dei testi, e la pratica, per la quale ha grande importanza lo studio necroscopico. Le operazioni chirurgiche, appartenenti alla grossa e alla piccola chirurgia, si dividono in otto specie: estirpare, aprire, scarificare, far punture, esplorare con la sonda, estrarre, far uscire mediante pressione, cucire. Il chirurgo deve avere presso di sé tutto il necessario per compiere l'operazione e per provvedere alle eventuali complicazioni, e avere accanto assistenti fidati, calmi e abili. Sus'ruta descrive 101 strumenti chirurgici yantra e 20 strumenti sastra, taglienti o a punta: scalpelli, bisturi, lancette, forbici, pinze da ossa, trequarti, aghi per suture, cateteri, siringhe, speculi, tenaglie per estrazione dei denti, ecc. I caustici, la termocauterizzazione estesa anche alle parti profonde, il salasso sono ampiamente trattati. Fra le operazioni, notevoli sono specialmente quella della cataratta e la rinoplastica, che è conosciuta tuttora con l'appellativo di indiana (fig. 16) e consiste nel rifare il naso con i tessuti della guancia o con la pelle della fronte, adattati sul moncone del naso (il taglio di questo era abbastanza frequente in India). Sono descritte inoltre altre plastiche, quali l'otoplastica e la cheiloplastica (plastica del labbro). Da notare che erano conosciute le legature dei vasi, eseguite con fibre vegetali. Molti altri interventi importanti troviamo pure descritti. Tali la laparatomia nella fossa iliaca sinistra per occlusione intestinale, la paracentesi per ascite e la sutura intestinale. Questa è ottenuta facendo mordere i margini ravvicinati da formiche nere; dopo che queste hanno morso, si stacca il corpo e si lascia il capo, e così la sutura avviene con la presa delle mandibole di questi insetti. Il metodo fu poi ripreso dagli Arabi. Interessante è la tecnica per la litotomia, allo scopo d'estrarre calcoli dalla vescica; l'incisione è fatta al perineo, lievemente lateralizzata, mentre con due dita nel retto la pietra viene condotta e trattenuta verso il perineo stesso. Le operazioni per emorroidi, con caustici o con la termocauterizzazione, e per fistola anale, sono pure descritte; così si dica del taglio cesareo e di molti interventi minori (tonsillotomia, incisione d'ascessi, asportazione di tumori). Inoltre è particolarmente descritto il modo di ridurre le fratture e le lussazioni, e sono precisate le stecche e i bendaggi occorrenti nei singoli casi.

È dunque evidente il mirabile sviluppo che, al pari della medicina, aveva assunto la chirurgia nell'India; e ciò probabilmente perché non le mancavano le basi anatomiche.

Chirurgia cinese e giapponese. - Presso i Cinesi, invece, la povertà dei criterî anatomici e l'estrema complicatezza delle concezioni patologiche hanno mantenuto la medicina in uno stato rudimentale. Dal punto di vista chirurgico non è da citare che la castrazione, eseguita, del resto, allo scopo di fornire eunuchi ai grandi harem. Originaria della Cina è anche l'agopuntura, la quale però era applicata nelle circostanze più disparate e senza eccessivo scrupolo di penetrare anche in cavità profonde del corpo.

Quanto alla chirurgia giapponese, di cui si hanno documenti dal sec. VIII dell'era volgare, è stata sotto l'influenza cinese, si può dire, fino al principio del sec. XIX, nel quale ebbe fama un chirurgo di particolare valore, Seishu Hanaoka (1760-1835). Con la rinascita politica del Giappone, la medicina e la chirurgia si sono portate rapidamente al livello delle altre nazioni, soprattutto sotto l'influsso delle scuole tedesche. Esistono ora in Giappone fiorenti cliniche chirurgiche e periodici speciali d'alto valore scientifico.

Chirurgia greca. - La chirurgia, come tutte le scienze, le lettere, le arti, ha avuto nell'Ellade un notevole sviluppo, e noi possiamo seguirla passo passo dalle origini, sulla base dei poemi omerici dapprima, e via via attraverso il periodo ippocratico e poi quello alessandrino, che sbocca infine nel romano. Affidato dapprincipio, secondo la tradizione, agli stessi eroi, l'atto chirurgico era tenuto in grande considerazione. In definitiva si trattava essenzialmente d'una chirurgia delle ferite e d'altra parte assai semplice. Il mito del centauro Chirone, fondatore e maestro di medicina, si trasporta sul suo discepolo Asclepio o Esculapio, il quale diventa addirittura figlio di Apollo e dio della medicina. A Esculapio sono attribuiti anche taluni atti chirurgici, i quali però costituiscono una parte molto circoscritta dei mezzi terapeutici usati sotto la sua egida. Per l'appunto in prossimità di un antico santuario di Asclepio sorse quella scuola di Cos, donde uscì la più grande figura della medicina di tutti i tempi, Ippocrate.

I libri chirurgici d'Ippocrate nelle traduzioni latine sono elencati come segue: De capitis vulneribus (delle ferite del capo), Chirurgica officina (contenente nozioni di tecnica generale), De fracturis, De articulis (trattato delle articolazioni), De ulceribus, De fistulis, De haemorrhoidibus. Il libro delle articolazioni è forse fra tutti il più importante e dimostra il grande spirito d'osservazione e il senso pratico d Ippocrate, pur essendo considerate sotto il nome comune di lussazioni anche affezioni articolari d'altra natura. Esso comincia con la descrizione della lussazione della spalla, della quale indica poi tutti i varî modi di trattamento con tecniche del tutto simili a quelle che si vedranno poi descritte e illustrate dagli autori successivi, compresi i chirurghi del Medioevo e persino del Rinascimento. L'autore espone il principio che la lussazione è tanto più facile da ridurre quanto più è recente e dà le norme per tentare di ridurre le lussazioni inveterate. Parla delle fratture della clavicola e delle lussazioni della mano, che corrispondono evidentemente alle fratture dell'estremità inferiroe del radio. Sono poi studiate le lussazioni della mandibola, le fratture del naso. V'è una lunga trattazione delle deformità vertebrali, corrispondenti evidentemente non a lussazioni della colonna o a fratture, ma al morbo di Pott. Lunga è la descrizione delle affezioni articolari dell'arto inferiore, delle quali sono tuttavia assai confuse le traumatiche con le infiammatorie. Notevole pure il trattato delle fratture, nel quale si trovano buone descrizioni di ossa e articolazioni e che comincia col dimostrare l'importanza dell'estensione e della contro-estensione applicate nell'atteggiamento naturale dell'arto. Sono descritte minutamente le tecniche di riduzione delle singole fratture e gli apparecchi consigliabili, fra cui il "banco d'Ippocrate", nonché il modo di trattare le fratture esposte. Vi sono contenuti precetti tuttora non scossi. Nel trattato delle ferite del capo, la patologia chirurgica delle fratture si trova enunciata con notevoli particolari e fra altro sono ammesse le poi tanto discusse fratture da contraccolpo. Sono descritte le indicazioni e la tecnica della trapanazione, ed è prescritto che il trapano non penetri subito fino alla dura madre, a scopo prudenziale. Interessante ancora, nei riguardi della trapanazione, il consiglio che viene dato in un breve trattato De visu, di eseguirla, evidentemente a scopo decompressivo, e fare uscire il liquor (et aquam auferre oportet), nel caso in cui "essendo sani gli occhi, l'individuo perde la vista". Quando si pensi che la trapanazione decompressiva nell'amaurosi da ipertensione endocranica è stata eseguita con basi scientifiche solo alla fine del sec. XIX (Horsley), è veramente meraviglioso il trovarla consigliata già da Ippocrate.

Insomma, nei libri ippocratici troviamo, oltre a un alto concetto etico della professione, una somma di cognizioni scientifiche di notevole valore e per la prima volta delle vere e proprie trattazioni organiche, che fino allora erano del tutto mancate. Certo è però che nella chirurgia ippocratica, nonostante il notevole sviluppo della tecnica, si nota l'insufficienza delle nozioni anatomiche, quella deficienza che sarà colmata soltanto dai chirurghi greci della scuola alessandrina.

Fra i successori d'Ippocrate coltivarono tuttavia l'anatomia particolarmente Prassagora e Filotimo; del primo, discepolo di Diocle di Caristo, possiamo anche ricordare che interveniva nell'occlusione intestinale aprendo l'intestino, facendone uscire il contenuto e ricucendolo.

Chirurgia alessandrina. - Allorché, dopo le vittoriose conquiste di Alessandro Magno, il pensiero greco, fuso con quello dell'antico Oriente, ha cominciato a espandersi all'Egitto, Alessandria (fondata nel 332 a. C.) diviene il centro mediterraneo più importante dove si sviluppa una medicina scientifica che, soprattutto sotto l'impulso d'Erofilo e d'Erasistrato, getta nuove basi allo studio dell'anatomia, della fisiologia e della patologia sperimentale. Il progresso in queste scienze fondamentali ha favorito uno sviluppo notevole della chirurgia alessandrina, che specialmente con la scuola empirica, sviluppatasi in Alessandria fra il 270 e il 220 a. C., fece grandi progressi sia nella tecnica della cura delle fratture e lussazioni, sia in varie operazioni chirurgiche.

Chirurgia presso i Romani. - In Italia già avevano avuto un certo sviluppo la medicina e la chirurgia nell'Etruria, centinaia d'anni prima della fondazione di Roma, come dimostrano le protesi dentarie di varia specie, anche in oro, che sono state ritrovate nelle tombe. Però è dubbio che certi ferri chirurgici che si possono vedere nel Museo etrusco di Perugia (due pinze, alcune specie di spatole e di specilli e una specie di coltello chirurgico) siano romani invece che etruschi (fig. 17).

In Roma invece la medicina non fu considerata una professione elevata; medici greci introdussero la dottrina e la pratica medica in Roma, a cominciare, secondo taluni, da Arcagato (218 a. C.) medicus vulnerarius (curante di piaghe). Alcuni di essi salirono in grande fama, come Asclepiade di Prusa (100 a. C.), che fu amico di Cicerone, Rufo d'Efeso e Sorano d'Efeso, che vissero ai tempi di Traiano e d'Adriano, e altri. Sorano scrisse particolarmente di ginecologia e ostetricia, e fu abile anatomico.

Un grande scrittore latino di medicina noi troviamo soltanto al principio dell'era volgare. Egli è Aulo Cornelio Celso, enciclopedico, della cui opera è conservato il trattato De re medica, "che solo un erudito, profondo nella scienza e nell'arte medica, può avere scritto (Barduzzi)", e che, scoperto da papa Nicolò V, fu pubblicato nell'edizione principe di Firenze nel 1478 e fu testo di medicina per secoli in molte scuole.

Il settimo e l'ottavo libro di questo trattato s'occupano esclusivamente di chirurgia e ci dimostrano tutta l'evoluzione chirurgica da Ippocrate in poi, dandoci notizie della chirurgia alessandrina e descrivendo un ricco strumentario, che poi gli scavi d'Ercolano e di Pompei (fig. 18) ci hanno rivelato. Abbiamo così potuto ammirare pinze, forbici, sonde, trequarti, speculi, tenaglie, specilli, lancette delle forme più varie e spesso quasi identiche ai corrispondenti strumenti moderni in acciaio, che pertanto ne sono tuttora una filiazione diretta. Nozioni di chirurgia sono sparse del resto qua e là negli altri libri. Nella prefazione del settimo libro sono elencate le qualità che deve avere il chirurgo, del quale è scolpito un ritratto che è rimasto classico: "egli deve essere giovane o per lo meno poco avanzato negli anni, di mano forte e ferma, non mai tremante; egli deve servirsi con egual destrezza della destra e della sinistra, deve avere vista acuta e chiara, essere intrepido d'animo, inaccessibile alla pietà, proponendosi anzitutto di guarire il malato". Celso dice anche che il chirurgo non deve lasciarsi impressionare dalle grida del paziente e non deve affrettarsi più del necessario o tagliare più del bisognevole.

Appartiene a Celso la descrizione dei sintomi dell'infiammazione e della suppurazione che sono rimasti classici: rossore, tumefazione, dolore, calore (rubor, tumor, dolor, calor). È sua la descrizione del trattamento degli ascessi con l'incisione, seguita da applicazione di ventosa per aspirare il pus; suo il metodo autoplastico per scorrimento con incisioni liberatrici ai lati del lembo, che fu sempre conosciuto dipoi con il suo nome e applicato senza modificazioni sostanziali (VII, 9); precisi sono i precetti (16) per la riduzione dei visceri, mettendo il paziente in posizione inversa (resupinandus autem homo est, coxis erectioribus), e per le suture delle ferite penetranti dell'addome; egli crede però che se il tenue è ferito non v'è più rimedio. A proposito della cura delle ernie e degl'idroceli, egli dice (19) che nell'incisione dei varî strati se s'incontrano vasi sanguigni importanti, essi devono essere legati con filo di lino prima d'inciderli; egli non è però fautore dell'intervento nell'ernia strozzata, a meno che non sia omentale. Minutissima è in Celso la descrizione clinica del trattamento chirurgico dei calcoli vescicali che opera in modo non molto dissimile, del resto, dai metodi indiani di cui s'è già parlato. Il "metodo di Celso" consiste in un'incisione arcuata al perineo, contro il quale le dita introdotte nel retto hanno spinto la pietra. La cura cruenta delle varici (31) merita pure d'essere ricordata per la precisione del metodo di resezione. Il libro VIII tratta estesamente delle fratture e delle lussazioni. Sarebbe troppo lungo seguire ulteriormente la poderosa opera di Celso. Giustamente, per tutto il Rinascimento, fu tenuta in altissimo onore e a Celso è stato attribuito il titolo di maestro della medicina in Italia.

Dopo Celso un posto di prim'ordine nella chirurgia spetta a Galeno, il quale è autore d'un sistema che, pur potendosi riportare a Ippocrate, riconduce la medicina a basi anatomiche. La sua anatomia, tratta tuttavia in gran parte da Marino (100 d. C.), per più di 1200 anni, con tutti i suoi errori ed omissioni, è stata accettata come un dogma, fino a Vesalio e altri grandi anatomici del Rinascimento, i quali, anzi, trovarono difficoltà a fare accettare quei dati che non erano conformi alle descrizioni galeniche.

Dal punto di vista chirurgico non v'è tuttavia molto di nuovo in Galeno. Si devono a lui la resezione costale sottoperiostea per empiema e la resezione d'una porzione dello sterno per carie. Della legatura delle arterie s'occupa largamente e dice che può essere fatta oltre che con il filo di lino con materiale simile al catgut; conosce la legatura mediata dei vasi e la legatura diretta del capo centrale delle arterie e di quello periferico delle vene. Egli mise anche in evidenza il pericolo della lesione del nervo ricorrente nelle operazioni di gozzo. È notevole e deve essere ricordata la precisione delle definizioni e delle nomenclature anatomiche e patologiche che sono rimaste fino ai nostri giorni.

La chirurgia militare ha avuto notevole importanza presso i Romani, tanto che Celso dedica all'estrazione delle armi dal corpo un capitolo della sua opera. Presso gli eserciti era trasportato accuratamente il materiale di fasciatura, del quale era fornito anche ogni singolo soldato, e noi sappiamo, specialmente da Galeno, con quale meticolosità era insegnata l'arte dei bendaggi (fig. 19). Nella colonna traiana è figurato il modo come si medicavano i feriti sul campo di battaglia.

Di tre grandi chirurghi romani d'origine greca è infine doveroso far cenno: d'Eliodoro (sec. I), che eseguiva la legatura e la torsione dei vasi a scopo d'emostasi, l'uretrotomia interna, la cura delle ernie con resezione del sacco; d'Archigene, il primo che pare abbia descritto l'aneurisma falso; egli usò un metodo a lembo nelle amputazioni, applicò l'emostasi preventiva con benda e inventò uno speculum vaginale (δίοπτρον) di cui si trovò un modello a Pompei; d'Antillo che eseguì per primo la tracheotomia con incisione trasversale, operò la cataratta con il processo dell'estrazione, operò il gozzo e gli si deve specialmente il metodo di cura delle sacche aneurismatiche con la loro incisione fra due legature.

Chirurgia bizantina. - Nell'impero romano d'Oriente è continuata la tradizione della medicina greca, divenendo rapidamente monopolio della chiesa l'esercizio dell'arte salutare.

Fra gli scrittori dell'epoca bizantina, ricordiamo anzitutto Oribasio, medico dell'imperatore Giuliano l'Apostata, inziatore del galenismo; egli ha il merito di avere raccolto i più importanti scritti medici dei predecessori, conservandoci, tra l'altro, le importanti citazioni di Eliodoro, di Archigene e d'Antillo. È anche da ricordare Aezio di Amida, medico di Giustiniano, compilatore di una specie d'enciclopedia medica, nella quale sono riportati passi interessanti di antichi chirurghi greci; a lui spetta il merito della legatura arteriosa a monte del sacco aneurismatico, processo che fu poi erroneamente attribuito ad Anel (1710).

Infine Paolo d'Egina ci ha lasciato un compendio di medicina in sette libri dei quali il sesto, tradotto come gli altri in arabo e tramandato dai medici arabi, è stato il testo chirurgico del Medioevo; la sua grande importanza sta in ciò che esso mette a punto tutta la chirurgia del mondo antico.

Notevole in Paolo è ciò che si riferisce al cancro, sia come definizione, sia come concetti terapeutici: così l'estirpazione della mammella cancerosa è secondo lui il metodo preferibile e la cauterizzazione è ripudiata. A lui si devono il metodo di cura degli aneurismi con la spaccatura del sacco e la sua escissione fra due legature percutanee, un'accurata descrizione del taglio obliquo per la litotomia, nonché della cura radicale dell'ernia inguinale con una tecnica che è durata, si può dire, fino al sec. XVII e una quantità d'altri procedimenti che dimostrano come avesse progredito la chirurgia anche dai tempi di Celso.

Chirurgia araba. - Della chirurgia araba, derivazione della greca. non v'è molto da dire. Avicenna deve essere ricordato per notizie sui calcoli renali e vescicali e per talune operazioni, quali l'intubazione della laringe, la tracheotomia, i raschiamenti e le resezioni delle ossa. Grande notorietà e autorità, che arrivò sino ai nostri chirurghi, ebbe piuttosto il compendio di medicina (at-Taṣrīf) di Abulcasis (Abū 'l-Qāsim az-Zahrāwī, v), del sec. X (v. fig. 20).

Ci dà notizie precise sulle cauterizzazioni, che in verità eccessivamente prediligeva; sulla cura delle ernie col cauterio dopo riduzione del contenuto; sull'emostasi per compressione e per sezione dei vasi fra legature, sulle suture intestinali con catgut o con sottile seta, sulla posizione inversa di Celso, sulla sutura delle ferite addominali sottoombelicali, sulla litotomia vaginale nella donna, sulla correzione cruenta dei calli deformi di fratture, sull'uso del catetere d'argento nelle malattie vescicali anziché di quello di bronzo, ecc.

Poca o nessuna importanza chirurgica hanno invece le opere di altri due grandi medici del califfato occidentale, Avenzoar e Averroè (v.); vissuti ambedue nel secolo XII. La chirurgia invero fu presso gli Arabi, continuatori del resto delle tradizioni ippocratico-galeniche, quasi abbandonata, se si eccettua ar-Rāzī (860-930), che in Baghdād l'esercitò, e lasciò descritta molta casistica e processi operatorî.

Chirurgia medievale. - Dal sec. IX al XII ebbe grande importanza la scuola salernitana, della quale già si trovano documenti nell'846 (De Renzi), ma che cominciò a divenire celebre circa nel 984 e, dapprima laica, divenne poi essenzialmente benedettina. Per quello che riguarda la chirurgia merita di essere citato Ruggero da Salerno (1220), a cui si deve la prima opera chirurgica di qualche valore, contenente osservazioni interessanti, specialmente nei riguardi delle lesioni dell'intestino, che egli consiglia di suturare con seta e con ago sottile, eventualmente su sostegno di sambuco introdotto nel lume. Tuttavia, ancora schiavo di pregiudizî, egli riscalda il viscere aprendo l'addome d'un animale e sovrapponendolo all'intestino leso poi lo lava con acqua calda, e lo ripone nell'addome lasciando la ferita drenata.

Alla scuola salernitana si può pure ascrivere il maestro Rolando da Parma, detto dei Capezzuti, il quale scrisse (circa il 1250) un'opera Chirurgia chiamata nel Medioevo Rolandina, la quale essenzialmente è il commento dell'opera di Ruggero, sebbene non sia sempre d'accordo con lui.

Nell'opera di Rolando vi sono alcune peculiarità degne di nota, quali il consiglio di suturare i vasi senza perforarli; l'osservazione della possibilità di risanare dopo asportazione di parte del cervello ferito; la resezione d'un tratto di polmone prolassato: la descrizione della posizione inversa nelle operazioni sull'addome inferiore, che nella chirurgia moderna è tanto usata con il nome di Trendelenburg e che abbiamo già visto consigliata da Celso; l'enucleazione di cisti della tiroide; la descrizione d'un ricco armamentario chirurgico (fig. 21). Una magnifica riproduzione della chirurgia di maestro Rolando, dal codice latino n. 1382 della R. biblioteca casanatense di Roma, è stata pubblicata nel 1927 dall'Istituto nazionale medico- farmacologico di Roma, con volgarizzamento del dott. Carbonelli.

Nel sec. XIII chirurgo italiano di grande valore fu poi Guglielmo da Saliceto (1210-1277), che professò a Bologna, e ha il vanto di aver proclamato, se pur invano, forse sotto l'influenza degl'insegnamenti di medicina clinica del grande maestro Taddeo, la necessità di non separare la medicina dalla chirurgia.

Nel suo trattato di chirurgia, egli reagì contro l'abuso dei cauterî introdotto dagli arabisti, cercando di ripristinare l'uso del tagliente; eseguì per il primo la sutura d'un tronco nervoso sezionato in una ferita; introdusse nelle ferite intestinali la sutura da pellicciaio; propugnò l'operazione precoce nei calcoli vescicali con taglio perineale paramediano.

Non minore del maestro, il suo allievo Lanfranco da Milano professò analoghe idee, a parte una rinnovata preferenza per il termocauterio; trasferitosi a Parigi per ragioni politiche nel 1295, vi morì nel 1315, dopo avervi insegnato nel collegio di San Cosma. Guglielmo da Saliceto e Lanfranco appartengono alla schiera dei chirurghi italiani, ai quali la chirurgia francese deve la sua rinascenza. A lui si deve una Chirurgia parva, pubblicata a Lione, e una Chirurgia magna, pubblicata nel 1296 a Parigi, ricca di casistica, nella quale afferma, come il Saliceto, che il chirurgo deve anche essere medico; sono da ricordare di lui precetti molto savî di chirurgia cranica, e l'intubazione dell'esofago attraverso esofagotomia.

Disgraziatamente nella seconda metà del 1200 assumono grande importanza i chirurghi minori e i barbieri, i quali fino dal principio del sec. XII avevano cominciato a occuparsi del salasso; e già Lanfranco si lagna di ciò. Ma la piaga durerà a lungo, e i barbieri eserciteranno la chirurgia in Francia, in Italia, in Inghilterra fino al secolo XVIII, gettando su di essa il discredito e acuendo il distacco fra medicina e chirurgia (fig. 22).

Nella stessa epoca di Guglielmo da Saliceto e di Lanfranco, Bologna ebbe nel suo Studio, salito in gran fama appunto per la chirurgia, Ugo Borgognone, detto pure Ugone da Lucca (morto nel 1252) e il figlio e discepolo frate Teodorico, nato a Lucca nel 1205 o nel 1208, morto in Bologna nel 1298, i quali fecero tentativi per limitare o evitare la suppurazione delle ferite a mezzo del vino caldo. Di Teodorico va ricordato a titolo d'onore l'uso di provocare la narcosi durante le operazioni, facendo inalare vapori d'oppio, mandragora e giusquiamo, delle quali sostanze s'imbevevano spugne; per il risveglio si faceva poi inalare aceto. Teodorico parla delle inalazioni narcotiche con tali miscele, ove sono uniti più medicamenti affini sommanti i loro effetti utili, nella sua Chirurgia del 1270. Ed è mirabile da simili pratiche, introdotte di certo nella scuola di Salerno, siano state sperimentate largamente in epoca così poco favorevole alla chirurgia, fino a divenire abituali, tanto che, come nota il Giordano, il Boccaccio poté accennare ad esse nel Decameron (IV, 10); mentre poi caddero rapidamente, e si può dire per secoli, nel più profondo oblio.

Allievo di Teodorico fu Enrico di Mondeville (1260-1320), anatomico e chirurgo, professore a Montpellier, fautore del sistema del Borgognone d'evitare la suppurazione nelle ferite. E dalla medesima scuola bolognese deriva il più illustre dei chirurghi francesi di quel tempo, Guy de Chauliac. Nello stesso sec. XIV sono degni di citazione Giovanni Yperman, olandese (1295-1391), allievo e seguace di Lanfranco, e l'inglese Giovanni Ardern, che ha lasciato un trattato sulla fistola anale (1376).

Nel sec XV l'anatomia fa ancora qualche progresso, e così, se pure lentamente, la chirurgia; che è nelle mani di pochi nelle università, e, fuori, passa nelle mani d'individui senza alcun titolo e spesso senza cultura, i quali, addestrati in determinate operazioni, alla guisa dei barbieri in Francia, acquistano abilità tecnica e ottengono successi pratici notevoli. Sono operatori ambulanti, i quali eseguiscono più che i chirurghi delle città, operazioni di grande chirurgia, e particolarmente la litotomia, l'operazione di cataratta, operazioni d'ernia. E spesso sono individui appartenenti alla stessa famiglia che si tramandano e perfezionano le tecniche di padre in figlio, come fra tanti i Norcini (che operavano le ernie senza alcun riguardo alla conservazione del testicolo), i Preciani, e in Sicilia i Branca, specialisti in chirurgia plastica, e particolarmente in rinoplastica. Ma taluni scrittori di chirurgia acquistarono pure degna fama, quali Pietro d'Argelata, e Leonardo Bertapaglia, professori rispettivamente a Bologna e a Padova, e in Germania Gerolamo Brunschwig, la cui Chirurgia è notevole "perché le numerosissime incisioni dànno un quadro importante e forse unico in quell'epoca dell'indirizzo dell'arte chirurgica; esse costituiscono un documento prezioso anche per la storia del costume del '400" (Castiglioni).

Il '400 insomma si chiude ancora sotto l'impero della tradizione: la greca e la bizantina, l'araba e la salernitana, ma con la tendenza da un lato a riallacciarsi fra le dottrine scolastiche alle ippocratiche e galeniche, dall'altro a staccarsi dal passato, specialmente sotto l'influsso dei rinascenti studî anatomici e dello spirito d'osservazione clinica. Decade tuttavia la pratica chirurgica, circoscritta alla cura d'ascessi e di fistole, di fratture e di lussazioni, di ferite, lasciando per lo più agli empirici o alle disquisizioni teoriche le operazioni, come si disse, di "grande chirurgia". Sono sorti intanto e sono assurti a grande importanza molti e grandi ospedali, sono sorte e hanno allargato la loro influenza e accresciuto la loro aureola le scuole di medicina e le università, fra cui Bologna, Padova, Pavia primeggiano in Italia dopo il decadere di Salerno, e Montpellier eccelle in Francia. Tuttavia in esse, più spesso che insegnare cose nuove, si commenta, e gli stessi insegnanti di medicina non disdegnano di commentare libri chirurgici d'Avicenna, di Galeno, ecc., e di trarne occasione per dare consigli di chirurgia, anche degni di nota, come fecero Bartolomeo Montagna, Gianmatteo Ferrari di Grado, Dino del Garbo e altri ancora.

Avvicinandoci al 1500, l'influenza del Rinascimento si fa sempre più sentire e lo spirito critico si ridesta e si fa sempre più vivo. Antonio Benivieni, a Firenze, mentre getta le basi dell'anatomia patologica e della teratologia, s'occupa di chirurgia con onore e fra l'altro applica la legatura dei vasi nei monconi d'amputazione, contro l'uso del cauterio allora in voga. Com'è stato detto, la pratica della legatura dei vasi nelle ferite era in uso in Roma e nemmeno la scuola di Salerno l'aveva abbandonata; ma al Benivieni spetta la priorità dell'idea di legare i vasi nelle amputazioni, idea che sorge poi nella mente di Ambrogio Paré, al quale fu generalmente attribuita.

Chirurgia dei secoli XVI e XVII. - Con l'invenzione della stampa le opere d'Ippocrate e di Galeno vengono diffuse nei testi greci e in nuove traduzioni più esatte di quelle degli Arabi; ma il ritorno all'antico avviene più a scopo d'erudizione e di critica, che d'imitatazione pedissequa, disposta ad accettare col vero le superstizioni e gli errori; la rinascita dell'anatomia è meravigliosa, ma insieme tutta la medicina è passata al vaglio dell'osservazione fatta con spirito scientifico. In quest'epoca sorge il genio di Leonardo a segnare nuovi indirizzi anche nell'anatomia e nella biologia; fioriscono gli uomini delle grandiose scoperte anatomiche: Berengario da Carpi, Andrea Vesalio, Realdo Colombo, Gabriele Falloppia, Gerolamo Fabrici d'Acquapendente, e l'Aranzio, e l'Ingrassia e l'Eustachi e il Varolio, italiani, Valverde in Spagna, dei quali molti furono anche celeberrimi chirurghi. La fisiologia fa pure progressi fondamentali; Realdo Colombo, Guido Guidi, l'Aranzio, preparano il terreno alla scoperta della circolazione del sangue, che sarà dovuta nella sua essenza ad Andrea Cesalpino e settant'anni dopo illustrata magistralmente e precisata da Guglielmo Harvey. La chirurgia assurge a maggiore dignità, anche nella considerazione del mondo medico, e si libera dagli empirici, mentre sulle basi dell'anatomia normale e patologica e delle scoperte fisiologiche puo, sia pure faticosamente, rivedere le proprie fondamenta scientifiche.

Alla fine del sec. XV e al principio del XVI, in Italia rifulge la fama di Giovanni da Vigo di Rapallo, chirurgo di papa Giulio II, autore di una Practica copiosa in arte chirurgica (1511), densa di contenuto, che fu rapidamente divulgata e più volte tradotta. Essa ebbe più di quaranta edizioni e nel 1517 fu seguita da una Practica compendiosa che ebbe pure larga fama. Con lui fa progressi la tecnica della medicazione delle ferite, per la quale egli detta norme che appaiono razionali anche oggi; le indicazioni e la tecnica della trapanazione nelle fratture del cranio anche chiuse sono da lui perfezionate, come quelle di molti altri interventi chirurgici. Egli dà anche precise indicazioni sul modo di legatura delle arterie.

Il suo grande discepolo Mariano Santo da Barletta (1488?), chirurgo a Venezia ove stampò il suo De lapide ex vesica per incisionem extrahenda (1535), autore di un Compendium in chirurgia edito a Lione nel 1531, è celebre per aver divulgato e perfezionato la cistotomia col cosiddetto grande apparecchio, che aveva immaginato nel 1525 Giovanni da Romano o de Romanis, da Casalmaggiore di Cremona, inventore dello sciringone solcato. Il metodo fu applicato dai litotomisti per due secoli a preferenza del piccolo apparecchio di Celso, senza innovazioni, a onta che non molti anni dopo con Pietro Franco (1556), provenzale, e sia pure casualmente (lo stesso Franco rimase partigiano del metodo di Mariano Santo), fosse sorta la cistotomia soprapubica (alto apparecchio), per l'estrazione dei calcoli dalla vescica.

Così pure va ricordato Michelangelo Biondo di Venezia, chirurgo a Napoli e Roma, per il suo metodo di cura delle ferite con acqua, nonché per quel che scrisse sulla legatura vasale; e più ancora Gio. Andrea Della Croce di Venezia, autore di un volume: Cirurgia universale e perfetta (1573) che fu considerato testo classico in tutto il '600 (fig. 23). Di lui scrisse ampiamente il Giordano, illustrandone i varî contributi originali nella chirurgia del cranio, nelle legaure vasali, nella cura delle ferite del torace e dell'addome e in molte altre parti della chirurgia.

Ambrogio Paré fu certamente il più grande chirurgo francese del sec. XVI, e quegli che acquistò la maggior fama. Aggregato nel 1554 al Collegio dei chirurghi di S. Cosma, pubblicò nel 1573 i suoi due libri di chirurgia. Vero è che nella legatura delle arterie nei monconi d'amputazione fu preceduto di lunga mano, come fu detto e com'egli stesso del resto riconobbe, dai chirurghi italiani; ma i suoi metodi semplici di medicazione delle ferite, le tecniche da lui usate nella trapanazione del cranio (trapano a corona) e in una quantità d'altri interventi, lo studio delle ferite d'arma da fuoco, gli apparecchi di prostesi per amputati o mutilati (figg. 24-26) e l'invenzione del cinto erniario, ne fanno giganteggiare la figura se anche molte parti della sua opera, valga per esempio la parte riguardante le fratture e le lussazioni (figg. 27-36), non siano altro che copiatura o rifacimento dell'antico. Ciò risulta anche dalle illustrazioni che adornano il suo testo, dimostranti la nessuna, o quasi, differenza fra i metodi riportati e quelli che si trovano nei testi più antichi. Le magnifiche illustrazioni che si trovano nel testo di Galeno tradotto in latino da Guido Guidi (1544) e che sembrano dovute al Primaticcio, ne sono una riprova (figg. 37-38).

Indipendentemente dal Paré, s'occupò nel sec. XVI con grande competenza della cura delle ferite d'arma da fuoco, Bartolomeo Maggi di Bologna, medico di Giulio III; egli fu maestro nelle amputazioni, per le quali immaginò il metodo a strati. Il suo libro sulle ferite fu assai reputato, come quello d'Alfonso Ferri di Faenza.

In questo secolo così ricco d'uomini geniali e di precursori eccelsero ancora nella chirurgia Gabriele Falloppia modenese, già grande come anatomico, maestro nell'Ateneo padovano dal 1551 al 1562, autore di una Chirurgia, nella quale quasi su ogni argomento lascia impronte magistrali. Soprattutto sono da ricordare di lui i precetti sull'emostasi, sulle ferite intestinali che cuce a soprapunto o punto sopra mano, le indicazioni sulla scelta degli strumenti, taluni dei quali anche, assai buoni, inventò.

E come il Falloppia, un altro grande anatomico e suo successore, Girolamo Fabrici d'Acquapendente, ebbe grande merito come chirurgo. Autore di una famosissima Chirurgia che ebbe gran numero di edizioni, inventore di strumenti chirurgici (fig. 39), fra cui un trapano per le fratture del cranio, delle quali pur egli molto s'occupò, fautore della tracheotomia che eseguì con taglio trasversale, dettò una quantità di tecniche chirurgiche e ortopediche appropriate e nuove e criterî diagnostici sommamente precisi.

Un posto a sé poi spetta, fra i chirurghi del Rinascimento, a Gaspare Tagliacozzi, insegnante a Bologna, per le norme da lui dettate, con criterî scientifici e soprattutto anatomici, sulle plastiche e particolarmente sulla rinoplastica. Egli prendeva il lembo di pelle dal braccio, tenendo questo legato al naso, fino a che il lembo avesse aderito. La rinoplastica alla Tagliacozzi venne particolarmente apprezzata e applicata nel sec. XIX.

In Germania, nella stessa epoca, veniva considerato restauratore della chirurgia Guglielmo Fabry di Hilden, noto col nome di Fabricius Hildanus. Anch'egli inventore di parecchi strumenti, raccolse una notevole messe di osservazioni in un'opera intitolata per l'appunto Observationes medico-chirurgicae. Ebbe pure grande notorietà l'Armamentarium chirurgicum di Giovanni Sculteto.

Nel secolo successivo, il XVII, che pure scientificamente segnò il trionfo del metodo sperimentale, forse per difetto di preparazione scientifica, la chirurgia è meno ricca di progressi e di grandi nomi. Vero è che in questo secolo nasce con Giuseppe Zambeccari la chirurgia sperimentale, con ricerche importanti sull'ablazione della cistifellea, sulla resezione del fegato, sulla nefrectomia, sull'ablazione della milza (1680); al qual proposito si deve anche ricordare che nell'uomo la milza era stata estirpata già nel 1549 da Leonardo Fioravanti, con l'aiuto dell'empirico Zaccarella. Ma l'esempio così ricco di preziosi risultati per la futura chirurgia viscerale non era stato tuttavia seguito.

Appartiene alla stessa epoca quel Cesare Magati da Scandiano, professore nell'università di Ferrara, che con la sua opera De rara medicatione vulnerum (Venezia 1616), fu il primo a trattare le ferite in modo semplice, precorrendo i tempi del trattamento asettico. Di lui fu detto avere immaginato il nuovo metodo con arte divina, tanto eccellenti ne parvero i risultati, poiché guarivano le ferite felicissime ac citius quam alio quovis modo. Ma si tratta di luci pressoché isolate e la stessa medicazione semplice e rara del Magati, con larga e soffice protezione della ferita, non ebbe il successo che si meritava, per quanto il suo insegnamento sia stato ripreso in seguito, particolarmente da Giuseppe Cignozzi, da Angelo Nannoni e da Tito Vanzetti. Il Magati è anche da ricordare per la sutura siero-sierosa delle ferite intestinali e per aver proposto la laparatomia per andare alla ricerca dell'intestino ferito e suturarlo.

Fra gli altri chirurghi degni di nota nel secolo, sono Marc'Aurelio Severino di Tarsia e Pietro Marchetti. Il primo, autore di numerose opere (sulla natura degli ascessi, 1632; sull'efficacia delle operazioni, 1641; sulla chirurgia, 1655), fu ideatore, molto prima di Anel, della legatura arteriosa a monte dell'aneurisma, che in antiquo aveva praticato Aezio; ideatore infine della peritomia, cioè della cura delle ulcere varicose incidendo, tutto intorno a esse, la pelle e il cellulare con le vene contenutevi. Pietro Marchetti, o De Marchettis (morto nel 1673), professore di chirurgia e di anatomia a Padova, scrisse un trattato d'osservazioni chirurgiche, nel quale riferisce felicemente la cura operatoria dell'ascesso epatico (Osser. LIV) e dell'epilessia post-traumatica mediante trapanazione (Osser. VII); egli descrisse inoltre i sequestri ossei tardivi, consecutivi a ferita d'arma da fuoco. Suo figlio Domenico (1626-1688) nel 1686 eseguì in Venezia la prima nefrotomia per calcolosi di cui si abbia sicura notizia.

S'inizia pure in questo secolo con Giovanni Colle e Francesco Folli la storia della trasfusione del sangue.

Sono poi da ricordare, in Francia, Pietro E. Dionis, autore di un trattato d'operazioni chirurgiche che ebbe molteplici traduzioni e edizioni; in Inghilterra, Riccardo Wiseman, che eseguì amputazioni a lembo e operazioni di uretrotomia esterma, già nota del resto al Della Croce; in Germania, Matteo Goffredo Purmann, chirurgo militare molto celebrato. Ma in Francia continuarono ad avere grande successo i litotomisti empirici e in particolare i Collot e Frate Giacomo (Beaulieu).

Chirurgia del sec. XVIII. - Il sec. XVIII registra progressi importanti nelle scienze fondamentali. È il secolo di Galvani, di Volta, di Lavoisier, di Linneo, di Spallanzani; è il secolo che nell'anatomia normale e patologica registra i nomi di Caldani, Mascagni, Winslow, Lieutaud, Scarpa, Cotugno, Morgagni, Guglielmo e Giovanni Hunter, per non dire che dei maggiori; che nella fisiologia vanta un Alberto Haller e un Francesco Saverio Bichat. In questo secolo anche la chirurgia rifiorisce notevolmente, attingendo a fonti così preziose.

In Francia, dove tuttavia perdurarono fino al 1780 i litotomisti col celebre Frate Cosimo (Giovanni Baseilhac), viene fondata l'Accademia reale di chirurgia nel 1731, per opera di Maréchal e di La Peyronie. Questo avvenimento segna colà e altrove la fine della guerra fra medicina e chirurgia, per vero meno sentita in Italia, ma che a Parigi stessa, per le resistenze di J. L. Petit al giuramento di subordinazione, s'era ancora da poco tempo riaccesa. Il Petit scrisse un assai limpido trattato sulle malattie delle ossa e un trattato delle malattie chirurgiche, dove la patologia e la terapia si compenetrano, e fu chirurgo intraprendente e di grande valore; molte sue note importanti si leggono nelle Memorie dell'Accademia di chirurgia, accanto a quelle di numerosi altri chirurghi dell'epoca quali La Peyronie, Verdier, Morand, La Martinière, Boucher, Garengeot, La Faye, Ravaton, Louis, ecc.

Intanto Pietro Giuseppe Desault dava grande impulso alla anatomia chirurgica e immaginava apparecchi per la cura di fratture e lussazioni; Francesco Chopart ideava l'amputazione parziale del piede e s'occupava di malattie delle vie urinarie; Moreau eseguiva le prime resezioni articolari.

In Italia veniva ripresa la campagna sulla semplicità del medicare, da Angelo Nannoni. Se anche il concetto da cui partiva, che cioè fossero soprattutto da temere le offese dell'aria sulle ferite, non era esatto, i risultati non furono meno notevoli. Il Nannoni espresse le sue idee in un trattato Sopra la semplicità del medicare i mali d'attenenza della chirurgia e scrisse anche un trattato chirurgico sulle malattie della mammella, nonché un trattato d'osservazioni chirurgiche, ricco di casistica ragionata.

Suo figlio Lorenzo, lettore d'istituzioni chirurgiche in Firenze, fu pure ottimo chirurgo e pubblicò, fra l'altro, un Trattato delle materie chirurgiche e delle operazioni loro respettive, il primo completo in Italia, corredato da un buon numero di tavole in rame, dimostranti i più utili strumenti chirurgici dell'epoca.

Anche Carlo Guattani novarese, fondatore della scuola chirurgica romana, riportò la semplicità nel medicare; egli s'occupò anche con grande competenza dell'esofagotomia e della litotomia. Pure in Roma Giuseppe Flaiani, chirurgo dell'Ospedale di S. Spirito e di Pio VI, s'occupava del metodo di medicare (1786) e pubblicava in quattro volumi un trattato col titolo Collezione e riflessioni di chirurgia (1798-1803).

Domenico Anel, tolosano, ma piemontese d'elezione, chirurgo dei Savoia, inventore della siringa aspiratrice e di molti trattamenti sia con l'aspirazione, sia con l'iniezione di sostanze modificatrici, deve la maggior notorietà all'avere eseguito nel 1710 la legatura dell'arteria al di sopra d'un aneurisma. Il metodo, che a torto taluni attribuirono poi a Hunter, era stato usato in realtà, come vedemmo, da Aezio e, in tempo assai più vicino all'Anel, dal Severino; fu poi ripreso dallo Spezzani a Modena nel 1781, ma soltanto lo Scarpa ebbe il merito di studiare a fondo tutte le condizioni che permettono la legatura delle arterie negli aneurismi.

Invero Antonio Scarpa non fu soltanto grande anatomico, ma sommo maestro di chirurgia; e sulla cura degli aneurismi e sugli aneurismi in genere, sulla legatura delle principali arterie degli arti, sulla circolazione collaterale, sulla cataratta, sulle ernie, di cui dimostrò le modalità anatomiche, e sulle deformità dei piedi, lasciò scritte pagine imperiture. Magnifiche tavole adornano le sue opere.

Al chirurgo napoletano Michele Troia spetta il merito d'avere insegnato che l'osso cresce dal periostio (Osservazioni ed esperimenti sulle ossa, 1814); assai interessanti le sue Lezioni intorno ai mali della vescica orinaria e delle sue appartenenze (1785). Classiche sono da ritenersi le Istituzioni chirurgiche di Gian Battista Monteggia, allievo di Bernardino Moscati, chirurgo a Milano, noto anche per interessanti osservazioni anatomopatologiche. Egli diede il nome a quella varietà di lussazione iliaca della testa del femore nella quale questa viene a trovarsi rivolta in avanti, anziché indietro. A lui spetta ancora il merito di aver pensato e proposto l'estirpazione del cancro uterino, priorità che dovette rivendicare nei riguardi dell'Osiander di Gottinga.

E ancora a Milano Giovan Battista Palletta oltre a molte indagini anatomiche, pubblicò un'opera, Adversaria chirurgica (1783), nella quale portò un importante contributo anatomico e anatomopatologico alla patologia chirurgica, e in particolare alle lussazioni della testa del femore.

A Torino, Ambrogio Bertrandi segnava un'orma luminosa della quale sono testimonî il Trattato di chirurgia (1760) e la raccolta delle opere in ben undici volumi; e a Pavia e Padova il suo allievo Vincenzo Malacarne eccelleva nell'anatomia traumatica e nella anatomia chirurgica, nonché nella patologia ossea.

In Germania, Imrenzo Heister, anch'egli anatomico e chirurgo, fu autore di un completo trattato dal titolo Institutiones chirurgicae; Carlo Gaspare v. Siebold, fondò la scuola chirurgica di Würzburg; e Augusto Gottlieb Richter professore a Gottinga, fondatore del primo giornale chirurgico (Bibliotheca chirurgica), diede grande impulso alla chirurgia delle ernie e scrisse un'opera notevolissima in sette volumi, sui principî fondamentali della chirurgia.

In Inghilterra dopo Cheselden, espertissimo nella litotomia perineale, William Hunter fu celebrato, oltre che per i lavori anatomici e per il connubio da lui ottenuto tra fisiologia e chirurgia, per gli studî sugli aneurismi; Percival Pott descrisse esattamente la tubercolosi vertebrale (1778), malattia che porta tuttora il suo nome, e Beniamino Bell scrisse un vasto trattato di chirurgia e in particolare si occupò di patologia delle ulcere, di chirurgia dei tumori e della clinica e terapia delle fratture e lussazioni.

Chirurgia della prima metà del sec. XIX. Nella prima metà del sec. XIX, l'evoluzione della chirurgia è lenta e progressiva, più scientifica che tecnica; in questo periodo si compie soprattutto una revisione della patologia chirurgica, nella quale la Francia ha la maggiore influenza, e ciò alla luce dei nuovi mezzi d'indagine e delle nuove conoscenze che i progressi nel campo della biologia e dell'anatomia patologica vanno via via fornendo agli studiosi.

Ha anche grande sviluppo la chirurgia militare, con il barone Pietro Francesco Percy, autore di un Manuale di chirurgia d'armata (1792) e di un Trattato dell'arte di applicare il fuoco in chirurgia (1810); e con il barone Gian Domenico Larrey, il grande chirurgo delle armate napoleoniche, institutore con Percy delle ambulanze volanti, autore di memorie di chirurgia su svariati argomenti (1841), d'un trattato delle ferite d'armi da fuoco e da taglio e di molte relazioni di chirurgia militare. Egli eseguì un enorme numero di amputazioni e resezioni articolari, sulle quali scrisse anche una memoria; contava ben 25 campagne di guerra. Il barone Alessio Boyer, chirurgo alla Charité, scrisse un trattato di patologia chirurgica che rimase a lungo classico. Ma la maggior figura della chirurgia francese fu il barone Guglielmo Dupuytren, patologo, clinico, operatore di grandissimo valore che raccolse intorno a sé allievi da tutte le parti del mondo, dando impulso vigoroso alla patologia e alla clinica chirurgiche, nonché alla medicina operatoria. A giudizio anche dei Francesi, egli può essere considerato continuatore diretto dell'indirizzo anatomo-clinico, creato dal Morgagni. Anch'egli autore d'un trattato teorico-pratico delle ferite di guerra (1834), lasciò celebrate lezioni di clinica chirurgica, e memorie di chirurgia sugli argomenti più svariati. La frattura bimalleolare, la retrazione dell'aponeurosi palmare, furono da lui studiate, così da meritare d'essere indicate poi col suo nome. Fece la prima resezione del mascellare inferiore, la prima tenotomia sottocutanea dello sternocleidomastoideo, la legatura dell'arteria iliaca esterna e della succlavia; inventò un enterotomo per la cura degli ani preternaturali. La sua abilità tecnica fu però troppo spesso frustrata dall'enorme mortalità per infezione.

Degli altri chirurghi contemporanei di Dupuytren sono da citare Giacomo Lisfranc, che ha lasciato il nome all'amputazione parziale del piede nella linea tarso-metatarsea (1815), a procedimenti per la resezione della testa omerale, per la disarticolazione del polso, della spalla e dell'anca, all'amputazione perineale del retto e all'amputazione vaginale del collo dell'utero; Filiberto Giuseppe Roux, che eseguì in Francia la prima stafilorrafia per gola lupina (1819); e Giacomo Mattia Delpech, professore a Montpellier, ortopedico oltreché chirurgo, autore d'un Traité de l'orthomorphie (1828-29), ideatore della sezione sottocutanea del tendine di Achille nel piede equino (1816), e il primo a stabilire la natura tubercolare del morbo di Pott.

Alfredo A. L. M. Velpeau, successo nella cattedra al Boyer, ebbe influenza sullo sviluppo della chirurgia; pubblicò fra l'altro un trattato di anatomia chirurgica (1823), un trattato di medicina operatoria in tre volumi (1828), un trattato d'embriologia (1833), un trattato delle malattie della mammella (1854).

Antonio Jobert de Lamballe merita d'essere ricordato per l'indirizzo scientifico basato su principî di fisiologia patologica, come dimostrano la memoria sulle ferite e sulle suture del canale intestinale, il trattato delle ferite d'arma da fuoco, il trattato di chirurgia plastica; il suo metodo di cura radicale delle fistole vescico-vaginali per mezzo della cistoplastica per scivolamento fu per quel tempo una creazione geniale.

Giuseppe Francesco Malgaigne fu autore d'un manuale di medicina operatoria (1834) che ebbe parecchie edizioni, d'un trattato d'anatomia chirurgica e di chirurgia sperimentale (1838), accolto con minor favore, e d'un trattato delle fratture e delle lussazioni che è la sua opera più importante. Editore delle opere complete di Ambrogio Paré, vi premise un'introduzione contenente la storia della chirurgia in occidente dal sec. VI al sec. XVI.

Clinico e patologo di grande valore fu Antonio Nélaton, la cui opera si protende anche nella seconda metà del secolo; i suoi Elementi di patologia chirurgica in parecchi volumi, tradotti in varie lingue, ci rappresentano tutto quanto si conosceva in materia intorno al 1850. Inventore della sonda uretrale di gomma, che porta il suo nome e che è in uso tuttora, e dello specillo a estremità olivare di porcellana, che gli fu ispirato dalla ferita di Garibaldi ad Aspromonte, descrisse ingegnosi processi di autoplastica e introdusse fra i primi l'ovariotomia in Francia.

Fra i progressi chirurgici più notevoli fatti in Francia in questo periodo, ricordiamo: la litotrizia, eseguita la prima volta da Civiale nel 1824 allo scopo di rompere ed estrarre per le vie naturali i calcoli della vescica, e già poco dopo perfezionata da Leroy d'Etiolles (1798-1860) e da Heurteloup (1793-1864); la sutura intestinale, con affrontamento siero-sieroso di A. Lembert (1826), fondamentale nella chirurgia dello stomaco e dell'intestino; la fistola gastrica e lo svuotamento delle ossa, eseguite da Carlo Sédillot nel 1849; l'ablazione totale del mascellare superiore (1827) e l'estirpazione della parotide, fatte da Giuseppe Gensoul di Lione; e ancora l'uretrotomo, inventato da Maisonneuve (1855) per l'uretrotomia interna; la siringa per iniezioni ipodermiche di Carlo Pravaz nel 1851; le finissime serres fines per suture cutanee di Augusto Vidal de Cassis, autore d'un ottimo Trattato di patologia esterria e medicina operatoria, che ebbe molte edizioni e fu anche tradotto in italiano; il drenaggio chirurgico, elevato a metodo da Chassaignac.

La patologia e la terapia delle affezioni articolari fecero grandi progressi a Lione con Amedeo Bonnet, autore d'un trattato delle sezioni tendinee e muscolari (1843), d'un trattato delle malattie articolari (1845), e d'un trattato di terapia delle malattie articolari, e più tardi con Leopoldo Ollier. Paul Broca, il fondatore dell'antropologia e che legò il suo nome alla localizzazione cerebrale del centro della parola, scrisse un voluminoso e dotto trattato sugli aneurismi e sulla loro cura (1856).

In Italia, oltre ad Antonio Scarpa, che è la figura più rappresentativa del principio del secolo, la chirurgia ebbe parecchi valorosi cultori. Anzitutto Andrea Vaccà Berlinghieri, professore a Pisa nel 1803, del quale si hanno memorie sopra i restringimenti dell'uretra, la litotomia, le allacciature vasali, ecc., nonché un trattato inedito di chirurgia, teorico-pratico, il quale è stato largamente illustrato dal Giordano; Paolo Assalini di Reggio Emilia; Giorgio Regnoli, chirurgo a Pisa, che fu autore d'un nuovo e geniale metodo per l'estirpazione della lingua con taglio sopraioideo, fece la disarticolazione della clavicola e, col suo allievo Ranzi, pubblicò apprezzate lezioni d'anatomia chirurgica e di medicina operatoria; Paolo Baroni bolognese, che scrisse molti lavori sulla litotrizia, su resezioni e disarticolazioni, anche importanti, e sulle resezioni nervose; che fu primo a eseguire in Italia l'amputazione del retto e la disarticolazione della coscia (1831), e fu particolarmente esperto nelle plastiche; Giovanni Rossi, clinico chirurgo a Parma, di cui si può ricordare l'esofagotomia eseguita nel 1831; Nicola d'Apolito, dell'ospedale degl'Incurabili di Napoli, che applicò la sutura dei materassai per le sierose intestinali (1841); Alessandro Riberi, clinico chirurgo a Torino, che dimostrò la contagiosità della cancrena nosocomiale e dell'erisipela, fu autore di metodi originali per la cura dell'ectropion, delle fistole salivari, per la cheiloplastica, e merita anche d'essere ricordato come fondatore del Giornale di medicina militare e dell'Accademia di medicina a Torino; Bernardino Larghi di Vercelli, che si può considerar precursore della medicazione antisettica, per l'uso che fece del nitrato d'argento nelle ferite ('42) e che, prima di Ollier, eseguì la resezione col metodo sottoperiosteo; la fenditura mediana del piede a scopo di resezione, operazione che va col nome di Obalinski, è pure sua; Gian Battista Fabbri, professore d'istituzioni chirurgiche e ostetriche a Bologna, che illustrò magistralmente le lussazioni traumatiche, lasciando un'orma nella patologia e nella cura di tali lesioni. Né deve essere dimenticato Tommaso Rima, per la sua dottrina, ripresa dal Trendelenburg nel 1890, sul movimento inverso del sangue venoso, come causa ed effetto delle varici (1825), dottrina che lo portò fin d'allora alla stessa conclusione terapeutica, che si dovesse cioè per la cura delle varici "obliterare con l'escisione la safena, in un punto al di sopra delle varici".

In Inghilterra gli uomini più rappresentativi della chirurgia di questo periodo furono: John Bell, noto per la chirurgia vasale e per un trattato d'anatomia; sir Astley Cooper, che nelle legature vasali fu così ardito, da tentare anche la legatura dell'aorta addominale, e inoltre studiò l'anatomia delle ernie, le malattie articolari, del testicolo, del timo, le fratture del femore e scrisse un trattato di chirurgia; Abraham Colles, che descrisse la frattura dell'estremità inferiore del radio, dai francesi attribuita a Pouteau; Roberto Liston, espertissimo nella chirurgia delle ossa e in operazioni plastiche; Giacomo Syme, noto fra l'altro per un ottimo metodo d'amputazione sottomalleolare del piede a lembo talloniero; William Fergusson, autore di tecniche per l'operazione del labbro leporino e della gola lupina e fautore delle resezioni articolari, in sostituzione delle amputazioni; Brodie che studiò le malattie articolari differenziando le artropatie nervose.

In America, MacDowell eseguì nel 1809 la prima ovariotomia, seguito poi dallo Smith di Philadelphia; Marion Sims inventò diversi strumenti tuttora in uso per diagnosi e terapia ginecologica e creò un metodo operatorio per la cura della fistola vescico-vaginale; Valentino Mott legò per primo l'arteria iliaca primitiva.

La chirurgia tedesca vanta in questo periodo Federico Dieffenbach e Carlo Ferdinando von Graefe, che portarono a grandi altezze la chirurgia plastica e riparatrice; Corrado Martino Langenbeck, che lasciò fama d'operatore estremamente rapido; Vincenzo von Kern che seguì l'indirizzo del Magati, medicando le ferite semplicemente con acqua; Gaetano von Textor, autore di metodi operatorî per la chirurgia osteoarticolare ed esecutore di resezioni sottoperiostee nel 1837; Luigi Stromeyer, che è considerato il fondatore della moderna chirurgia di guerra in Germania, e propugnò le tenotomie sottocutanee e la chirurgia conservatrice nelle lesioni e affezioni articolari. Della Russia va ricordato Nicolò Pirogoff (Pirogov) per la ben nota amputazione osteoplastica del piede, atta a dare un moncone facilmente gravabile.

E ovunque si sono moltiplicati i cultori della chirurgia e spesso anche i minori hanno portato contributi assai pregevoli di patologia, di clinica e di tecnica operativa. Tuttavia, salvo qualche eccezione sporadica, il campo d'azione della chirurgia non s'è gran che esteso; essa è ancora ostacolata dal pericolo d'infezione e dall'impossibilità d'operare senza gravi sofferenze da parte dei pazienti.

Chirurgia della seconda metà del sec. XIX e del principio del sec. XX. - È dunque profonda la rivoluzione che si compie, allorché nel 1846 sorge l'anestesia generale eterea e più ancora allorché nel 1867, dopo le scoperte di Pasteur, preparate da quelle di Agostino Bassi, Lister introduce il metodo antisettico nel trattamento delle ferite. S'aggiunga l'invenzione della pinza emostatica per parte di Koeberlé (1864) e di Péan (1868), e si avranno così i tre elementi basali, per i quali la chirurgia, soprattutto dopo il 1875, ha fatto un balzo gigantesco, che forse non ha riscontro nella storia di alcun'altra branca delle scienze mediche.

La chirurgia, invero, che soltanto al principio del sec. XVII s'era faticosamente portata a livello della medicina, alla fine del sec. XIX aveva acquistato addirittura la supremazia e aveva invaso, con prudente audacia, ma con sicurezza, tutto il campo della medicina trovando rimedî radicali in molte affezioni giudicate incurabili e moltiplicando le cognizioni patologiche, anatomopatologiche e fisiologiche, mercé l'osservazione diretta biopsica e il risultato funzionale di molti interventi, che spesso rappresentavano vere esperienze di fisiologia nell'uomo.

L'anestesia (v.) ha compiuto continui progressi dalla storica data del 16 ottobre 1846, allorché Morton e Warren di Boston fecero con successo la prima anestesia eterea. Accanto ai metodi d'anestesia generale con l'etere, col cloroformio (James Young Simpson di Edimburgo, 1847), con la miscela di Billroth (cloroformio, etere, alcool), e altre miscele, con protossido d'azoto e con altri gas, quale l'etilene, hanno trovato posto l'anestesia locale e regionale (Schleich, 1892) e l'anestesia spinale (Bier, 1899), nata dalla puntura lombare di Quincke (1891). Per tal modo, è consentito oggi al chirurgo di scegliere con scrupolosa esattezza, caso per caso, il metodo d'anestesia, escludendo quelli che potrebbero essere, per qualche motivo, controindicati.

Sennonché, l'inevitabile allargamento della sfera d'azione della chirurgia, portato dalla rapida introduzione dell'anestesia, non ha trovato dapprincipio riscontro in una minore effettiva gravità degli interventi; e ciò per il fatto che il trattamento delle ferite e la difesa dalle infezioni non erano fondamentalmente progrediti. Ché nessuna eco avevano avuta la dimostrazione, fin dal 1820 data dal Riberi, della contagiosità della cancrena nosocomiale e dell'erisipela; né quella data da O. V. Holmes (1809-1894) della contagiosità della febbre puerperale, ed era stata sepolta la dottrina di Ignazio Filippo Semmelweiss, che nel 1847, dividendo le stesse idee, aveva già ottenuto mirabili risultati profilattici facendo lavare con acqua di Javel diluita le mani di chi veniva a contatto con le puerpere, e facendo lavare con cloruro di calcio gli ambienti. E la fondamentale memoria di Enrico Bottini "dell'acido fenico nella chirurgia pratica", era stata pubblicata nel 1866, un anno prima di Lister.

Ma quando, sempre sotto l'impulso delle scoperte di Pasteur, e sia pure con l'errato concetto della difesa dall'aria infetta, nacque con Giuseppe Lister l'antisepsi in chirurgia, si compiva la vera, grande rivoluzione. Ridotto poi l'uso dell'acido fenico, dell'iodoformio, del sublimato e d'altri antisettici, dimostrato che non nell'aria era il pericolo più grande, e abolito lo spray, contro il quale specialmente si levò Vittorio von Bruns professore a Tubinga, scoperta l'azione sterilizzante del calore (Koch) e introdotta così la bollitura degli strumenti (Hans Buchner, 1878) e la sterilizzazione a secco del materiale di medicazione (Schimmelbusch, 1891, nella clinica di von Bergmann in Berlino); sostituita cioè l'antisepsi fisica alla chimica, è nata la chirurgia operatoria asettica, lasciando gli antisettici alla cura di certe ferite infette. Per esempio nella guerra mondiale ha avuto grandi applicazioni la soluzione d'ipoclorito sodico secondo il metodo di Carrel-Dakin, che in Italia fu applicata più frequentemente con la formula del clorosan del Giannettasio. Per le ferite infette si sono aggiunti inoltre varî modi di trattamento sia profilattico sia curativo: come profilassi, la cosiddetta antisepsi meccanica e cioè l'accurata pulizia della ferita largamente aperta ed esplorata in ogni recesso, e soprattutto l'ablazione dei corpi estranei e l'escisione dei tessuti contusi, mezzi che possono consentire persino la sutura immediata (Trendelenburg, Lemaître, Gaudier, Donati), la sieroterapia, soprattutto l'antitetanica e l'anticancrenosa; come cura, accanto a quella chirurgica, la siero- e la vaccinoterapia.

Oggi nelle sale operatorie, linde e ben lavabili, poste in ospedali ovunque costruiti con tecnica rinnovata e dotati di un'assistenza infermiera che tende dappertutto a migliorare e che già ha toccato alti gradi di perfezione in certi paesi, soprattutto anglosassoni, gl'interventi si svolgono con calma, su tavoli d'operazione perfezionatissimi, essendo il campo illuminato da lampade che non proiettano ombre (scialitiche). Gli operatori vestono sulle mani lavate con acqua, sapone e poi alcool, guanti di gomma (Halsted di Baltimora, nel 1890) con o senza l'aggiunta di guanti di filo sterilizzati a secco (Mikulicz), e usano camici e maschere (Mikulicz) pure sterilizzati.

La preparazione della cute del paziente è fatta semplicemente pennellandola a secco con tintura di iodio (Grossich 1907), meglio se diluita con alcool; taluni usano soluzioni alcooliche di acido picrico. Lo strumentario chirurgico, sterilizzato a secco, o con la bollitura, o col vapore, a seconda dei casi, è composto di strumenti di acciaio, per lo più inossidabili; al vecchio strumentario si sono aggiunti bisturi elettrici (freddi), elettrocauterî, apparecchi di diatermia, ecc.: per le suture profonde s'usano fili ora assorbibili (catgut) ora no (lino, seta, bronzo-alluminio) e per quelle cutanee uncini metallici, o seta, o crine di Firenze.

La tecnica operativa trae molti vantaggi dall'endoscopia (v.), nata dalla scoperta dell'oftalmoscopio fatta dal Helmoltz nel 1870. Essa raggiunge tutte o quasi le cavità del corpo: rinoscopia (Czerihak, 1859), laringoscopia (Czermak, 1860), esofagoscopia (Störk, Mikulicz, 1881), tracheobroncoscopia (Voltolini, 1870; Kirstein, 1895; Killian, 1897), gastroscopia (Mikulicz), cistoscopia (Max Nitze, 1876), rettosigmoidoscopia, uretroscopia (Oberländer), pleuroscopia, ecc.

Inoltre la chirurgia sia diagnostica sia operativa si giova di un'altra grande scoperta, quella dei raggi X, fatta da Guglielmo Corrado Röntgen nel 1895. Sono nate così la röntgendiagnostica, basata sulla radioscopia e la radiografia, e la röntgenterapia la quale ultima è un potente ausilio della chirurgia e in alcuni casi l'ha sostituita nella cura di svariate affezioni e in particolare dei tumori maligni; inoltre, molte operazioni, come riduzioni di fratture, ricerca e asportazione di corpi estranei radiopachi, possono essere eseguite sotto il controllo radioscopico. In seguito poi alla scoperta del radio, fatta dai coniugi Curie nel 1898, è nato un altro sussidio importante, la radioterapia.

Tutti codesti fattori, congiunti con l'indirizzo sperimentale della patologia chirurgica e sotto l'influsso degl'intensificati rapporti con le scienze fisico-chimiche e quelle biologiche, nonché con tutte le altre branche della medicina, hanno creato la chirurgia moderna. Volendola esaminare sinteticamente, si possono, con Lecène, prendere in esame diverse categorie d'operazioni, distinte a seconda che esistevano precedentemente, magari da secoli, oppure erano eseguite in passato solo eccezionalmente in causa della loro gravità, oppure sono del tutto nuove.

Per le prime (amputazioni, resezioni, legature vasali, trapanazioni del cranio, apertura d'ascessi superficiali o profondi, asportazione di tumori superficiali, ecc.), l'avvento della nuova chirurgia ha avuto per effetto d'abbassare notevolmente e rapidamente la mortalità da cifre che erano ancora alte a cifre bassissime, per taluni interventi riducendola addirittura a zero. Analogamente s'è profondamente mutata nei risultati la cura di ferite e di fratture aperte, nelle quali tuttavia la condizione del successo è l'intervento rapido e cioè immediato, o nelle prime ore, prima dell'inizio di fenomeni infettivi. A questo riguardo è stata categorica l'esperienza fatta nella guerra mondiale, al principio della quale l'astensione sistematica, proclamata in base all'esperienza delle guerre russo-giapponese, balcaniche, ecc., nelle quali prevalevano ferite da proiettili di fucile, aveva dato risultato deplorevole. Le ferite, specialmente quelle da scoppio di proiettili d'artiglieria, da schegge di sassi, ecc., non devono invece essere semplicemente protette con medicazione asettica o antisettica; né basta che siano trattate con la cosiddetta antisepsi profonda, per mezzo di tintura di iodio o d'ipoclorito, o di vuzina (Bier, Klapp) o d'altre sostanze; ma occorre vengano operate secondo le suesposte regole dell'antisepsi meccanica o chirurgica. D'altra parte, anche nella tecnica delle operazioni qui considerate si sono verificati profondi mutamenti. Basti accennare alle amputazioni cinematiche, secondo la geniale teoria del Vanghetti (1898), che ebbe applicazioni cliniche e perfezionamenti per opera di Ceci, Alessandri, Galeazzi, De Francesco, Putti, Pellegrini, Sauerbruch, Bosch-Arana, Pieri, ecc.

Fra le operazioni della seconda categoria, sono da annoverare anzitutto quelle per ernia; dopo l'avvento dell'asepsi e dell'antisepsi sono stati a tal riguardo escogitati e applicati varî metodi di cura "radicale" fra i quali quello pubblicato nel 1884 per l'ernia inguinale da Edoardo Bassini è indubbiamente tuttora il più sicuro e razionale. Molto usati, a seconda dei paesi, sono anche i metodi di William MacEwen, di Giusto Lucas-Championnière, di Teodoro Kocher, di Vincenzo von Czerny, e, per l'ernia crurale, oltre a un metodo assai semplice del Bassini, il geniale metodo inguinale (1892) di Giuseppe Ruggi. Sono poi da considerare in questa categoria le operazioni ginecologiche, a cominciare dall'ovariotomia (meglio, ovariectomia), per cisti dell'ovaio; dai tentativi contrastati dei primi anni del secolo, s'era giunti bensì alle operazioni relativamente felici di Tommaso Spencer in Inghilterra, col 23% di mortalità, ai primi tentativi di Tito Vanzetti in Russia (1846) e in Italia (1859), ai successi di Eugenio Koeberlé a Strasburgo (1862), di Giulio Péan a Parigi nel 1868, di Domenico Peruzzi, di Pasquale Landi in Italia; ma ci volle la nuova era per trasformare l'ovariotomia in una delle operazioni addominali più correnti, con risultati brillanti e quasi costantemente favorevoli. E così si dica delle operazioni per gozzo, disciplinate specialmente da Luigi Porta, dal Kocher, dal Bassini, dal Bottini, da Antonio Carle, dai viventi De Quervain, Crile; così si dica di tutte le vecchie operazioni sullo scheletro e sulle articolazioni, che hanno potuto perfezionarsi al punto da diventare affatto innocue, mentre una quantità di nuove, tolto il pericolo delle infezioni, ne sono sorte; delle operazioni per aneurismi, che hanno perduto la drammaticità d'un tempo e che la nuova chirurgia vasale ha in parte consigliato di abbandonare, mentre altre ne ha create. Oggi i metodi fra cui scegliere sono le legature, l'incisione della sacca con legatura (il vecchio metodo d'Antillo), l'estirpazione della sacca con o senza restaurazione della continuità arteriosa, l'aneurismorrafia del Matas. Si potrebbero ancora citare molte operazioni viscerali: sulla vescica, sul rene, sul fegato, sulla milza, sull'intestino, che avevano dato luogo per il passato a tentativi isolati e troppo spesso infelici.

Infine alla terza classe appartengono le operazioni create dalla chirurgia moderna, delle quali non è possibile fare l'elenco completo, e tanto meno illustrare a pieno l'importanza. Sono nate per esempio ex novo la biologia e la chirurgia degl'innesti e dei trapianti. Tali gl'innesti epidermici di Luigi Reverdin immaginati allo scopo di coprire perdite di sostanza cutanea (1870), e quelli dermo-epidermici di Ollier (1872) e, nel 1874, di Carlo Thiersch, che servono meravigliosamente, purché presi dallo stesso individuo, per ricoprire superficie granulanti per perdite di sostanza cutanea, in sostituzione anche delle complicate autoplastiche di un tempo. Tali i trapianti ossei, liberi o peduncolati a scopo di osteoplastica, studiati già da Ollier nel 1858. La sorte degl'innesti ossei liberi fu definita poi dalle ricerche d'un gran numero di studiosi, e in clinica hanno avuto numerose applicazioni sia gl'innesti autoplastici di osso fresco, sia gl'innesti di cartilagine, sia i trapianti d'osso morto. In realtà questi ultimi non sono che corpi estranei quali funzionano da tutori e vengono poi sostituiti da osso rigenerato, e in taluni casi anche espulsi. Gl'innesti ossei sono stati applicati alla cranioplastica, per il quale intervento è ottimo un metodo osteo-periosteo di Durante-Righetti, alla rinoplastica, alla cura di pseudoartrosi diafisarie delle ossa lunghe, al quale riguardo è notevole il contributo di Codivilla, Putti, Dalla Vedova, per correggere articolazioni ciondolanti, per sostituire perdite di sogtanza scheletrica; inoltre gl'innesti ossei sono stati applicati alla cura di pseudoartrosi congenite, di lussazioni dell'anca, di deformità congenite del piede, per obliterare cavità ossee patologiche, per fissare le articolazioni, ecc. Un'applicazione dell'innesto osseo è l'osteosintesi della colonna vertebrale (Albee) per morbo di Pott o per altre spondiliti, o per morbo di Kümmel.

Sono inoltre stati introdotti in chirurgia gl'innesti di tessuto adiposo, a scopo estetico, a scopo emostatico, a scopo d'isolamento e di sostegno; gl'innesti d'aponeurosi, per rifare legamenti, per rivestire i capi articolari nelle artroplastiche, per rifare o rinforzare tratti di parete addominale, ecc.; gl'innesti e trapianti tendinei (Codivilla, Vulpius, Biesalski); gl'innesti di tessuto muscolare.

Importanti ancora, se anche praticamente non molto usati, i trapianti di vasi sanguigni, gl'innesti articolari totali e gl'innesti semiarticolari. Infine, nelle deficienze funzionali delle varie ghiandole a secrezione interna si sono fatte con grande utilità innumeri applicazioni d'innesti di tiroide, paratiroide, testicolo, ovaia, timo (v. endocrino, sistema). E ancora tutta la chirurgia restauratrice dei vasi e dei nervi appartiene a questa categoria d'operazioni.

Tra le più mirabili conquiste moderne è poi da noverare la cura chirurgica dei tumori intracranici, che può essere palliativa, sia in forma di trapanazione decompressiva (Horsley, Cushing), sia come puntura del corpo calloso (Anton e von Bramann, 1911); oppure radicale, e allora consiste nell'asportazione del tumore (Krause, Cushing, Frazier, De Martel, ecc.) in uno o più tempi. Anche l'epilessia post-traumatica e l'idrocefalo sono oggetto di sapienti interventi chirurgici. Pure nuova è la cura radicale dei tumori midollari per mezzo della laminectomia (Gower, Horsley, 1886).

In altro campo, costituiscono una novità assoluta la chirurgia del timo (Garré, Sauerbruch), la chirurgia del dotto toracico, la chirurgia del cuore e del pericardio, della quale s'è occupato nel 1920 il V Congresso della Società internazionale di chirurgia, essendo relatore per l'Italia Alessandri. La prima sutura del cuore risale al gennaio 1896 (Farina, di Roma), e i primi successi furono ottenuti nel 1897 dal Rehn e poi dal Parrozzani, dal Parlavecchio, ecc.

La chirurgia del polmone e della parete toracica è stata rinnovata. Si sono eseguite pneumotomie, pneumectomie parziali (Gluck, Ruggi, D. Biondi, Helferich, Mikulicz, Garré, Brauer, Tuffier, Forlanini, Sauerbruch, Wilms, Leotta, ecc.), cure restauratrici di vecchie fistole toraciche da empiema (Delorme, Donati), interventi plastici per la cura della tubercolosi polmonare; per la quale affezione è stata anche introdotta la resezione del nervo frenico al collo (Stuertz, Sauerbruch). Sempre sul torace, sono stati immaginati interventi per enfisema polmonare (Freund), per pericardite adesiva (Brauer), per embolia dell'arteria polmonare (Trendelenburg, 1908), per angina di petto. Questo dell'angina di petto è un capitolo di una chirurgia tutta nuova, quella del simpatico, che nacque in Italia con Ruggi, in Francia con Jaboulay, che ebbe in Jonnescu di Bucarest un rappresentante autorevole, e alla quale soprattutto il Leriche in Francia ha dato il maggiore sviluppo. Dalle recenti relazioni dei Congressi italiani di chirurgia, fatte da O. Uffreduzzi e da Donati e Vannucci, rispettivamente sulla chirurgia del simpatico periarterioso e del simpatico viscerale, dalle molteplici e originali pubblicazioni del Pieri, si può rilevare la complessità dei problemi in questo campo e il grande numero d' esperienze cliniche finora fatte, se anche spesso non ancora conclusive.

Infine si può dire che è stata creata tutta la chirurgia dei visceri addominali. Le operazioni sullo stomaco, che hanno avuto inizio nel 1879 con le resezioni piloriche del Péan e nel 1880 con quelle di Teodoro Billroth, e sono continuate nel 1884 con Woelfler, autore della prima gastroenterostomia, si sono moltiplicate in seguito con numerose modalità di tecnica. L'ulcera gastrica, l'ulcera duodenale, il cancro dello stomaco si sono giovati e si giovano continuamente dell'uso razionale della gastroenterostomia e delle resezioni gastriche. Vanno ricordati tra coloro che più hanno contribuito allo sviluppo di questa chirurgia i nomi di Loreta (divulsione pilorica), Heineke, Mikulicz, Novaro, Carle, Durante, Roux, Rydygier, Kocher, von Hacker, Doyen, Hartmann, Moynihan, W. Mayo, ecc., nonché i contributi di molti chirurghi italiani.

Analogamente le resezioni intestinali, fra le quali importanti le resezioni ileocecali per tubercolosi o tumore, le colectomie, ecc., sono divenute operazioni di frequente indicazione e uso. L'appendicite è stata individuata e porta forse attualmente il maggior contributo alle operazioni addominali. Interessante, e tuttora in evoluzione, è la chirurgia della stasi intestinale cronica.

E ancora; cisti e tumori del fegato e del pancreas vengono curati nel più vario modo, fino al più radicale, la resezione del viscere. I calcoli biliari sono trattati a lor volta chirurgicamente, per lo più oggi con la colecistectomia, la coledocotomia, l'epaticotomia. In certe ostruzioni del coledoco, per esempio da tumore, può essere necessaria invece la colecistogastro- o la colecistoenterostomia. Interessante anche l'indicazione del tutto moderna della splenectomia nelle malattie del sangue.

La chirurgia renale ha fatto a sua volta grandi progressi, sia nella diagnosi, inaugurando e sempre più perfezionando lo studio della funzionalità renale, sia nella tecnica, sia allargando le proprie indicazioni. Così, per esempio, è stata molto semplificata la tecnica di fissazione del rene mobile (nefropessia) e s'è introdotta la decapsulazione renale nelle nefriti croniche ematuriche dolorose (Edebohls); s'è riconosciuta la grande utilità della nefrectomia precoce nella tubercolosi renale unilaterale, s'è escogitata l'incisione del bacinetto o dell'uretere (pielotomia, ureterotomia) per l'asportazione di calcoli, si sono eseguite operazioni plastiche sul bacinetto, l'ureterocistoneostomia per idronefrosi o per fistole ureterali, l'impianto dell'uretere nell'intestino per estrofia della vescica o dopo cistectomia. Per via endoscopica, poi, si possono ora asportare calcoli dell'estremo inferiore dell'uretere, calcoli e tumori vescicali; distruggibili spesso, questi ultimi, con l'elettrocoagulazione.

L'ipertrofia della prostata è divenuta a sua volta un'affezione curabile, mercé la prostatectomia, sia perineale, sia, preferibilmente, transvescicale (Freyer); questa ha prevalso anche sull'incisione termogalvanica della prostata, proposta dal Bottini (1864).

S'è anche inaugurata una chirurgia di ghiandole a secrezione interna un tempo non individuate nella loro importanza patologica, quali l'ipofisi, le ghiandole surrenali. Il morbo di Basedow è entrato pure a buon diritto nel campo della chirurgia (tiroidectomia parziale, operazioni sul simpatico cervicale).

E infine la moderna chirurgia dei tumori ha ideato procedimenti di cura radicale, consistenti nell'ablazione precoce del tumore, con tutto il territorio linfatico connesso e con larga parte dei tessuti vicini apparentemente sani. L'intervento radicale precoce ottiene risultati apprezzabilissimi, specialmente nel carcinoma della mammella, della lingua, dello stomaco e dell'intestino, e fra questi ultimi, in particolare, nel carcinoma del retto. Nel cancro del collo dell'utero, per il quale si era molto progrediti, soprattutto con l'operazione radicale del Wertheim, la chirurgia ha ceduto invece in gran parte il posto alla cura con le radiazioni (radio), così come in molti casi di cancro della pelle e delle mucose visibili.

Per quello che riguarda, infine, le altre operazioni ginecologiche, si può dire che anche in questo campo tutto è stato rinnovato, dalle plastiche vaginali a quelle del collo dell'utero, dalle isterectomie sopravaginali (Bassini 1886, Carle) alle totali, dalle pessie o fissazioni per vizî di posizione dell'utero, alle annessectomie possibilmente non totali, agl'interventi per gravidanza extrauterina, ecc.

Tutti i progressi raggiunti in chirurgia hanno profondamente influito sull'evoluzione della chirurgia militare, intesa questa nel senso non d'una chirurgia di guerra, perché non esiste che una sola chirurgia, bensì intesa nel senso del complesso di provvidenze che sul campo di battaglia, e in genere durante una guerra, devono essere predisposte per il trasporto dei feriti e per consentire l'applicazione delle norme terapeutiche migliori. Con ciò non vuol dire che l'esperienza fatta in tempo di guerra non possa profondamente contribuire all'evoluzione delle idee e dei metodi della cura di determinate lesioni e infermità.

Il 28 aprile 1861 Ferdinando Palasciano leggeva all'Accademia Pontaniana di Napoli la sua memoria su La neutralità dei feriti in tempo di guerra; fu questo, come disse Maxim Du Camp, l'atto di nascita della Convenzione di Ginevra, stipulata il 22 agosto 1863, che stabiliva la neutralità stessa; ed Enrico Dunant, ginevrino, promotore della convenzione, creava la Croce Rossa. Così tutto il concetto dell'assistenza ai feriti in guerra venne trasformato; la raccolta, il trasporto e l'assistenza sono divenuti più rapidi e più consentanei alle necessità del caso, si sono create ambulanze sanitarie militari, sempre più perfezionate, e nell'ultima guerra si sono create ambulanze chirurgico-radiologiche, ospedali chirurgici mobili, posti chirurgici avanzati, oltre a un'organizzazione sistematica degli ospedaletti e degli ospedali da campo; si sono creati infine gli aeroplani sanitarî per il rapido trasporto di determinati feriti. Così la chirurgia ha potuto e meglio potrebbe in avvenire assolvere il suo compito anche nelle circostanze più difficili del tempo di guerra, come in tempo di pace è venuta sempre meglio adempiendo a una funzione sociale di primissimo ordine.

Com'è facile comprendere da codesta assai parziale enumerazione, la chirurgia moderna s'è affinata in quanto è tutta penetrata di dottrina, di spirito scientifico e di spirito clinico; il suo indirizzo cioè è biologico (Donati), il che rende estremamente complessa la figura del chirurgo moderno; poiché egli non potrebbe perfezionarsi nella pratica operativa senz'essere al corrente dei progressi delle altre scienze biologiche e senza mantenere stretti rapporti con i cultori delle altre branche della medicina. Come e più specialmente che in medicina, in chirurgia è vero che la bontà della cura dipende dall'esattezza della diagnosi, dalla precisione delle indicazioni, dal savio adattamento dei mezzi terapeutici alle condizioni patogenetiche e anatomopatologiche dei singoli casi. Inoltre il successo chirurgico dipende da una saggia preparazione dell'operando, che si basa anzitutto sulla conoscenza delle condizioni funzionali dei varî organi e apparati; la chirurgia moderna ha pertanto immaginato e istituito una grande somma di ricerche per studiare la resistenza dell'operando all'intervento che dovrà subire, e ha approntato un gran numero di mezzi per aumentare detta resistenza, riducendo così di gran lunga il rischio operatorio.

Ed è interessante notare che la chirurgia ha acquistato tanto più semplicità e bellezza, quanto più arditi, difficili ed ampî sono divenuti i suoi compiti e le sue manifestazioni.

Di questa ampiezza e importanza di compiti della moderna chirurgia, e del fervore degli studî relativi, sono indice i grandi trattati che sono via via apparsi nei varî paesi, nonché il rilevante numero di periodici scientifici, esclusivamente dedicati a argomenti chirurgici e affini. Ricordiamo i più importanti:

In Germania, i Bruns' Beiträge zur klinischen Chirurgie, fondati da P. von Bruns nel 1884; il Langenbeck's Archiv für klinische Chirurgie, fondato da B. von Langenbeck nel 1861; la Deutsche Zeitschrift für Chirurgie, fondata da Hüter e Lücke nel 1872; i Mitteilungen aus den Grenzgebieten der Medizin und Chirurgie (1874); il Zentralorgan für die gesamte Chirurgie (1913). In Francia, la Revue de Chirurgie (1880); il Lyon chirurgical (1903); il Journal de Chirurgie (1908); gli Archives franco-belges de chirurgie (1921). In Italia, La Clinica chirurgica, fondata da Bottini e Tansini nel 1893, e attualmente diretta da B. Rossi; Il Policlinico, Sezione Chirurgica, fondato nel 1893 da Durante e diretto da Alessandri; l'Archivio Italiano di Chirurgia di M. Donati (1919); Gli Annali italiani di Chirurgia di G. Pascale (1922). In Inghilterra, The British Journal of Surgery (1913). Nei Paesi scandinavi, gli Acta chirurgica scandinavica (1920). In Spagna, La Revista Española de Cirugía y Urología (1918). In America, gli Annals of Surgery (1885); il Surgery Gynecology and Obstetrics (1905); gli Archives of Surgery (1920); il The American Journal of Surgery (1926). In Argentina, La Revista de Cirugía (1922). Sono poi numerosi e importanti gli archivî di specialità chirurgiche, d'ortopedia, d'urologia, di ginecologia, ecc.

Fra i maggiori trattati sono da ricordare: in Italia, il Trattato italiano di Chirurgia, il Trattato di Patologia e Terapia chirurgica del Durante, quello di Semeiotica e diagnostica chirurgica del Taddei. Nei paesi di lingua tedesca, i trattati di Pitha-Billroth, di Albert, di Bergmann-Bruns-Mikulicz, ora Garré-Küttner-Lexer, di Kocher-De Quervain, di Wullstein-Wilms, di Kirschner-Nordmann, le raccolte di monografie col nome di Deutsche Chirurgie e Neue deutsche Chirurgie, il trattato d'operazioni di Bier-Braun-Kümmel. In Francia, i trattati di Follin e Duplay, di Duplay e Reclus, di Le Dentu e Delbet, di Lecène e Leriche, del Forgue. In Inghilterra, i trattati di Paget, di Treves, di Choyce, di Carless, di Carson. In America quelli di Bigelow, di Ashhurst, di Keen, di Dean Lewis e di molti altri.

Bibl.: J. F. Malgaigne, Histoire de la chirurgie en Occident depuis le VIe jusqu'au XVIe siècle, Parigi 1840; A. Corradi, Della chirurgia in Italia dagli ultimi anni del secolo scorso fino al presente, Bologna 1870; C. Daremberg, Histoire des sciences médicales, Parigi 1870; J. Rochard, Histoire de la chirurgie française au XIXe siècle, Parigi 1875; H. Haeser, Übersicht der Geschichte der Chirurgie, in Deutsche Chirurgie, I, 1879; E. Gurlt, Geschichte der Chirurgie und ihrer Ausübung, Berlino 1898; H. Coulon, La communauté des chirurgiens-barbiers de Cambrai (1366-1795), Parigi 1908; R. Küttner, Entwicklung und Fortschritte der Chirurgie, Jena 1909; D. Giordano, Compendio di chirurgia operatoria italiana, Torino 1911; E. Küster, Geschichte der neueren deutschen Chirurgie, Stoccarda 1915; J. Fiolle, Essai sur la chirurgie moderne, Parigi 1919; A. Borchard e V. Schmieden, Die deutsche Chirurgie im Weltkrieg, 1914-1918, Lipsia 1920; P. De Vecchi, Modern italian Surgery, New York 1921; M. Donati, Principî, metodi e finalità della clinica chirurgica, in Rif. med., XXXVIII (1922); P. Lecène, L'évolution de la chirurgie, Parigi 1923; E. Holländer, Die Medizin in der klassischen Malerei, Stoccarda 1923; M. Vallauri, La patologia indiana, in Arch. d. st. delle sc., IV (1923); id., La terapeutica indiana, id., V (1924); Meunier, Histoire de la médecine, Parigi 1924; C. Brunner, Geschichte der Wundbehandlung, in Handbuch der Wundbehandlung, Stoccarda 1926; D. Barduzzi, Manuale di storia della medicina (1923-27); A. Castiglioni, Storia della medicina, Milano 1927; W. von Brunn, Kurze Geschichte der Chirurgie, Berlino 1928; M. Donati, L'indirizzo biologico in chirurgia, in Min. med., VIII (1928), n. 11; E. Holländer, Aeskulap und Venus, Berlino 1928; A. Pellegrini, Cinematizzazioni, Bologna 1929; D. Giordano, Scritti e discorsi pertinenti alla storia della medicina, Milano 1930.

La chirurgia nell'arte.

Gli artisti d'ogni tempo, semplici incisori, plastici, ceramisti, pittori, hanno trovato nella persona del chirurgo, nella figura del paziente, nell'operazione e nell'ambiente dove l'intervento chirurgico si svolgeva, un motivo d'ispirazione. Possediamo scarsi documenti per il lontano passato, che divengono sempre più frequenti a mano a mano che l'arte si perfeziona con una decisa varietà e abbondanza, sia che la pittura, come tra i Fiamminghi, prediligesse lo studio d'ambiente e quindi anche dell'ambiente ospedaliero, o dello studio del medico, sia che il progresso nell'arte della stampa, dove a mano a mano abbondano i trattati riccamente illustrati, rendesse più facile e più esatta la riproduzione dei disegni. Questo motivo d'ispirazione, a seconda dell'animo dell'artista, ha servito solamente a una documentazione realistica della tecnica, com'è avvenuto presso gli antichi popoli, oppure è stata l'occasione per una rappresentazione drammatica dei diversi tipi che intervenivano nella scena, oppure s'è trasformato in una manifestazione macabra, oppure ancora ha degenerato in motivi freschi e palpitanti d'umorismo, di caricatura, di beffa e di farsa. Le diverse fonti, i diversi documenti plastici e pittorici testimoniano queste diverse fasi in modo inequivocabile. Se lo scienziato non avesse a disposizione le ceramiche e gli affreschi delle età primitive, le miniature, le incisioni in legno e in rame degli antichi trattati, sarebbe in verità molto più difficile che egli potesse, come ha potuto, scrivere la storia dei diversi atti chirurgici dai più semplici ai più complessi, a partire dagli albori della civiltà fino ai secoli più vicini al nostro. Non si saprebbe p. es. che gli Egiziani praticavano con esatta tecnica chirurgica la circoncisione se non possedessimo il bassorilievo di Saqqārah (vedi sopra). Si vede in esso una scena chirurgica dove le figure sono scolpite con la solita forma dell'arte frontale egizia e si scorgono perfettamente i chirurghi in ginocchio davanti al giovane operando, mentre l'operatore impugna il coltello e l'assistente si dispone a soccorrere il paziente. Questo rilievo costituisce il più antico sicuro documento di rappresentazione chirurgica che sia pervenuto fino a noi. L'argomento della circoncisione, sia nei trattati, sia nelle tele, è spesso ripreso; per il suo carattere religioso ha dato luogo a una fioritura di quadri, parecchi dei quali rappresentano dei veri capolavori; basterà accennare, tra i più famosi, a quelli di Andrea Mantegna, di Pietro Perugino, di Tiziano, di Rubens, di Hans Holbein, di Alberto Dürer, del Bagnacavallo, di Luca Cranach, del Procaccini, ecc.; essa trova una descrizione pittorica perfetta, se pure un po' teatrale, nell'affresco del Pinturicchio nella Cappella Sistina a Roma, intitolato: Mosè che viaggia in Egitto con Sefora ed i figli (v. tav. XXIX).

Parimenti ignoreremmo il modo perfetto con cui gli antichissimi popoli sapevano avvolgere la benda sulla ferita, se non osservassimo questo gesto di tecnica precisa, secondo il rilievo del duca di Luynes, sulla tazza di Sosia del Museo di Berlino in cui è raffigurato Achille il quale medica il braccio al suo amico Patroclo (v. vol. IV, pagina 474). E dall'affresco di Pompei, oggi al Museo di Napoli, siamo edotti della delicata arte con cui il medico estrae i corpi estranei dalle ferite. Nell'Eneide questo episodio è descritto e l'affresco rappresenta in primo piano Enea in piedi, appoggiato al suo figliuolo e alla lancia, mentre il medico Tapide estrae il ferro dalla ferita e sullo sfondo è Afrodite, che sta raccogliendo il dittamo dal monte Ida per metterlo nell'acqua destinata a detergere le piaghe (fig. 40).

All'infuori di singolari argomenti, di particolari motivi chirurgici che fanno parte a sé, è possibile radunare moltissimi degli episodî chirurgici illustrati in arte, in separate categorie. Abbiamo così una varietà infinita di quadri e incisioni sulla litotomia (operazione della pietra), sulla paracentesi, sul salasso, sui dentisti, sul parto patologico, sui pedicuri, sulle storpiaggini, sulle trapanazioni del cranio e sulle amputazioni. Per rendersi conto della grande differenza esistente tra le scene chirurgiche del passato più lontano e quelle del passato più recente, bisogna considerare soprattutto tre fattori. Primo: che è mancato, fino a pochi decennî or sono, l'uso della narcosi, la quale, rendendo il paziente completamente immobile, ha tolto dalla scena chirurgica le fisionomie disperate degli operandi e i visi, alterati dalla tensione, degli operatori. Secondo: che nel passato lontano e relativamente recente le persone che eseguivano atti chirurgici, appartenevano per lo più a quella vasta e varia categoria di empirici dei quali neppure oggi è perduta totalmente la semenza, e che esercitavano il loro mestiere in qualità di religiosi o in qualità di profani, in ogni ambiente, spesso con delle messe in scena necessarie più della tecnica per ingannare e suggestionare il malato. Terzo: che i progressi dell'arte chirurgica nello strumentario, nell'ambiente, nei mezzi hanno dato alla scena chirurgica un aspetto di semplicità, di compostezza e d'impeccabile lindezza che si rivela negli abiti, nella disposizione dei mezzi, nell'ordine delle persone: progresso che ha tolto alla rappresentazione chirurgica la varietà che ne aveva potuto fare in passato scene di tragedia o scene di commedia. Anche nei quadri tra i più recenti, come quello del Gervex che si osserva al Lussemburgo a Parigi, gli attori, che vanno dalla magnifica figura del chirurgo Péan fino a quelle dei numerosi assistenti e spettatori, sono ben distanti dal severo e semplice abbigliamento dei chirurghi moderni, e si direbbe che il pittore abbia voluto in questa scena assurgere alla rappresentazione del meraviglioso nudo di donna giacente sul tavolo, piuttosto che a quella dello svolgimento di un'operazione.

Il grande quadro chirurgico manca nella storia dell'arte perché l'insegnante di chirurgia era in passato anche l'insegnante d'anatomia e preferiva dare all'artista la varia e profonda sensazione della scena anatomica che era grandiosa, piuttosto che della scena chirurgica. Così si spiega la varietà e bellezza di tele famose, a soggetto anatomico, che costituiscono l'ammirazione dei visitatori nei musei fiamminghi, e che rendono ancora più modesti quei quadri di soggetto chirurgico che l'artista s'impegnò di animare con la rappresentazione di tipi e di ambienti, senza però riuscire a dare loro il tono e il valore dell'egregia opera d'arte.

A partire dal secolo decimoquinto, le persone che agiscono da attori nel quadro a soggetto chirurgico, appartengono alla categoria dei bagnini chirurghi, dei barbieri chirurghi in continua lotta tra loro, dei carnefici chirurghi, così come nel passato i dominatori nell'azione chirurgica avevano appartenuto al clero; ma quando per il susseguirsi d'insuccessi operatorî la fama dei chierici poteva venire compromessa, i papi avevano vietato al chierico non solo d'eseguire, ma d'assistere a interventi chirurgici. I chierici avevano quindi rinunziato alla loro opera di medico in favore dei servi e degli operai, istruendoli sommariamente alla bisogna. Per molti secoli dunque la chirurgia fu in mano a gente senza cultura, che si prestava magnificamente a dare al quadro quel tono democratico che non è andato esente da nessuna forma di esagerazione e di caricatura. Ma quando la chirurgia cessa di essere un mestiere e diventa un'arte, questa evoluzione scientifica è individualizzata benissimo nei quadri dei pittori, i quali rinunciano a poco a poco a trattare l'argomento del clistere, delle sanguisughe, delle coppette, del salasso per arrivare fino al quadro di Chartran alla Sorbona (fig. 41) in cui Ambrogio Paré è rappresentato nell'atto di legare un'arteria a un archibugiere dell'assedio di Metz: quadro nel quale manca ancora l'insieme dell'assetto della stanza operatoria odierna, ma dove la scena chirurgica è rappresentata con aristocratica armonia nei soggetti e nelle loro azioni. E a proposito di quadri che hanno per soggetto le medicazioni nelle battaglie, quanta evoluzione dalla scena che si vede sulla colonna traiana in Roma, dove è rappresentato il soccorso ai feriti, ai quadri: Larrey che cura i feriti delle battaglie napoleoniche, Napoleone ferito ad Arcole, La campagna di Crimea, in cui domina la preraffaellitica figura di Miss Florence Nightingale, tra i feriti del forte di Malakov.

L'opera di Andrea Vesalio è arricchita da splendide miniature riproducenti ognuna un atto operatorio e che sono tante nel suo trattato quante sono le lettere dell'alfabeto e in più quelle del frontespizio e del fine. Altre miniature erano nella Cyrurgia di frate Teodorico; in una di esse, tre figure, un po' stilizzate e rudimentali (il dottore armato di coltello che compie un'operazione sul cranio d'un paziente vestito di rosso e tenuto stretto dall'assistente), costituiscono un gruppo operatorio che già dimostra molte cose. Disegni meno definiti e meno belli illustrano la chirurgia di Rolando in un codice della Casanatense di Roma, che contiene le riproduzioni delle operazioni della pietra e dell'ernia.

Nei Paesi Bassi, dopo la magnifica fioritura di bellezza che culmina nell'Adorazione del mistico Agnello di Uberto e Giovanni van Eyck, i pittori realisti del secolo decimosesto, che vanno da Bosch, da Luca de Leyda, da Pietro Breughel il vecchio e il giovane a Hans Memling, a Quintino Massis e altri, ci hanno lasciato una vera abbondanza di quadri a soggetto medico-chirurgico; così in Olanda con Michele Mierevelt, Franz Hals, Tommaso Kramer, Rembrandt, Gerardo Dou, Adriano e Isacco van Ostade, Giovanni Backer, Jan Steen e altri; la Germania verso il Cinquecento con Alberto Dürer, con gli allievi di lui Luca Cranach, Hans Holbein vecchio e giovane, Behan, fornisce somme incisioni e belle pitture di soggetto chirurgico. La Spagna pure col Ribera, col Morales, col Velázquez, col Murillo partecipa alla rappresentazione di questi soggetti più con quadri di tipi deformati, con i nani e i paralitici, che con veri quadri di chirurgia.

La Francia e l'Inghilterra, che giungono più tardi nel risveglio della pittura, contribuiscono con pochissimi esemplari alla celebrazione di questo soggetto. Quindi nei secoli gloriosi della pittura, l'idea chirurgica nei Paesi Bassi e nell'Olanda si deforma per lo più, salvo le illustrazioni nei testi, in scene scherzevoli, schernevoli, atroci di beffa e spesso di volgarità, mentre in Italia e in Germania il quadro di soggetto chirurgico contiene e mantiene una linea di grazia, quasi di religiosità, anche se il Ghirlandaio ha dipinto qualche quadro di deformità, come il naso grosso e pendulo, e Andrea Mantegna nel quadro Gesù fra due Santi è stato realisticamente crudo nella pittura di ghiandole orrendamente tumefatte e incise all'inguine. Nella pittura fiamminga l'artista esalta le furberie e i vizî dei chirurghi di basso rango e della folla che assiste al loro lavoro, e, quasi sempre, l'effetto che si raggiunge è quello d'una grassa risata, mentre in Italia e in Germania l'arte, anche in chirurgia, mantiene la sua originalità e trae dall'argomento un senso di pietà e un effetto di compostezza che non si tradiscono mai; nei Fiamminghi il tono della scena è la furba e caustica beffa, negl'Italiani e nei Tedeschi domina invece un sentimento mite e soave. Da quelli l'osservatore è colpito, sorpreso e spesso divertito, in questi è sempre e solo ammirato e commosso, ma la burla ora leggiera, come in Cornelio Dusart, o in Davide Teniers il giovane, ora atroce e crudele, come in Pietro Breughel, specie nella rappresentazione di ciechi e di storpî, ha dato modo a questi maestri di creare un'originalissima pittura con singolari facoltà rappresentative e stupenda abilità nel colorire e nel dare ai personaggi una fisionomia e un atteggiamento non più superati.

Il calcolo vescicale colpì specialmente la fantasia del pubblico e degli artisti, anche perché solo nel 1600 quest'atto operatorio s'inquadra nella precisione classica di un'operazione normale. Fino a quell'epoca, empirici anche famosi, come la famiglia dei Collot o il frate Giacomo Beaulieu, divenuto tanto in fama da tentare l'operazione a titolo dimostrativo anche dinnanzi a un'adunata di scienziati in piena Parigi, avevano eseguito l'ardito, e spesso mortale atto operativo, in piena pubblicità, con ripetuta frequenza. Questa pubblicità aveva permesso all'artista di rendersi esatto conto dei più diversi particolari, e questo spiega perché l'argomento sia stato trattato in un'infinità di maniere; un'incisione della fine del 600 rappresenta frate Giacomo Beaulieu che opera un calcolo vescicale davanti ad una folla di spettatori (fig. 42).

Il monumento sulla tomba di Enrico II a Bamberga rappresenta San Benedetto in atto d'operare l'imperatore d'un grosso calcolo (fig. 43). Secondo una leggenda, Enrico II, soffrendo di calcolosi vescicale, avrebbe invocato il santo e ne sarebbe stato operato. È naturale anche che colpisca l'immaginazione dell'artista l'episodio di Jan De Doot, o Giovanni della Morte, fabbro nonché calcoloso, il quale, non reggendo più al martirio che gli procurava il suo calcolo, si operò da solo per via perineale. È questo uno degli episodî più antichi di autoperazione e forse è il solo che sia stato illustrato da un artista.

Quando l'affezione chirurgica conduce a una deformità visibile e riduce l'aspetto del paziente a singolarità di linee, di proporzioni e d'atteggiamenti, col viso addolorato e sofferente che contrasta con l'aspetto di tutto il corpo, come nel caso degl'idropici, e quando, come per questi malati, i mezzi di cura chirurgica rasentano la banalità ridanciana, l'artista che in quell'epoca vuole a ogni costo ridere dei malati e dei malanni, trova modo di dipingere scene gustosissime di lepidezza e di caricatura. La paracentesi, cioè quell'operazione mediante la quale si toglie acqua dal ventre dell'infermo, trattando l'addome come se fosse un otre, con l'applicazione d'uno strumentario che ricorda quello per spillare il vino da una botte, è stata variamente sfruttata dagli artisti.

Tra i capitoli più spassosi che la chirurgia corrente ha messo a disposizione dei grandi e dei piccoli pittori, bisogna ricordare l'urologia con l'orinale, gli operai del clistere, le sanguisughe e le coppette e soprattutto i flebotomi col salasso. Se si pensa quale varietà fantasiosa di precauzioni era stata posta attorno a questo semplice atto operativo, dalla coincidenza delle stagioni alla coincidenza con la luna, dalla quantità del sangue al lato del corpo dal quale doveva estrarsi, dall'averne fatto un metodo di punizione militare e dall'averlo imposto come pratica monastica, fino all'aspetto che doveva avere il flebotomo, che secondo la scuola palermitana doveva essere giovane, simpatico, delicato e abile, non fa meraviglia che i pittori se ne siano presi giuoco eternamente (fig. 44).

Fra tutti i chirurghi ambulanti, specialmente in Olanda e in Francia, i dentisti hanno costituito l'argomento più ripetuto e più variamente rappresentato e non meraviglia la cosa se si pensa alla mirabolante messa in scena con cui essi viaggiavano, con un carro variopinto e magari una banda musicale che doveva al momento buono superare col fragore le urla dei pazienti. Certo queste scene di piazza furono diversamente osservate: tra i Fiamminghi ci fu più gentilezza, più umanità, meno burla, meno volgarità, mentre i Francesi fustigarono con critica acre, con satira feroce questi furbissimi ciarlatani (figura 45 e tav. XXX).

Gli artisti italiani dal Procaccini al Dolci a Guido Reni che si appassionarono specialmente a rappresentare Santa Apollonia legata a una colonna mentre le vengono estratti i denti, o posta sul rogo senza che la fiamma la tocchi, anche in questo soggetto hanno abbandonato la coreografia tragicomica dei Fiamminghi, per seguire l'istintiva e tradizionale grazia di pietà e di fede che appare in ogni quadro di pensiero.

Non meno beffeggiata della categoria dei dentisti è una strana e da tempo scomparsa moltitudine di chirurghi da strapazzo che in pieno pubblico, di città in città, di paese in paese migravano tutto l'anno alla ricerca di malati nervosi, isterici, o veri pazzi da manicomio sui quali praticavano la cosiddetta operazione della pietra o della pazzia. Molti quadri, soprattutto fiamminghi, sono caratterizzati da un contrasto voluto tra l'aspetto indemoniato del sofferente e l'aria arguta o ridente dell'operatore e degli spettatori che erano sempre molti. L'operazione consisteva nel taglio alla nuca o alla fronte per la sottrazione di pietre, naturalmente immaginarie, e che erano recate dall'assistente o dagli assistenti, che erano uniche o multiple, che dovevano dare al malato la suggestione che era quella la causa del male, tolta la quale sarebbe guarito (v. tav. XXX).

Ciarlatani ambulanti sono pure i callisti, cioè quei chirurghi che s'occupano delle malattie dei piedi e che intervengono con bagni d'ogni specie, e soprattutto con strumenti di tortura. Alcuni di questi callisti frequentano palazzi di signori e corti di re, perché la callosità e i calli hanno tormentato in ogni tempo principi e plebei, ma la maggior parte di essi opera per la strada e opera tra la gente, e non è a dire quale multiforme abbondanza di scene abbiano da essi tratto i pittori, specialmente di Fiandra e d'Olanda.

La piccola operazione agli arti superiori e al dorso, compiuta non più in piazza, ma nello studio del medico e nella bottega del barbiere, ha interessato molti pittori, forse perché oltre alla possibilità di ritrarre dall'ambiente effetti di luce e dall'adunare sul viso di pochi partecipanti all'opera espressioni di profonda emozione, ha loro consentito, spogliando solo in parte il malato, di raggiungere con le stoffe e col nudo una varietà di disegno e di colore tutta intima e tutta nuova. È bene ricordare, oltre ai numerosi quadri di Fiamminghi, che anche in questo argomento, più che i pittori di tutte le altre nazioni, hanno lasciato abbondanti e pregevoli soggetti, le due tele di Gaspare Traversi il quale, rappresentando in due momenti che si assomigliano due feriti, raggiunse contrasti di luce e d'ombra, disparità e intensità d'espressioni sul volto, tali da convincere della giustezza d'un ravvicinamento e d'una derivazione che alcuni critici d'arte hanno scorto tra questo pittore e il Caravaggio (v. tavv. XXIX e XXX).

L'operazione del taglio cesareo, che ha un'origine oscurissima nella storia della chirurgia e comunque risale a molti secoli prima dell'èra volgare, ha naturalmente alimentato la fantasia degl'incisori, se non dei pittori, e per questo noi possediamo molte riproduzioni del singolare intervento.

Come i pedicuri hanno dato origine all'interpretazione pittorica d'una quantità di quadri quasi tutti umoristici e quasi tutti fiamminghi, così l'amputazione d'un arto, avvenimento più drammatico e sanguinoso, ha favorito il quadro serio e austero. Entra in giuoco per questo particolare atto operativo, il fattore religioso che dà al quadro un aspetto di grande dignità. Il fattore religioso scaturisce alla presenza dei Santi Cosma e Damiano, alla cui esperienza e al cui potere miracoloso la leggenda e la fede hanno attribuito non solo casi di guarigione per amputazione, ma anche casi di plastica, cioè sostituzione d'un arto sano a un arto malato come nel quadro del museo d'Anversa, nella pittura del Beato Angelico, e in quella di Pietro Antonio Mezzasti a Montefalco.

Anche l'arto non ancora da amputare, ma semplicemente malato nell'osso e suscettibile di cura e di conservazione, è stato oggetto di una bella tela del Vouet: Un caso di osteomielite, che s'osserva nella collezione W. A. Freund di Berlino: e così l'arto fratturato o lussato come quello vivacemente rappresentato dal Dusart (fig. 46).

Più ampiamente l'artista ha riprodotto non un particolare momento operatorio, ma l'ambiente d'un ospedale o d'una corsia. Domenico di Bartolo (v. tav. XXIX), nell'ospedale di S. Maria della Scala di Siena, ha rappresentato in mezzo a una multiforme confusione di medici, d'infermieri e di religiosi, parecchi particolari che vanno dal trasporto del ferito alla medicatura d'un piede, alla deposizione d'un malato nella barella. Tra le molte scene rappresentate dai magnifici bassorilievi in terracotta smaltata di Giovanni della Robbia che adornano la facciata dell'ospedale di Pistoia e rappresentano Le opere di misericordia, il segmento che interpreta il comandamento Egros curare contiene due stupendi gruppi di ammalati nel loro letto consultati dal medico nella corsia dell'ospedale.

Il Monteverde, celebrando il medico Jenner, l'inventore della vaccinazione, nel marmo che è custodito a Palazzo Bianco, a Genova, ci ha dato un monumento se non di grande naturalezza dal punto di vista chirurgico, certo di grande bellezza e di grande potenza.

Trascende la chirurgia per raggiungere il miracolo il bassorilievo che è sulla facciata del Duomo d'Orvieto: Iddio che preleva dal costato d'Adamo giacente la costola con cui sarà creata Eva (fig. 47): lo ricordiamo perché conserva dell'arte chirurgica la giacitura del paziente e la manualità dell'operatore.

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