GORETTA, Claude

Enciclopedia del Cinema (2003)

Goretta, Claude

Ester C. de Miro d'Ajeta

Regista cinematografico svizzero, nato a Ginevra il 23 giugno 1929. Tra i maggiori esponenti del cinema svizzero, ha mostrato nei suoi film situazioni e personaggi permeati da una sorta di 'disperato ottimismo', da un lato risolto in un'intensa gioia creativa capace di riscattare l'angoscia e la frustrazione dell'esistenza quotidiana, dall'altro calato nell'osservazione accorata, attenta e partecipe del dolore del mondo e della dignità degli umili. Laureatosi in legge, dopo un'esperienza di cinéphile in cui, assieme ad Alain Tanner, programmò in un cineclub di Ginevra film del Neorealismo italiano, della Nouvelle vague e documentari sociali tedeschi censurati dal nazismo, durante un soggiorno a Londra in compagnia dello stesso Tanner, G. entrò in contatto con la scuola documentaristica inglese, sviluppatasi grazie a John Grierson e resa celebre da Robert Flaherty, oltre che con il cinema di Karel Reisz, Tony Richardson, Lindsay Anderson. Inglese fu l'esordio dei due registi svizzeri con Nice time (1957), insolito documentario composto da riprese realizzate il sabato sera a Piccadilly Circus e riunite, con movimentate ellissi, a formare un'unica serata tra i giovani a caccia di divertimento e di evasione. Rientrato a Ginevra dopo questa esperienza, G. lavorò per la televisione della Svizzera romanza, dove nel corso degli anni Sessanta realizzò telefilm e adattamenti da opere teatrali e letterarie, oltre a servizi e documentari. Fin dagli inizi si è proposto come 'avvocato difensore' della gente qualunque, di cui ha saputo denunciare debolezze e vigliaccherie senza però cadere nella caricatura. Un atteggiamento etico e deontologico che lo ha portato a non abusare mai del suo ruolo di regista. Proprio questa delicatezza, questo rispetto degli altri, lo indussero a passare alla fiction quando si accorse che l'intrusione nella vita altrui attraverso il documentario sociale poteva essere dannosa, senza peraltro riuscire a produrre un'immagine veritiera della realtà.Nel 1970 realizzò il primo lungometraggio, Le fou, con François Simon nel ruolo di un pensionato che, truffato dalle banche, si vendica un po' alla volta con piccoli furti in cui mette in opera tutta la proverbiale meticolosità svizzera, per finire poi ucciso da un poliziotto. A partire da questo film, G. ha intrapreso un percorso di umanista e di 'entomologo della società' testimoniato anche da L'invitation (1973; L'invito), premiato al Festival di Cannes, in cui l'invito a una festa per l'improvvisa fortuna economica di un impiegato diventa l'occasione per denunciare le meschinità e i sogni falliti di una piccola comunità. G. si è rivelato così ritrattista di personaggi 'normali', coloro che, secondo una sua espressione, "vinti dalla vita, non hanno alcun appuntamento con la Storia". Ciò vale anche per le protagoniste di altri due film, La dentellière (1977; La merlettaia), in cui Isabelle Huppert è interprete ideale della vittima, la silenziosa e candida Pomme che non resisterà all'abbandono da parte di chi l'ha amata, e La provinciale (1980), in cui Claire (Nathalie Baye) ha invece la forza di opporsi all'ipocrisia e alla corruzione della città per scegliere di tornare da dove è venuta. Questi due film, forse più di altri, mostrano la disponibilità e l'acutezza del regista nel capire la sofferenza degli umili, il loro dolore muto che spesso non appare, e che solo uno sguardo molto attento riesce a scorgere oltre l'arroganza della civiltà del bluff, della superficialità e dello sfruttamento. Con La mort de Mario Ricci (1983; La morte di Mario Ricci) G. è tornato ad analizzare le tensioni e le fratture di un gruppo sociale, quello di Etiolaz, immaginario villaggio del Jura dove un giornalista televisivo si reca a intervistare uno studioso che in passato si è battuto contro la fame nel mondo e che ora attraversa una crisi di inattività. Il personaggio dell'intervistatore ‒ quasi alter ego del regista e motore della vicenda ‒ offre a Gian Maria Volonté l'occasione per una straordinaria performance, coronata dal premio per il miglior attore al Festival di Cannes. Dopo aver realizzato nel 1985 il film opera Orfeo, da C. Monteverdi, il regista ha tratto da un romanzo di Ch.F. Ramuz ‒ scrittore svizzero del quale aveva già adattato per la televisione Jean-Luc persécuté (1966), storia d'amore, di follia e di morte ambientata in un contesto montano ‒ Si le soleil ne revenait pas (1987; Se il sole non tornasse), una vicenda che si svolge anch'essa in montagna, in una gola che per sei mesi non vede il sole e che diventa una grande metafora della vita. Hanno fatto seguito il documentario sulla mafia Les ennemies de la mafia (1988) e il melodramma a sfondo politico L'ombre (1991). Dal 1991 G. ha ripreso la sua attività televisiva e da allora non ha realizzato film.

Bibliografia

F. Buache, Trente ans de cinéma suisse: 1965-1995, Paris 1995; Claude Goretta, catalogo del 58° Incontro internazionale del Cinema di Pontarlier, marzo 2001, Pontarlier 2001.

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