CIBORIO

Enciclopedia Italiana (1931)

CIBORIO (lat. ciborium, in testi tardi tegurium, tiburium)

Carlo CECCHELLI
Gino ROSI
Cirillo KOROLEVSKIJ

Del ciborio, che si sa essere stato fin dal sec. Iv sopra gli altari delle basiliche cristiane, si possono trovare moltissimi antecedenti.

Era usato in certi culti misterici pagani; p. es. le rituali ierogamie avvenivano sotto baldacchini; alcune deità sono rappresentate sotto un'edicola a baldacchino (naiskos), alcune tombe e are sono protette da un tegurio. Nel rituale giudaico si parla del tabernacolo (Esodo, X, 15-17), il quale perciò deve avere un'origine tipicamente orientale, in quanto serve, oltre a proteggere dalle intemperie, a occultare l'individuo regale, la personalità sacra dalla vista dei profani. A volte il baldacchino assume un significato simbolico: rappresenta un tratto della vòlta solida celeste, sostenuta, secondo gli antichi, da quattro colonne.

Nel cristianesimo primitivo, peraltro, non è traccia di questa suppellettile mobile o fissa. Solo nel culto funerario si può osservare che l'arcosolio (v.) riprende un po' l'idea della rappresentazione convenzionale della vòlta celeste (alcuni arcosolî hanno anche figurazioni stellari). Nelle catacombe di Malta e di Sicilia si è posto sugli avelli un vero baldacchino.

Ma donde sorga il tegurio usato per l'altare delle basiliche cristiane dal sec. IV in poi, non si saprebbe affermarlo con sicurezza. Esso certamente corrispose alla necessità di occultare la celebrazione del rito eucaristico alla grande massa di popolo fattasi cristiana dopo il riconoscimento della Chiesa, ma non sufficientemente iniziata per comprendere l'intimo della religione. Questo baldacchino fisso, in marmo, aveva infatti delle tende (vela o anche tetravela in alcuni testi, alludendosi al loro numero di quattro, per le quattro fronti) che si chiudevano nel momento più delicato del rito. Il piu antico tegurio di cui abbiamo notizia è quello della basilica lateranense che, a detta del Liber Pontificalis romano, sarebbe stato eretto per munificenza dell'imperatore Costantino (in Vita Silvestri, I, 172), dato che la parola fastigium debba intendersi "ciborio".

Vi sono iconografie dei secoli IV e V che riproducono questi ciborî, sia pure in modo rudimentale; specialmente nelle medaglie di devozione. Il De Rossi ne dedusse che la forma dei tegurî fosse piana e non a cupola, o di altra forma culminante. Ma, come osserva il Grossi Gondi, degli esempî addotti solo uno può far supporre che la copertura fosse in piano, mentre in altri sono visibilissimi due archi, né si scorge alcuna copertura. Che fossero già in uso forme rotonde o cuspidate appare dal bassorilievo pagano degli Aterî (Museo lateranense) o dal cippo di Monasterolo.

Il grazioso titolo di Adeodata, del sec. IV (già nelle catacombe di Ciriaca e ora nel Museo lateranense), reca l'esaltazione della croce sotto un tegurio a vòlta semisferica. Così pure nella medaglia di Successa (sec. IV-V), ov'e una rappresentazione dell'altare della basilica di S. Lorenzo, si scorge molto bene la vòlta curvilinea impostante su architravi in piano sorretti da colonne tortili che ricordano quelle della pergula costantiniana dell'antico S. Pietro.

I resti più antichi d'un ciborio son quelli della primitiva basilica di S. Clemente in Roma. Del ciborio, donato da un prete Mercurio diventato poi papa col nome di Giovanni II, restano una colonna e un frammento di architrave con iscrizione che ci permette di datare il monumento dal pontificato di Ormisda (514-523).

In alcune antiche basiliche romane esistono fusti di colonne di porfido rosso, i quali sono stati riadoperati nei baldacchini dell'età barocca (a S. Pancrazio sull'Aurelia, a S. Prassede).

Nella basilica Marciana di Venezia sono quattro altissime colonne con figurazioni scolpite nei fusti (soggetti del Nuovo Testamento e degli Evangelî apocrifi) d'incerta data. Essendo state adoperate in un ciborio del sec. XII, nulla ci dicono sulla forma del presunto ciborio più antico.

Nel sec. VI fu eretto il tegurio di S. Sofia di Costantinopoli. Il contemporaneo Paolo Silenziario lo descrive come assai alto, su quattro arcate e quattro colonne con rivestimenti argentei. Il meraviglioso esemplare si ammirava ancora nel sec. XIII; era ornato di corone votive d'argento o d'oro con sbalzi e smalti. Di tali decorazioni sono esempio le famose corone di Guarrazar (ora nel Museo di Cluny a Parigi) e quelle della basilica di Monza. Dal mezzo delle corone pendono ricchissime croci. Al ciborio era anche appesa la colomba eucaristica che conteneva le sacre specie del pane.

Fra i ciborî ancora abbastanza integri dell'alto Medioevo alcuni recano barbariche sculture. Citiamo come esempio più complesso il ciborio di S. Prospero di Perugia (oggi conservato nel museo locale): è del sec. IX e ha una copertura a piramide poligona culminata da una specie di tirso. Sui quattro archivolti sono figure di pavoni e altri soggetti di carattere simbolico.

Senza copertura ci è giunto il rozzo ciborio di un altare della chiesa di S. Apollinare in Classe (Ravenna). È l'altare di S. Eleucadio che appartiene al tempo dell'arcivescovo Valerio (807-812). Un piccolo tegurio con copertura forse originaria si trova a Bolsena in S. Cristina. Vi sono poi numerosi frammenti, dei quali i più importanti ci sembrano quelli del ciborio di Bagnacavallo (sec. VIII) e dell'altro di Porto (pontificato di Leone III: 795-816) conservato nel Museo lateranense.

Quanto agli schemi principali dei tegurî si possono distinguere: a) Ciborî con copertura a tetto e timpano impostante su piattabande architravate. b) Ciborî con copertura a cupola o piramide tronco-poligonale o tronco-conica impostante su frontoni ad archetti. Questo secondo tipo lo abbiamo studiato. Il primo si può dedurre da talune delle figurazioni di cui parlammo. Esso poi ha sviluppo anche dopo il Mille (per es. a Castel S. Elia presso Nepi). c) Ciborî coperti a vòlta e aventi frontoni ad archetto fastigiati a timpano. Questo tipo che si evolverà nell'arte romanica e nell'arte gotica, ha il suo magnifico esempio iniziale nel ciborio di S. Ambrogio di Milano. I frontoni sono qui in stucco dipinto e hanno magnifiche sculture. Incerta ne è l'epoca, ma è certamente anteriore a quello di Civate che ne ripete il tipo. In uno studio recente l'Albizzati, contro quasi tutti gli altri storici dell'arte, tenderebbe a provare con gravi argomenti storici e stilistici, che esso è del sec. IX, cioè a un di presso contemporaneo dell'altare d'oro di Vuolvinio che esso ricopre (v. altare). Il tipo di frontoni (archetto sposato al timpano) ha già precedenti nel sec. VII. E per l'insieme del ciborio qualche cosa di molto analogo anche come stile delle decorazioni è l'altarolo portatile di Arnolfo imperatore (fine del sec. IX) conservato nella Reiche Kapelle di Monaco. Se la copertura del ciborio di questo altare è sollevata su quattro colonne, bastano i piccoli timpani per farci comprendere che il tipo costruttivo è identico. Più tardi nell'età gotica si troverà che da questo tipo si sono evoluti i ciborî gotici di S. Paolo fuori le Mura, di S. Maria in Cosmedin e S. Cecilia in Trastevere, il primo e il terzo opera di Arnolfo. Solo che negli angoli si aggiungeranno dei pinnacoli gotici, e sul culmine della copertura una specie di gabbia gotica terminata a cuspide che serve a comporre verso l'alto le linee salienti di questi ciborî, per i quali ormai prevale il nuovo termine volgare di baldacchino. d) Dalla complicata copertura del tegurio di S. Sofia (quale appare attraverso le parole del Silenziario) e dal tipo a copertura sollevata, com'è nell'altarolo portatile della Reiche Kapelle, può aver preso le mosse quel tipo a gabbie di colonnette sovrapposte che troviamo specialmente diffuso nel Lazio durante i secoli XII-XIII. Esso, peraltro, parte dalla base romana a piattabanda architravata. Esempî splendidi sono in Roma a San Giorgio in Velabro, nella chiesa di S. Maria in Flumine a Ponzano Romano, nella cattedrale di Ferentino, a Rocca di Botte, ecc. A Terracina vi è un solo giro di colonnine che si volgono a ottagono partendo direttamente dal quadrato dell'architrave d'impostazione.

Vi saranno poi esempî con archetti lobati (specie in Abruzzo) o con altre varianti, sempre su questi tipi fondamentali che il Rinascimento svilupperà decorandoli con le sue magnifiche sculture.

Fuori del vano della basilica troviamo alcune volte il tegurio sulle fonti degli atrî (celebre l'esempio dell'antico atrio di S. Pietro). Nelle chiese si usarono coperture (a guisa di ciborî, e anche del tipo a gabbie di colonnine) sopra ricchi sepolcri (specie nei secoli XII-XIII). Queste edicole continueranno, pur trasformate nei particolari, nei secoli XIV e XV e agl'inizî del XVI.

Si può dire però che il Rinascimento ebbe la tendenza a togliere di mezzo un elemento che alla sua aspirazione verso la semplicità e anche nudità architettonica doveva sembrare d'ingombro.

Il barocco invece conferì al ciborio il fasto d'una grandiosità piena di vivacità decorativa. Le colonne di marmo colorato, e specialmente di porfido, spesso avviluppate da viticci di bronzo dorato, sostengono, per mezzo di arcate a sesto intiero o ribassato, coperture di nuova e fantastica invenzione, ove gli ornamenti figurati e vegetali, in rilievo o in intarsio o in pittura, concorrono a un effetto d'imprevisto, e soprattutto tendono a ravvicinare il ciborio (organismo architettonico) al baldacchino (suppellettile mobile). Tale accostamento si rende anche più evidente quando, in occasione di festività, i tegurî sono apparati con drappi e candelabri. Anche nel ciborio barocco, come in tutta l'architettura di questo stile, si sente la necessità di una materia preziosa: a Roma, dove operarono grandi artisti e dove le rovine antiche erano cave inesauribili di marmi rari, molte sono le chiese che posseggono ciborî barocchi di alto valore estetico. Ma nessuno di questi uguaglia il famoso baldacchino bronzeo, che il Bernini innalzò sull'altare papale in S. Pietro e che fu solennemente inaugurato nel 1634. Il Bernini intuì che le proporzioni di un ciborio sono strettamente dipendenti dalle dimensioni della chiesa e della cupola che eventualmente la sovrasti; l'esempio dell'infelice ciborio cuspidato di S. Giovanni in Laterano doveva essere in tal senso istruttivo. E l'artista, anche sfidando le critiche più aspre, lanciò la sua macchina a 23 metri d'altezza, che trionfa nel fondo della basilica, pur senza togliere il respiro alla navata: forse perché le colonne a tortiglione con la loro tendenza di movimento e di slancio, non offendono la statica solennità del tempio.

Fuori di Roma, se pur non manchino esempî notevoli di ciborî barocchi, questi costituiscono talora una disgraziata stonatura, aggiunta, lungo il Seicento, a costruzioni gotiche o del Rinascimento. Basti ricordare il S. Petronio di Bologna e il S. Lorenzo di Firenze.

Nei tempi recenti si sono imitate le forme romanico-gotiche, non solo a scopo d'ambientazione, in edifici restaurati, ma altresì in costruzioni nuove che ricalcano le forme medievali.

Nel rito bizantino il ciborio usato in Occidente non esiste: è sostituito da una semplice scatola di metallo prezioso, il più delle volte rettangolare, che vien deposta nell'"artoforio" o tabernacolo; anche questo è di forma diversa e somiglia a un piccolo tempio.

V. tavv. XXXVII-XL.

Bibl.: H. Leclercq, in Dict. d'arch. chrétienne, iii, ii, col. 1588 segg.

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