CISTERCENSI

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1993)

CISTERCENSI

M. Righetti Tosti-Croce

Ordine monastico le cui origini sono legate alla fondazione del novum monasterium sorto a Cîteaux (v.) in Borgogna nel 1098 per iniziativa di Roberto di Molesme, insieme ad Alberico e Stefano Harding, nell'ordine i primi tre abati. La nascente comunità si proponeva di trovare un nuovo punto di equilibrio tra gli elementi della vita monastica: liturgia, lectio divina (lettura spirituale, meditazione, preghiera individuale) e lavoro.Le prime fonti di tipo narrativo relative alla storia dell'Ordine sono costituite dall'Exordium Cistercii (ante 1130) e dall'Exordium parvum (ante 1150).Nei manoscritti, dopo la narrazione storica segue la Charta Caritatis, costituzione dell'Ordine cistercense, che subì una lunga evoluzione dal 1119 - anno dell'approvazione pontificia - ed è nota in diverse varianti successive, dalla Charta Caritatis Prior alla Summa Chartae Caritatis (1124-1130 ca.) alla Charta Caritatis Posterior (1190 ca.). Essa doveva servire ad assicurare i rapporti tra i monasteri: vi si ordina che siano indipendenti, ciascuno sui iuris, e autosufficienti anche economicamente, secondo un criterio di tipo federalistico; nello stesso tempo si richiede di rispettare la Regola di s. Benedetto e di assicurare l'unità della liturgia e degli usi.Essenziale è la nuova interpretazione della figura del converso, di importanza primaria nel grande successo dell'Ordine in campo agricolo e, in generale, economico; già previsti in altre famiglie religiose, i conversi assunsero presso i C. un'importanza nuova, tanto da fruire di normative giuridiche specifiche negli Usus conversorum. Gli abati venivano eletti dalle singole comunità monastiche e la riunione annuale obbligatoria al Capitolo generale di Cîteaux divenne un tipo di assemblea 'parlamentare', inizialmente allargata ai monaci di Cîteaux, ai quali venne in seguito negato l'accesso, conferendo peraltro al loro abate la qualifica di primus inter pares. Prescrizioni liturgiche e disposizioni pratiche relative alla vita quotidiana dei monaci sono contemplate negli Ecclesiastica officia.La legge fondamentale dei C. è la Regola di s. Benedetto, accolta ponendo l'accento sulla puritas Regulae e applicando tre principi: nihil contra Regulam, omnia iuxta Regulam, quaedam praeter Regulam. Di fatto i C. non ne osservavano integralmente tutte le disposizioni sic et simpliciter e numerosi e carichi di conseguenze furono gli elementi di carattere novatore.Un fattore innovativo era costituito dall'istituto della filiazione, che conferiva a ogni abbazia parità giuridica nei confronti di tutte le altre, compresa l'abbazia madre, e dall'istituto del Capitolo generale, che affidava la guida dell'Ordine all'assemblea degli abati; il controllo era assicurato peraltro anche dal principio della visita annuale a ciascuna figlia da parte dell'abate dell'abbazia madre.Bernardo di Chiaravalle (v.), dal 1115 abate di Clairvaux, terza filia di Cîteaux, rappresenta nella storia dell'Ordine una figura-chiave che, anche al di là della sua opera teologica, ne promosse in gran parte l'affermazione sul piano internazionale, portando le innovazioni a una diffusione certo non prevista agli esordi: l'espansione cistercense divenne rapidissima, diramandosi la rete delle fondazioni in tutta Europa, dalla Svezia al Portogallo e dall'Irlanda all'Ungheria, per non arrestarsi che alla metà del Trecento.Un ruolo significativo venne svolto dai C. nella terza e quarta crociata e soprattutto nella lotta contro gli albigesi.Nel 1265, per risolvere i gravi contrasti che si erano andati sviluppando tra l'abate di Cîteaux e quelli delle prime quattro figlie, si rese necessario creare il Definitorio, che, istituito con la bolla Parvus fons di Clemente IV, si sostituì all'autorità del Capitolo generale.M. MihályiIn fatto d'arte, sull'origine e in genere sull'età medievale dei C. grava storicamente un'immagine - 'missionari del Gotico' - deformante, a un tempo, per eccesso e per difetto: sopravvaluta il loro apporto alla diffusione del Gotico (in realtà formalmente riduttivo, relativamente tardo e quantitativamente non eccezionale rispetto ad altri media contemporanei) e tace invece l'effettiva violenza novatrice, in piena età romanica, delle prime voci artistiche dell'Ordine.In quest'ultimo senso, al primo si aggiunge un secondo equivoco storico, relativo al ruolo esclusivo attribuito, in campo artistico, all'intervento di Bernardo di Chiaravalle, la cui effettiva natura e capacità di prefigurazione di elementi essenziali del futuro artistico occidentale non è valutabile se non lo si vede, come di fatto fu, condizionato in radice dalle esperienze della subito precedente generazione dei fondatori di Cîteaux.Di esse esperienze restano due tipi di testimonianze, ricordi grafici e letterari delle prime architetture in pietra e libri miniati.Nel primo caso si tratta delle chiese che i monaci di Cîteaux e delle sue prime quattro filiae (La Ferté, 1113; Pontigny, 1114; Clairvaux e Morimond, 1115) costruirono immediatamente dopo l'atto di fondazione delle singole abbazie, al posto di primitivi abitacoli lignei eretti - contrariamente a quanto spesso ripetuto - solo come riparo provvisorio sinché non fossero pronti gli edifici in pietra. Oggi tutti scomparsi, questi ultimi sussistevano ancora nel sec. 18° (Schaefer, 1982), venerati come reliquie, ruolo che cominciò a venir loro assegnato già intorno al quarto-quinto decennio del secolo, quando le loro piccole dimensioni non furono più in grado di contenere l'eccezionale crescita numerica dell'Ordine e si rese necessario sostituirli con nuove fabbriche di proporzioni adeguate.L'esiguità ed estrema modestia delle primitive chiesette cistercensi (aule uniche rettilinee o con piccolo coro poligonale) sono i soli dati relativamente certi che su di esse sono noti (salvo il caso di Clairvaux, v., fondata personalmente da Bernardo e anche per questo indagata più a fondo, anche per quanto riguarda gli annessi edifici monastici). Sono peraltro dati significativi. In esplicita reazione all'esempio di Cluny, i fondatori di Cîteaux realizzarono una povera edilizia da contadini - ai quali di fatto intendevano assimilarsi - come un gesto di rifiuto, non tanto genericamente pauperistico, quanto specificamente rivolto contro la tesi cluniacense dello splendore, ricchezza e sontuosità della 'bella materia preziosa' non solo legittima nell'edilizia sacra ma addirittura, se non unica, privilegiata via di comunicazione tra Dio e uomo.È, a evidenza, il rifiuto che urge e sospinge sia le celebri prese di posizione di Bernardo contro l'edilizia cluniacense - "fulget ecclesia parietibus, et in pauperibus eget [...] interrogo monachus monachos [...] dico: Dicite [...], pauperes, si tamen pauperes, in sancto quid facit aurum?" (Apologia ad Guillelmum Abbatem, XII, 28) - sia quel 'progetto' edilizio bernardino (v. Bernardo di Chiaravalle) che, basato sull'assoluto rigore di un metodo di planning modulare ad quadratum, è una vera e propria teorizzazione dell'Existenzminimum, radicalizzato per un massimo di efficienza produttiva (Romanini, 1985).In quest'ultimo senso il rifiuto genera un sovrappiù di intelligenza del reale, che la concretissima ratio bernardina utilizza a fini squisitamente operativi: l'estrema purificazione per l'estrema utilizzazione dell'essenza vitale. Ma neanche in questo caso Bernardo inventa ex novo. Razionalizza, piuttosto, e radicalizza quella che è l'effettiva novità (Pächt, 1963) della primissima miniatura di Cîteaux e più esattamente del Maestro dei Moralia (Romanini, 1978; Załuska, 1989), un segno pregnante in grado di ridurre all'essenza immagini di densa vivacità narrativa, corposa e dinamica e di concentrarle in figure lineari di semplicità ed evidenza immediata, come il modulor bernardino.È l'origine di una rivoluzione di mentalità che si inserì d'autorità nel codice genetico dell'arte occidentale nell'atto in cui l'incandescente energia di Bernardo riuscì a concretizzare ed esportare intatto il 'progetto', in pochi anni, dalla nativa Borgogna in tutta Europa, tramite l'uso della 'filiazione' come militia e l'istituzione dei cantieri-scuola. Destinati a realizzare e soprattutto insegnare a realizzare il 'progetto' in qualunque situazione e servendosi di qualunque tipo di materiale e manovalanza locale, i cantieri-scuola cistercensi fecero in breve del 'progetto' bernardino - che univa tra l'altro un massimo di facilità esecutiva e di rapidità a un minimo di costo - il nuovissimo strumento operativo comune a tutta la più avanzata tecnologia europea del momento: rivoluzionandone in radice i metodi operativi e dunque i linguaggi e i sistemi di pensiero alla stregua della introduzione dell'informatica nella storia della tecnologia moderna.A questa luce, anziché quali 'missionari' a posteriori, i C. entrano nella storia del Gotico come una delle sue forze d'origine, a livello delle sue radici profonde, là ove esso nasce anzitutto quale intelligenza delle energie vitali e capacità di enucleazione e sintesi dell'essenza ultima che le genera e muove.A.M. Romanini

Architettura

L'architettura realizzata dall'Ordine di Cîteaux si andò conformando durante la prima metà del sec. 12° e negli anni immediatamente successivi, inizialmente soprattutto in Borgogna - culla dell'Ordine e regione di origine di molte delle principali figure che ne determinarono la storia - ma già a partire dagli anni venti e trenta subì un'espansione sempre più rapida e intensa in tutta Europa.Dopo un primo periodo in un certo senso d'avvio (ca. 1090-1130), gli anni della fervida attività militante di Bernardo, abate di Clairvaux, filia di Cîteaux, costituiscono senza alcun dubbio lo stadio fondamentale dell'evoluzione dell'architettura cistercense: quello della elaborazione e sistematica esportazione, tra il 1133-1135 ca. e il 1153, anno di morte di Bernardo, di un coerente progetto normativo per l'edilizia dell'Ordine, voluto, promosso e personalmente improntato da Bernardo e pertanto a buon diritto definibile bernardino. Già prima della sua morte, e in seguito progressivamente con il volgere del tempo, i rivoluzionari dettami bernardini si vennero tuttavia a combinare nelle diverse regioni, di volta in volta, con le singole tradizioni locali europee, subendo in particolare l'impatto delle più aggiornate forme stilistiche e degli accorgimenti strutturali gotici.La prima autentica età bernardina iniziò negli anni trenta, in uno con la ricostruzione di Clairvaux e con l'avvio di una serie di fabbriche promosse dalla stessa Clairvaux, in Borgogna come in tutta Europa, con una tale rigorosa omogeneità e addirittura sovrapponibilità, non solo di impianto ma anche di alzato, da attestare l'aderenza dei rispettivi cantieri a un unico 'progetto', dettagliato sino ai minimi particolari decorativi e realizzato a opera di architetti e maestranze specificamente addestrati allo scopo. Si tratta di edifici coerenti tra loro anzitutto nella pianta: la celebre pianta a tre navate, transetto e coro a terminazione rettilinea tra cappelle terminali allineate che sarebbe divenuta caratteristica dell'Ordine anche agli occhi dei contemporanei, come dimostra il notissimo schema del taccuino di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093, c. 14v), che peraltro ne registra una variante relativamente tarda. Tale icnografia trovò applicazione in particolare nella linea di filiazioni di Clairvaux, ma fu in breve tempo ripresa, con maggiori o minori varianti, anche dagli altri rami dell'Ordine, a partire da Cîteaux. La storiografia, sin dagli studi di Esser (1952; 1953) ed Eydoux (1952; 1953), ha indicato questa particolare icnografia come plan bernardin o bernhardinischer Grundtypus, legandone l'ideazione alla figura dell'abate di Clairvaux, operazione legittima solo se ricondotta anzitutto entro i limiti costituiti dal riconoscere la pratica architettonica in sé esorbitante dal campo di attività di Bernardo (Romanini, 1969; 1992).Il plan bernardin non si limita dunque alla pianta della chiesa abbaziale, ma si estende al suo alzato, coperto da volte a botte ad arco spezzato - longitudinali nel corpo della chiesa e nelle cappelle orientali, trasversali nelle navatelle e nei bracci del transetto - e graduato in altezza secondo una rigida scalatura che privilegia la grande croce tracciata dalla navata, coro e transetti, illuminati direttamente solo dalle testate terminali e, in basso, dalle striature oblique delle luci provenienti dalle finestre delle navatelle. Il plan bernardin va inteso come vero e proprio exemplum, concreto, completo progetto di 'città ideale' e 'città modello' (Romanini, 1987) monastica e agricola, in contrapposizione con le città secolari.L'esportazione, con ogni verosimiglianza realizzata dagli stessi 'monaci bianchi', che ne curarono anche l'attuazione, con i conversi e ben presto anche con manovalanza locale, fu basata probabilmente su dei cantieri-scuola, il primo dei quali forse proprio a Clairvaux (Romanini, 1990). Essi erano destinati non solo a realizzare le varie fabbriche, ma anche a formare maestranze capaci di riprodurre con fedeltà - le variazioni rilevanti cominciarono ad apparire solo verso la metà del secolo - i concetti guida delle nuove unità monastiche, volti a determinare un'architettura "spogliata di qualsiasi elemento che non sia forza statica o fonte di luce" e al tempo stesso concepita con chiarezza, "usando allo scopo una struttura modulare basata su una modernissima programmazione matematica" (Romanini, 1987), consistente nell'applicazione di un modulo ad quadratum, nucleo generatore e unità compositiva dell'intera costruzione, esteso a informare anche capitelli, litostrati, vetrate. Tra le chiese conservate l'abbaziale borgognona di Fontenay, di età bernardina (1139-1147), è quella riconducibile, meglio di ogni altra, immediatamente allo spirito dell'abate claravallense e alla peculiare estetica della luce emergente dai suoi scritti, legata ai dati razionali del numero e del ritmo, in contrapposizione alle contemporanee teorie espresse dalla trattatistica dell'abate Suger e concretizzate nel coro dell'abbaziale reale di Saint-Denis, da lui ricostruito.La razionalità bernardina si servì delle forme stilistiche del Tardo Romanico borgognone, come stanno a provare i confronti tipologici da tempo operati dalla critica tra costruzioni cistercensi ed edifici religiosi borgognoni del sec. 12° (Enlart, 1894); ma non è possibile attribuire all'influenza dell'architettura locale, così come oggi è dato conoscerla tramite le più approfondite indagini relativamente recenti (Branner, 1960; Chauvin, 1992), la novità e l'arditezza concettuali della rivoluzione operata in questa fase dall'architettura dell'Ordine: al contrario, la critica ha talora indicato in ambito monastico, come nel caso della congregazione riformata di Hirsau (fine sec. 11°) in Germania, con chiese con coro a terminazione piana, taluni possibili precedenti (Esser, 1952), per lo meno a livello icnografico, di alcune delle soluzioni presenti nell'architettura di età bernardina. Resta in ogni caso la profonda diversità tra l'architettura cistercense e le precedenti esperienze architettoniche monastiche, anche nella disposizione degli edifici conventuali: in ambito benedettino spesso assai libera, talora dettata dall'orografia del sito e dalle eventuali preesistenze, con i C. invece razionalmente ordinata a fianco della chiesa in ali disposte in rigorosa paratassi distributiva intorno a un chiostro quadrato. Le diverse funzioni e necessità della vita monastica vennero a corrispondere anche topograficamente a luoghi fissi nella pianta tipo, ripetuta centinaia di volte e con poche eccezioni nelle fondazioni delle abbazie di tutta Europa, realizzate spesso in luoghi disabitati, da bonificare, attività per la quale i C. erano particolarmente noti, ma talvolta anche in presenza di precedenti costruzioni o finanche strutture monastiche, nella quasi totalità dei casi ignorate o distrutte al momento dell'edificazione operata dai 'monaci bianchi'.La stessa prassi edilizia delle abbazie era dettata da esigenze pratiche e privilegiava le parti vitalmente legate alla possibilità di stanziamento dei monaci e alle loro necessità primarie: della stessa chiesa abbaziale venivano per prime edificate le porzioni adiacenti al dormitorio (coro e uno dei transetti) e dotate di altari per la celebrazione giornaliera della messa, mentre altre parti meno essenziali (corpo longitudinale) venivano costruite in seguito (Cadei, 1989), peraltro dopo aver fissato la pianta della chiesa nella sua totalità con un muro delimitante l'area dell'edificio e di cui alcune costruzioni serbano ancora traccia. Tale divisione in stadi di costruzione coincise spesso con differenti campagne edilizie, talvolta temporalmente non contigue e dunque stilisticamente ben individuabili, come nel caso di Eberbach, di Alvastra o di Chiaravalle della Colomba. In talune abbaziali poi il corpo longitudinale o anche uno dei bracci del transetto non furono mai portati a compimento, come sembra essere avvenuto a Santa Maria di Cabuabbas presso Sindìa in Sardegna, o vennero voltati a una certa distanza di anni rispetto all'avvio della costruzione, come a Chiaravalle di Fiastra nelle Marche (Cadei, 1978; Romanini, 1990).Entro la morte di Bernardo si assiste a un rapidissimo progredire di fondazioni - in specie quelle della linea di Clairvaux che portarono i C. praticamente in tutte le regioni europee - e a un rigido attenersi nella maggior parte dei casi alle disposizioni architettoniche delle case-madri. Si giunse così all'innalzamento di numerosi edifici - talvolta però compiuti nello spazio di alcuni decenni - ricalcanti in varia forma e con differente fedeltà il modello bernardino, con concessioni più o meno ampie allo stile architettonico e alle peculiarità strutturali delle singole culture regionali, fino a trovarsi talora davanti a chiese quasi del tutto dipendenti da tale influenza e dunque in massima parte sovrapponibili a coeve costruzioni locali non appartenenti all'Ordine di Cîteaux.La maggiore incidenza di edifici informati dal modello bernardino si osserva, nell'Ordine di Cîteaux, in chiese della linea di Clairvaux, innalzate in gran numero per tutto il sec. 12° e all'inizio del successivo. Resta però da ribadire che spesso a icnografie similmente derivate dal plan bernardin fanno riscontro in alzato strutture anche assai differenti tra loro, grazie al peso determinante delle varianti introdotte dal trascorrere dei decenni e dalle coordinate geografico-culturali.In questo senso appare riduttivo e in buona misura improprio, com'è stato da più parti notato (Krönig, 1973; Romanini, 1990), parlare dei C. come di 'missionari del Gotico' (Schmoll, 1958), data sia la varietà fenomenica dell'architettura prodotta dall'Ordine, stilisticamente nel complesso di non univoca definizione nella pluralità dei suoi morfemi, sia la stessa base comune di origine, costituita appunto dal Tardo Romanico borgognone, oltremodo distante (Aubert, 1958; Branner, 1960; Romanini, 1987) dal Gotico 'da cattedrale' che per vettori ben differenti venne esportato dall'Ile-de-France in decenni successivi.È proprio l'elemento unificante costituito dal plan bernardin, matematicamente determinato e applicato rigorosamente ed estensivamente nei decenni centrali del sec. 12°, sotto la supervisione - anche se nella maggior parte dei casi per forza di cose indiretta - dello stesso Bernardo, a rappresentare il filo conduttore specifico in questa sua fase cruciale, nelle varie regioni d'Europa, da Eberbach in Assia (Hahn, 1957), a Bonmont in Svizzera (Bucher, 1957; 1959), a Rievaulx in Inghilterra (Fergusson, 1984), ad Alvastra in Svezia (Swartling, 1967; 1969), ai casi italiani di Chiaravalle Milanese (Wagner-Rieger, 1956-1957; Romanini, 1975), Chiaravalle di Fiastra (Cadei, 1978; Romanini, 1990) o Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane a Roma (Romanini, 1983). In ciò è da riconoscere in fondo - specie tenendo conto dell'immediata fortuna che il 'progetto' di Bernardo ebbe anche fuori della sua 'filiazione', all'interno dell'Ordine cistercense e presto anche fuori di esso - quell'esprit cistercien che non risiede tanto, o solo, nelle linee ad quadratum, quanto piuttosto "nella concentrazione estrema e nella tesa essenzialità geometrica del disegno" (Romanini, 1969).Nell'ambito stesso della fase cronologica bernardina e degli esempi di maggior aderenza ai dettami di Bernardo, ma estranei peraltro alla linea di Clairvaux, è dato talora riscontrare tuttavia casi di maggior resistenza all'introduzione anche solo di una pianta concepita in toto secondo il modello bernardino, in favore dell'accoglimento di tipologie locali, spesso comuni alla tradizione edilizia benedettina. Ne sono prova Stična in Slovenia (Zadnikar, 1977), o Santa Maria di Falleri nell'Alto Lazio - divenuta cistercense solo nella seconda metà del sec. 12° (Rossi, 1986) -, esemplate su pregresse esperienze architettoniche di tali ambiti culturali e ciò nonostante ancora riconoscibili come cistercensi grazie a una sorta di trascrizione razionalizzante di forme diverse entro i "fini di praticità operativa e di semplificazione visiva" (Romanini, 1989), che emergono in ogni caso quale precipua e irrinunciabile caratteristica delle fondazioni dell'Ordine.L'architettura di età bernardina è oggi peraltro più agevolmente studiabile negli esempi 'variati', particolarmente numerosi in alcune regioni europee piuttosto che sui testi originariamente costituenti i principali riferimenti monumentali nella zona di origine di tale nuovo, logico procedimento progettuale. Sebbene in pratica nessuna delle grandi casemadri - a parte la chiesa di Pontigny, poco più tarda dell'epoca di Bernardo - si sia conservata e solo scarsissimi frammenti restino oggi dei grandi complessi di Cîteaux, Clairvaux, La Ferté e Morimond, la pura interpretazione cistercense e anzi bernardina dell'architettura tardoromanica borgognona è tuttavia ancor oggi riconoscibile, oltre che nel classico esempio di Fontenay in Borgogna, nella costruzione di Noirlac nel Berry, delle abbazie svizzere di Hauterive e di Bonmont, di Alvastra in Svezia, basse strutture a tre navate su semplici pilastri, coperte a botte, munite di transetto e cappelle a terminazione piana. Si tratta di vere e proprie "officine per pregare", secondo la celebre parafrasi della Regola di s. Benedetto (Romanini, 1975), quasi immuni da decorazione scultorea, in consonanza con le prescrizioni dell'Ordine, ben esplicitate dalle note invettive bernardine contro la sontuosità negli edifici religiosi e la ricchezza decorativa dell'architettura sacra, come è stato rilevato da tempo e pressoché unanimemente dalla critica.Una delle conquiste della storiografia, a partire dagli anni Cinquanta, è rappresentata dall'enucleazione, in differenti contesti geografico-culturali, di un gruppo di chiese di età bernardina, accomunate dalla caratteristica di dipendere strettamente dal modello bernardino pur nelle 'varianti' rappresentate da una veste stilistica basata sui linguaggi locali. Tra queste sono le abbazie tedesche di Himmerod (Esser, 1952; 1953; Eydoux, 1952; 1953) e le prime fasi di Eberbach (Hahn, 1957) e Altenberg (Krönig, 1973), ancora segnate dalla forte impronta cistercense malgrado le ampie concessioni al Romanico tedesco, oppure il manipolo di edifici italiani di diretta fondazione bernardina individuati da Romanini (1975; 1990) come le Tre Fontane a Roma, Chiaravalle Milanese o la sua filiazione di Chiaravalle di Fiastra (Cadei, 1978; 1989), le cui fasi primitive - spesso includenti indicazioni sul terreno per delimitare in via preliminare l'intero edificio - sono state riportate agli anni immediatamente successivi alla fondazione, nel quarto decennio del 12° secolo. Si tratta per lo più di costruzioni in cotto secondo l'uso lombardo: negli ultimi due casi compaiono tecniche costruttive ed elementi comuni alla tradizione edilizia di quella regione - come pure il sistema di alzato culminante spesso in un tiburio, trasformazione di una tipologia regionale in base alle disposizioni degli statuti dell'Ordine che vietavano la costruzione di campanili, o il pilastro circolare - e che tuttavia applicavano al tempo stesso le leggi proporzionali riconosciute, grazie agli studi di Hahn (1957), alla base della stessa concezione architettonica dell'edilizia cistercense di età bernardina. Sulla scorta anche della mole del materiale grafico raccolto da Dimier (1949-1967), le abbaziali cistercensi di età bernardina e dei successivi decenni, sino alla fine del sec. 12°, sono infatti state poste a confronto da Hahn (1957) con un esame compositivo-proporzionale che ha condotto all'individuazione di tre fondamentali tipologie di edificio religioso, distinte per dimensione, con rapporti fissi di natura aritmeticogeometrica tra le parti, basati sui numeri tre e quattro, rigorosamente applicati in pianta e contenenti indicazioni - che nei singoli casi appaiono spesso in seguito disattese dati i lunghi tempi di realizzazione - per l'alzato.A una prima, almeno parziale, deroga a queste regole si assistette vivo ancora Bernardo nella stessa Clairvaux, con la ricostruzione del coro, a partire dal 1152, secondo un progetto a deambulatorio e cappelle radiali voluto o almeno approvato ancora dal grande abate (Romanini, 1983; Fergusson, in corso di stampa), al fine di moltiplicare il numero degli altari per la messa giornaliera, data l'accresciuta popolazione del complesso monastico. Il coro così conformato sarebbe a sua volta divenuto modello, per es. già nel caso di Pontigny, per numerose altre abbazie, anche esterne alla linea di filiazioni claravallense. A questa icnografia si oppose, come alternativa peculiare dell'Ordine - oltre a una serie di soluzioni di derivazione benedettina o cluniacense, indicate tra gli altri da Krönig (1973) -, il coro quadrato a cappelle allineate in rigorosa paratassi su tre lati, quale fu innalzato nella stessa Cîteaux e che è dato ritrovare in altre abbazie cistercensi come Vaucelles, riflessa nella pianta schematicamente abbozzata da Villard de Honnecourt.Con la fine del secolo, l'exemplum normativo per le numerose abbazie costruite in Europa in quei decenni divenne Pontigny (Wagner-Rieger, 1956-1957; Cadei, 1989). Tale modello, costituito da una chiesa a tre navate, con volte a crociera costolonata su uniformi pilastri polistili pensili verso la navata centrale, venne esportato, nelle due varianti rappresentate dal coro a deambulatorio e dal più semplice coro quadrato con cappelle terminali allineate, con particolare fedeltà in regioni in cui non sussisteva una forte tradizione architettonica locale che potesse fornire ai C. stilemi da tradurre nelle forme scarne e razionali proprie all'Ordine. Tra queste regioni sono soprattutto da indicare la penisola iberica e l'Italia centromeridionale. Nella prima le architetture cistercensi vennero a costituire altrettante punte avanzate di penetrazione monastica nei territori da poco strappati ai mori con la Reconquista, inserendosi in un panorama artistico tardoromanico in ogni caso fortemente permeato dalla cultura francese, soprattutto per l'attività di artisti provenienti dalle regioni del Sud-Ovest, come nell'abbaziale di Gradefes nel León. Vennero a formarsi così importanti abbazie poste sotto la protezione reale dei sovrani di Castiglia, Aragona e Portogallo: Moreruela, La Espina, Poblet, Santes Creus, Alcobaça, con chiese tra le più imponenti dell'Ordine, in alcuni casi dotate di una veste architettonica e di una plastica che sviluppano temi di origine borgognona con notevoli variazioni peculiari dei C. che pertanto consentono di cogliere importanti legami con altre coeve abbazie anche molto distanti. Resta innegabile una generale dipendenza dalle chiese che i C. eressero nel Midi, come Fontfroide; e tuttavia le abbaziali di Poblet e Santes Creus, della seconda metà del sec. 12°, innalzarono con altro slancio la navata centrale e vi ricavarono aperture, pur mantenendo una copertura a volte a botte, singolarmente trasformata, nel caso di Santes Creus, in una seconda fase, in ampie cinghiature tra volte a crociera. La ricostruzione, di poco posteriore, di Alcobaça mostra un più maturo e unitario progetto ispirato a Pontigny, con grande coro a deambulatorio, e parallelo anche, in alcuni aspetti del linguaggio scultoreo, a contemporanee costruzioni dell'Italia centrale.Nell'Italia centromeridionale, le fondazioni laziali di Fossanova e Casamari, costruite la prima a cavallo del 1200, con consacrazione nel 1208, la seconda in più fasi ravvicinate anche ben oltre la data di consacrazione del 1217 (I Cistercensi e il Lazio, 1978; Ascani, 1985-1986), sorte in zone di confine scarsamente popolate e sorprendentemente vicine ai prototipi francesi, sono tra le più interessanti costruzioni cistercensi di questa fase, ben indagate nei loro rapporti con costruzioni locali (v. Cattedrale) da esse ispirate e per le quali anzi i C. dovettero ampiamente fornire progetti e manodopera, come provato dalle fonti per alcuni casi; ciò ha consentito alla critica di individuare, in specie a Fossanova o in grange cistercensi laziali, cantieri-scuola (Romanini, 1969; 1989; I Cistercensi e il Lazio, 1978; Storia dell'arte e del territorio, 1980; Cadei, 1982) nei quali si sarebbero formate maestranze poi inviate a costruire i numerosi edifici, anche esterni all'Ordine, in alcuni casi già da tempo avvicinati alle abbazie (Enlart, 1894; Wagner-Rieger, 1956-1957). Dal punto di vista architettonico si assiste, nello scarto generazionale tra le due costruzioni, ad alcune significative evoluzioni tecniche e stilistiche: a un'interpretazione più fedele, nel caso di Fossanova, dei dettami compositivi risalenti ancora a Bernardo, come provato da Hahn (1957), e a più arcaiche soluzioni tecniche, come le volte nervate tra arconi trasversi, fa riscontro a Casamari una maggiore libertà dai prototipi della prima metà del secolo precedente, per avvicinarsi, rompendo alcuni degli equilibri proporzionali, al modello di Pontigny. Ortodossamente cistercense per la comparsa di numerose particolarità di ascendenza borgognona, dai congés al triforio nano, alla regolare distribuzione delle aperture secondo comuni schemi geometrici, questa chiesa si differenzia dalla precedente per un più ricco campionario decorativo che introduce, al pari di lontane ma contemporanee esperienze dell'Ordine, da Matina in Calabria, ad Alcobaça, a Wa̧chock in Polonia (Białoskorska, 1962; Cadei, 1982), una cosciente ripresa e rilettura di temi decorativi altomedievali e romanici.Anche in Italia, come nella penisola iberica, l'architettura cistercense si trovò a permeare di sé vasti ambiti culturali, da quello comunale al Nord, particolarmente per la situazione milanese (Romanini, 1989), a quello toscano, grazie alla fondazione di San Galgano, una filiazione di Casamari, eretta nel secondo quarto del Duecento, che appare implicata nelle fasi iniziali della ricostruzione del duomo di Siena, per alcuni versi esemplato sull'abbaziale cistercense ed esercitante un'indubbia influenza su Nicola Pisano; resta invece da chiarire il rapporto tra l'abbazia di Badia a Settimo e l'ambiente artistico fiorentino alla fine del secolo. In tutta l'Italia centrosettentrionale è poi da rilevare la radicale cistercense dell'architettura dei nascenti Ordini mendicanti (v. Domenicani; Francescani). Al Sud la critica ha potuto ricostruire per molti versi i legami e gli itinerari artistici che uniscono i C. all'architettura e alla scultura architettonica della corte sveva (I Cistercensi e il Lazio, 1978; Federico II e l'arte del Duecento italiano, 1980), alla base della realizzazione delle maggiori imprese edilizie del tempo in quelle regioni, in primis le residenze federiciane di Castel del Monte, Lagopesole, castello Ursino a Catania e castel Maniace a Siracusa (Cadei, 1992a).In altre regioni d'Europa l'architettura cistercense fu più strettamente condizionata dalle tradizioni locali e il suo peso fu meno influente all'interno dell'ambito artistico di tali aree culturali. È il caso di alcune regioni della stessa Francia. A fronte di una situazione quale quella della Provenza, di sostanziale fedeltà strutturale e formale al modello bernardino anche in anni successivi alla morte dell'abate - Le Thoronet e Sénanque, innalzate dopo il 1160, Silvacane, costruita a partire dal 1175, con pianta carica di assonanze bernardine (peraltro absidata e di proporzioni tipicamente alterate con accentuato sviluppo in larghezza), basse volte a botte spezzata e semplici membrature, elementi tanto più sorprendenti in quanto si tratta di fondazioni estranee alla linea di Clairvaux -, nel Sud-Ovest sorsero, accanto a edifici più decisamente influenzati dall'architettura borgognona come Flaran, costruzioni che più si avvicinano all'impianto delle chiese tardoromaniche locali regolarizzandolo come Obazine. Ancora diverso il caso del Midi tolosano e della Linguadoca, dove Silvanès, atipica abbaziale cistercense dalla larghissima navata unica con cappelle continue, venne a costituire uno dei principali prototipi di una tipologia di edificio religioso destinata a una notevole diffusione fino all'epoca del Gotico maturo, dalla cattedrale di Albi a grandi costruzioni catalane come la cattedrale di Gerona o numerose chiese di Barcellona.Con la seconda generazione di chiese cistercensi in Borgogna, a partire da Pontigny, pur passando da un sistema di volte a botte a una voltatura a crociera, con la conseguente possibilità di rialzare e illuminare direttamente la navata centrale, non appare accolto alcun accorgimento formale fondamentalmente estraneo al contemporaneo protogotico borgognone, tranne forse il sistema di contrafforti esterni del coro della stessa Pontigny, terminato all'inizio del Duecento. Nel settentrione, invece, e in particolare nel domaine royal, la regione parigina, si assistette, soprattutto dal terzo quarto del Duecento, all'erezione di chiese profondamente influenzate dallo stile rayonnant che si andava in quei decenni sviluppando nella regione. Con le contemporanee fabbriche di Châalis e Longpont e, in anni di poco successivi, con la costruzione dell'abbazia di Royaumont (consacrata nel 1235), fondazione di Luigi IX, il Gotico 'da cattedrale' venne a combinarsi con la tradizionale sobrietà architettonica cistercense, in costruzioni con piante, almeno da un punto di vista icnografico, non più bernardine, dotate di grande coro ad ambulacro e cappelle radiali e, soprattutto nel caso di Royaumont, distinte da un evidente gigantismo (coro a cinque navate e transetto a tre, lunghezza superiore a m. 100) non riscontrabile neanche nelle grandi costruzioni delle case-madri, evidenziato inoltre da una veste stilistica da esse ormai profondamente distante. Si tratta di soluzioni icnografiche e formali non prive di importanti conseguenze: è il caso delle fondazioni tedesche di Heisterbach, Marienstatt e in particolare di Altenberg, che a esse fecero ricorso per numerosi e non trascurabili suggerimenti (Krönig, 1973), sino a divenire punte avanzate dell'introduzione delle forme gotiche francesi nella Renania: un fenomeno contemporaneo e per molti versi anticipatore di costruzioni come il duomo di Colonia. Una simile influenza dovette essere avvertita anche nell'Italia meridionale angioina, con le abbazie, fondate da Carlo I d'Angiò, di S. Maria della Vittoria presso Scurcola Marsicana e S. Maria di Realvalle presso Scafati - quest'ultima parzialmente conservata -, di cui sono state recentemente (de Sanctis, 1993) messe in luce le tangenze con contemporanei cantieri francesi e napoletani.In altri ambiti nazionali come l'Inghilterra - ove è da sottolineare la precocità di alcune fondazioni di età bernardina, come Rievaulx e Fountains, quest'ultima dovuta a un architetto di cui si conosce il nome, Geoffroi d'Ainai, inviato nel 1135 personalmente da Bernardo, come già Achard a Himmerod (Aubert, 1947; 1958; Eydoux, 1953; Hahn, 1957) - l'aspetto assunto dall'edilizia cistercense nel sec. 13°, in pianta e in alzato, risulta fortemente modificato dal gusto e dalle consuetudini locali, anche in presenza di elementi di diretta derivazione francese, come nel caso di Abbey Dore (Studies in Cistercian Art, 1982). Le abbaziali cistercensi inglesi, seppure costruite seguendo uno schema ad quadratum (per es. Clermont, Abbey Dore) e con schema d'alzato ricavato dai modelli borgognoni, sono allungate nelle dimensioni (Fountains, Byland, Abbey Dore) secondo quanto comune in ambito anglonormanno, possiedono cappelle terminali scalate e presentavano in origine copertura piana nella navata centrale e volte a botte trasversa - a crociera costolonata in una fase più matura - nelle parti orientali e sulle navatelle, caratteristiche che non si ritrovano invece nelle semplici costruzioni cistercensi della vicina Irlanda, più fedelmente ispirantisi ai prototipi borgognoni. Tra esse in particolare Mellifont si avvicina in pianta al modello bernardino. Inoltre è da notare che nel caso della Gran Bretagna, grazie alle numerose fonti documentarie conservate, sono stati rintracciati nomi e qualifiche di molti dei costruttori delle chiese cistercensi dell'isola (Studies in Cistercian Art, 1982), per lo più monaci dell'Ordine o "conversi barbati diversis artibus periti", quali compaiono del resto anche in documenti francesi (Mortet, Deschamps, 1911-1929, II, p. 21).Nei paesi dell'area germanica, fatta salva la Renania, terra di espansione dell'architettura bernardina e più tardi cassa di risonanza delle influenze francesi rayonnantes, la diffusa opposizone al Gotico 'da cattedrale' e il permanere di un gusto fondamentalmente tardoromanico fino al Duecento avanzato comportarono l'innalzamento di edifici a copertura piana su colonne, come Heilsbronn, o che applicavano, come Eberbach (1170-1190 ca.) o Heiligenkreuz, arcate su pilastri, monofore a pieno centro e volte nervate o costolonate, tra cinghiature a tutto sesto, a uno schema planimetrico ancora bernardino, a Eberbach peraltro predeterminato nella originaria fase d'impianto. Ancora alla metà del Duecento la facciata di Heiligenkreuz, tripartita, a salienti e cuspidata, ripeteva forme decorative di tradizione romanica come le cornici ad archetti. Ma già nei primi decenni dello stesso secolo, con il sorgere di abbaziali come Ebrach in Franconia e Riddagshausen in Bassa Sassonia, o con le parti duecentesche di Maulbronn nel Baden-Württemberg, una più decisa attinenza ai modelli borgognoni, dal punto di vista stilistico, aveva determinato sostanzialmente l'adesione dell'area germanica - più sentita invero nel Meridione - alla seconda fase di espansione dell'architettura cistercense, determinata tra la fine del sec. 12° e i primi decenni del successivo dall'influenza dell'exemplum di Pontigny ed estesa talora a importanti costruzioni esterne all'Ordine, come il duomo di Magdeburgo (ca. 1210-1260). Con la seconda metà del secolo ebbero di nuovo il sopravvento, in Europa centrale, le forme della cultura architettonica locale, ormai volta al Gotico: così soprattutto negli ultimi decenni, con la ricostruzione del coro 'a sala' di Heiligenkreuz, con l'abbaziale di Salem presso il lago di Costanza (inizio sec. 14°), con lo schema realizzato in cotto, ormai del tutto simile agli edifici episcopali, mutuato dalla ricostruita abbaziale di Doberan nel Meclemburgo, o con le facciate a ghimberghe o gradonate della chiesa e degli edifici conventuali di Chorin nel Brandeburgo, è attestata l'ormai definitiva rottura di quella sorta di unità spirituale, anche se non stilistica, alla base delle costruzioni dell'Ordine in tutta Europa.Nell'Europa orientale le costruzioni cistercensi mostrano in tutti i casi, accanto al sussistere di un fondamentale rispetto delle icnografie bernardine - come in Polonia nelle abbazie di Jedrzejów, Wa̧chock e Sulejów, basse costruzioni su pilastri coperte da volte a crociera, peraltro derivate all'inizio del Duecento dal modello di Pontigny, con semplice ma interessante decorazione scultorea, per lo più su temi vegetali -, forme talora anche fortemente influenzate dal Tardo Romanico locale, perdurante tanto in Polonia quanto in Boemia o in Ungheria sin oltre la metà del Duecento (per es. la fondazione ungherese di Bélapátfalva). Nelle fasi successive è da notarsi, soprattutto per la Boemia e la Moravia - dopo un gruppo di edifici di sapore protogotico che ripetono, con ben maggiore pesantezza e un'evidente elementarizzazione formale, modelli quali ancora una volta Pontigny (Tišnov) o Altenberg (Sedlec) -, una tarda influenza austriaca e bavarese, che conduce alla costruzione di ampi cori 'a sala' a più navate, come a Hradištĕ nad Jizeron o a Vyšší Brod. Nelle rimanenti regioni dell'Europa centrale e nella penisola balcanica, alla progressiva rarefazione delle fondazioni cistercensi fa riscontro una sempre più pronunciata traduzione delle forme protogotiche esportate dall'Ordine secondo il gusto locale, con alterazioni della pianta tipo o dello schema di alzato, che conserva solo a grandi linee una struttura ricalcante gli esempi borgognoni. A questo proposito è da osservare la situazione della Grecia (Kitsiki Panagopulos, 1979), con tre sole abbazie conservate, una delle quali (Dafni) riutilizza le strutture di un convento bizantino del sec. 11° ricostruendovi l'esonartece in forma di semplice portico archiacuto.Al di fuori dell'Europa l'architettura cistercense si trovò a influenzare nei secc. 12° e 13° le costruzioni religiose e civili innalzate dai Latini (in particolare dai Franchi) in Terra Santa durante l'occupazione dei crociati (v.).La spinta edilizia cistercense si andò rapidamente esaurendo con l'avanzare del Trecento, per annullarsi quasi completamente con l'inizio del secolo successivo. L'espansione, soprattutto negli ultimi decenni, del ramo femminile dell'Ordine non arrivò a produrre, malgrado una relativamente fiorente stagione di filiazioni, un insieme di architetture coerentemente applicanti i modelli comuni alle abbazie maschili, né tantomeno aspirò a creare un linguaggio architettonico proprio. Si tratta per lo più di chiese di non grandi dimensioni, spesso a navata unica, diffuse soprattutto nei Paesi Bassi e in Germania, non dissimili da coeve realizzazioni architettoniche esterne all'Ordine nelle stesse regioni.

Edifici conventuali

Gli ambienti destinati alle varie funzioni della vita dei monaci furono organizzati dall'origine secondo rigide direttive (v. Abbazia) al fine di conseguire una logica e pratica fruizione degli spazi. Il progetto bernardino di 'città ideale' monastica coinvolgeva anzi in primo luogo gli edifici conventuali, le cui strutture vennero - rispetto ai precedenti benedettini riflessi, per es., nel piano di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl., 1092) - 'digitalizzate' secondo il sopra visto modulo schematico che presiedeva alla fabbrica delle chiese (Romanini, 1992); intorno al chiostro (v.), un quadrato perfetto affiancato alla chiesa, di solito sul fianco meridionale, si succedevano gli ambienti, parimenti composti dall'assemblaggio di unità-campate quadrate, in cui si svolgeva la vita dell'abbazia: sacrestia, sala capitolare, parlatorio, calefactorium e scriptorium sul lato orientale; cucina e refettorio sul meridionale; ambienti di servizio e di raccolta delle provvigioni, o cellier, e talora xenodochio su quello occidentale. Al piano superiore erano situati i dormitori dei monaci e, sull'opposto lato, quelli dei conversi. Lo schema bernardino dell'abbazia tipo ebbe forse più vasta applicazione di quello per la pianta dell'oratorium: salvo rare eccezioni difatti le abbazie cistercensi si attennero scrupolosamente a queste disposizioni per tutto il Medioevo, e anche abbazie la cui chiesa si presenta in veste totalmente estranea ai dettami bernardini (per es. Royaumont o Ter Duinen in Belgio) mostrano in pianta edifici conventuali fedeli al modello borgognone, ben osservabile per es. ancora una volta a Fontenay.Anche in questo caso, tuttavia, deroghe alle precise disposizioni originarie sono rintracciabili relativamente presto, soprattutto per quanto riguarda la libertà decorativa. È da ricordare inoltre che la costruzione degli edifici abbaziali procedeva talvolta anche assai lentamente, secondo una logica lista di priorità, comune come si è visto anche agli edifici religiosi. In pratica erano le parti prossime alla chiesa e in generale le ali comprendenti i dormitori a essere condotte per prime, mentre spesso anche le gallerie del chiostro venivano ultimate più tardi o in tempi diversi.Un'ulteriore notazione riguarda la c.d. iconoclastia bernardina e in generale la parsimonia decorativa degli edifici religiosi, in particolare nel 12° secolo. In realtà, nella concezione dell'abate di Clairvaux "finalizzata al significato anagogico dell'edificio sacro" (Romanini, 1987), essa coinvolge in minor misura gli altri edifici conventuali e di fatto tende a venir meno qui più rapidamente rispetto alle chiese, come è possibile notare, già nella seconda metà del secolo, nelle parti più tarde dell'abbazia di Noirlac, come il chiostro o i portali.Da una prima fase di applicazione delle volte a botte o di volte nervate anche agli edifici conventuali, soprattutto sacrestie e corridoi dei chiostri, a cui corrisponde una più semplice decorazione scultorea per lo più aniconica o fitogeometrica (per es. in Francia a Escale-Dieu o Aiguebelle), si passa già nel terzo quarto del secolo a volte a crociera costolonate su grandi capitelli a motivi vegetali, via via più riccamente interpretati.L'evoluzione della tipologia della sala capitolare si può seguire dal confronto tra Fontenay o Noirlac, del tardo sec. 12°, e Casamari o Maulbronn, del successivo, con una sempre maggiore goticizzazione delle strutture e un conseguente sviluppo dimensionale e decorativo dei capitelli. All'inizio del Duecento e più in generale nella prima metà del secolo si situa tuttavia la più parte degli edifici conventuali di maggiore interesse oggi conservati. Anche in questo caso valgono i rimandi al Tardo Romanico notati per l'architettura delle chiese (per es. la sala capitolare di Bebenhausen nel Baden-Württemberg). In Italia, a parte le strutture di Chiaravalle della Colomba, testo di notevole importanza nel panorama del Gotico padano, con interessanti capitelli di complesso disegno, il gruppo Fossanova-Casamari presenta edifici conventuali particolarmente significativi. Oltre alle sale capitolari, per cui è possibile indicare stretti paralleli con opere cistercensi di altri paesi, come Fontaine-Guérard in Normandia o Alcobaça in Portogallo, sussistono edifici come il refettorio o alcune strutture di servizio di Fossanova, ad arconi trasversi o a copertura piana, che costituiscono i primi esempi di una tipologia architettonica destinata a essere ripresa dagli Ordini mendicanti - particolare menzione meritano in questo senso i maggiori edifici mendicanti del pieno Duecento a Firenze e in genere in Toscana, nell'Italia centrale e in area angioina - e per questo tramite a influenzare costruzioni di ambito comunale o addirittura di committenza vescovile specie in Umbria; maestranze cistercensi furono cooptate nel pieno Duecento da queste abbazie per contribuire in modo determinante a costruzioni religiose esterne all'Ordine (Storia dell'arte e del territorio, 1980) o anche ai grandi castelli innalzati da Federico II in Italia meridionale (I Cistercensi e il Lazio, 1978; Federico II e l'arte del Duecento italiano, 1980; Cadei, 1992a). Un fenomeno non dissimile unisce del resto ambienti come il refettorio di Santa María de Huerta in Castiglia o di Maulbronn a edifici religiosi gotici delle regioni circostanti, come nel primo caso la cattedrale di Sigüenza.Più in generale, specialmente in Italia settentrionale, l'architettura degli edifici monastici cistercensi avrebbe costituito, sin dalle prime fasi dello stanziamento dei 'monaci bianchi', uno se non addirittura il principale punto di riferimento tecnico e stilistico per le esigenze della nascente architettura comunale (v. Comune), come recenti studi hanno analizzato e provato (Romanini, 1989; 1992), alla base in particolare di alcune tipologie di edifici cittadini come il broletto (v.), o della "razionalizzazione geometrizzante" (Romanini, 1989) di preesistenti modelli, come nel caso delle porte urbiche, fino ai casi limite costituiti dall'apporto cistercense alla formazione - in Italia centrosettentrionale come in Francia o altrove - delle città nuove (v.) e delle bastides (v.), razionale reinterpretazione di precedenti modelli urbanistici su base modulare e geometrica, in sintonia dunque con la 'città ideale' monastica cistercense e per lo più parimenti incentrati su uno spazio aperto quadrato destinato all'incontro e alla vita comune.L'evoluzione stilistica degli edifici abbaziali cistercensi attraverso il Trecento comportò il progressivo adeguamento ai diversi e più aggiornati modi stilistici locali delle forme architettoniche, dalle chiese alle sale capitolari, dai chiostri agli ambienti monastici via via innalzati o rinnovati (per questi ultimi si pensi a Hauterive). Forme tardogotiche mostrano oggi numerose abbazie, in particolare dell'area germanica e della Gran Bretagna. Anche in queste fasi relativamente tarde - in cui l'architettura cistercense seguì per lo più lo sviluppo del Gotico regionale dei diversi ambiti culturali in cui si venne a inserire - un'influenza degli ambienti monastici cistercensi sulle costruzioni mendicanti si rese tuttavia evidente in tutta Europa, in particolare nelle regioni germaniche settentrionali, come provano i confronti più volte istituiti tra le locali abbazie di Chorin, Lehnin e Zinna ed edifici come la chiesa degli Agostiniani di Erfurt o la sala capitolare quattrocentesca dei Domenicani a Stralsunda, in un'area dove già l'architettura dell'Ordine era profondamente entrata in rapporto con la coeva architettura religiosa secolare.Se in conclusione dal punto di vista stilistico un'unitarietà dell'architettura cistercense non è supponibile se non - e con forti limitazioni - in epoca e in area bernardina (Aubert, 1958; Romanini, 1969; 1987; 1992; Krönig, 1973), è purtuttavia rintracciabile un coerente disegno, evolutosi per oltre due secoli, basato sul rigorismo monastico predicato e attuato da Bernardo di Chiaravalle e sulla sua volontà, efficacemente indagata dalla critica tanto sulla base dei suoi scritti quanto a posteriori con l'esame degli edifici realizzati. Il carattere dell'architettura informata dalla personalità di Bernardo e la vitalità creativa e innovatrice dell'arte cistercense da essa sviluppatasi non restarono tuttavia circoscritti alle imprese architettoniche dell'Ordine; interagirono anzi con i differenti ambienti e fenomeni sociali e culturali, dal mondo comunale alla cerchia federiciana e parigina e ai grandi regni dell'Occidente, dalle conquiste crociate ai conventi mendicanti, improntando per larghi versi la cultura architettonica e artistica di numerose regioni europee e ricavandone il polimorfismo linguistico e strutturale con cui si espresse nei vari tempi e luoghi la volontà di razionalizzazione sussistente al fondo dell'esprit cistercien quale sua vera ultima ragion d'essere. I cantieri-scuola delle grange cistercensi e il sistema di produzione architettonica da essi messo in atto vennero in questo modo a costituire uno dei grandi e universali fenomeni culturali del Medioevo occidentale (Romanini, 1987).V. Ascani

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Decorazione architettonica

All'interno dei complessi abbaziali cistercensi la decorazione architettonica appare generalmente piuttosto limitata. Il repertorio delle componenti decorative presenti nelle chiese e negli edifici monastici dell'Ordine - capitelli, mensole d'imposta, chiavi di volta, cornici, nonché elementi di portali e rosoni - si caratterizza per l'estremo rigore formale, per le limitate tipologie dei motivi raffigurati, quasi esclusivamente soggetti vegetali e geometrici, e infine per il profondo valore funzionale di ciascun elemento e la coerenza con la struttura architettonica in cui appare inserito. Gli elementi decorativi di matrice cistercense, ispirati ai medesimi ideali di assoluta funzionalità ed essenzialità formale che contraddistinguono le architetture di cui sono parte, assumono infatti un ruolo particolare all'interno dello spazio: lo scandiscono e, regolandolo nel suo sviluppo, esaltano la logica assoluta che pervade l'unità architettonica (Romanini, 1969).Così come per le architetture, in un panorama che globalmente si distingue comunque per questo suo carattere di rigore e purezza, occorre tuttavia individuare il succedersi di fasi diverse e ben qualificabili nei loro aspetti esteriori (Romanini, 1990). A un primo momento, quello più propriamente definibile come bernardino, fortemente segnato dalla presenza e dal pensiero di Bernardo di Chiaravalle (v.), appartengono le architetture della linea di filiazione di Clairvaux degli anni 1135-1153 e la decorazione in esse contenuta; una seconda fase postbernardina, che continua comunque a risentire, seppure in tono minore, del pensiero elaborato dal santo, segna le fondazioni - bernardine o di ispirazione bernardina - a partire dalla seconda metà del sec. 12° fino a tutta la prima metà del successivo; infine si delinea, dopo la metà del sec. 13°, un terzo periodo, in cui la decorazione architettonica appare decisamente meno caratterizzata e molto più permeabile agli influssi del Gotico maturo e per questa ragione sempre meno peculiare.Nel c.d. progetto bernardino (definito anche bernhardinischer Grundtypus o plan bernardin) le medesime formule che regolano lo spazio delle architetture si estendono anche alla decorazione (Esser, 1952; Eydoux, 1953; Romanini, 1969; 1975; 1990); così all'assoluta purezza e razionalità geometrica degli spazi delle prime abbazie, in particolare quelle di diretta filiazione da Clairvaux, corrisponde una quasi totale assenza della componente decorativa e, nei rari casi dove questa compare, essa si conforma alla stessa ratio ordinatrice e riassuntiva in cui forma e teoria sembrano coincidere (Romanini, 1975; 1983; 1987; Zakin, 1979; Cadei, 1982). All'interno delle chiese, sui sostegni, che spesso non prevedono l'impiego di capitelli, corrono semplici cornici, le basi sono lisce, le finestre semplici aperture tagliate di netto nella pietra, mentre l'impiego delle chiavi di volta appare escluso a priori vista la preferenza accordata alle coperture a botte. Ne sono testimonianza le poche chiese che conservano ancora tracce dell'impianto originario bernardino: per es. quelle di Eberbach in Assia, di Alvastra in Svezia, di Bonmont in Svizzera, dei Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane a Roma. Laddove invece la decorazione architettonica compare, essa si presenta con un repertorio tipologico estremamente ridotto, che si esprime in forme geometrizzate e semplificate e che soprattutto si ripete pressoché inalterato anche in abbazie tra loro molto distanti. Questo fenomeno di diffusione può trovare una spiegazione nell'esistenza, all'interno dell'Ordine, di cantieriscuola nei quali gli scalpellini si formavano e venivano educati all'applicazione e all'esportazione di un unico progetto di base (definito anche progetto-pilota standardizzato; Bucher, 1959); tale ipotesi trova conferma nel fatto che in tutte le prime abbazie fondate sotto il diretto impulso di Bernardo, e non solo in quelle borgognone, si assiste al ripetersi quasi puntuale finanche nei dettagli delle medesime tipologie decorative (Cadei, 1978b; Romanini, 1990).La limitata decorazione architettonica delle abbazie bernardine si concretizza principalmente in semplici capitelli lisci, a dado scantonato o a motivi vegetali; questi ultimi di norma si compongono di quattro foglie d'acqua, lanceolate e lisce, disposte in corrispondenza degli angoli dell'abaco, molto schematizzate e segnate talvolta da una semplice nervatura centrale, spesso riassunte e sintetizzate in vere e proprie figure geometriche. In realtà le varianti di questa tipologia sono numerose, ma sempre tra loro legate dal minimo comune denominatore rappresentato dalla purezza della linea e del volume e dalla mancanza di particolari di tipo esornativo. In ambito cistercense gli esempi più antichi di questi capitelli si trovano nella chiesa di Fontenay, ripetuti poi più volte nel chiostro e nella sala capitolare secondo diverse varianti.L'abbazia di Fontenay - fondata da Bernardo nel 1118 e costruita in un lasso di tempo molto breve: la chiesa dal 1139 al 1147, anno in cui fu consacrata, ed entro il settimo decennio del secolo il chiostro e gli ambienti che vi si affacciano - deve considerarsi paradigmatica, oltre che per l'impianto architettonico, anche per la decorazione, in quanto contiene gran parte del repertorio dei temi decorativi propri della prima scultura cistercense (Romanini, 1975). Accanto agli esempi fogliati, nell'abbazia borgognona si trovano anche capitelli e chiavi di volta con soggetti puramente geometrici, con cerchi e semicerchi semplici o intrecciati, o ancora motivi a palmetta o a rosetta; anche questi temi non appaiono inseriti nel tessuto architettonico per il loro valore di pura immagine, ma piuttosto sono concepiti come segni, vere e proprie figure significanti (Cadei, 1982; in corso di stampa).La tipologia dei capitelli di Fontenay non rappresenta in nessun caso una novità cistercense: gli esempi fogliati compaiono già nell'ambito del Tardo Romanico borgognone (Branner, 1960); tuttavia in ambiente cistercense, e a Fontenay in particolare, essi appaiono modificati rispetto al loro modello originario, in virtù di una riduzione formale che ne ha sintetizzato i singoli elementi compositivi (Romanini, 1969; 1983; 1990). Per quanto riguarda invece i motivi geometrizzanti, in particolare quello a semicerchi penduli e il tema della palmetta, che decorano i capitelli a dado scantonato, ne è stata ipotizzata (Cadei, 1982) una probabile anticipazione nella plastica dei monasteri della congregazione di Hirsau, e in particolare nella chiesa di Paulinzella, del primo quarto del sec. 12° (Badstübner, 1980, tav. IV, figg. 45-50).Altri precoci esempi di una estrema sintesi formale sono costituiti da alcuni capitelli nell'ala nord del chiostro dell'abbazia delle Tre Fontane, databili tra gli anni ottanta-novanta del 12° secolo. Tra questi compare anche una rielaborazione in chiave geometrizzata della tipologia classica del capitello ionico. Nelle parti più antiche dell'abbazia, risalenti alla metà del sec. 12°, esiste tuttavia già un precedente di questo motivo: nelle trifore della sala capitolare, infatti, si può vedere come, attraverso la sintesi delle singole componenti di un capitello ionico, si sia arrivati a enuclearne, nella scansione lineare di un unico blocco, il disegno che ne è alla base (Romanini, 1982).Il fatto che la componente decorativa delle abbazie bernardine si distingua in un panorama più generale per il suo carattere di estremo rigore ed essenzialità formale trova la sua origine nel pensiero stesso di Bernardo. Esso comunque non si sviluppò come programma estetico: si trattò piuttosto di dettami di ordine morale specificamente riferiti all'ambito monastico, che tuttavia necessariamente ebbero riflessi su scelte di tipo estetico. Gli eccessi e le fantasticherie che pervadevano gli elementi figurativi a decorazione di chiese e monasteri dell'epoca non avevano ragione di esistere all'interno dell'abbazia; la loro presenza infatti avrebbe costituito motivo di distrazione per la preghiera e la meditazione del monaco: superfluitas e curiositas che conducono a un eccessivo stimolo dei sensi non si addicono all'attività intellettuale e sono contrarie all'etica monastica (Simi Varanelli, 1979; Cadei, in corso di stampa). Nell'Apologia ad Guillelmum Abbatem (XII, 29) Bernardo indica una serie di soggetti precisi - centauri mostruosi, semiuomini, scimmie immonde, leoni feroci e tigri maculate, soldati che combattono e cacciatori che soffiano nei corni - attraverso i quali, al di là dei loro singoli significati, si possono individuare quelle che a suo giudizio sono le tre categorie iconografiche da bandire: le forme ibride e mostruose, gli animali e le attività umane (Rudolph, 1990b). Lo scarno repertorio iconografico che ne risulta appare a sua volta rielaborato sulla base del pensiero bernardino, secondo cui ogni elemento superfluo va eliminato al fine di ridurre la forma alla sua essenza più pura e quindi più vicina alla perfezione divina (Romanini, 1969; 1975; 1987; 1990; Simi Varanelli, 1979). Così nelle prime abbaziali bernardine mancano di norma riferimenti a temi iconici - fantastici o mostruosi - che rappresentano invece una delle caratteristiche peculiari della scultura architettonica di moltissime chiese romaniche a esse contemporanee.Tuttavia la norma di un totale e assoluto rigore che contraddistinse le prime architetture cistercensi e la loro decorazione si stemperò con il passare degli anni; anche su elementi architettonici come basi di pilastri, mensole e peducci, che in precedenza rimanevano solitamente lisci, cominciarono a comparire motivi decorativi. Il lento ma progressivo abbandono del progetto bernardino - che tuttavia nell'ambito delle filiazioni di Clairvaux si è rivelato molto meno evidente - trova una sua giustificazione nel sempre crescente adeguamento dei cantieri-scuola delle nascenti fondazioni alle singole tradizioni locali con cui necessariamente essi dovevano confrontarsi. Le maestranze, resesi sempre più indipendenti, lentamente vennero meno ai dettami della pura 'ortodossia' bernardina e impiegarono sempre più tipologie e soluzioni formali proprie del luogo di insediamento. Già a partire dagli anni sessanta-settanta del sec. 12° si avviò un processo di ampliamento e di diversificazione regionale del repertorio tematico e formale: nelle abbazie inglesi e irlandesi (Fountains, Boyle, Buildwas) si diffuse per es. in modo particolare il c.d. capitello scalloped, baccellato (Fergusson, 1984, figg. 10, 106; Stalley, 1987, figg. 54, 131); nelle regioni iberiche ai temi consueti si aggiunsero elementi di tradizione araba: a Santa María de Oseira il plinto di una colonna del coro è decorato ad archetti a ferro di cavallo e la cornice di una finestra presenta il tipico motivo a zig-zag; i capitelli del portale di Santa María de Meira si distinguono per un complesso intreccio di temi vegetali (Valle Pérez, 1982, figg. 194, 204, 251, 493); a Poblet, nei peducci del dormitorio o in alcuni capitelli della sala capitolare ritorna il fitto intreccio (Cadei, 1982, p. 155); ad Alcobaça in un peduccio della navata si trova un motivo a palmette con perlinatura (Miranda, 1991, fig. 3); nelle abbazie laziali di Fossanova e Casamari si ritrovano motivi cosmateschi o legati alla tradizione locale di epoca altomedievale (Cadei, 1978a). Parallelamente a questo processo di regionalizzazione di temi e soluzioni formali si riscontra talvolta la presenza di elementi di palese valore simbolico-religioso che si trovano a coesistere nel tessuto decorativo accanto ai consueti motivi vegetali e geometrici; per es. a Le Thoronet, dove compare tra le foglie lisce una croce astile, o in un capitello di Fiastra, sulla cui faccia laterale è scolpito un pesce (Cadei, 1978c, fig. 34).Il capitello borgognone a foglie d'acqua perdura (per es. alla fine del sec. 12° nella sala capitolare di Escale-Dieu o nei peducci del refettorio di Fossanova; Cadei, 1980), ma sempre più frequentemente abbinato ad altri motivi. Tra i moltissimi esempi se ne possono ricordare alcuni databili entro il 1200, presenti significativamente in abbazie tra loro anche distanti: i capitelli nella chiesa di Notre-Dame de Mortemer in Normandia, del 1180 ca. (in un caso tra le foglie è visibile un grappolo, in un altro foglie a palmetta; Fergusson, 1984, fig. 137); un capitello a Noirlac - posto nel transetto sud alla base della scala che conduce dalla chiesa al dormitorio - con foglie a costola perlinata; quelli nella sala capitolare della stessa abbazia, particolarmente lineari; il capitello nella cappella nord del transetto settentrionale della chiesa di Boyle in Irlanda, dove la foglia liscia è abbinata alla palmetta; quelli nella sala capitolare e nell'incrocio del transetto di Buildwas, del 1160 ca. (Fergusson, 1984, figg. 126-127). Un'altra tipologia - definibile come pseudo-corinzia - si concretizza in capitelli dalle piccole foglie lisce con l'apice aggettante disposte su due ordini sfalsati. Essi si trovano frequentemente per es. nelle abbazie provenzali di Le Thoronet, Silvanés e Silvacane, ma anche, sebbene con minore attenzione per la resa plastica, nell'abbazia di Fiastra; in quest'ultima in particolare sono molti gli esempi realizzati attraverso la rielaborazione delle singole componenti del tipo corinzio classico (Cadei, 1978c).L'ambito borgognone continuò a rappresentare uno dei bacini più fecondi di ispirazione per le maestranze dell'Ordine; i C. presero a prestito motivi e tipologie decorative ma anche in questa fase il riferimento fu rimeditato e reinterpretato secondo i medesimi principi di rigore espressivo già applicati alla decorazione delle abbazie bernardine. È il caso per es. del capitello a crochets a due ordini di foglie lisce o scanalate che compare precocemente anche in ambito cistercense; a partire dagli esempi nella chiesa di Pontigny (1170 ca.) se ne può seguire la diffusione - espressasi in varianti anche molto complesse - in numerosissime abbazie. Esempi protoduecenteschi sono i capitelli sulla controfacciata nella chiesa e lungo il lato sud nel chiostro dell'abbazia di Fossanova o quelli nel portale e all'interno della chiesa a Otterberg in Renania-Palatinato (Cadei, 1978a; 1980). Accanto all'autentico crochet, vale a dire il vero e proprio uncino costituito dallo schematico arricciolarsi su se stessa di un'unica foglia (per es. chiesa di Fossanova), l'elemento della piccola sferula all'apice della foglia presenta un gran numero di varianti: talvolta è liscio o solo lievemente scanalato (chiesa di S. Maria Arabona) oppure si raddoppia (refettorio di Noirlac), talvolta appare composto da un intreccio di foglie (cappella del transetto nord di Santa Maria di Ripalta in Puglia) oppure terminante con una sorta di palmetta appiattita (chiesa tedesca di Arnsburg o coro e navata di San Galgano).Un'altra componente che sopravvisse nel repertorio decorativo cistercense anche dopo la fase tardoromanica è quella concernente elementi geometrici veri e propri, nonché rosette, a sei o otto petali o a elice (testimonianze possono essere le chiavi di volta della sala capitolare di Santa María di Sabrada in Galizia, del principio del sec. 13°), e palmette geometrizzanti. Motivi a nastro intrecciato si trovano per es. a Fiastra (Cadei, 1978c), in un capitello protoduecentesco del portale di Bonmont, o in uno del portale di Hauterive. La foglia a palmetta in particolare spesso appare inserita come vera e propria citazione in tessuti decorativi ormai gotici (per es. alcuni capitelli del portale della chiesa di Hauterive: Waeber-Antiglio, 1976; Cadei, 1982; i capitelli del portale della chiesa di Aulps o quelli nel chiostro dell'abbazia provenzale di Sénanque). Nell'abbazia laziale di Casamari la frequenza insolita con cui il motivo della palmetta accanto a numerosi altri motivi geometrici si ripete su capitelli, timpani dei portali e in alcune lastre oggi reimpiegate come fronti di altari, ha fatto supporre un programmatico riferimento tematico e stilistico a certa scultura romana e laziale di epoca altomedievale (Cadei, 1978a). Inoltre il fatto che talvolta tali motivi geometrici si trovino isolati rispetto al tessuto decorativo - come per es. le rosette a sei e a otto petali nei plinti dei sostegni del portale della chiesa di Santa María de Armenteira in Galizia, del primo quarto del sec. 13° (Valle Pérez, 1982, fig. 786), quelle esapartite inscritte in un cerchio e ripetute tre volte che decorano i timpani dei portali dei monaci nelle abbazie di Bebenhausen nel Baden-Württemberg (Arens, 1982, fig. 17) e di Flaran o la fascia superiore di un capitello di Silvanés in cui la rosetta, ripetuta tre volte, è inscritta in un cerchio (Dimier, Porcher, 1962, figg. 48, 124) - li carica di un significato particolare, probabilmente dettato da un riferimento a un'antichità cristiana e non pagana (Arens, 1982; Cadei, 1982; in corso di stampa) e sottolinea ulteriormente quanto la decorazione di matrice cistercense non assuma mai carattere esornativo, ma al contrario sia portatrice di un proprio significato simbolico. Secondo un'analoga chiave di lettura sono state interpretate alcune mensole duecentesche nel chiostro di Chiaravalle della Colomba: i motivi geometrici e floreali rappresentati possono intendersi quale espressione di un programma educativo e di un esercizio intellettuale legato alla conoscenza per aenigmata et figuras delle proporzioni musicali (Gavazzoli Tomea, 1993).Già a partire dai primi anni del Duecento, ma soprattutto nel secondo e terzo decennio del secolo, in concomitanza con il grande sviluppo del Gotico delle cattedrali, il repertorio decorativo delle abbazie cistercensi si arricchì ulteriormente con l'inserimento di temi naturalistici, molto spesso rappresentati non più in forme castigate ma con un'attenzione quasi scientifica. Nel chiostro dell'abbazia di Fontfroide, nel Sud della Francia, per es., i capitelli presentano una varietà di soggetti paragonabile a quella di un erbario.La presenza di particolari figurativi - estranei al panorama della decorazione delle prime abbazie cistercensi - cominciò a delinearsi solo al principio del Duecento e rimase comunque, anche nelle fasi più tarde, una componente tutt'altro che frequente. Le caratteristiche che qualificano questi nuovi elementi sono ancora l'estrema essenzialità formale, con l'assenza di qualsiasi deroga nei confronti di forme fantastiche o mostruose, il loro inserimento nel tessuto decorativo in forme talvolta camuffate e il loro porsi in chiave per così dire ironica rispetto alla forma e alla funzione della struttura architettonica in cui sono collocati (Cadei, 1982). Talvolta infatti l'elemento iconico si sostituì a quello architettonico: al posto delle consuete sferule dei capitelli a crochets o al posto delle chiavi dell'arco si trovano testine umane, come nei due casi posti all'esterno del coro della chiesa di Ripalta (1230 ca.) o in alcuni capitelli nel chiostro di Casamari.Assai di rado la figura umana si trova isolata e laddove essa compare assume un forte significato simbolico: può essere un esempio la piccola testa alla base di un pilastro nel coro della chiesa svizzera di Kappel, rivolta emblematicamente verso la zona dove avveniva la celebrazione. Il più delle volte tuttavia l'inserto iconico appare appena accennato o nascosto e mimetizzato: per es. sotto forma di uccello notturno, nelle unghie alla base dei pilastri all'interno della chiesa di Otterberg, dove alla raffigurazione estremamente stilizzata del becco sono state aggiunte sui lati, con un breve accenno dello scalpello, le ali, o come bastone pastorale in un capitello della sala capitolare di Le Thoronet, oppure in forma di mano che sostiene il crochet in un capitello del chiostro di Casamari. Spesso compaiono anche elementi che vogliono alludere ad alcuni momenti delle attività quotidiane che si svolgono all'interno dell'abbazia; si trovano così, nascoste tra le foglie dei capitelli, botti (Santes Creus in Catalogna), vanghe (Chiaravalle di Fiastra), anfore (Fossanova), oppure animali, come gli asini in un capitello del coro di Marienstatt, le cicogne a Chiaravalle di Fiastra - con ogni probabilità alludenti alla filiazione da Chiaravalle Milanese - o le papere che, seppure molto ben nascoste, decorano un capitello nella chiesa di Fossanova (Cadei, 1982).A partire dalla metà del sec. 13° ca. la decorazione architettonica nei complessi abbaziali cistercensi non presentò più quelle caratteristiche che la resero peculiare. Il rigore formale era ormai scomparso e i temi decorativi, che in precedenza mancavano del tutto e in questa fase costituivano l'eccezione, sembrano invece rappresentare la regola.Per il carattere di economia e rapidità del loro modo di costruire, i C. operarono anche al di fuori dell'ambito strettamente monastico: in tutta Europa essi furono infatti al servizio della committenza religiosa e pontificia, o di quella laica, imperiale, comunale e signorile (Cadei, 1978b; Romanini, 1990). Fonti scritte documentano per es. la loro attività alla corte di Federico II in Italia meridionale e in Germania (Cadei, 1978b; 1980), ma le testimonianze di questo loro operare al di fuori dell'Ordine - secondo gli stessi criteri applicati per le proprie architetture - sono soprattutto di tipo monumentale. Naturalmente il fenomeno ebbe un'eco anche per quanto riguarda l'aspetto decorativo. Solo per citare alcuni esempi basti ricordare il caso della ricostruzione della cinta muraria di Milano (1171-1172) dopo l'assedio di Federico Barbarossa, dove si ripetono, analoghi a quelli delle abbazie bernardine, i motivi delle cornici e delle basi dei pilastri a toro e gola rovescia, e della maggior parte dei palazzi civici della Lombardia (per es. i capitelli fogliati o quelli a dado scantonato nel broletto di Pavia; Romanini, 1989) o ancora il caso emblematico della città di Ferentino, dove maestranze provenienti dal cantiere di Fossanova-Casamari furono attive nella prima metà del sec. 13° per il rinnovamento dell'intero centro urbano (Cadei, 1978b; 1980).

Bibl.:

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Pittura e miniatura

Gli statuti dell'Ordine cistercense prevedevano per le fondazioni alcune norme specifiche relative alle pitture, la prima delle quali le interdiceva "in ecclesiis [...] seu in officinis aliquibus monasterii" (1122 ca.-1135 ca.; Statuta, I, XX; Norton, 1986), a eccezione di un'immagine del Salvatore o di una croce dipinta (Statuta, I, 1213, 1). "Curiositates notabiles [...] novitates et superfluitates in picturis" (Statuta, II, 1231, 8), "quae deformant antiquam Ordinis honestatem et paupertate nostre non congruunt" (Statuta, II, 1237; Norton, 1986) erano condannate. Nonostante tali normative venissero ripetutamente confermate nel corso del Duecento (il divieto fu esplicitamente esteso anche alle grange nel 1220 ca.), i reiterati tentativi di imporre l'assoluta assenza di decorazioni pittoriche testimoniano il sussistere tenace della tendenza di segno opposto: nel 1204 si dispose l'eliminazione di "curiositates imaginum quas constat fieri contra statutum Ordinis [...] imagines et picturae" (Statuta, II, 1204, 40) realizzate a Loroy su istanza del vescovo di Parigi - l'ingerenza di committenti di alto rango divenne nel tempo un problema rilevante per l'Ordine - e analoghi provvedimenti colpirono Valparaiso (1242) e Valdeiglesias (1251) in Spagna e l'abbazia di Royaumont (1263).Bernardo di Chiaravalle condannò "oratoriorum [...] curiosas depictiones" (Apologia ad Guillelmum Abbatem, XII, 28); successivamente riferimenti alla superfluità delle pitture nei monasteri vennero espressi tra gli altri da Etelredo di Rievaulx (De speculo caritatis, II, XXIV, 70; De institutione inclusarum, 24), da Guglielmo di Malmesbury, che riferì dell'antipatia dei C. per "multicoloribus [...] picturis" sulle pareti (Gesta regum Anglorum, IV, 337), e da Ernaldo di Bonneval, che ricordava come nella Clairvaux di Bernardo non ci fosse "nihil in oratorio nisi nudos [...] parietes" (Vita Prima, I, 2, 1; PL, CLXXXV, col. 272).Gli intonaci a commessure dipinte a imitazione del paramento murario sono i più antichi esempi di pittura sulle pareti di edifici cistercensi dalla seconda metà del sec. 12°, nonostante si ordinasse forse intorno al 1182-1183 che "sculptilia et tinctura lapidum et lignorum [...] auferantur" (Norton, 1986). Le commessure potevano essere bianche (Hauterive I, Poblet), anche a rilievo (Cadouin in Dordogna), su fondo ocra (Royaumont, Ourscamp), rosse (Léoncel, Sénanque, Bonmont), dal Duecento rosse su fondo bianco (Rievaulx, Longpont, Fossanova), singole (Waverley) o doppie, sia in orizzontale sia in verticale (Fountains, Fossanova), con raro uso del verde (Bordesley); uno stampino per dipingere rosette è stato rinvenuto a Meaux (Park, 1986). Nel 1157 si concesse che "portas vel ostia ecclesiae suae albo colore qui voluerit, poterit colorare" (Statuta, II, 1157, 12).Al bianco si associarono progressivamente anche altri colori, dal nero (Roche in Inghilterra, Zwettl in Austria) al rosso, al rosa, al giallo (Jervaulx, Beaulieu, Coggeshall) e al grigio (Kirkstead); nelle Isole Britanniche la pittura a commessure dipinte bianche risulta peraltro pressoché esclusiva delle abbazie dell'Ordine e viene qualificata come tipo cistercense puro (Park, 1986), mentre l'adozione di altre tinte reinserisce il fenomeno in un contesto di generica pittura decorativa medievale. Una pittura murale di esclusiva formulazione cistercense non si può dire tuttavia sia mai esistita se non nell'assenza, almeno nel sec. 12°, di qualsiasi genere di soggetto figurativo e nella predilezione per motivi a intreccio o geometrici (Walderbach in Alto Palatinato), nel passaggio dall'austerità a un'estetica votata a semplicità e purezza (v. Architettura dipinta). A Fossanova compaiono per es. nella foresteria una croce rossa su fondo bianco e nella cappella annessa motivi a rombi rossi e bianchi, cerchi e zig-zag (Berger Dittscheid, 1988): quest'ultimo motivo decorativo sembra essere stato prediletto dai C. in numerosi edifici (Dore, Cleeve, Eberbach), mentre a Walderbach ricorrono anche i cerchi intrecciati presenti in tutta l'Europa cistercense su vetrate e piastrelle pavimentali.Pitture di soggetto figurativo all'interno delle abbazie non ricorrono che dal Duecento, alcune note solo dalle condanne negli statuti, altre conservate. In Italia spiccano per singolarità iconografica e per qualità gli affreschi dell'abbazia delle Tre Fontane a Roma, comprendenti, oltre a una Natività e a una Incoronazione della Vergine nella sacrestia, soggetti di tipo profano (Barlaam e Iosafat, i Sensi e le Età dell'uomo, gabbie, ecc.), un tempo sulla parete esterna del dormitorio, e racemi, palme e volatili, all'interno dell'ala dei monaci (Mihályi, 1991). Motivi geometrici, insieme ad altri soggetti, sono presenti a Chiaravalle Milanese, con un raffinato disegno a cerchi intersecantisi, dischi e palmette (cappella Novati nel cimitero lungo il fianco settentrionale dell'abbaziale, entro il 1316; Travi, 1992).La pittura figurativa trovò peraltro spazio nelle abbazie cistercensi di tutta Europa anche in cicli talora assai vasti ed elaborati tra Duecento e Trecento, in un primo momento per lo più nelle sacrestie e nei refettori (L'Epau nel Maine; Villelongue in Linguadoca; Seligental, fondazione femminile, in Baden-Württemberg), arrivando poi a interessare tutti gli ambienti del complesso abbaziale, compresi gli edifici di culto (Hailes in Inghilterra; Chiaravalle Milanese; Stična in Slovenia; Wienhausen, abbazia femminile, in Bassa Sassonia; Lad in Polonia).Per quanto riguarda la produzione libraria dell'Ordine cistercense, alla sua base si pose sin dagli esordi la necessità di possedere, e quindi di copiare e restituire al più presto alle abbazie madri, i testi indispensabili a dotare tutte le fondazioni degli strumenti base necessari alla vita monastica, secondo una rigorosa regola di uniformità: "Quos libros non licet habere diversos. Missale, epistolare, textus, collectaneum, graduale, antiphonarium, regula, hymnarium, psalterium, lectionarium, kalendarium, ubique uniformiter habeantur" (Statuta, I, III; lo statuto venne riconfermato nel 1212). Scriptoria e scriptores vennero menzionati sin dai primi statuti (Statuta, I, LXXXV e 31) e lo stesso segretario di Bernardo disponeva di uno scriptoriolum.La storia della miniatura legata all'Ordine in quanto prodotta da uno scriptorium cistercense si apre sin dai primissimi anni della vita di Cîteaux (v.) con il complesso dei manoscritti legati al terzo abate di Cistercium, l'inglese Stefano Harding (1098-1134): la Bibbia c.d. di Stefano Harding (Digione, Bibl. Mun., 12-13, 14-15) e i Moralia in Job di Gregorio Magno (Digione, Bibl. Mun., 168-170, 173), realizzati nello scriptorium del cenobio e illustrati, a partire dal secondo volume della Bibbia, con raffinate iniziali figurate di ascendenza inglese per le quali Załuska (1992) arriva a proporre, per la loro particolarità, la definizione di stile stéphanien. Tali manoscritti si caratterizzano per l'importanza attribuita alla decorazione e per la qualità, oltre che per la novità dei soggetti (monaci al lavoro: Digione, Bibl. Mun., 170, cc. 59, 75v; 173, c. 41) e dell'icastica forma sintetizzatrice del segno (Pächt, 1963), nonché per l'ironia con la quale sono raffigurati; dal punto di vista iconografico sono state individuate ascendenze da calendari anglosassoni (Davidson, 1987).L'opera del maestro principale, detto Maestro dei Moralia (Romanini, 1978; Załuska, 1989), rappresenta uno dei massimi prodotti della miniatura del sec. 12°: a lui è stato riconosciuto il ruolo di "maestro formatore della generazione artistica" di Bernardo, in quanto propositore del tema dell'arte come "figura", secondo un'idea base che, applicata all'architettura, si pone alla radice stessa del bernhardinischer Grundtypus (Romanini, 1978). Il Maestro dei Moralia non sembra tuttavia avere avuto eredi diretti nello specifico ambito della produzione libraria.Nella miniatura dello scriptorium di Cîteaux (Załuska, 1989), come parallelamente a Clairvaux, si sviluppò infatti il c.d. stile monocromo, non figurativo e a dominante vegetale, dal quarto decennio del sec. 12°, a partire cioè sostanzialmente dall'egemonia di fatto di Bernardo: 'iconoclasta', ma non contro l'immagine in quanto tale, bensì nella variante più propriamente figurativa e attenta ai dati fenomenici dell'oggetto (Romanini, 1978), ricusatore non già dell'arte, bensì di ciò che vi può essere nell'arte di troppo materiale (Leclercq, 1989).Lo stile monocromo, indiscutibilmente bernardino, costituì una creazione rispondente a una ideologia profondamente vissuta, alla quale si seppe dare una forma artistica peculiare, in rapporto con esigenze di austerità, legata sul piano morale al concetto di povertà e sul piano estetico alla riduzione ad minimum e all'eliminazione del superfluo affinché non rimanga che l'essenza: la scelta del segno invece che dell'immagine appare finalizzata a condurre il monaco a Dio senza alcuna mediazione dei sensi (Cadei, in corso di stampa). Toccando l'apogeo tra 1160-1165 e 1180, tale stile dominò la produzione così di Cîteaux e di Clairvaux come di innumerevoli altre abbazie sino alla fine degli anni ottanta del sec. 12° (Załuska, 1989) e, benché la monocromia nella decorazione dei codici non fosse un tratto esclusivamente cistercense, solo presso i C. essa assurse a norma (Załuska, 1992). I miniatori, stimolati dai limiti imposti dallo statuto De litteris, sembrano essersi ispirati alla decorazione secondaria dei manoscritti di lusso, elevandola al rango di decorazione principale; un procedimento analogo è stato riscontrato anche in manoscritti di Cambron (Hainaut), con grandi capilettera a inchiostro colorato: privi di miniature, essi conservano le rilegature originarie, somiglianti a quelle che venivano realizzate a Cîteaux, Clairvaux, Clairmarais, Vauclair (per es. Pietro Comestore, Historia scholastica; Bruxelles, Bibl. Royale, II.965; Glorieux-De Gand, 1990)."Litterae unius coloris fiant, et non depictae" (Statuta, I, LXXX) prescriveva infatti lo statuto LXXX (82), a lungo ritenuto risalire al 1134, poi al 1152 - anno dell'approvazione pontificia - e comunque databile a un'epoca probabilmente circoscrivibile agli anni tra il 1145 e il 1151 ca. (Holdsworth, 1986), considerando comunque la metà del secolo come possibile terminus ad quem (Auberger, 1986). Breve e reciso, tanto da sembrare riferirsi a qualcosa di già stabilito o comunque già praticato (Lawrence, 1986), secondo alcuni indirizzato forse in primis ai soli scribi (Stratford, 1981; Lawrence, 1986), tale statuto potrebbe non essere riferibile alle miniature, in quanto all'epoca in cui venne promulgato queste ultime erano forse sufficientemente rare da non dover essere nemmeno ricordate (Załuska, 1989). La sua cronologia rimane di fatto imprecisabile (Zakar, 1978). Il divieto espresso nella norma nasceva anche dalla necessità di escludere dal monastero la presenza di estranei, quali potevano essere miniatori incaricati di ornare testi trascritti nel cenobio (Załuska, 1989), e appare comunque legato agli anni diBernardo. Nel 1202 le direttive degli statuti fanno esplicito riferimento all'obbligo antifigurativo: "Litterae autem de cetero absque omni fiant imagine, et sine auro, et sine argento" (Norton, 1986).Lo statuto LXXX tuttavia non costituì una norma rispettata sempre e ovunque con lo stesso rigore e venne ampiamente disatteso; inoltre, mentre le condanne del Capitolo generale investivano ogni genere di manufatto, particolarmente le pitture, non risulta alcuna menzione di punizioni inflitte per la realizzazione o per il possesso di codici decorati. Manoscritti cistercensi del sec. 12° presentano infatti anche iniziali figurate, non necessariamente perché frutto di donazioni e acquisizioni; queste peraltro spiegherebbero, forse, l'alto numero di codici borgognoni e della Champagne che violano la norma (Cahn, 1984). Il primo nucleo della futura biblioteca di Fountains, fornito da Ugo di York nel 1134, e i lussuosi codici che Enrico, figlio del re di Francia, portò con sé a Clairvaux nel 1145 costituiscono esempi di primo piano e comunque, anche dopo la promulgazione del divieto, donazioni di codici sono registrate nei cartulari e in nessun caso risultano rifiutate. Alessandro, abate di Meaux alla fine del sec. 12°, viene ricordato come librorum maximus perquisitor (Lawrence, 1986).Negli scriptoria della prima metà del sec. 12° esistettero numerose scuole pittoriche, nessuna delle quali può aspirare a rappresentare una tendenza tipica dell'Ordine ed essere considerata 'la' miniatura cistercense (Leclercq, 1954; Righetti Tosti-Croce, 1978; Romanini, 1978; Plotzek-Wederhake, 1981; Manuscrits cisterciens, 1990), in quanto i manoscritti rivelano una sorprendente varietà di stili, temi e colori: la maniera di ornare i codici variava secondo i monasteri e gli artisti dei quali si disponeva, al punto da indurre Leclercq (1954) a proporre di mettere al plurale la formula 'miniatura cistercense'.Anche a Clairvaux (v.) gli inizi dello stile monocromo risalgono agli anni quaranta (Troyes, Bibl. Mun., 168) e, a partire dalla fine del decennio successivo, si evidenziano contatti con lo scriptorium di Cîteaux (Troyes, Bibl. Mun., 2274). Codici su pergamena di qualità testimoniano la tendenza alla decorazione di carattere aniconico, essenziale, senza fondo oro, sebbene non completamente monocroma, almeno sino alla fine del sec. 12°; l'adozione del camaïeu consentiva comunque soluzioni di grande eleganza: la Bibbia di Clairvaux (Troyes, Bibl. Mun., 27) presenta iniziali che adottano un vocabolario formale limitato a elementi astratti o vegetali secondo un rigore che dovette configurarsi come una vera conquista (Auberger, 1986).I pochi codici conosciuti provenienti da La Ferté attestano un'ornamentazione figurata anche nel secondo quarto del sec. 12° (Bibbia; Chalon-sur-Saône, Bibl. mun., 7-9); l'esistenza di uno scriptorium nell'abbazia è probabile ma non confermata (Auberger, 1986), mentre a Pontigny nel sec. 12° veniva adottato un vocabolario limitato a semplici iniziali: l'attenzione e la cura nel disegno e l'essenzialità producevano risultati di "disciplinata eleganza" (Zakin, 1982). Non si conosce invece la miniatura a Morimond, quindi risulta impossibile determinare in quale modo o misura la sua produzione possa avere influito su quella delle filiazioni, per lo più di area tedesca: per alcuni codici è stata ipotizzata una fonte morimondese (per es. Heiligenkreuz, Stiftsbibl., 204; Walliser, 1969).Codici provengono anche, per citare solo alcune abbazie, da Fontenay, Vauclair, Igny in Champagne, Aulne, Villers in Brabante, Orval (certamente priva di scriptorium), da Hauterive in Svizzera; per l'Inghilterra da Rievaulx, Fountains, Byland; per la Germania da Kamp, Altzella, Altenberg, Salem (Liebers, 1992), Heilsbronn, Ebrach; da Stična in Slovenia (Golob, 1988), Sambucina in Calabria, Fiastra nelle Marche, Santa Maria de Las Huelgas in Castiglia, Santes Creus in Catalogna, Alcobaça in Portogallo, da Zwettl - a partire dal 1173-1174 ca., grazie all'importante funzione di carattere politico-culturale affidata all'abbazia dai Babenberg (Rössl, 1975) - e comprendono opere sia realizzate all'interno delle abbazie, sia acquistate o acquisite per altre vie, in quanto non necessariamente ogni monastero possedeva uno scriptorium.L'evoluzione nel tempo della miniatura prodotta da scriptoria cistercensi - ma a Cîteaux forte fu il legame con la tradizione monocroma -, con caratteristiche talora diverse a seconda delle linee di filiazione (Auberger, 1986), seguì varie direttrici: sia i contatti con la produzione artistica della regione in cui era situata l'abbazia - il II stile di Cîteaux per es. viene accostato a opere dello scriptorium dell'abbazia benedettina di Saint-Bénigne a Digione (Załuska, 1989) - sia le importantissime relazioni dirette e costanti nel tempo tra monasteri cistercensi anche molto lontani tra loro. Legami di filiazione, relazioni personali e comunque rapporti di circolazione e di scambio interni che caratterizzavano la struttura organizzativa dell'Ordine costituivano un importante canale di trasmissione, cui si associava la di per sé facile trasportabilità dei codici. Tale rete di contatti è tuttavia in gran parte inesplorata e risulta tuttora lacunoso lo stato globale delle conoscenze sulla decorazione dei codici cistercensi a livello europeo, così per il sec. 12° come, soprattutto, per il 13°; indagini sono state avviate sulla consistenza delle biblioteche delle abbazie e sul tipo di selezione dei testi, insieme a ricerche di carattere codicologico.Sono evidenti gli stretti legami con modelli di Cîteaux e Clairvaux per es. nel caso di Himmerod (Schneider, 1952) o di Casamari (Speciale, in corso di stampa); un commentario ai profeti minori di s. Girolamo, del secondo quarto del sec. 12° (Troyes, Bibl. Mun., 191), è stato riconosciuto come il modello per un manoscritto di Fontenay e per uno di Morimond (Parigi, BN, lat. 1835A; lat. 15285), mentre un caso esemplare è dato dalla commistione franco-italiana osservata per es. nella decorazione di un passionario della metà del sec. 12° (Roma, Bibl. Naz., Sess. 5) appartenente all'abbazia romana delle Tre Fontane, con riflessi del più antico stile di Clairvaux (Speciale, in corso di stampa). Lo scriptorium di Heiligenkreuz invece sviluppò tra l'ultimo quarto del sec. 12° e il primo del successivo uno stile del tutto peculiare (Heiligenkreuz, Stiftsbibl., 20; 66; Walliser, 1969).Nelle Isole Britanniche i pochi codici conservati di provenienza cistercense presentano uniformità e particolare severità nella decorazione: la norma unius coloris venne sostanzialmente rispettata e il non depictae interpretato come invito all'astrazione (Lawrence, 1986), come si osserva in codici ora a Londra databili intorno alla metà del sec. 12° (Gregorio Nazianzieno: BL, Royal 5.E.XXII, c. 5v; Cipriano: BL, Arund. 217; Orosio: BL, Royal 6.C.VIII, c. 26; Pietro Crisologo: BL, Royal 8.D.XXII, c. 2).Nel corso del sec. 12° il fattore che può essere genericamente considerato comune a buona parte dei codici prodotti da scriptoria delle abbazie cistercensi si identifica nella tendenza alla semplicità decorativa, che tuttavia non era affatto monopolio dei C. (Righetti Tosti-Croce, 1978; Cahn, 1984); difficilissima da attuare si rivelò tra l'altro la volontà di eliminare la policromia (Cahn, 1984). Dal punto di vista della morfologia della decorazione risulta di primario interesse l'impiego di alcuni motivi, per es. la palmetta, sia nella miniatura (messale da Hauterive; Friburgo, Bibl. cantonale et univ., L.163, c. 2) sia nelle grisailles delle abbazie cistercensi (Heiligenkreuz, chiostro), analogamente all'astratta geometria del nodo a quattro punte, presente anche in mattonelle pavimentali (Fontenay; Arnsburg presso Magonza) oltre che in formulazioni elegantissime nei codici (per es. Vitae Sanctorum, primo terzo sec. 12°, realizzato a Cîteaux; Digione, Bibl. Mun., 641, c. 9v). La selezione operata riconduce peraltro alla problematica dell'adozione di motivi, antichi e altomedievali, da parte dei Cistercensi. La decorazione a scaglie di pesce bianche dipinta su parete a Fountains (1170-1180) compariva nelle vetrate di Dore (1180-1250) e nelle formelle pavimentali di La Bénissons-Dieu (1190-1220 ca.); tra miniatura e scultura architettonica si verifica analogamente comunanza di motivi (per es. Alcobaça; Miranda, 1991). La scelta di uno stesso motivo decorativo ripetuto in vari media rende evidente l'importanza attribuita dai C. a quello che si configura come un programma decorativo integrale (Zakin, 1979), un progetto globale esteso a ogni ambito, dal tipo di ornato fino alla pianificazione edilizia e urbanistica del complesso monastico (Romanini, in corso di stampa). Per la miniatura opere quali il Reuner Musterbuch (primo decennio sec. 13°) dell'abbazia cistercense austriaca di Reun costituirono agili veicoli di trasmissione di immagini-tipo, motivi astratti e a intreccio (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 507, cc. 109-111).Dalla fine del sec. 12° appare evidente una riduzione del livello di austerità nella produzione degli scriptoria cistercensi, alcuni dei quali - specie nella regione fiamminga - destinati a divenire nel Duecento grandi centri di produzione, sovente in rapporto con altri ateliers. È il caso di Ter Duinen, in legame con la scuola capitolare di St. Donatiaan a Bruges, produttrice quest'ultima di codici di lusso presenti anche nella cistercense fiamminga Ter Doest (Lieftinck, 1953), a sua volta in rapporto con Cambron, assai fiorente alla fine del sec. 13° (per es. Vincenzo di Beauvais, Speculum naturale; Minneapolis, Bakken Lib. and Mus. of Electricity in Life, Medtronic II, cc. 146, 168; Stones, 1977; Manuscrits cisterciens, 1990).Un ruolo importante svolsero inoltre nel sec. 13° le abbazie cistercensi in regioni quali la Slesia, la Pomerania (Doberan) e la Grande Polonia (Pelplin), in virtù dei loro contatti con la produzione parigina e altorenana, nella diffusione di caratteri gotici nella regione (Karłowska-Kamzova, 1987).Gli scriptoria cistercensi lavorarono anche per committenti esterni all'Ordine (per es. Kaisheim in Baviera, Amelungsborn in Bassa Sassonia; Plotzek-Wederhake, 1981). Scarsamente nota è la situazione per quanto riguarda le abbazie femminili (Plotzek-Wederhake, 1981).

Bibl.:

Fonti. - Bernardo di Chiaravalle, Apologia ad Guillelmum Abbatem, a cura di R. Amerio, in Opere di San Bernardo, a cura di F. Gastaldelli, I, Trattati, Milano 1984, pp. 121-217; Guglielmo di Malmesbury, Gesta regum Anglorum, a cura di T.D. Hardy, London 1840; Etelredo di Rievaulx, Opera Omnia, a cura di A. Hoste, C.H. Talbot, I, Opera ascetica, in Corpus Christianorum, I, 1971; Statuta capitulorum generalium Ordinis cisterciensis ab anno 1116 ad annum 1786, a cura di J.M. Canivez, I-III (Bibliothèque de la Revue d'histoire ecclésiastique, 9-11), Louvain 1933-1935.

Letteratura critica. - A. Schneider, Skriptorium und Bibliothek der Cistercienserabtei Himmerod im Rheinland, Bulletin of the John Rylands Library Manchester 35, 1952, pp. 155-205; G.I. Lieftinck, De librijen en scriptoria der Westvlaamse Cisterciënser-abdijen Ter Duinen en Ter Doest in de 12e en 13e eeuw en de betrekkingen tot het atelier van de kapittelschool van Sint Donatiaan te Brugge [Le biblioteche e gli scriptoria delle abbazie cistercensi delle Fiandre occidentali Ter Duinen e Ter Doest nei secc. 12° e 13° e i loro rapporti con l'atelier della scuola capitolare di S. Donatiaan a Bruges], Mededelingen van de Koninklijke Vlaamse Academie voor Wetenschappen, Letteren en Schone Kunsten van België, Klasse der Letteren 15, 1953; J. Leclercq, Pour l'histoire de l'enluminure cistercienne, Scriptorium 8, 1954, pp. 117-119, 142-143; O. Pächt, The Pre-Carolingian Roots of Early Romanesque Art, in Romanesque and Gothic Art. 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Speciale, Una cellula e i suoi libri: i SS. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane e Casamari, ivi.M. Mihályi

Vetrate e pavimenti

L'evoluzione delle vetrate e dei pavimenti all'interno delle abbazie cistercensi è legata a quella dell'Ordine stesso. Uno degli aspetti della riforma cistercense consistette in un ben preciso atteggiamento nei confronti dell'arte e dell'architettura, espresso nelle linee generali nell'Apologia ad Guillelmum Abbatem di Bernardo e, per quanto riguarda i suoi aspetti particolari, negli statuti emanati dal Capitolo generale. Con il passare del tempo quei caratteri che avevano distinto le vetrate e i pavimenti andarono attenuandosi a tal punto che, agli inizi del sec. 14°, l'arte cistercense non si distingueva più in nulla da quella degli altri ordini monastici.Il più antico statuto sulle vetrate (Statuta, I, LXXX), probabilmente del 1150 ca., stabiliva che dovessero essere bianche e che non fossero decorate né da croci né da immagini. Al 1205 risale invece il primo statuto concernente le mattonelle dei pavimenti (Statuta, I, 10), nel quale si impose la rimozione o la modifica di un pavimento nell'abbazia di Pontigny. 'Superflue novità' e 'notabili curiosità' nei pavimenti e nelle vetrate, come anche in altri media decorativi, furono costantemente condannate almeno fino al 1316.Le vetrate a grisaille negli edifici cistercensi francesi dei secc. 12° e 13° rispecchiavano gli atteggiamenti propri dell'Ordine in campo artistico. La superficie delle vetrate era quasi totalmente bianca e di norma non presentava immagini dipinte di carattere figurativo, ma motivi fitomorfi e geometrici.Alcune tra le vetrate meglio conservate sono a La Bénissons-Dieu (Brionnais) e a Obazine (Corrèze). Nella prima abbazia tre finestre (1200 ca.) hanno motivi a intreccio, un'altra presenta una decorazione basata sulla losanga. Uno dei motivi a intreccio è composto dall'insieme di elementi circolari, un secondo è la variazione di un disegno a reticolo in diagonale, un terzo è formato da fasce intrecciate e include piccoli inserti di vetro colorato. A Obazine, oltre a una vetrata con disegno a reticolo, databile intorno al 1175, se ne conservano altre tre a grisaille, due delle quali ornate da fiori stilizzati.Vetrate a grisaille con il supporto in piombo, ordinato a formare motivi geometrici accanto a vetrate con elementi colorati, si trovano anche nell'abbazia catalana di Santes Creus e infine a Eberbach, del tardo sec. 12° (ora al Mus. Wiesbaden). La vetrata di quest'ultima abbazia, priva di colore e opaca, è decorata da un motivo a intreccio geometrico, risultante da una combinazione di doppi cerchi legati tra loro e da un reticolo in diagonale. Il chiostro dell'abbazia di Heiligenkreuz è decorato da vetrate a grisaille a carattere aniconico, datate tra il 1220 e il 1250, in vetro dipinto, piuttosto che incolore e opaco, e caratterizzate da un ampio repertorio di motivi che non si ripetono.L'abbazia di Neukloster in Austria possiede una serie di pannelli in vetro colorato, raffiguranti santi, che appaiono ora inseriti in formelle aniconiche a grisaille: le figure sono tuttavia probabilmente anteriori al 1245, anno in cui l'abbazia divenne cistercense. Una finestra a grisaille dipinta, databile al 1250 ca., si trova nella parrocchiale di Lindena, che apparteneva all'abbazia di Doberlug nel Brandeburgo; sulla sommità della vetrata è ritratto il donatore che reca nella mano una banderuola su cui è scritto il suo nome.Numerose vetrate a grisaille datate al 1260 ca. provengono dall'abbazia di Schulpforta, nei pressi di Naumburg. Il repertorio decorativo comprende rosette stilizzate accanto a tralci di vite naturalistici a cui si aggiunge, nella vetrata del rosone settentrionale, un motivo a carattere figurativo, costituito dal ripetersi di un drago. La maggior parte delle finestre presenta inoltre piccoli inserti di vetro colorato.Una delle più interessanti serie di vetrate a grisaille, datate al terzo quarto del sec. 13° e conservate nel coro dell'abbazia di Altenberg in Renania, presenta un'ampia varietà di motivi fitomorfi, alcuni dei quali caratterizzati da accenti naturalistici.Nell'abbazia svizzera di Wettingen, nella galleria settentrionale del chiostro, all'interno di una struttura a tracery, si trova una serie di pannelli, datati al 1270 ca., in cui il vetro colorato si alterna al bianco; in due di essi è raffigurata la Vergine in trono, in altri due sono rappresentati il volto di Maria e quello di Cristo.Una collezione di vetrate, alcune a grisaille, altre a soggetto figurativo, databili dal 1270 ca. agli inizi del sec. 14°, si trova a Doberan (Meclemburgo-Pomerania occidentale); su una di queste è raffigurata la donatrice Margherita di Danimarca (m. nel 1282). In parte a grisaille, con motivi geometrici e fitomorfi, in parte colorate con soggetti figurativi, sono anche le vetrate di Haina, in Assia, databili tra l'ultimo terzo del sec. 13° e gli inizi del successivo.A Heiligenkreuz, nell'ambiente del lavabo, le vetrate presentano i ritratti dei Babenberg, fondatori dell'abbazia. Delle quattordici figure che costituivano l'insieme originario, datato agli anni 1290-1300, se ne sono conservate otto: sia le figure sia il loro sfondo sono colorati. All'ultimo decennio del sec. 13° risalgono anche le dieci finestre collocate lungo i lati orientale e settentrionale del coro della chiesa: in due delle finestre a lancetta sono state ricomposte le immagini di santi e profeti e di un angelo a mezza figura; le rimanenti finestre presentano motivi ornamentali.La vetrata orientale della chiesa di Heiligkreuztal, datata al 1312, presenta figure policrome così come le strutture architettoniche a baldacchino in cui sono inserite. Al 1310-1320 risalgono le cinque finestre alte a tre luci sul lato settentrionale della navata di Kappel in Svizzera: in ognuna di esse una serie di tre figure appare incorniciata da una struttura architettonica a baldacchino.Le vetrate dell'abbazia di Bebenhausen in Baden-Württemberg (per la maggior parte conservate nei castelli di Altshausen e Lichenstein) sono datate al 1335 e presentano scene della Vita di Cristo accanto a figure di apostoli e di un profeta; inoltre, alla sommità delle otto luci della vetrata orientale della chiesa e nella relativa tracery, sono conservati inserti a carattere ornamentale e di soggetto araldico.In territorio svizzero, a Hauterive, abbazia madre di Kappel, restano numerosi pannelli ora collocati nelle finestre orientali. Un primo gruppo, datato al 1320-1330 ca., comprende scene della Vita di Cristo entro medaglioni; un secondo gruppo, costituito da una teoria di apostoli, è ascrivibile agli anni 1330-1340 ca.; infine in un terzo gruppo, originariamente lungo la navata, sono raffigurati i ss. Benedetto e Bernardo. A Wienhausen, in Bassa Sassonia, sono conservate la celebre vetrata raffigurante il Cristo crocifisso dalle Virtù, databile al 1330-1340 ca., e altre aniconiche o a soggetto figurativo. Una serie di vetrate 'a clipeo' con scene della Vita di Cristo, risalenti al 1360 ca., si trova a Neuendorf.Nella finestra della parete occidentale della chiesa abbaziale di Altenberg (inizio sec. 15°) sono rappresentate figure di santi sotto baldacchini, in uno stile pienamente pertinente al Gotico internazionale. Nelle figure dominano il giallo e il bianco, mentre il fondo è realizzato in rosso e in azzurro. Il chiostro dell'abbazia era chiuso anticamente da vetrate raffiguranti scene della Vita di s. Bernardo, datate intorno al 1530. Di poco anteriore a quelle di Altenberg è una serie di vetrate nella chiesa di St. Apern, in parte realizzate sui medesimi cartoni.I primi rivestimenti pavimentali negli edifici cistercensi erano costituiti da mattonelle vuoi incise con motivi lineari vuoi stampate sul genere di quelle rinvenute in varie abbazie della Francia, tra cui Cîteaux, Pontigny, Fontenay e La BénissonsDieu, datate tra la fine del 12° e gli inizi del 13° secolo. I motivi decorativi erano quasi esclusivamente di carattere geometrico e vegetale: il più complesso consiste in un disegno simile a quello dei rosoni realizzato su quattro mattonelle.In molti casi i motivi decorativi che caratterizzavano i pavimenti degli edifici cistercensi si ripetevano anche sulle vetrate; probabilmente venivano usati in entrambi i casi gli stessi veri e propri libri di modelli, come il Reuner Musterbuch dell'inizio del sec. 13° (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 507): a essi si deve la diffusione del repertorio iconografico all'interno dei monasteri appartenenti all'Ordine.In un gruppo di chiese cistercensi dell'Inghilterra settentrionale i pavimenti erano rivestiti da mattonelle con motivi a mosaico: di questo tipo era la decorazione dei pavimenti delle abbazie di Fountains, Byland (dove le piastrelle sono state rinvenute ancora in situ), Rievaulx, Newbattle, Meaux e Newminster. Questo tipo di pavimento, caratterizzato dall'uso di mattonelle in terracotta, tagliate secondo diverse forme geometriche, invetriate in nero, giallo e verde scuro, e spesso composte in complessi motivi decorativi, può essere datato tra il 1235 e il 1265 circa.Al tardo sec. 12° sono attribuite alcune mattonelle stampate provenienti da Bonmont, mentre quelle decorate a rilievo di Sankt Urban vennero realizzate nella seconda metà del 13° secolo. Mattonelle di questo genere si trovano anche nelle abbazie cistercensi fondate a E del Reno: la datazione di quelle di Eberbach oscilla tra il tardo sec. 12° e il 14°; quelle decorate a stampo rinvenute a Bebenhausen risalgono al 13° secolo.Le abbazie di Mogila e Wa̢chock in Polonia conservano pavimenti con mattonelle stampate, analogamente a quelli dell'abbazia austriaca di Lilienfeld. Mattonelle con motivi decorativi incisi sono state rinvenute a Pilis, in Ungheria. Un gran numero di complessi abbaziali in Germania e in Austria possiede pavimenti realizzati con mattonelle a mosaico, come quelle di Heiligenkreuz, datati con certezza alla fine del 13° secolo. Esempi analoghi, a mosaico e a stampo, sono stati ritrovati anche in abbazie danesi.Mattonelle lavorate a intarsio, sulle quali è stato impresso un motivo riempito poi con argille di diversi colori, cominciarono a fare la loro comparsa intorno al 1240 e rimasero in uso fino al 16° secolo. Spesso decorate con soggetti araldici, esse si ritrovano in molte abbazie cistercensi francesi, ma furono diffuse soprattutto in Inghilterra. Hailes, nel SudEst dell'isola, presenta esempi datati tra il tardo 13° e il 16° secolo.

Bibl.:

Fonti. - Statuta Capitulorum generalium Ordinis cistercensis ab anno 1116 ad annum 1786, a cura di J.M. Canivez (Bibliothèque de la Revue d'histoire ecclésiastique, 9-16), 8 voll., Louvain 1933-1941.

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Strutture di produzione

La riforma della vita monastica secondo la Regola benedettina portò i C. a confrontarsi subito con la questione del lavoro.Dopo aver iniziato a costruire il monasterium ligneum nel luogo che l'Exordium Cistercii (Bouton, Van Damme, 1974, p. 111), mutuando una frase del Deuteronomio (32, 10), descrive come "locum tunc scilicet horroris et vastae solitudinis", aiutati in quest'opera dalle maestranze inviate dal duca Oddone di Borgogna (Exordium parvum; Bouton, Van Damme, 1974, p. 60), i monaci dovettero affrontare già dagli inizi il problema della gestione delle terre e degli armenti con i quali il duca aveva completato la sua opera di assistenza al primo insediamento di Roberto e dei suoi compagni.Nel Natale del 1098 il duca Oddone aveva donato ai monaci anche una vigna, a Meursault, località posta a km. 30 ca. da Cîteaux; le acquisizioni di terreni anche lontani dall'abbazia ebbero un deciso incremento con Stefano Harding, il terzo abate di Cîteaux (1109-1133). L'abbazia si venne così a trovare al centro di una serie di possedimenti a prevalente vocazione vinicola, la cui coltivazione introduce ad alcuni dei temi più discussi negli studi cistercensi, come quello dell'impegno diretto dei monaci nel lavoro manuale e quello delle strutture organizzative elaborate in funzione di un patrimonio terriero sempre più ampio e lontano dall'abbazia.Se è lecito immaginare Roberto e i suoi primi compagni intenti al lavoro per costruire il loro primo monastero e dissodare i terreni circostanti, è più problematico immaginare che fossero gli stessi monaci a contravvenire all'obbligo della stabilitas loci, imposto dalla Regola benedettina, per recarsi al lavoro in zone lontane dall'abbazia e tali quindi da non consentire un ritorno giornaliero. Da documenti più tardi si sa che all'interno della vita monastica venne inserita una figura particolare di laico impegnato a voti religiosi, il converso o laicus barbatus, secondo la definizione dell'Exordium parvum, che divenne il protagonista dell'attività di conduzione diretta delle varie proprietà operata dai C., ma i documenti tacciono sul momento della prima comparsa di questa figura nell'organizzazione monastica cistercense. Un dato importante potrebbe essere dato dalle miniature dei Moralia in Job (Digione, Bibl. Mun., 168-170, 173), realizzate intorno al 1111: in esse le uniche figure barbate sono giocolieri e cavalieri, mentre quelle impegnate nelle varie attività agricole e artigianali appaiono tutte glabre. Dando credito alla definizione dell'Exordium parvum, si potrebbe dunque ipotizzare che, nel momento in cui vennero realizzate queste illustrazioni, l'organizzazione monastica di Cîteaux non prevedesse ancora la figura dei conversi, la cui istituzione va comunque vista entro il periodo di Stefano Harding.La prima normativa concernente il lavoro, la proprietà e i sistemi per gestirla appaiono solo negli Statuti del Capitolo generale dell'Ordine detti del 1134, che costituiscono però una raccolta e una messa a punto di tutte le decisioni prese fino a quel momento, e nel testo dell'Exordium Cistercii, ritenuto il più antico dei documenti cistercensi, sicuramente anteriore al 1135 (Waha, 1978).Al punto V degli Statuti del 1134 e al XV dell'Exordium Cistercii viene riportato sostanzialmente lo stesso testo: "Monachis nostri ordinis debet provenire victus de labore manuum, de cultu terrarum, de nutrimento pecorum. Unde licet nobis possidere ad proprios usus aquas, silvas, vineas, prata, terras a saecularium hominum habitatione semotas et animalia praeter illa quae magis solent provocare curiositatem et ostentare in se vanitatem quam aliquam afferre utilitatem, sicut sunt cervi, grues, et cetera huiusmodi. Ad haec exercenda, nutrienda, conservanda, seu prope seu longe, non tamen ultra dietam, grangias possidere possumus per conversos custodiendas"; poco dopo, rispettivamente al punto VIII degli Statuti e al XX dell'Exordium, un altro testo fornisce ulteriori elementi: "Per conversos agenda sunt exercitia apud grangias et per mercenarios, quos utique conversos episcoporum licentia tamquam necessarios et coadiutores nostros, sub cura nostra sicut et monachos suscipimus, et fratres et participes nostrorum tam spiritualium quam temporalium bonorum aeque ut monachos habemus" (Bouton, Van Damme, 1974).Ai principi 'positivi' segue immediatamente un testo che riguarda il divieto di percepire decime, affitti di terre o redditi provenienti da strutture come mulini e forni; cioè in pratica il divieto di esercitare un'economia di tipo curtense, analoga a quella praticata da abbazie come Cluny, il modello in negativo a cui costantemente i C. sembrano riferirsi, almeno per tutta la prima metà del 12° secolo.Questi testi, ai quali fa da corollario una serie di norme, spesso estremamente minute, che regolano la vita dei conversi e il regime di amministrazione delle grange, sono i capostipiti di una legislazione sempre molto attenta al problema della gestione economica del patrimonio: i Capitoli generali, che si tenevano all'inizio con ritmo annuale, elaborarono norme che spesso a un primo esame possono apparire anche curiose e assai dettagliate oppure ripetono a breve giro di tempo le stesse prescrizioni. Per comprendere questo tipo di legislazione si deve riflettere sul fatto che spesso i Capitoli si trovavano a fissare consuetudini già in uso in alcune abbazie oppure a ribadire divieti che evidentemente non tutti i monasteri erano disposti ad accettare. L'accavallarsi delle delibere e delle norme, talora anche in contrasto tra loro, portò agli inizi del Duecento all'elaborazione di un testo unico approvato nel capitolo del 1204 e noto con il nome di Libellus definitionum (Lucet, 1964), che venne imposto a tutte le abbazie "ut nullus abbatum de cetero de ignorantia se excuset" (Statuta, II, 1204, 8).I dati fondamentali della legislazione cistercense sulle grange e sui conversi sono raggruppati nella prima e nella quattordicesima distinctio del Libellus definitionum. Per le grange, cioè le strutture architettoniche e insieme amministrative, create dalle singole abbazie in funzione delle varie attività concesse dalla natura del territorio, si prevede la distanza minima di due leghe borgognone (km. 11,5 ca.) tra grange di diverse abbazie - ma sono molti i casi di stretta contiguità: per es. Troussures, grangia di Chaalis nel Beauvaisis, che, alla metà del sec. 12°, era prossima a quelle di Gouy, Mauregard e Grandmesnil (rispettivamente a km. 4, 6 e 7) dipendenti da Froidmont (Lohrmann, 1975) -, si riconferma il divieto di costruirvi altari - spinosa questione ribadita in vari statuti precedenti, ma che evidentemente non trovò riscontri e che si risolvette solo nel 1255, quando un privilegio del papa Alessandro IV autorizzò la celebrazione di messe nelle grange distanti dall'abbazia - e si ordina di non creare cimiteri presso le grange e che "in his que facta sunt nemo sepeliatur" (Libellus definitionum, 1, 24; Lucet 1964, p. 35), elemento che, unito alle norme sugli altari, mostra come le singole grange avessero già avviato un processo verso la creazione di centri autonomi. Un'altra norma (1, 26; Lucet, 1964, p. 36) prevede che i monaci non dormano nelle case urbane dipendenti dall'Ordine, cioè in quelle strutture che, andando contro la prima legislazione che insisteva sulla necessità di proprietà "a saecularium hominum habitatione semotas", si erano create all'interno dei più importanti centri abitati per la commercializzazione dei prodotti dell'economia cistercense sui mercati urbani in espansione. Questo era avvenuto in alcune regioni già verso la metà del sec. 12°: in Germania il fenomeno è particolarmente considerevole e spesso nelle città più importanti, come Colonia, si concentravano le case urbane di diverse abbazie, quali Eberbach dal 1163, Himmerod dal 1170 e Altenberg (Schich, 1981). Anche Chiaravalle Milanese nel 1179 possedeva una casa nel cuore di Milano presso il Broletto Vecchio (Chiappa Mauri, 1992).La quarta decima distinctio è invece tutta dedicata ai conversi e scandita in trentatré punti: dal modo di accogliere nell'Ordine i conversi, alla loro vita spirituale ("Nullus habeat librum nec discat aliquid nisi tantum Pater Noster et Credo in Deum et Miserere mei Deus et Ave Maria"; 14, 2), ai loro orari di lavoro e ai giorni considerati festivi, nei quali però sono possibili deroghe al divieto di lavorare, all'obbligo del silenzio e a particolari attività - come per es. quella dei fabbri, che tale divieto potevano infrangere -, all'alimentazione e all'abbigliamento.Anche nel caso dei conversi le eccezioni sembrano essere state innumerevoli: se infatti uno statuto del 1188 (Statuta, I, 1188, 8) sancisce che "nobiles laici venientes ad monasterium non fiant conversi, sed monachi", a Chiaravalle Milanese, dove già nel 1147 era stato accettato come converso il console cittadino Goslino Pagano, nel 1204 si contano tra i conversi membri di importanti famiglie milanesi come Rogerio Seroddoni e Giovanni Bascapé (Chiappa Mauri, 1992).Un altro documento di grande interesse relativo all'economia cistercense è costituito dal Conductus domus sapienter staurate (pro domo Savigniaco) (Griesser, 1952), redatto dall'abate Stefano di Lexington nel 1230; si tratta di una serie di norme elaborate in funzione di una amministrazione attenta a evitare "substancie ipsius domus pericula" e mirata al raggiungimento del massimo reddito possibile. Lo accompagna un breve manuale, il Modus computationis, de quibus scilicet fieri debeat (Griesser, 1952), che istruisce sul modo di redigere una contabilità, sia parziale per singole voci sia totale di tutti i movimenti economici di un'abbazia.L'imponente mole di documenti legislativi, di norme e prescrizioni si scontra però con i dati provenienti dalle singole abbazie; questa discrasia è evidenziata dai più recenti contributi storici che mostrano come, per sostenere impegni e ritmi economici sempre più complessi, gli abati procedessero spesso in netta contraddizione con le norme generali, per es. quelle che vietavano redditi indiretti come censi e patronati (Charvátová, 1987), ma anche come, già nel momento dell'insediamento o della creazione di grange, spesso si contravvenisse alla prescrizione di scegliere luoghi lontani dai centri abitati (Hoffman Berman, 1986; Chłopocka, 1987). Sono infatti ben documentate, per es. in Germania nella prima metà del sec. 12°, acquisizioni di villaggi da parte di un'abbazia per costituirvi grange: è il caso di Maulbronn, che acquistò Elfingen e Ketsch, i cui abitanti vennero evacuati e trasferiti per consentire la trasformazione dell'abitato in grangia, e di Salem (Rösener, 1981). La procedura scatenò le violente critiche di alcuni contemporanei, come l'inglese Walter Map (che scriveva intorno al nono decennio del sec. 12°), secondo il quale i C. radevano al suolo villaggi e chiese, spianavano tutto con il vomere e non esitavano a piantare frumento (De nugis curialium; Donkin, 1978). Walter Map era d'altronde testimone diretto di questi fatti; nei documenti inglesi, già a partire dal terzo-quarto decennio del sec. 12°, sono diverse le menzioni di villaggi trasformati in grange con il conseguente spostamento di tutti gli abitanti: "redacta est villa in grangiam", "hanc villam, amotis habitationibus, redegit in grangiam usibus monasterii profuturam" (Donkin, 1978).Se già i racconti sugli inizi di Cîteaux mostrano Roberto e i suoi compagni impegnati a dissodare un luogo "pro nemoris spinarumque tunc temporis opacitate accessui hominum insolitus, a solis inhabitabatur feris" (Exordium parvum; Bouton, Van Damme, 1974, pp. 59-60), la storia successiva dell'Ordine lo ha visto spesso impegnato a recuperare all'economia agraria ampi terreni boscosi o paludosi. Fondandosi su questi dati ed estrapolandoli da quelli del contesto storico dell'Europa tra i secc. 12° e 13°, si è così voluto creare il mito dei C. come solitari rivoluzionari protagonisti della storia agraria medievale e indomiti colonizzatori; l'opposizione a questa eccessiva considerazione ha portato peraltro a sottovalutare in modo altrettanto errato il loro contributo (Wiswe, 1953). È poi evidente che il discorso non può essere generalizzato senza tenere conto delle coordinate geografiche, ovviamente diverse tra gli estremi insediamenti nell'Europa orientale e quelli della Francia centrale o dell'Italia settentrionale. Resta comunque fondamentale l'ampia applicazione, da parte dei C., delle conoscenze e delle tecniche agricole e idrauliche diffuse tra i secc. 12° e 13°, che consentì loro non solo il recupero di zone incolte o mediamente coltivate, ma anche la bonifica di terreni sommersi o paludosi, come avvenne per le zone all'estuario della Loira, in cui il regime delle acque fu controllato tramite dighe, nel Marais Poitevin (Sarrazin, 1985; 1988), ma anche nel Lodigiano (Chiappa Mauri, 1992), a Roma nella zona delle Tre Fontane (Romanini, 1982) e nel Lazio meridionale a Fossanova, solo per citare alcuni casi esemplari di pratiche estremamente diffuse.La maestria in campo idraulico è un altro dei settori nei quali si è più esaltato il ruolo dei Cistercensi. Anche alcuni testi redatti nel corso dei secc. 12° e 13° all'interno dell'Ordine contribuiscono a restituire l'immagine di un sagace impegno nel controllo delle acque e della loro distribuzione (Righetti Tosti-Croce, 1983; Benoît, Wabont, 1991): si tratta di due celebri brani, l'uno riferito alla costruzione nel 1135 della nuova abbazia di Clairvaux (Ernaldo di Bonneval, Vita prima; PL, CLXXXV, col. 285), l'altro che segue passo per passo il cammino delle acque deviate dal fiume Aube per servire all'abbazia di Clairvaux (Descriptio monasterii Claraevallensis; PL, CLXXXV, coll. 569-573), facendo eco in modo sorprendente, a distanza di secoli, alla descrizione dell'itinerario del fiume Pellena all'interno del complesso monastico di Vivarium, fondato da Cassiodoro in Calabria nella prima metà del sec. 6° (Cassiodoro, Inst., 29; PL, LXX, coll. 1143-1144).In entrambi i casi la narrazione si concentra con particolare cura sulle opere di ingegneria con cui le acque erano deviate dal fiume in un corso "quem non natura sed fratrum industria fecit", ancora visibile per una lunghezza di km. 4 ca., e incanalate "in subterraneis canalibus" per arrivare alle varie officine e strutture di servizio dell'abbazia; di qui "omnia post se munda relinquens", l'acqua "rapida celeritate festinat ad fluvium" nell'alveo principale (Descriptio monasterii Claraevallensis).Tra gli esempi di queste opere di ingegneria idraulica - che comunque non sono isolate nella storia della tecnologia medievale (Benoît-Wabont, 1991; Kosch, 1991) - si possono ricordare le opere idrauliche di Fontenay, databili quasi contemporaneamente a quelle descritte a Clairvaux: già nel 1118, al momento della fondazione dell'abbazia, consacrata nel 1147, furono erette due imponenti dighe per bloccare le acque che periodicamente inondavano il fondovalle dove essa sorge e una rete di canalizzazioni - in parte sotterranee (in sezione m. 1,3 di altezza  1,45 di larghezza) e in parte a cielo aperto, raccordate anche al sistema di raccolta e deflusso delle acque piovane - che portavano a Fontenay l'acqua di alcune sorgenti potabili dei dintorni. Da ricordare anche - per citare solo alcuni dei vari esempi possibili - il canale 'dei monaci' di Obazine, che devia l'acqua del fiume per un tratto di km. 1,5 fornendo energia idraulica all'abbazia (Barrière, 1990b), e la costruzione del vicino monastero di Coyroux, dipendente da Obazine, su un terrazzamento di ha 0,5 ca. di superficie, ottenuto con casseforme in muratura calate a deviare il corso del fiume; inoltre, la deviazione del fiume Sansfonds, realizzata agli inizi del sec. 13° per portare l'acqua all'abbazia di Cîteaux anche mediante la creazione di tracciati sopraelevati, la regolarizzazione dei corsi d'acqua intorno all'abbazia portoghese di Alcobaça, le canalizzazioni sotterranee che attraversano le abbazie inglesi di Fountains, Byland e Rievaulx, quelle tedesche di Doberan, Mariental, quelle austriache di Zwettl, Lilienfeld e Heiligenkreuz, quella svizzera di Hauterive o quelle francesi di Fontfroide, Sénanque e Maubuisson, infine la diga presso il monastero renano di Eberbach, caratterizzata a valle da un'accurata muratura decorata da una raffinata Bauplastik su un arco trilobo cieco.A Maubuisson, abbazia fondata da Bianca di Castiglia alla confluenza del piccolo fiume Liesse nell'Oise, recenti scavi hanno consentito lo studio di tutta la rete idrica del monastero, per quanto riguarda l'approvvigionamento e lo smaltimento delle acque, il loro sfruttamento come forza per azionare un mulino per cereali e la raccolta delle acque piovane. La scoperta più interessante a Maubuisson è senz'altro quella della rete dell'acqua potabile; partendo dalla source de Blanche de Castille, a più di km. 2 di distanza dall'abbazia, l'acqua veniva convogliata in condutture in argilla inserite in trincee sicuramente scavate prima della costruzione dell'abbazia che la adducono ai vari edifici monastici. Punto saliente di questo sistema era il lavabo del monastero, dove, tramite un sistema a pressione con tubature in terracotta di diametro inferiore, l'acqua era sospinta verso l'alto, nella vasca superiore del lavabo, da cui zampillava per essere poi raccolta e convogliata in una apposita tubatura di scarico (Benoît, Wabont, 1991).A questi sistemi idraulici si connetteva strettamente la creazione di bacini, spesso una serie di stagni in comunicazione tra di loro - a Fontainejean nel sec. 13° se ne contavano ben sedici -, dove era proficuamente praticato l'allevamento del pesce, attività economica primaria nella vita monastica e correlata alle decise restrizioni a un regime alimentare carnivoro.A Royaumont, per citare ancora un esempio di diversa soluzione del rapporto architettura/acqua, un imponente edificio appare come diviso in due blocchi lungo l'asse longitudinale da un canale: l'attuale alloggiamento di una ruota di mulino è frutto di un intervento del secolo scorso. Recenti indagini hanno permesso invece di stabilire come l'edificio contenesse nella parte centrale le latrine del monastero, che scaricavano direttamente nelle acque del canale convogliate da una sorgente lontana km. 3 e poi raccolte in una vasca di deposito (Benoît, Wabont, 1991).Gli scavi dell'abbazia inglese di Boxley hanno invece individuato, in connessione con l'edificio delle latrine, un piccolo impianto di sbarramento idrico da azionare con l'apertura manuale di una valvola, la cui funzione diventa chiara in riferimento alle Consuetudini della Congregazione di Hirsau; in esse si prescriveva espressamente, come compito di uno dei monaci, che "faciat aperiri viam aquae quae currit in necessaria", mentre in estate, a causa della diminuzione della pressione idrica, "faciat sclusas fieri [...] ut aqua aliquantis per retenta maiori impetu veniat" (Kosch, 1991).La tecnica idraulica applicata dai C. sembra di fatto avere il primato nel corso del Medioevo e non può essere considerato un caso che, per es., nel 1174, in cambio della costruzione di formae per imbrigliare le turbolente acque del Liri, i monaci di Casamari ricevessero dai cittadini di Veroli alcuni terreni (Righetti Tosti-Croce, 1983) o che monaci e conversi di Chiaravalle Milanese siano più volte documentati come consulenti del comune di Milano proprio per i problemi idraulici (Chiappa Mauri, 1992); la perizia in questo settore dovette essere apprezzata anche all'interno dello stesso Ordine se a un Simone, monaco dell'abbazia inglese di Wawerley, fu consentito di firmare la nuova fontana dell'abbazia e di ricordare nell'iscrizione il lavoro con cui l'acqua vi era stata condotta (Kosch, 1991).È indubbio che l'intelligente applicazione delle tecnologie conosciute e legate al totale sfruttamento delle potenzialità dell'acqua sia stata una componente tutt'altro che secondaria del successo cistercense, soprattutto per quanto riguarda le attività che avevano un immediato riscontro economico come per es. la lavorazione dei cereali, quella dei minerali, la tessitura.

Strutture architettoniche

Il termine adottato dai C. per indicare le loro strutture per la messa a frutto della proprietà è, come si è visto, solo quello di grangia; in altri ordini monastici sono invece documentati termini diversi, come villa o decanatus, curia o curtis, rispettivamente presso i Cluniacensi o i Premonstratensi, ma diversi erano anche i modi di gestire queste strutture, non prevedendo nessuno degli altri ordini una organizzazione analoga a quella dei Cistercensi.Grangia è termine derivato dal latino medievale, che elaborò i termini di granea, granica, grancia, granchia e grangia, partendo da granarium, usato nel latino classico per indicare il luogo dove si conserva il grano. L'uso medievale del termine fu però più estensivo, indicando non solo il singolo edificio, ma anche il complesso di costruzioni che costituivano la struttura agricola e, ancora in senso più ampio, l'insieme della proprietà agraria, cioè i terreni e gli edifici che vi sorgevano.Le attività economiche dei C. non si esplicarono solo nel campo agricolo o in quello strettamente collegato dell'allevamento, o della produzione di vino e birra, ma si estesero a settori di lavoro come le attività estrattive di metalli e la loro lavorazione, l'estrazione e la purificazione di sali minerali, la produzione di sale marino, la piscicultura, la lavorazione del vetro, della lana e delle pelli, solo per citare alcuni dei casi più noti e frequenti.A ognuna di queste attività corrispose un particolare tipo di edificio, elaborato sulla base della progettazione modulare che è il fondamento dell'architettura cistercense e che ne costituisce l'elemento di assoluta primaria novità nel campo della storia architettonica medievale. Il funzionalismo architettonico cistercense diventa ancora più evidente proprio negli edifici destinati al lavoro; sciolto infatti ogni tipo di vincolo con icnografie ormai fondamentalmente definite, come potevano essere quelle di chiese e complessi monastici, la progettazione modulare dimostra a pieno tutte le sue potenzialità, adattandosi a ogni specifica esigenza, territoriale o funzionale che sia, assemblando le varie unità modulari in strutture di impianto e alzato diversi. "È il linguaggio contadino delle grange un'arte artigiana che risponde immediata a esigenze immediate" (Romanini, 1983). Ma è anche un linguaggio che non differisce da quello applicato nella costruzione delle abbazie; l'assenza di ogni gerarchia e l'affermarsi di una unitaria progettazione architettonica sono dimostrati dagli edifici superstiti, ma ciò era stato evidenziato già dagli stessi C. e dai loro contemporanei. La Descriptio monasterii Claraevallensis (PL, CLXXXV, col. 572), a proposito della grangia d'Outre Aube - che sorgeva in prossimità dell'abbazia, sull'altra sponda del fiume, e che era costituita da un vasto recinto di m. 300  200, in cui sono documentati due edifici di grandi dimensioni, uno a sette navate e uno a cinque, oltre a edifici abitativi, scuderie e stalle (Dimier, 1973-1974) - dice che "grangias has non conversorum esse habitacula, sed claustra monachorum crederes, nisi vel iuga boum, vel aratra, vel instrumenta alia rusticanis apta laboribus, habitatores suos proderent et nisi quod in eis libri non explicantur. Nam quantum ad aedificia spectat ea magno monachorum conventui diceres et situ convenire et decere venustate et capacitate sufficere". E proprio sulle grange sembrano concentrarsi gli strali di Pietro Cantore, il quale, nel Contra superfluitatem aedificiorum (Summa theologica, 86), scrive: "Item: exemplum sancti Bernardi, flentis eo quod videret tuguriola pastorum tecta culmo, similis casulis pristinis Cisterciensium tunc habitare incipientium in palatiis stellatis et muratis [...] etiam grangiae eorum pro munimine sui saepe incastellantur pro divitiis grangiarum et agrorum suorum, permittentes sibi aedificare dormitoria et refectoria a raptoribus et foenatoribus, in signum et memoriale avaritiae ipsorum". L'incastellamento delle grange è comunque momento tardo nella storia cistercense, come dimostrano i casi superstiti, tra i quali alcune delle grange dipendenti dall'abbazia narbonese di Fontfroide, come Fontcalvi, Poujouls o la ormai trecentesca Gaussan.Tentare una classificazione tipologica può essere forse utile, anche se certo non esaustivo, proprio in virtù della flessibilità del metodo costruttivo a ogni specifica esigenza. Le varianti tipologiche si evidenziano peraltro non solo in riferimento alle piante, ma anche naturalmente agli alzati, alle coperture e all'articolazione interna degli spazi.Il grande sviluppo dell'attività agricola è strettamente correlato alla presenza percentualmente più cospicua di edifici con impianto a capannone, ma, anche in questo caso, le varianti sono tali e tante da non consentire, se non in alcuni casi, l'individuazione di specifiche tipologie.Le testimonianze più antiche sono costituite da edifici, talora su due piani, scanditi al piano inferiore in più vani, generati dalla moltiplicazione di cellule ad quadratum, e che restituiscono in modo evidente l'applicazione integrale del metodo modulare, dimostrandone le potenzialità nel dare vita a un'architettura aperta, non condizionata dalla figura, e dove la teoricamente infinita possibilità di accostare elementi modulari genera strutture calibrate in funzione delle specifiche esigenze. Esemplari in questo senso sono edifici come la Grange des Beauvais che sorge nel recinto dell'abbazia di Preuilly, fondata nel 1118: si tratta di un edificio lungo m. 80 ca., scandito all'esterno da contrafforti e internamente diviso in quattro ambienti, uno dei quali coperto da volte a crociera.Tra gli edifici databili al sec. 12° è rilevante anche la grangia di Montaon, nei pressi del monastero di Igny, abbazia fondata da Clairvaux nel 1126: l'edificio è diviso all'interno in cinque campate da una fila centrale di colonne cilindriche raccordate alle volte a crociera da raffinate cornici a profilo quadrato; il piano superiore doveva essere ugualmente coperto da volte, testimoniate dalle tracce nei muri laterali. All'esterno i contrafforti scandiscono con precisione il ritmo modulare delle cinque campate; la stessa scansione è impressa alla cornice su mensole sgusciate che corre sotto il tetto da elementi ugualmente a profilo sgusciato che la raccordano ai contrafforti. L'edificio, datato al sec. 12° (Dimier, 1973-1974), può per i suoi caratteri di cura e dettaglio dei particolari architettonici costituire una valida immagine di commento al testo della Descriptio monasterii Claraevallensis.Una struttura analoga, anche se meno raffinata e più segnata da interventi successivi, è quella della grangia dell'abbazia di Jouy, filiazione del 1124 dell'abbazia di Pontigny, costituita essenzialmente da quattro grossi blocchi non comunicanti, affiancati l'uno all'altro e internamente articolati in spazi coperti da crociere.L'esigenza di creare edifici di stoccaggio dei raccolti prevalentemente cerealicoli portò invece all'elaborazione di grandi strutture unitarie, divise in navate da file di sostegni e con accessi principali determinati da ampie porte carraie aperte. Gli esempi di questo tipo, che può essere definito a capannone, sono vari; una tipologia abbastanza unitaria è leggibile nelle grandi grange cerealicole del Nord della Francia: si tratta di edifici di rilevanti dimensioni, divisi internamente in navate, per lo più tre, con particolare risalto di quella centrale, coperti con sistemi di travature lignee; varie sono invece le soluzioni date ai sostegni e al loro rapporto con le coperture.Vaulerent, dipendente dall'abbazia di Chaalis, è senza dubbio la grangia cistercense più conosciuta e studiata (Horn, Born, 1968; Higounet, 1969; Blary, 1989); le sue imponenti dimensioni, m. 72 di lunghezza e 23 di larghezza per un'altezza massima di m. 20,60, corrispondenti a uno sviluppo di m2 1656, sono determinate dalle esigenze di lavoro e raccolta del prodotto di un possedimento assai vasto, ha 380 ca., che l'abbazia di Chaalis aveva acquisito a partire dal 1136. Lo studio di Higounet (1969) ha potuto rinvenire documenti del sec. 13° che testimoniano l'applicazione e lo sviluppo della tecnica agraria della rotazione triennale delle coltivazioni, sistema che consentiva abbondante produzione di cereali di ottima qualità.Gli edifici superstiti oltre alla grangia sono una cantina e una colombaia. La grangia, la cui costruzione va assegnata al secondo-terzo decennio del sec. 13°, è articolata internamente in tre navate, scandite in tredici campate da pilastri rettangolari dagli spigoli smussati, che si elevano altissimi a sostenere arcate longitudinali a profilo archiacuto sopra le quali si appoggia la copertura a travature lignee. La facciata, a profilo quasi triangolare, aperta da due file sovrapposte di finestre, è caratterizzata dalla presenza di una torre scalare cilindrica che dava accesso a una parte superiore dell'edificio, oggi scomparsa.Di dimensioni di 1/3 ca. più ridotte, la grangia di Fourcheret, anch'essa dipendente da Chaalis, rivela due fasi costruttive: la prima è da assegnare ai primi decenni del sec. 13°; la seconda, un prolungamento di tre campate del primo edificio, è cronologicamente molto vicina alla precedente e comunque databile alla prima metà dello stesso secolo (Blary, 1989), ma corrisponde a una maggiore raffinatezza nell'esecuzione dei pilastri rettangolari che, con lo stesso sistema di Vaulerent, sostengono la copertura a tetto.Simile era anche l'impianto della grangia di Troussures, rovinata in anni recenti, che presentava una struttura in tre navate scandite da pilastri a profilo rettangolare con gli spigoli smussati.Diverso invece è il rapporto tra copertura e sostegni nella grangia di Warnavillers, i cui territori sono già ricordati nel 1150 tra le proprietà dell'abbazia di Ourscamp: l'edificio, diviso in tre navate di sei campate da pilastri cilindrici in pietra, fondati su basamenti ugualmente cilindrici a doppio risalto, appoggia la sua copertura, che sembra ancora originale (Dimier, 1975), direttamente sulla sommità dei pilastri tramite un sistema di catene lignee longitudinali. I fianchi di questo edificio sono scanditi da contrafforti in muratura presenti peraltro anche nei casi precedenti, corrispondenti alla divisione interna delle campate.Da Ourscamp dipendeva anche la grangia di Ereuse, la cui strutturazione interna, sempre su impianto rettangolare a tre navate, vede però la netta emergenza dello spazio centrale, m. 10 ca., sui laterali, che arrivano a mala pena a m. 2; i sostegni della copertura sono costituiti da lunghe travi lignee, su basamenti di pietra a tronco di piramide e con spigoli smussati.Sostegni lignei su un basamento di pietra modulano anche le dieci campate della grangia dell'abbazia di Froidmont, edificio i cui accessi si aprono decentrati rispetto all'asse della facciata, in corrispondenza della navata sinistra; rilevanti in questo edificio le sculture delle mensole che corrono sotto la cornice che sottende il tetto, caratterizzate da semplici motivi decorativi e variazioni sul tema del cerchio.Raffinati capitelli con motivi di foglie d'acqua e crochets raccordano le nove colonne della grangia dell'abbazia di Maubuisson con il sistema di arcate che, come a Vaulerent, è alla base della copertura a capriate; della grangia rimangono oggi solo due navate delle tre che la costituivano. L'edificio va assegnato agli anni di costruzione dell'abbazia, eretta nel 1236.Al 1280 è datata un'altra grangia monumentale, quella dell'abbazia di Ter Doest, filiazione di Clairvaux in diocesi di Bruges (Heins, 1905). Costruito in mattoni, l'edificio, di m. 58,50 di lunghezza, 23,75 di larghezza e 30,75 di altezza al culmine della facciata, all'interno è diviso in tre navate da altissime travi in legno di castagno impostate su basi quadrate in cotto, a sostegno della copertura lignea, che è quella originale. Di grande raffinatezza il trattamento della facciata, scavata da un sistema di allungate bifore cieche sormontate da piccoli oculi e incluse in monofore che con andamento scalare percorrono la parte superiore della fronte; il risultato, anche grazie all'uso del cotto, è quello di una superficie pittoricamente mossa e vibrante, sensibile a ogni variazione della luce nel dar vita a una struttura illusivamente costruita in scaglionarsi di piani e volumi.Procedimenti analoghi di trattamento della superficie sono in parte ancora documentabili anche nella facciata della grangia di Bogaerde, dipendenza dell'abbazia belga di Ter Duinen, i cui fianchi sono elaborati da un raffinato sistema di archetti a tutto sesto in cotto che sostengono una cornice sgusciata. In un muro che si stacca dalla grangia per raccordarsi a un edificio di abitazione si apre una nicchia inquadrata in una sorta di piccola facciata a terminazione triangolare e corrispondente dall'altra parte del muro a una struttura semicircolare aperta da due piccoli fori rettangolari; si tratta di un raro caso, forse l'unico noto, di un riparo per i cani da guardia della grangia (Heins, 1905; Dimier, 1973-1974).Impianti a capannone articolati all'interno in tre navate sono presenti anche in alcune grange inglesi, come quelle di Great Coxwell nel Berkshire, dipendente dall'abbazia di Beaulieu, datata agli inizi del sec. 13° (Horn, Born, 1965; Platt, 1969), e di St Leonard, dipendente dalla stessa abbazia, un edificio di m. 68  20,5 della prima metà del 13° secolo. A St Leonard si conserva anche una cappella, databile però alle soglie del secolo successivo (Platt, 1969).In parallelo con questi grandi edifici si sviluppa una serie di varianti di dimensioni più ridotte, da un lato legate a una economia che non prevedeva, come nel caso dei cereali, l'ammasso di grandi quantità di raccolti e di prodotti derivati, quali la paglia, dall'altra correlate a entità territoriali di più ridotta estensione.Tra gli edifici più noti, ma anche tra i più interessanti in una lettura della progettazione architettonica cistercense e della sua disponibilità ad adattarsi alle specifiche esigenze del luogo e della funzione, è senza dubbio la c.d. grange d'eau di Hautecombe. L'edificio sorge sulle sponde del lago di Bourget, in Savoia, è databile tra i secc. 12° e 13° (Aubert, 1954; Dimier, 1973-1974) ed è articolato su due livelli; il superiore, destinato a granaio, ha un accesso dal piano stradale, mentre l'inferiore, quasi a livello del lago, risulta diviso in due parti. Per 1/3 ca. è occupato da una darsena coperta che, tramite una porta chiudibile con una cancellata e un canale scavato nella roccia, consentiva l'accesso diretto dal lago alle barche che portavano i raccolti dei terreni disposti lungo le sponde e non facilmente raggiungibili per via di terra. La parte rimanente del piano inferiore è costituita da una banchina rialzata di alcuni gradini; una volta a botte ricopre tutto lo spazio. Un collegamento diretto con un canale per consentire alle barche di scaricare direttamente all'interno dell'edificio sembra sia esistito anche nella grangia dell'abbazia belga di Ter Duinen di Les Allaertsthuisen a Wulpen, la cui costruzione è datata tra il 1232 e il 1243 (Heins, 1905; Dimier, 1973-1974); oggi l'edificio è solo parzialmente superstite, ma la presenza nel muro di facciata di un'ampia apertura a tutto sesto, un sistema di canali ancora ricostruibile e il fatto che la strada che conduce a questo lato della grangia sia chiamata Schutegrachte, cioè fossato per le barche, sembrano confermare l'ipotesi.Gli edifici italiani con funzione agricola presentano una notevole serie di varianti tipologiche. Uno dei più antichi è la grangia Brancorsina, dipendente dall'abbazia marchigiana di Chiaravalle di Fiastra, i cui primi terreni furono donati nel 1144 dal duca di Spoleto Guarnieri e poi ulteriormente incrementati nel 1153 e nel 1163; l'edificio presenta un'articolazione su due piani con l'inferiore diviso da una spina centrale di pilastri rettangolari in navate direttamente comunicanti con l'esterno tramite ampie aperture con arco a tutto sesto, in cotto, nei due muri di facciata. Parte ancora integra è quella del lato settentrionale esterno: un sistema di strette paraste modula la muratura in cotto, aperta da piccole finestre rettangolari ancora in parte individuabili, secondo un preciso ritmo modulare di notevole raffinatezza formale.Un'altra dipendenza di Fiastra, la grangia di Sarrocciano, la cui proprietà venne acquisita nel 1145 e poi ulteriormente incrementata fino al 1192, presenta invece nella parte superstite una struttura divisa in diversi blocchi, uno dei quali, l'unico integro, sovrappone agili volte a crociera a pilastri di profilo rettangolare. Da questo vano si può accedere a una struttura sotterranea costituita da gallerie e da piccoli ambienti quadrati che vi si affacciano, ricavati con un sistema di scavo a talpa nel terreno argilloso della zona, che lega la grangia a una serie di realizzazioni simili presenti nella stessa abbazia di Fiastra e in alcune delle grange da essa dipendenti.La grangia dell'abbazia di Fossanova, un edificio della metà del Duecento, si dispone invece su due piani con accessi separati: l'inferiore, diviso in due blocchi distinti dal passaggio voltato che consente la comunicazione tra gli spazi delle strutture abbaziali e la campagna, presenta bassi e tozzi pilastri a profilo quadrangolare coronati da una semplice cornice sui quali si impostano volte a crociera. Il piano superiore è costituito da un ampio vano unitario coperto con un inedito sistema di grandi archi trasversi, quasi diaframmi, che sostengono una copertura lignea; questo tipo di copertura sembra una costante dell'architettura di Fossanova: è infatti usato per gli ambienti di alcuni edifici monastici ed era impostato anche sul vano unico del mulino della stessa Fossanova, come testimoniano gli archi trasversi ancora in opera. Nell'architettura italiana diventa poi uno dei sistemi più diffusi, in particolare nell'Italia centrale, per la copertura degli spazi delle chiese mendicanti, a riprova di quel legame che Romanini (1983) indica tra alcuni dei momenti delle origini francescane e quello cistercense dell'impegno diretto nel lavoro.L'economia cistercense aveva, come si è detto, esigenze e settori di impegno molto diversificati; si è già citato il mulino di Fossanova, esempio di un tipo di strutture molto diffuse in ogni abbazia, mosse sia ad acqua, sia, in alcune zone, a vento, sia grazie all'opera di animali. Tra le altre testimonianze è da ricordare anche quello di Chiaravalle Milanese (Cicirello, 1992). Un altro dei settori attivi era quello delle produzioni del vino e, nei paesi settentrionali, della birra, per le quali vennero appunto elaborati edifici specifici. La commercializzazione nelle città di questi prodotti comportò la costruzione in alcuni centri di grandi cantine destinate così alla conservazione come alla vendita; il cellier che l'abbazia di Clairvaux possedeva a Digione dalla fine del sec. 12°, ma la cui costruzione attuale è del primo Duecento, è un edificio di grande qualità architettonica. Articolato su due piani, presenta al piano inferiore il cellier propriamente detto, cioè la cantina; si tratta di un grande ambiente di m. 50 ca., diviso in due navate da una fila di colonne ottagonali che sostengono volte a crociera rinforzate da costoloni di profilo quadrato. Il piano superiore ripete sostanzialmente l'articolazione di quello inferiore, ma le colonne sono qui decorate da capitelli con motivi di foglie d'acqua.Di grande raffinatezza è anche il cellier che l'abbazia di Ourscamp aveva costruito nella sua casa urbana di Parigi: l'edificio, noto come Maison de l'Ours, è ora inglobato in fabbricati più tardi, ma nelle cantine è ancora perfettamente conservata la struttura del cellier, un vano a impianto trapezoidale coperto da volte a crociera con costoloni di profilo quadrato impostate su bassi pilastri cilindrici dai semplicissimi capitelli geometrici e dalle raffinate basi ottagonali. Nella stessa strada, l'od. rue François Miron, a pochi isolati di distanza era posta anche la casa urbana dell'abbazia di Chaalis, di cui sopravvive una parte del cellier con colonne dai capitelli a foglie d'acqua concluse da crochets (Blary, 1989). La struttura dei celliers era peraltro presente anche all'interno delle abbazie, in genere al di sotto del dormitorio dei conversi.Più articolate sono invece le grange vinicole: tra le più note, anche se interessate da interventi successivi, quelle borgognone del Clos Vougeot e di Colombé. La prima, dipendente da Cîteaux, appare oggi come un blocco di edifici disposti intorno a una corte centrale; al sec. 12° e 13° appartengono solo due costruzioni che, pur interessate da restauri, rivelano la loro origine medievale. Dal lato prospiciente l'ingresso del cortile è un edificio a due piani: la sala inferiore, destinata probabilmente a cantina di deposito, è costituita da un ampio vano unico scandito da otto pilastri monolitici che sostengono le travature del soffitto e aperto solo da strette finestre. Sul lato destro del cortile si affaccia un altro vasto edificio a impianto quadrato con quattro bracci coperti e uno spazio libero al centro; è la c.d. cuverie con ai quattro angoli enormi presse con meccanismo di azionamento elicoidale, testimonianza di un tipo di lavorazione dell'uva che consentiva una pigiatura con pressione controllabile e variabile, sistema più avanzato della tradizionale pigiatura. Questa attrezzatura, insieme con i monumentali tini, è ricordata da Rabelais che racconta come "Gargantua mit les six pélerins avecque ses laitues dédans un plat de la maison, grand comme la tonne di Cisteaulx" (Rodier, 1949).Del cellier di Colombé, la più importante delle grange vinicole di Clairvaux, è integra solo la parte inferiore della costruzione, costituita da una grande sala con due file di pilastri poligonali sorreggenti volte a crociera con semplici costoloni a profilo quadrato.Un raro esempio di struttura per la fabbricazione della birra è rappresentato dall'edificio esistente nel recinto dell'abbazia di Villers nel Brabante, datato tra il 1270 e il 1276: la struttura interna, divisa in due navate da cinque colonne cilindriche con semplici capitelli lisci, non differisce sostanzialmente da quella di un cellier.Un diaframma centrale costituito da due ordini di arconi a tutto sesto sovrapposti articola in modo originale i due piani della grangia di Hauterive, dipendente dall'abbazia di Font-froide in una zona di estesa produzione vinicola. Il sistema prevede solo la possibilità di una divisione tramite un solaio ligneo, soluzione ancora presente, nonostante le modifiche dovute al fatto che l'edificio è ancora usato come cantina.Di grande interesse per l'assoluta particolarità sono invece le cantine rinvenute al di sotto dell'abbazia di Chiaravalle di Fiastra e in alcune delle strutture di produzione da essa dipendenti, come la grangia di Collalto, quella di S. Maria in Selva e quella già ricordata di Sarrocciano.Si tratta, nel caso dell'abbazia, di un sistema di 'grotte', come vengono denominate, scavato sotto la parte orientale della chiesa, articolato in una serie di ambienti quadrangolari coperti da volte a crociera, in un'alternanza modulare di pieni e di vuoti. Ognuno degli ambienti presenta lungo i fianchi una fascia di mattoni rialzata che potrebbe essere funzionale alla collocazione in ognuno di una botte. Queste gallerie sotterranee hanno due accessi, uno tramite una scala aperta alle spalle delle cappelle del transetto destro, l'altro tramite un piano inclinato, segnato da cordoli rompitratta, che riemerge all'esterno al di là del muro di cinta che chiude il transetto sinistro; chiara la funzione di questo secondo accesso, il cui sistema di cordoli consente un più agevole movimento di attrito volvente. La costruzione di queste gallerie, scavate nella plastica arenaria di Fiastra, è avvenuta con un sistema a talpa che ha tenuto presenti le soprastanti preesistenze architettoniche (Righetti Tosti-Croce, in corso di stampa).Di dimensioni più ridotte, ma sostanzialmente simili nella tecnica costruttiva, sono anche le strutture rilevabili nelle grange dipendenti; di particolare interesse è la grangia di Collalto, costituita da un caseggiato addossato alla collina, scandito lateralmente in tre unità modulari da robusti contrafforti in laterizio che sostengono anche gli spigoli del lato frontale.Nel fianco della collina si interra una struttura cui si accede attraverso un ambiente coperto da due crociere costolonate su pilastri a muro, dal quale si diparte un corridoio voltato a botte che immette a sua volta in un locale coperto da una volta a botte cinghiata da archi trasversi ricadenti su semplici mensole a muro, decorate con un motivo a sottile cilindro; si passa infine a un altro ambiente coperto da una rozza volta a botte a reni ribassate, la cui pavimentazione va progressivamente ad abbassarsi al centro, stretta da due banchine laterali: un esempio di ghiacciaia medievale per conservare i cibi con l'aiuto della neve stivata nel fondo della grotta (Righetti Tosti-Croce, in corso di stampa).Nell'inoltrato Duecento, in particolare nella parte meridionale della Francia, in relazione a situazioni di grande inquietudine che rendevano precaria la sicurezza delle grange e dei beni da loro prodotti, sono documentati casi di grange fortificate: la più celebre è certamente quella di Fontcalvi, dipendente da Fontfroide a partire dal 1199 e destinata alla produzione e alla conservazione del sale prodotto nelle vicine zone di lagune e stagni allora direttamente collegate con il mare.L'edificio, i cui caratteri architettonici sono attribuibili agli inizi del sec. 14°, presenta una pianta quadrata di m. 20,70 di lato, in cui si inseriscono sugli spigoli e a metà dei lati torri quadrate che svolgono anche la funzione di contrafforti. Il piano terreno è costituito da una grande sala coperta da quattro crociere sostenute da un pilastro centrale ottagono e ricadenti su mensoloni a parete; il piano superiore, oggi solo parzialmente conservato, presenta due grandi arcate centrali, che come un diaframma dividevano lo spazio in due navate sostenendo probabilmente una copertura lignea, secondo lo schema già visto nella vicina grangia di Hauterive, sempre dipendente dall'abbazia di Fontfroide.Un altro edificio potentemente munito è quello visibile a Poujouls (Poujol), nei pressi del confine con la Spagna, parte superstite della grangia che dipendeva da Fontfroide. L'abbazia che sorge presso Narbona spingeva le sue proprietà in un reticolo molto fitto fino oltre Perpignano, quasi alle falde dei Pirenei: Poujouls è una delle più lontane e il torrione oggi superstite, quasi un donjon, mostra quanto a partire dalla seconda metà del Duecento l'architettura delle grange si accosti a soluzioni derivate da quelle dell'architettura castrense. Il vano principale è posto al piano alto ed è accessibile solo attraverso una stretta scala, che è ricavata nello spessore del muro e che parte da un ambiente al piano terreno. Esso è costituito da uno spazio unico, coperto da volta a botte acuta e con aperture a bocca di lupo per l'illuminazione, nello spessore della volta.La cinta quadrangolare merlata della grangia trecentesca di Gaussan, anch'essa dipendente da Fontfroide, con l'insieme delle strutture interne e la cappella, ormai tutte profondamente alterate da un restauro ottocentesco, mostra nei suoi caratteri d'insieme l'estrema evoluzione di questo particolare tipo di grangia.L'impegno dei C. nella produzione del sale, uno dei beni più preziosi nel Medioevo, è attestato anche da varie grange legate all'attività estrattiva e alla purificazione del salgemma, come per es. Chiaravalle della Colomba, presso Piacenza. Oltre ai resti della grangia rinvenuta durante scavi nell'area dell'abbazia, importanti testimonianze di questa attività sono leggibili nella grangia di Cangelasio (Pistilli, in corso di stampa).L'allevamento fu un'altra attività primaria dei C.; alla serie di testimonianze documentarie sulla grande produzione di lana delle abbazie inglesi che le rese protagoniste dei mercati medievali (Donkin, 1978) si affiancano in tutta Europa importanti testimonianze architettoniche di questa attività; si possono ricordare tra gli altri i notevoli resti di Ancosa, grangia di Santes Creus le cui origini risalgono a una donazione del 1155 da parte del conte di Barcellona; gli scavi (Bolós i Masclans, Mallard i Raventós, 1986) hanno evidenziato gli impianti di due vasti edifici a struttura rettangolare. In parte superstiti sono invece i fabbricati della grangia abruzzese di S. Maria del Monte, appartenente all'abbazia di Casanova, posta sulle pendici del Gran Sasso, costituita da un ampio recinto, all'interno del quale si dispongono vari ambienti regolari e una struttura più importante a impianto rettangolare; tutto intorno sui fianchi della montagna sono ancora visibili i tracciati regolari degli stazzi per la custodia del bestiame, che veniva condotto in questa località al termine del cammino di transumanza che legava le pianure della Puglia ai pascoli in quota degli Abruzzi (Righetti Tosti-Croce, 1983). Il sistema della transumanza fu caratteristico anche dell'economia di molte abbazie francesi della Guascogna e della zona tra Narbona e Tolosa, che sfruttavano a questo scopo i pascoli pirenaici (Hoffman Berman, 1986).Oltre all'allevamento del pesce, pianificato in relazione allo sviluppo dei sistemi idraulici delle varie abbazie, alcuni centri monastici si impegnarono anche nella pesca in mare aperto: nell'arcipelago delle isole Pontine si creò anzi una situazione di attrito tra due importanti abbazie laziali proprio in rapporto a questa attività. Sull'isola di Ponza i monaci delle Tre Fontane avevano infatti insediato nel 1245 una loro grangia, cresciuta sugli ambienti di una villa romana, della quale restano alcune parti inglobate in edifici più tardi; nel 1251 avevano creato un altro insediamento per la pesca sull'isola di Palmarola. Sull'isola di Zannone, negli stessi anni, l'abbazia di Fossanova aveva edificato un'importante dipendenza, della quale restano estese tracce e alcuni resti di volte a botte e a crociera. Testimonianza degli attriti tra queste grange, e di conseguenza tra i relativi monasteri, per la delimitazione delle rispettive aree di pesca sono i ripetuti interventi dei Capitoli generali registrati tra il 1263 e il 1279. Nel 1295 la grangia sull'isola di Zannone veniva dismessa e trasferita in terraferma a Gaeta, dove il nome della nuova fondazione, Santo Spirito de Sennone a Pian d'Arzano, ricorda la storia precedente della comunità (Le isole pontine, 1983).Il particolare impegno dei C. nell'ambito della metallurgia comportò la nascita di edifici specifici per la lavorazione dei metalli; se si è recentemente ipotizzata una funzione di forgia anche per la citata Grange des Beauvais di Preuilly, appartenente all'abbazia di Gouy (Cailleaux, 1991), la costruzione più integra è senza dubbio la forgia di Fontenay. La struttura è cresciuta a partire dal sec. 12° per giustapposizione di blocchi modulari in relazione al crescente sviluppo di una attività estrattiva che recenti indagini hanno potuto chiarire (Cailleaux, 1991).L'edificio si presenta oggi come un blocco di impianto rettangolare, diviso internamente in vari ambienti, l'uno collegato all'altro, ma con caratteri architettonici diversi: di grande rilievo architettonico appare in particolare il secondo vano, coperto da volte a crociera impostate su colonne con base quadrata e con raffinati capitelli dalla decorazione a foglie d'acqua, ridotta a una essenziale geometria compositiva da una logica figurale e modulare affine a quella che impronta la decorazione dei capitelli della chiesa e del chiostro.Di particolare interesse anche le recenti scoperte di edifici proto-industriali dei C. e della loro specifica tecnologia produttiva: l'indagine di Blary (1989) sulla fornace di Commelles, inserita in una grangia dipendente da Chaalis e la cui attività è ricordata fin dal 1198, ha consentito una migliore conoscenza di questo fabbricato - costituito da una struttura a impianto quadrato, sormontata dalla copertura a tronco di piramide del camino - e della sua articolazione interna, nonché l'individuazione delle mattonelle prodotte in questa fornace e del loro sistema di cottura. Resti di fabbriche di mattoni e mattonelle sono peraltro attestati in vari scavi che hanno interessato luoghi cistercensi; è il caso per es. del lavoro di indagine di un sito rurale del sec. 13° nella regione di Kutna Hora nella Boemia centrale, dipendente dall'abbazia di Sedlec (Charvátová, Valentová, Charvát, 1985), che ha rilevato la presenza, accanto a una struttura agricola, di impianti metallurgici e per la fabbricazione di terracotta.Nell'Ungheria nordorientale infine recenti indagini (Valter, in corso di stampa) hanno rilevato presso il monastero di Pásztó la presenza di due edifici industriali, uno destinato alla produzione di metalli, l'altro, ed è caso più raro, una vetreria dotata di tre forni, in perfetta consonanza con la descrizione della tecnica fatta da Teofilo (Diversarum artium schedula, II), che prevede appunto un forno di preriscaldamento, uno di fusione e uno di raffreddamento.Strutture particolari, in genere a impianto circolare o quadrato, sono poi costituite dalle colombaie; tra le più integre, quella presso Acey, nota con il nome di grange ronde, quella di Mortemer, che misura più di m. 8 di diametro (Aubert, 1947), e quella di Reigny, un interessante edificio del sec. 13° che conserva ancora tutto il sistema di scale a muro che custodivano l'accesso alla parte alta, dove nidificavano i volatili.

Bibl.:

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