CISTERCIENSI

Enciclopedia Italiana (1931)

CISTERCIENSI

Carlo BRICARELLI
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. L'ordine trasse la sua origine dai contrasti che dividevano, nella seconda metà del sec. XI, i cluniacensi, di cui alcuni intendevano applicare con minor rigore la regola benedettina, mentre altri volevano il ritorno alla pristina austeria. Così Roberto, abate di Molesme, lasciava il 21 marzo 1098 la sua abbazia, e creava il nuovo monastero di Cîteaux (Cistercio), insieme con venti compagni, ristabilendo nella nuova comunità l'antica osservanza con i suoi precetti di solitudine assoluta, di obbligo del lavoro manuale, di povertà, di rinunzia a ogni attività che non fosse quella del chiostro. L'impresa sarebbe forse fallita, se non avesse trovato un animatore di eccezionale vigore in Bernardo di Chiaravalle (v.). Egli entra nell'abbazia nel 1112; e già dal 1113 comincia la fondazione di filiali che in breve sorgeranno in tutta l'Europa, in Germania, in Inghilterra, in Italia, perfino in Islanda, Svezia, Danimarca, giungendo nel 1134 a 70, nel 1152 a 350, alla fine del sec. XII a 530, e alla fine del sec. XIII a 694. Fu un prodigioso sviluppo, che trovò certo terreno favorevole nell'Europa d'allora, ancora riecheggiante i grandi dissensi della lotta per le investiture, scossa, ove più ove meno, da correnti anelanti al ripristino dei tempi evangelici, a una vita più cristiana e più severa, ma che dovette anche parte del successo a quella regola del lavoro manuale, restaurata nella sua interezza da Roberto di Molesme. I cisterciensi furono infatti, secondo la tradizione benedettina, grandi dissodatori del suolo e colonizzatori: le loro abbazie divennero centro di lavoro di bonifica e di migliorie agrarie, sì che essi rappresentarono nella storia dell'agraria medievale un notevolissimo passo innarizi. Basti ricordare che l'abbazia di Chiaravalle nel Milanese promosse nella regione la pratica dell'irrigazione.

Nel mondo dello spirito e della cultura, l'ordine ebbe, specialmente nel sec. XII, una vita propria. Veramente dalle regole dell'ordine lo studio profano non veniva considerato, intendendosi sufficienti per il monaco le cognizioni indispensabili per il sacerdozio e per la vita ascetica: e S. Bernardo dichiarava "nociva" la curiosità che, senza una mira più alta, muove l'uomo a studiare, e sconsigliava ai suoi giovani le "vanità letterarie". Tuttavia egli stesso, e i suoi discepoli, creavano, se non un nuovo pensiero teologico, almeno una corrente spirituale, a tendenza mistica, vivacissima di fervore interno, destinata ad avere non poco influsso nella storia del pensiero medievale; analogamente, non ostante il proposito di Bernardo di semplificare l'architettura delle chiese, l'ordine finì con l'essere, nelle sue costruzioni, un diffonditore della pratica ogivale. In tutto ciò, quindi, si deve vedere più l'accettazione della realtà del tempo, saturo di problemi culturali, che non lo svolgimento d'un principio interiore dell'ordine stesso. D'altronde la primitiva severità della regola si addolcì poi alquanto: i monasteri cisterciensi accumularono anch'essi ricchezze; e all'estraniarsi dalla cultura, caratteristica del primo periodo, seguì poco a poco un graduale avvicinamento a quel mondo già tenuto lontano.

Ragione di forza per l'ordine era pure la sua costituzione interna, sancita nella "Carta di carità", nel 1119, dall'abate Stefano Harding: la quale costituzione, se da un lato lasciava alle singole abbazie una notevole autonomia interna, sotto la direzione dell'abate, dall'altra impediva il disgregamento dell'ordine, sottoponendo tutti gli abati alla sorveglianza dei "padri immediati", cioè degli abati delle varie abbazie fondatrici, e tutti poi, alla vigilanza dell'abate di Cîteaux, nella sua qualità di padre universale dell'ordine. Questi, a sua volta, era sorvegliato dagli abati delle 4 prime filiali, La Ferté, Pontigny, Chiaravalle, Morimond, che erano i quattro primi padri dell'ordine. Ogni anno, a Cîteaux, si radunavano gli abati di tutti i monasteri per i capitoli generali, i quali costituivano come l'assemblea legislatrice dell'ordine, con facoltà d'interpretare le Consuetudini di Cîteaux (v. consuetudine), di promulgare decisioni, ecc.

L'ordine ebbe vita fiorentissima fino al sec. XIV; da allora decadde, e a partire dal sec. XV si frazionò in congregazioni diverse: quella dell'osservanza di S. Bernardo o del Monte Sion (1425); quella di San Bernardo di Toscana (1547); quella romana (1623); quella di Calabria (1633), e altre ancora. Uscirono anche dai cisterciensi i trappisti, nel sec. XVII.

Tuttavia, quando fu decretata dalla Convenzione nazionale la secolarizzazione di tutte le case religiose, rimanevano in Francia ancora 228 abbazie cisterciensi con 1875 religiosi. Con la riforma della Trappa (1664) i cisterciensi risultarono divisi in due grandi rami, quello dell'osservanza comune, o cisterciensi propriamente detti, e quello dell'osservanza primitiva, o trappisti, e rimasero distinti anche dopo l'iniziativa presa da Leone XIII di riunirli in un solo ordine (v. benedettini).

Bibl.: Oltre le opere citate nella bibliografia alla voce benedettini, cfr. L. Janauschek, Originum Cisterciensium, Vienna 1877; P. Hélyot, Dictionnaire des Ordres Religieux, V, Roma 1902; U. Berlière, L'ordine monastico dalle origini al sec. XII, trad. ital., di M. Zappalà, Bari 1928.

Architettura cisterciense. - Come tutte le altre varietà dell'architettura monastica, le forme specifiche della costruzione e dell'arte presso i cisterciensi debbono essere ricercate non in ragioni estetiche ossia ideali, ma in ragioni pratiche, corrispondenti al modo di vita stabilito dalla propria osservanza religiosa. Ora l'austera riforma benedettina, che costitul l'ordine cisterciense, era sorta per reazione contro l'agiatezza e certe delicate consuetudini, che si erano introdotte a Cluny, e persino contro la magnificenza e lo splendore delle chiese, dell'arredo per il culto, delle opere d'arte postevi per ornamento. Sono note le polemiche tra S. Bernardo, abate di Chiaravalle e Pietro il venerabile, abate di Cluny. Bernardo volle escluse dalle sue chiese pittura e scultura, qualunque rappresentazione figurata, e tanto più i ricchi pavimenti istoriati o multicolori, e tutto il misterioso simbolismo di animali fantastici o mostruosi. A Cîteaux in Borgogna, casa madre dei cisterciensi, e poco lungi di là a Chiaravalle, nei due primi monasteri dell'ordine si menava in ogni cosa vita così povera, che si capisce benissimo quale piccola parte allora potesse restare per l'arte e per l'estetica. Nel cosiddetto "Monasterium vetus" di Chiaravalle sussisteva ancora perfettamente conservato nel 1667, e ci è descritto dal benedettino Dom. Méglinger nel suo Iter cisterciense n. 69 (Migne, Patr. Lat., 185), l'oratorio del primitivo monastero di S. Bernardo: quattro pareti affatto nude, tre altari, il maggiore dedicato a Maria SS., gli altri a S. Benedetto e a S. Lorenzo, una croce di legno, alcuni vasi sacri; né pitture, né sculture, né altro ornamento, nemmeno una lampada.

Quando poi verso il 1135 la moltitudine degli aspiranti alla vita monacale rendeva necessario pensare a una nuova fabbrica, e Bernardo s'arrese alle istanze dei suoi, allora a Chiaravalle si vide sorgere per incanto chiesa e chiostro, tutto un monastero con le sue dipendenze, condotto a regola d'arte, secondo le consuetudini monastiche, nella disposizione tradizionale già comprovata dall'uso, senza essenziale differenza da Cluny, o da altre abbazie, tralasciando la grandiosità e la ricchezza, e senza la minima preoccupazione di stile. Quindi la chiesa orientata con la facciata a ponente; pianta a croce latina, tre navate coperte di vòlte, come voleva la rigidezza del clima e la difesa dagl'incendî; poi sul lato meridionale della chiesa, il più soleggiato, il chiostro grande, con il capitolo, il refettorio, l'abitazione dei monaci, e gli altri uffici comuni, con naturale e facile accesso alle circostanti officine esterne, alle dispense, granai, forni, stalle, masserie e altri servizî. Tali disposizioni trasmesse dall'una abbazia alle altre che per filiazione si andavano moltiplicando con incredibile rapidità, erano osservate sempre che particolari circostanze non imponessero qualche ragionevole variante, come poteva accadere per la natura del terreno, per l'andamento delle acque, per l'adattamento a qualche fabbrica preesistente. Onde nasceva nelle dimore e costruzioni cisterciensi una certa somiglianza o quasi aria di famiglia, non difficile anche a riconoscere, per alcune proprietà costruttive, nelle chiese particolarmente, di cui non poche si sono conservate fino a noi.

Non così purtroppo è avvenuto della principale di Chiaravalle in Borgogna: ma ne conosciamo però le dimensioni, la pianta, il disegno generale. Lunga cento metri circa, larga venticinque, terminava con un braccio trasverso di 54 metri, con un coro nel mezzo per l'altare, poco profondo e terminato al principio da una parete ad angolo retto, con tre finestre, e ai due lati due cappelle per parte, parallele al coro, aperte sul braccio traverso. Più tardi, crescendo il numero dei monaci, per la necessità di moltiplicare gli altari da celebrarvi, fu demolita la parete terminale del coro e sostituita con una corona di nove cappelle radiali di forma trapezoidale, ma prossima quanto si poté al quadrato, contenute all'esterno tutte da un unico muro perimetrale e sotto un tetto comune. Lo stesso era stato necessario fare a Pontigny, altra delle prime e più importanti badie cisterciensi. Donde l'anomalia, che due addirittura delle più autorevoli chiese abbaziali si trovino a fare eccezione, a mancare cioè di una delle caratteristiche conuni alla grandissima maggioranza delle altre.

Quello però che più propriamente sarebbe il coro, nel senso liturgico, cioè lo spazio per gli stalli dei monaci che prendono parte all'ufficiatura, era situato dinnanzi all'altare e occupava una parte della navata maggiore, estendendosi fin sotto la crociera, che spesso era sormontata da una torre-lanterna o tuburio con le campane, che si potevano suonare a tempo opportuno dal coro stesso per le funi pendenti attraverso un foro nel mezzo della vòlta.

Tuttavia nelle chiese che si vennero successivamente innalzando dai cisterciensi, lo stile non mancò di mostrarsi e farsi valere. Come già l'ordine di Cluny, avendo toccato l'apogeo della sua floridezza nei due secoli precedenti, tra il X e il XII, aveva lasciato nelle sue chiese, di Francia massimamente, i più grandiosi e più perfetti esempî di quella maniera che fu poi denominata romanica: il novello germoglio di Cîteaux invece nacque e prese il suo primo sviluppo quando appunto nasceva e prendeva a svolgersi rigogliosa la costruzione ogivale, ossia la maniera chiamata poi stile gotico. Questa non tardò a divenire di mano in mano più familiare ai costruttori, monaci e laici; onde con la propagazione propria l'ordine cisterciense, senza alcun proposito prestabilito, contribuì non poco a divulgare la pratica dello stile ogivale.

L'influenza fu risentita certamente anche in Italia, verso la fine del sec. XII, tanto che a molti parve quasi dimostrato che ai cisterciensi di Borgogna fosse da ascrivere senz'altro l'introduzione dello stile gotico in Italia: così sulle orme di Camillo Enlart, che farebbe di Fossanova, Casamari, S. Maria d'Arabona in Abruzzo, addirittura gl'incunaboli dello stile gotico in Italia. Studî più recenti di A. Serafini, tendono a dimostrare che non sussiste alcun rapporto tra la fondazione cisterciense di Fossanova e le abbazie cisterciensi oltremontane. Fossanova ad ogni modo e Casamari, nel Lazio, Chiaravalle presso Milano, Chiaravalle della Colomba nel Piacentino, Chiaravalle di Castagnola nelle Marche, Staffarda presso Saluzzo in Piemonte, Rivalta Scrivia presso Tortona e altre ancora possono tuttora dare un'idea della maniera propria della costruzione cisterciense, secondo le forme assunte nell'adattarsi alle condizioni ed ai materiali delle varie regioni. Semplicità, congiunta sempre alla sollecitudine della saldezza; spazi ampi, sfogati; speroni e contrafforti esterni a controbilanciare la spinta delle vòlte, le più antiche a crociera, indi su costole ogivali; evitata la complicazione degli archi rampanti; pilastri cruciformi con colonne incassate sotto gli archivolti. Nelle chiese più recenti e nelle regioni più colte, come a S. Galgano di Siena, la fattura è sempre più raffinata.

Bibl.: É. Viollet-le-Duc, Dict. de l'architecture française, I, s. v. Architect monast., Parigi 1875; R. de Lasteyrie, L'architecture religieuse en France à l'époque romane, Parigi 1912 (nuova ed. 1929); id., L'arch. relig. en France à l'ép. goth., Parigi 1926-28; C. Enlart, Origines françaises de l'arch. goth. en Italie, Parigi 1894; A. Serafini, L'abbazia di Fossanova e le origini dell'architettura gotica nel Lazio, Roma 1924; A. Canestrelli, L'abbazia di San Galgano, Firenze 1896; P. Lugano, L'abbazia cisterciense di Rivalta Scrivia, Tortona 1916; id., I cisterciensi e le loro propaggini nell'Alta Italia, in Riv. storica benedettina, Roma 1911.

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