RORE, Cipriano de

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

RORE, Cipriano

Jessie Ann Owens

de. – Nato nel 1515 o 1516 a Ronse, nelle Fiandre, 40 km a sud di Gent (Gand), figlio di Celestinus de Rore (che risulta defunto nel 1564) e di Barbara van Coppenolle.

Il nome di famiglia de Rore (con le varianti Roere, De Roedere, ecc.), forse derivato dal fiammingo rooien (‘zappare’, ‘coltivare’) e de roder (‘dissodatore’), è ben documentato in Ronse. Cipriano de Rore mantenne lo stemma di famiglia, due falci incrociate entro un ovale: lo si vede sulla lapide funeraria nella cattedrale di Parma e nei sigilli delle sue lettere. In un documento fiammingo del 1558 compare come «Cupriaen de Rore»; nelle lettere da lui vergate in italiano si firma «Cipriano de Rore».

Di lui poco si sa prima dell’arrivo in Italia. Si presume che sia stato avviato all’arte del contrappunto a Ronse o in una delle tante scholae cantorum del Paese. Delle sue primizie di compositore sopravvive una muta di libri-parte autografi, certificata da un affidavit dell’allievo ferrarese Luzzasco Luzzaschi (Milano, Biblioteca Ambrosiana, A.10.sup: «composto da lui in Fiandra quando era giovine, et scritto di sua mano»; Owens, 1984, p. 276). Nelle prime musiche di Cipriano si può forse osservare l’influsso di Nicolas Gombert, cantore, compositore e negli anni Venti e Trenta del XVI secolo magister puerorum nella cappella fiamminga di Carlo V.

Probabilmente negli anni Trenta, Rore – secondo un modello tipico dei compositori e musicisti di quella regione – migrò dai Paesi Bassi in Italia. Si ritiene comunemente ch’egli abbia studiato con il compatriota Adriano Willaert, di venticinque anni più anziano, all’epoca il compositore più in vista a Venezia: non mancano i documenti che lo qualificano come suo allievo (per esempio, le Fantasie et recerchari a tre voci di Giuliano Tiburtino, Venezia, Girolamo Scotto, 1549, dove figurano brani di «Adriano Vuigliart et Cipriano Rore suo discepolo»; o la dedica di Paolo Vergelli nel libro terzo dei madrigali di Cipriano, pubblicati sempre a Venezia, presso Girolamo Scotto, nel 1548). È però incerto se si debba intendere ch’egli sia stato scolaro di Willaert o più semplicemente abbia fatto parte della sua cerchia veneziana. Un tributo esplicito compare nel mottetto Concordes adhibete animos «in mortem Adriani Willaert»: «vive Adriane decus Musarum, vive Adriane».

Nel 1540, venticinquenne, Rore viveva a Brescia, non senza puntate in laguna. È probabile che sia stato patrocinato dal conte Fortunato Martinengo, nobile, poeta, membro dell’Accademia degli Infiammati di Padova e di altri cenacoli letterari, personaggio chiave nelle Dodici giornate di Silvan Cattaneo (circa 1540). Privo di una posizione stabile, il compositore smerciava al dettaglio la propria musica, già assai richiesta, procacciandola pezzo dopo pezzo ai fuorusciti fiorentini Ruberto Strozzi e Neri Capponi. Molti brani, manoscritti, circolarono per lettera: e l’uso perdurò anche negli anni a venire. Componeva pure su commissione, per occasioni specifiche: è il caso del mottetto Quis tuos presul (poi pubblicato nel 1544) in onore di Cristoforo Madruzzo, principe-vescovo di Trento nel 1539, consacrato vescovo e nominato cardinale tridentino in pectore nel 1542; del madrigale Sfrondate, o sacre dive (1544), probabilmente rivolto a un nobile della famiglia Sfondrati di Cremona; e di due brani composti per Guidubaldo Della Rovere, duca d’Urbino. Che in questi anni Rore fosse alla ricerca di un posto fisso traspare dal mottetto a sei voci Nunc cognovi, domine, scritto forse per Guidubaldo, che adotta come cantus firmus un motivo iterativo sulle parole «fac me sicut unum ex mercenariis tuis».

Negli anni bresciani vennero in luce due cospicui libri integralmente intessuti di musiche sue: I madrigali a cinque voci (Venezia, Girolamo Scotto, 1542) e Cypriani Rore musici excellentissimi motetta [...] quinque vocum (Venezia, Antonio Gardano, 1545). In entrambi i libri i pezzi sono ordinati secondo il modo, forse per espressa volontà del compositore, ed entrambi sono privi di lettera dedicatoria.

Il libro di madrigali a cinque fu un debutto con i fiocchi: composto in prevalenza su sonetti – Francesco Petrarca prepondera, ma non mancano componimenti di Giovanni Brevio, Francesco Maria Molza, Antonio Tebaldeo e forse Nicolò Amanio –, esso eleva il madrigale al rango di un genere artisticamente pretenzioso, alla maniera di Willaert. Incontrò immediata fortuna e fu spesso ristampato fino alla fine del secolo.

Musiche di Cipriano comparvero inoltre spesso in libri miscellanei, di solito non senza che sul frontespizio comparisse il suo nome (per esempio, Cipriani musici eccelentissimi cum quibusdam aliis doctis authoribus motectorum [...] liber primus quinque vocum, Venezia, Gardano, 1544). Questa specie di collettanea, promossa a spese dell’editore, comprova che esisteva una domanda di mercato per le composizioni di Rore e che il suo nome doveva esercitare un sicuro richiamo pubblicitario.

Nell’aprile del 1546 Cipriano de Rore, del quale si ignora se avesse mai avuto in precedenza altre affiliazioni istituzionali, venne chiamato alla testa della cappella di corte a Ferrara, una delle più numerose e illustri d’Italia, fiorita sotto il patrocinio degli Este fin dalla metà del Quattrocento. Nel 1547 la cappella vantava, oltre i cappellani, ventiquattro cantori e strumentisti, capitanati rispettivamente da Rore e da Jacques Brunel (o Brumel, «Jaches organista»). A Cipriano competeva la musica destinata tanto ai servizi della cappella ducale e alle cerimonie di Stato (banchetti, spettacoli teatrali) quanto alle occasioni private. Compose inoltre un certo numero di brani dedicati a membri della dinastia, tra cui due messe per Ercole II (la Missa Praeter rerum seriem a imitazione del mottetto di Josquin des Prez, laddove la melodia del cantus firmus è corredata di un testo in onore del duca; e la Missa Vivat felix Hercules, con un cantus firmus basato su un «soggetto cavato» dalle vocali del nome di Ercole) e mottetti e madrigali per Ercole, per Ippolito II e per il futuro duca, Alfonso.

Gli anni ferraresi furono assai fertili. A Ferrara il musicista venne in contatto con uno stile madrigalistico piuttosto diverso dalla florida polifonia in auge nei primi anni Quaranta, e subito seppe adeguarvisi con madrigali come il famosissimo Ancor che col partire (su versi adespoti talvolta attribuiti ad Alfonso d’Avalos): apparsa a stampa nel 1547, questa composizione a quattro voci, mirabilmente concisa, diventò infine la sua più famosa e longeva, riedita, rimaneggiata e imitata decine e decine di volte fino addentro al Seicento. Nel 1550 Cipriano pubblicò il terzo e ultimo libro tutto suo, Il primo libro de madrigali a quatro voci (Ferrara, Buglhat e Hucher), anch’esso come i precedenti ordinato secondo il modo, privo di dedica, e spesso ristampato (a quanto pare egli non volle assoggettarsi all’uso corrente di dedicare i propri libri a un committente in cambio di un sostegno finanziario o di altri favori).

Molti anni dopo la morte del compositore, nel 1577, il veneziano Angelo Gardano ne fece un’edizione in partitura, aggiungendovi altri madrigali di Rore: Tutti i madrigali di Cipriano de Rore a quattro voci spartiti et accomodati per sonar d’ogni sorte d’instrumento perfetto, & per qualunque studioso di contrapunti. Il libro – il primo che adotti il formato in partitura anziché in fascicoli staccati per le singole voci – non dà le parole dei madrigali: circostanza notevole, alla luce della strettissima aderenza al testo poetico coltivata dal musicista.

Le musiche di Cipriano de Rore, salvo i citati tre libri tutti suoi (1542, 1545 e 1550), uscirono in edizioni collettanee, finanziate da editori che spesso specularono sulla sua fama. Gli stampatori veneziani Girolamo Scotto e Antonio Gardano si contesero il vanto di pubblicare le sue musiche a cinque voci sulla canzone della Vergine di Petrarca, a quanto pare ancor prima che la composizione fosse ultimata (Il terzo libro di madrigali a cinque voce, Scotto, 1548; Musica di Cipriano Rore sopra le stanze del Petrarcha, Gardano, 1548). Nel periodo ferrarese apparvero inoltre un terzo libro di mottetti a cinque voci (Il terzo libro di motetti a cinque voci di Cipriano de Rore, & de altri excellentissimi musici, Venezia, Gardano,1549), un quarto libro di madrigali a cinque voci e un secondo a quattro voci (entrambi Venezia, Gardano, 1557): questi ultimi due libri palesano una mutazione stilistica in atto, sempre più discosta dalla polifonia imitativa e orientata invece verso un ordito duttile e trasparente, congeniale alla miglior intelligenza del testo poetico (ne dà un esempio preclaro O sonno, o de la queta umida ombrosa a quattro voci, sul sonetto di Giovanni Della Casa). Negli anni di Ferrara si osserva pure un riorientamento nelle scelte poetiche. Petrarca predomina tuttavia, ma in proporzione più attenuata: da più della metà del totale negli anni prima del 1546, nel periodo 1546-59 si scende a circa un terzo. In compenso cresce il numero dei poeti dell’orbita estense, Ludovico Ariosto (dall’Orlando furioso), Gerolamo Falletti, Gio. Battista Pigna, Gio. Battista Giraldi Cinzio (dalla tragedia Selene), Bartolomeo Ferrini, Anton Giacomo Corso.

La musica di Cipriano de Rore continuò a essere richiesta, in Italia come Oltralpe. Nel 1547 il suo collega Brunel promise di raccogliere in un manoscritto destinato all’Accademia filarmonica di Verona «quelle cose che ms. Cipriano compone alla giornata» (Paganuzzi, 1982, p. 13). Il figlio di costui avrebbe poi trascritto gran parte delle opere superstiti di Rore nell’ampia partitura oggi nota come manoscritto Bourdeney (Paris, Bibliothèque nationale de France, Département de la musique, Rés. Vma. 851). Negli anni Cinquanta vi fu un intenso scambio di musiche manoscritte e a stampa tra Ferrara e la corte di Alfonso Gonzaga a Novellara. Nel 1557 Alberto V, duca di Baviera, richiese espressamente a Ercole II d’Este la messa Praeter rerum seriem (e infatti tre messe di Rore sono conservate in codici della cappella palatina di Monaco); la lettera di ringraziamento al duca di Ferrara il 25 aprile 1557 manifesta in termini inusitati l’apprezzamento suscitato dalla musica di Rore.

Cipriano continuò a fornire musiche per occasioni speciali. Nel 1556 fu richiesto di musicare il mottetto Rex Asiae et Ponti in onore di Volfango Engelberto Auersperg (1504-1557), conte di Seisenberg in Carniola. Il madrigale Da l’estremo orizonte (apparso postumo nel 1565) è un encomio di Lamoral conte di Egmont, ministro di Carlo V e Filippo II, per la vittoria sui francesi a San Quintino nel 1557. Il 29 luglio 1559 gli fu corrisposto un cospicuo compenso di 25 scudi d’oro dal cardinale Ercole Gonzaga (ignoto l’oggetto del pagamento, ma doveva trattarsi del ‘prezzo’ corrente per tali composizioni; nel 1563 una gratificazione di pari entità gli fu erogata da Guidubaldo Della Rovere).

Nel marzo 1558 Cipriano fruì di un congedo per recarsi a Ronse, per badare a faccende di famiglia in seguito alla morte di un fratello, di nome Celestinus (come il padre). In viaggio per le Fiandre fece tappa a Monaco di Baviera, dove il duca Alberto aveva disposto che si compilasse un sontuoso libro corale contenente ventisei suoi mottetti, miniato dal pittore palatino Hans Mielich (Biblioteca di Stato bavarese, Mus. ms. B), ultimato poi l’anno dopo; è probabile che in questa occasione il musicista abbia posato per il ritratto che compare nel codice. Ritornato a Ferrara sul finire del 1558, per Capodanno inviò ad Alberto un mottetto encomiastico (forse Mirabar solito laetas a sei voci, su versi latini di Nicolaas de Stoop, o Stopius, in onore di Alberto e Anna d’Austria).

Nel luglio 1559 Ercole II acconsentì che Rore si licenziasse dal servizio estense, intendendo egli abbandonare l’Italia, rinunciare al servizio a corte e rimpatriare. La lettera che il 12 novembre 1559 da Anversa il musicista indirizzò ad Alfonso II, successore del padre (morto il 3 ottobre), spiegava che al ritorno a casa egli aveva trovato i familiari «per più disgratie [...] ruinati» (la città di Ronse era stata devastata da un incendio il 21 luglio); avrebbe sperato di passare il resto dei suoi anni «in libertà e riposo», ma si vedeva d’un tratto «sforzato tornare a nuovo giogo» (Musiol, 1933, p. 18). Esibì al duca Alfonso i propri servigi (il che equivaleva a un diritto di prelazione), non senza lasciar trapelare che avrebbe potuto fruire di altri sbocchi, nei Paesi Bassi, in Italia o altrove: ma il duca assunse al suo posto il compositore ferrarese Francesco della Viola.

La lettera non specifica però quali fossero questi altri sbocchi. Rimane nebuloso il periodo intercorso dal novembre 1559 al novembre 1560, quando Rore assunse la direzione della cappella di corte dei Farnese a Parma. In quest’epoca fu in corrispondenza con Antoine Perrenot de Granvelle, politico potente (e futuro cardinale), ministro di Carlo V, Filippo II e Margherita d’Austria: i versi virgiliani O socii neque enim ignari sumus ante malorum (Aeneis, I, vv. 198-207), già musicati da Willaert, includono il motto di Granvelle, Durate, assunto come «soggetto cavato» dalle vocali. Di certo Cipriano ebbe dei contatti con la duchessa di Parma, all’epoca reggente dei Paesi Bassi. Non v’è notizia ch’egli sia stato al di lei servizio, ma una lettera del 30 gennaio 1561 dimostra che conosceva assai bene le voci della sua cappella. Il sonetto Alma real, se come fida stella, composto in onore di Margherita probabilmente nel 1559-60 (uscì postumo nel 1565), potrebbe sottintendere un rapporto anche più annoso. Può darsi che proprio su suo sprone Rore sia stato arruolato per istituire una cappella nella corte farnesiana: quando Cipriano nel 1563 chiese licenza al duca Ottavio, il sovrano, riluttante, menzionò espressamente il desiderio della consorte («perché io mal volentieri me ne vorrei privare sì per esser la persona virtuosa che è come per rispetto di Madama [Margherita] la qual fa pensiero come torna in Italia di far una cappella...», Owens, 1976, p. 15). Per il duca e la duchessa compose il sonetto Mentre lumi maggior’ del secol nostro (anch’esso apparso postumo).

Nel gennaio 1561 Cipriano lasciò Anversa alla volta di Parma, passando per Parigi. Non si sa quando sia arrivato a Parma, forse addirittura in agosto. La sua prima mansione fu di istituire una cappella – al suo arrivo trovò un solo cantore in ruolo – e reclutare musicisti, operazione che richiese del tempo. All’epoca del suo congedo i musicisti in ruolo erano in tutto tre: difficile immaginare un più crasso contrasto con la compagine musicale della corte ferrarese.

Non sorprende dunque che Cipriano tenesse d’occhio altri impieghi possibili. Nell’aprile del 1563 chiese al duca di potersi licenziare dal servizio farnesiano, essendo stato interpellato sia dalla Signoria di Venezia sia dall’imperatore Ferdinando I come successore rispettivamente di Adriano Willaert e di Pieter Maessens. Altri potentati ne richiedevano i servigi, tra loro Ferdinando II, arciduca d’Austria, e forse Guglielmo Gonzaga, duca di Mantova. Al più tardi nell’ottobre del 1563 Rore era maestro di cappella in S. Marco a Venezia.

Se nell’abbandonare la sparuta cappella parmense Cipriano si lusingava di trovare a Venezia condizioni migliori – a detta di un agente farnesiano sarebbe stato attratto in Laguna «et per l’aria et per esser più quieta» (Bertini, 2006, p. 72) –, si era sbagliato. L’infausta divisione della cappella in due – una grande e l’altra piccola – suscitava confusione; inoltre, durante la malattia che aveva condotto a morte Willaert, il lungo interinato alla testa della cappella aveva alimentato l’indisciplina.

Nel periodo veneziano Rore mantenne i contatti con il duca Ottavio, che gli prospettava di tenerlo impegnato «in molto maggior cosa essendo io qui che s’io stesse al suo proprio servitio»; continuò a mandare musiche sue a Parma («pochi canti» nel novembre 1563, un «madrigale composto ultimamente» nel maggio 1564; Musiol, 1933, pp. 23 s.) e a Ferrara (un mottetto nel febbraio 1564).

Nel maggio 1564, infine, dopo pochi mesi trascorsi a Venezia, negoziò il ritorno al servizio parmense. Pur constatando amaramente che, avendo consumato «il fior dell’età mia in servitù de principe», si ritrovava ora «senza [...] facultà alcuna», non esitò a dichiarare di voler «venir viver et morir» agli ordini del Farnese (ibid., p. 24). Nel dicembre 1564 era di nuovo a Parma, dove la cappella contava ormai otto cantori fiamminghi e cinque italiani. Sia da Venezia sia dopo essere rientrato a Parma tenne rapporti stretti con Ferdinando II, arciduca d’Austria e conte del Tirolo, che gli commissionò due o tre messe e svariati mottetti; una messa – forse la Missa Doulce memoire, a imitazione della famosa chanson di Sandrin (Pierre Regnault), apparsa postuma nel 1566 – fu completata e spedita non dopo il luglio del 1565. Il musicista, nel carteggio tirolese, viene descritto come «cortesissimo et sempre desideroso di gloria» (Senn, 1954, p. 155). Ma l’ultimo periodo parmense durò poco.

Morì a Parma, per cause ignote, tra l’11 e il 20 settembre 1565, a quarantanove anni. Un nipote di nome Ludovicus (Lodewijk) fece collocare una lapide in cattedrale: nel 1576 la vide e la trascrisse nel suo diario di viaggio l’umanista francese Nicolas Audebert. L’epitaffio vanta la nazione d’origine del musicista e ne celebra il servizio come chori praefectus di Ercole d’Este duca di Ferrara, della Serenissima e di Ottavio Farnese duca di Parma e Piacenza.

Molte musiche composte da Cipriano uscirono postume per cura di Giulio Bonagiunta, cantore ed editore in Venezia; continuò la circolazione per via epistolare (il duca Alfonso chiese musiche sue nel 1567). Altri brani confluirono in copiose miscellanee manoscritte: oltre il già citato codice Bourdeney, va menzionato almeno il codice Tarasconi, oggi nel conservatorio di Milano. Per la maggior parte i testi dei madrigali usciti dopo il 1559 risultano tuttora adespoti: due soltanto sono di Petrarca; altri poeti identificati sono Ariosto, Fortunio Spira, Antonio Molino (Manoli Blessi).

Al musicista rimase l’epiteto «il divino Cipriano». Nel 1586 il poeta Jean Mégnier lo associò ai grandi fiamminghi Josquin, Willaert e Orlando di Lasso: «L’inventif Cyprian, pour se rendre conforme / Au travail de ces deux [scil. Josquin et Willaert] qui seuls estoyent alors, / L’enrichit d’ornemens par ses nouveaux accords, / Donnant a cette pièce une notable forme» (L’inventivo Cipriano, per rendersi conforme / all’opera di costoro [scil. Josquin e Willaert], allora ineguagliati, / seppe arricchirne l’ornato di nuovi accordi, / conferendo loro una singolare bellezza; Cipriano de Rore, 2016, pp. 21 s.). Inventiva e feconda la musica di Cipriano de Rore, invero, appariva ancora ai primi del Seicento ai teorici che si accalorarono nella controversia circa la «prima» e la «seconda pratica», tant’è vero che entrambi i partiti ne invocarono il nome e il prestigio a sostegno delle proprie tesi contrapposte. L’opera di Rore esercitò un’influenza tangibile tanto su Claudio Monteverdi quanto sulla cerchia fiorentina intorno a Giovanni de’ Bardi. Dovettero essere suoi discepoli o sodali compositori di rango come Pietro Ponzio, Marc’Antonio Ingegneri, Giaches de Wert, Orlando di Lasso, Josquin Persoens, Alessandro Striggio, Baldassare Donato, Francesco Bifetto e Luzzasco Luzzaschi.

Fonti e Bibl.: Per un’ampia bibliografia: C. de R.: new perspectives on his life and music, a cura di J.A. Owens - K. Schiltz, Turnhout 2016; per un elenco delle sue musiche: J.A. Owens, R., C. de, in Oxford Music online, http://www.oxfordmusiconline.com (6 marzo 2017), e C. De R., http://www.cypriaanderore.be (6 marzo 2017); per l’identificazione dei testi poetici italiani: A. Pompilio, RePIM, http://repim.muspe.unibo.it (6 marzo 2017); per un’edizione moderna delle musiche: C. R. opera omnia, a cura di B. Meier, I-VIII, s.l.-Neuhausen-Stuttgart 1959-1977.

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