MATTEI, Ciriaco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MATTEI, Ciriaco

Claudia Terribile

– Primogenito di Alessandro e di Emilia di Paolo Mazzatosta, il M. nacque a Roma nel 1545, secondo quanto si ricava dalla sua iscrizione funeraria all’Aracoeli.

Stando all’albero genealogico di famiglia (Cappelletti - Testa, p. 355), ebbe cinque fratelli e due sorelle, tra i quali Girolamo, futuro cardinale, e Asdrubale (1556-1638), con cui abitò nella cosiddetta Isola Mattei, in rione S. Angelo, nel palazzo (oggi Caetani) fatto edificare dal padre Alessandro.

Del 1560 è la sua promessa di nozze con Claudia Mattei, figlia di Giacomo, dalla quale ebbe, tra gli altri, Alessandro, che abbracciò la vita ecclesiastica, e Giovanni Battista (1569-1624), futuro capo della famiglia, Erminia e Giulia.

Nel 1566 il M. ereditò la tenuta sul Celio appartenuta al suocero: un’ampia vigna digradante sulle rovine del tempio di Claudio, piuttosto «derelitta e mal condizionata» e provvista di una modesta abitazione di servizio, una «casetta assai piccola, con una loggetta sola con un soffitto di tavole assai rozzo» (ibid., p. 27). In un ventennio, con l’ingente investimento di 60.000 scudi, il M. trasformò radicalmente l’area, edificandovi una villa suburbana (l’attuale villa Celimontana) e realizzando intorno a essa un superbo giardino terrazzato, con fontane, viali adornati di ogni sorta di alberi e «boschi, laberinti, selvati, teatri, piazze et altri ornamenti» (Benocci, p. 39).

Deputato per le Fabbriche capitoline dal 1576, il M. seguì il completamento del cantiere michelangiolesco in Campidoglio, entrando in contatto, tra gli altri, con l’architetto Giacomo Del Duca e con lo scultore Pier Paolo Olivieri, della cui collaborazione si avvalse nella ristrutturazione della villa sul Celio.

La costruzione dell’edificio può collocarsi tra il 1577 (anno della pianta di Étienne Dupérac che registra solo le recinzioni del giardino) e il 1581 (epigrafe nella villa che dichiara restituito il luogo agli antichi splendori). L’iniziale incarico a Giacomo Del Duca è menzionato in un documento dell’Archivio Antici Mattei, la Declaratio viridarii del 1605 (ibid., p. 19), che ricorda anche il determinante ruolo degli architetti Giovanni e Domenico Fontana nel cantiere. Essi si occuparono di dar forma definitiva al giardino, di provvedere al sistema delle acque per le fontane e di innalzare al centro del «theatro» (uno spazio ispirato al prototipo del circo antico) l’obelisco donato dal Comune di Roma al M., dietro sua insistente richiesta, nel 1582. La sistemazione del viridario fu molto lunga e complessa: tra il 1595 e il 1599 il M. acquistò numerosi pezzi dalle collezioni di antichità delle famiglie Savelli, Santacroce e Massimo per ornare il giardino di sculture, ispirandosi alla naturale vocazione archeologica del luogo, da cui si godeva la vista del Colosseo, delle rovine di Caracalla e del Palatino, e alla tradizione classica (evidenti i riferimenti alla descrizione pliniana della villa di Tuscolo).

Disseminato di preziosi marmi antichi, il giardino costituì il vero fiore all’occhiello di villa Mattei, divenendo luogo di «trattenimento e di essercitio di virtuosi e di reputazione non poca per la casa», come il M. stesso amò definirlo nel suo testamento (Lanciani, p. 83) per raccomandarne la cura ai suoi eredi. Parte delle statue costituì nel Settecento uno dei primi lotti del Museo Pio Clementino; altre confluirono nel secolo successivo nel Museo Chiaramonti, altre ancora furono acquistate da diversi artisti.

Appassionato collezionista non solo di antichità, ma anche di opere d’arte, il M. dotò la sua villa di numerosi quadri di soggetto idoneo al contesto di una dimora suburbana: paesaggi, marine, scene mitologiche, scene di genere, ritratti di uomini illustri, che acquistò o commissionò direttamente.

È stato parzialmente possibile ricostruire l’entità della raccolta grazie all’inventario che i figli del M. fecero stilare nel 1614 in ossequio alle sue volontà testamentarie (in Cappelletti - Testa, pp. 171 s.). Tra i numerosi quadri citati, le sole opere identificate con certezza sono le quattro tele di Bartolomeo Passarotti che ornavano la sala principale della villa: la Macelleria e la Pescheria oggi a Roma in Palazzo Barberini, le Pollivendole della Fondazione Longhi di Firenze e le Venditrici di pollame e ortaggi conservate alla Gemäldegalerie di Berlino.

Nel 1584 il M. fu conservatore di Roma e in questa veste il suo nome compare nell’iscrizione commemorativa del Monumento funerario a Gregorio XI, fatto erigere in quell’anno dal Senato per commemorare il ritorno del Papato a Roma e conservato nella chiesa di S. Francesca Romana (Santa Maria Nova).

Nel 1586 – anno in cui il fratello Girolamo, già auditor Camerae, divenne il primo cardinale della famiglia – il M. affidò a Girolamo Muziano l’incarico di dipingere un ciclo con storie di s. Matteo per la cappella di famiglia in S. Maria in Aracoeli (la quinta a destra), decorazione che fu portata a termine nell’estate del 1589 con una documentata collaborazione di Cesare Nebbia e Sebastiano dei Rossi (quest’ultimo per gli stucchi).

Nel contratto di allogazione (Schwager, p. 63) il M. aveva esplicitamente richiesto a Muziano di dipingere «di suo pugno» un S. Matteo che scrive il Vangelo ispirato dall’angelo per la pala d’altare e La resurrezione del figlio del re d’Etiopia e il Martirio di s. Matteo per le pareti laterali. Tele con questi ultimi due soggetti, coronati rispettivamente da lunette con La chiamata e La predica di Matteo, si trovano ancora oggi sulle pareti della cappella. Non è più conservata invece la pala d’altare, perduta con ogni probabilità nel corso del Seicento durante i restauri architettonici alla cappella. Secondo la guida di Roma di Filippo Titi del 1686 le tele sulle pareti, molto rovinate e compromesse, furono «perfettamente aggiustate» da Bonaventura Giovannelli da Monreale (Eitel-Porter, p. 156).

Nel 1597 il M. acquistò insieme con il fratello Asdrubale il feudo di Giove in Teverina da Mario Farnese. La proprietà fu tenuta però dal solo Asdrubale, che per concessione di Clemente VIII poté fregiarsi del titolo di marchese di Giove. Discordanti sono invece le fonti riguardanti l’acquisto del feudo di Rocca Sinibalda, effettuato sempre congiuntamente dai due fratelli. Di Nardo (p. 86) data al 1592 anche la concessione del pontefice al M. del titolo di marchese. Cappelletti e Testa (p. 17) indicano invece il 1600 sulla scorta di un atto notarile.

Nel 1599, tra il luglio e il dicembre, il libro del Rincontro del Bancho del M. registra ingenti pagamenti per lavori intrapresi nel palazzo di famiglia, che sono stati messi in relazione con il tamponamento della loggia occidentale del piano nobile al fine di allestire la galleria (Cappelletti - Testa).

La raccolta di dipinti che il M. e Asdrubale andavano formando si faceva sempre più cospicua e necessitava di un adeguato spazio. La realizzazione della galleria, completata da Asdrubale un ventennio dopo, dotò il palazzo di una forma architettonica nuova, distintiva dell’accresciuto prestigio sociale della famiglia. Secondo il gusto dell’epoca, il M. predilesse soprattutto quegli artisti contemporanei che amarono «dipingere di maniera e con l’esempio davanti del naturale», come sosteneva il marchese Vincenzo Giustiniani nella sua Lettera sulla pittura (V. Giustiniani, Discorso sopra la pittura, in Discorsi sulle arti e sui mestieri, a cura di A. Banti, Firenze 1981, p. 45), che poneva Michelangelo Merisi da Caravaggio, Annibale Carracci e Guido Reni in testa a tutti. Ben tre furono le opere che il M. commissionò a Caravaggio, identificate e datate da Cappelletti e Testa (pp. 137-146) sulla scorta dei pagamenti da lui effettuati tramite i banchi: la Cena in Emmaus della National Gallery di Londra (pagato 150 scudi il 7 genn. 1602), La cattura di Cristo della National Gallery di Dublino (pagato 125 scudi il 2 genn. 1603) e il cosiddetto S. Giovannino della Pinacoteca Capitolina di Roma (1602). Degli 85 scudi corrisposti al pittore con i versamenti del 25 giugno e del 5 dic. 1602 non viene specificata la destinazione, ma nell’Inventario della Guardarobba di Giovan Battista Mattei (1616), erede del M., è registrato «un quadro di San Giovanni Battista col suo agnello di mano del Caravaggio» (ibid., p. 173), e per questo motivo i due pagamenti sono stati messi in relazione con il dipinto della Pinacoteca Capitolina, di certa provenienza Mattei.

Delle altre opere presenti nella collezione, ricordate nel citato inventario e nei pagamenti del M., sono state identificate solo le tele di scuola bassanesca, Lazzaro e il ricco Epulone (collezione Ogilvy, Biel, Scozia) e di Antiveduto Grammatica con la «disputa di N. S.re con li dottori» (ibid., p. 174; St. Bride’s Bay, Cowdenbeath, Scozia, collezione privata). Disperse o non rintracciabili risultano invece le due opere commissionate a Carlo Saraceni nel 1609 (la Cacciata dei mercanti dal tempio e la Fuga in Egitto) e le diverse tele di Muziano, dei Carracci o di Lanfranco, nell’inventario chiamato «Giovannino».

Il M. fu membro delle principali confraternite laicali (Ss. Salvatore, Crocifisso, Gonfalone), ma anche in stretto contatto con l’Ordine francescano – il fratello cardinale Girolamo ne era protettore – e con i circoli più illuminati della riforma cattolica romana. Fu amico degli Orsini, dei Crescenzi, dei Colonna, e stretti furono i suoi contatti con gli oratoriani: a partire dall’anno 1600, concesse infatti il permesso ai padri filippini di organizzare nel giardino della villa sul Celio la refezione collettiva dei numerosi pellegrini che ogni anno durante il carnevale si recavano a visitare le sette chiese, come documentato anche da un anonimo dipinto del XVII secolo (Villa Mattei, pp. 30 s.). Inoltre, nel 1614 commissionò a Prospero Orsi per la cappella del palazzo di famiglia un dipinto con Filippo Neri e Carlo Borromeo (oggi in coll. privata, pubblicato in Caravaggio e la collezione Mattei, p. 19).

Il M. morì a Roma il 20 ott. 1614 e fu sepolto all’Aracoeli. Nella semplicissima iscrizione sul pavimento della cappella di famiglia è laconicamente ricordato come «Arcis Sinibaldae Marchio».

Alla morte del M., la collezione di quadri passò al figlio Giovan Battista, che tuttavia alienò diversi dipinti per consolidare i rapporti di amicizia dei Mattei con altre nobili famiglie romane (il S. Giovannino del Caravaggio, per esempio, fu donato al cardinale Francesco Maria Del Monte). Inoltre Giovan Battista promosse le prime modifiche della villa del Celio, il cui originario aspetto fu irreparabilmente compromesso nel corso del tempo. Giovan Battista ebbe solo figlie femmine e alla sua morte, nel 1624, la raccolta di dipinti passò ad Asdrubale, il fratello del M. (l’altro suo figlio Alessandro, probabilmente perché uomo di Chiesa, rinunciò all’eredità); ma il patrimonio restò sostanzialmente intatto solo per il tempo di una generazione e subì in seguito una lenta e progressiva dispersione.

Fonti e Bibl.: R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno alle collezioni romane di antichità, III, Roma 1908, pp. 83-86; G. Antici Mattei, Cenni storici sulle nobili e antiche famiglie Antici, Mattei e Antici-Mattei, in Riv. del Collegio araldico, XLI (1943), pp. 234, 307-309, 338-340, 345 s., 348; P. Pecchiai, Il Campidoglio nel Cinquecento, Roma 1950, pp. 57, 64, 97; K. Schwager, Unbenkannte Zeichnungen Jacopo Del Duca’s. Ein Beitrag zur Michelangelo-Nachfolge, in Stil und Überlieferung in der Kunst des Abendlandes. Akten des 21. Internationalen Kongresses fur Kunstgeschichte, Bonn… 1964, Berlin 1967, p. 63; T. Di Nardo, La casata Mattei di Roma e le sue diramazioni in Italia, Roma 1988, pp. 86, 95-101, 104 s., 160-162; M. Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Milano 1990, p. 325; C. Benocci, La villa Mattei. Dal XVI al XX secolo: il palazzetto, il parco, le collezioni, in Villa Celimontana, a cura di C. Benocci, Torino 1991, pp. 17-41; F. Cappelletti - L. Testa, Il trattenimento di virtuosi. Le collezioni secentesche di quadri nei palazzi Mattei di Roma, Roma 1994, pp. 17, 137-146, 171-176, 355; L. Testa, La collezione di quadri di C. M., in Caravaggio e la collezione Mattei (catal., Roma), a cura di R. Vodret, Milano 1995, pp. 19, 29-38; F. Cappelletti, Gli affanni e l’orgoglio del collezionista: la storia della raccolta Mattei e l’ambiente artistico romano dal Seicento all’Ottocento, ibid., pp. 39-54; Villa Mattei nel pellegrinaggio delle sette chiese, tra devozione individuale e rappresentazione collettiva (catal.), a cura di M. Mancini - A. Montanari, Roma 2000, pp. 17-29; R. Eitel-Porter, The decoration of the Mattei chapel in S. Maria in Aracoeli, Rome, 1586-1589, in Festschrift für Konrad Oberhuber, a cura di A. Gnann - H. Widauer, Milano 2000, pp. 155-164; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, C, pp. 265 s. (descrizione della villa sul Celio).

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