CLEMENTE Alessandrino

Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)

CLEMENTE Alessandrino

F. Di Capua

Apologeta cristiano. Nacque verso la metà del II sec., probabilmente in Atene, da genitori pagani.

Avido di sapere, viaggiò molto; dopo aver visitato la Grecia, l'Italia, la Siria, la Palestina, l'Egitto, in cerca della vera dottrina, si fermò in Alessandria circa il 180, attratto dall'insegnamento di Panteno, comunemente considerato quale fondatore della scuola catechetica di Alessandria. Convertitosi al Cristianesimo, assunse, verso il 190, l'insegnamento della scuola di alta cultura religiosa, per ordine del vescovo Demetrio. La persecuzione di Settimio Severo (202-3) lo costrinse ad abbandonare Alessandria; circa il 210 si trovava a Cesarea presso il suo discepolo Alessandro, che poi fu vescovo di Gerusalemme. Morì tra il 211 e il 216.

La maggiore attività di C., quale professore, predicatore e scrittore, si svolse in Alessandria, la città più importante dell'Impero, dopo Roma. Qui si formò la sua personalità di filosofo, di cristiano e di scrittore, e la posterità giustamente lo conobbe come C. Alessandrino. Egli scrisse molto; ma la sua fama è legata alle tre opere principali il Protreptico, Προτρεπτικὸς πρὸς "Ελληνας; il Pedagogo, Παιδαγωγός, in tre libri, e gli Stromati, Στρωματεῖς, in otto libri. Il Protreptico è una delle migliori apologie del Cristianesimo. Dopo un introduzione molto elaborata, nella quale si esortano i pagani ad ascoltare la voce del Verbo, in una prima parte si confutano la mitologia, il culto e i misteri pagani, denunciandone la stoltezza e l'immoralità; poi si passa a confutare gl'insegnamenti dei filosofi, specialmente circa la divinità, rilevandovi errori e contraddizioni. Le poche verità che s'incontrano nei filosofi, furono, secondo C., attinte da Mosè e dai profeti; è preferibile, quindi, ascoltare direttamente da essi la voce del Verbo, che ha rivelato all'uomo tutta la verità. Dopo aver risposto all'obiezione dei pagani, che non era un bene abbandonare la religione degli avi, il libro termina con una calda perorazione a ricevere il battesimo, presentato con espressioni e colori simili a quelli dell'iniziazione misterica.

Il Pedagogo è una specie di esposizione della morale cristiana, nella quale, secondo il costume degli antichi, s'intrecciano pure precetti di buona creanza. Nel primo libro, Cristo è presentato come il maestro e l'educatore dei cristiani; nel secondo e terzo si danno norme pratiche circa i costumi, il vitto, il riposo, le abitazioni, i bagni, gli abiti, gli ornamenti, le relazioni matrimoniali e sociali, ecc. Le esortazioni ai cristiani s'intrecciano con aspre polemiche contro i costumi pagani, vani e immorali; ma queste non degenerano fino al disprezzo per i benefici della vita e della civiltà.

Gli Stromati sono un'opera un po' slegata, alla quale mancò l'ultima mano. Trattano dei rapporti tra la filosofia e la dottrina cristiana e vi si cerca di dimostrare che i filosofi pagani attinsero molte dottrine da Mosè e dai profeti e che il Cristianesimo è la vera filosofia. In ultimo si traccia la figura del vero gnostico, cioè del perfetto cristiano. Gli Stromati, o, come dice un sottotitolo, "Tappeti di commentarî scientifici sulla vera filosofia", sono stati da molti creduti come l'ultima parte di una trilogia dopo il Protreptico e il Pedagogo; ma ora ciò è messo in dubbio da molti critici.

Oltre queste tre opere principali ci sono pervenute: una orazione sul buon uso delle ricchezze, Τίς ὁ σωζόμενος πλούσιος, Quis dives salvetur; frammenti di una vasta opera esegetica, ῾Υποτυπώσεις, Adumbrationes; infine, Excerpta ex Theodoto (gnostico valentiniano) e le Eclogae propheticae, che sono passi di altri scrittori e appunti scritti per opere future.

Come gli apologisti Atenagora e Taziano, anche C. dalla polemica contro l'idolatria, prende l'occasione per ricordare parecchie opere d'arte, specialmente statue. Il cap. iv del Protreptico presenta un particolare interesse per lo studio della storia dell'arte. C. ricorda come anticamente gli uomini adorassero oggetti che non avevano una forma umana: gli Sciti adoravano l'acinace (spada), gli Arabi una pietra, altri popoli, pali altissimi di legno e colonne di pietra, dette ξόανα, perché levigate. Il simulacro di Artemide in Icaro era un pezzo di legno non lavorato; quello di Hera Citeronia in Tespia era un tronco tagliato; quello di Hera in Samo era prima una tavola e solo più tardi fu foggiato in forma umana. C. cita Varrone, il quale dice che, in Roma, lo ξόανον di Marte era un'asta. Più tardi, col fiorir dell'arte, gli uomini fecero idoli in forma umana. Allora Fidia plasmò d'oro e di avorio Zeus in Olimpia e la Poliàs di Atene; Smilis, figlio di Eukleides, l'Hera in Samo; delle tre Eumenidi in Atene, due sono opera di Skopas; quella di mezzo è di Kalos; lo Zeus e l'Apollo di Patara, in Licia, sono pure opere di Fidia, come i leoni che sono presso di essi, quantunque altri li attribuiscano a Bryaxis; le statue di Posidone e di Anfitrite, alte nove cubiti, in Teno, sono di Telesios, ateniese. Lo xòanon di Hera in Tirinto è attribuito ad Argos, la statua di Dioniso Morychos in Atene è di Sikyon, figlio di Eupalamos; le statue dei Dioscuri in Samo, di Eracle in Tirinto e lo xòanon di Artemide Munychia in Sicione sono opere degli scultori Skyllis e Dipoinos che pare siano stati cretesi.

La statua di Serapide, che alcuni credono opera non fatta da mano di uomo, offerta dai Sinopei a Tolomeo Filadelfo, era prima uno xòanon di Plutone, ma c'è chi l'attribuisce ad altri artisti. Spesso C. indica anche la fonte a cui egli attinge le sue notizie su gli artisti.

Questo capitolo contiene parecchie altre notizie e diversi aneddoti. C. ricorda come Sesostris condusse in Egitto alcuni artisti greci, uno dei quali costruì una statua di Osiride servendosi come materia di limatura di oro, di argento, di rame, di ferro, di piombo e di stagno, mescolata con frammenti di zaffiro, di ematite, di smeraldo e di topazio. Enumera parecchi templi antichi andati distrutti dal fuoco e alcune artistiche sepolture. Ricorda le statue di Hermes, collocate innanzi alle porte e quelle della Fortuna, poste dai Romani nelle latrine. Ricorda come fosse facile riconoscere le immagini e le statue dei diversi dèi dalle caratteristiche proprie di ognuno: Dioniso dalla veste; Efesto dalla sua arte; Demetra dalla sua sventura; Ino dal velo; Posidone dal tridente; Zeus dal cigno; Eracle dalla pira e Afrodite dalla nudità.

Per combattere l'idolatria accenna al dispregio mostrato da alcuni contro le statue delle divinità: Dionisio il giovane, che tolse dalla statua di Zeus il mantello di oro, sostituendolo con uno di lana; Antioco di Cizico, che fuse uno Zeus di oro alto quindici cubiti; Fidia, che iscrisse sul dito di Zeus Olỳmpios il nome del proprio amasio; Prassitele, che ritrasse nell'Afrodite di Cnido l'amante Cratina; molti scultori ateniesi, che si servirono della meretrice Frine per modellare le loro Afroditi, mentre altri si servirono di Alcibiade quale modello per ritrarre Hermes. Ricorda pure gli atti osceni commessi da due squilibrati su le statue di Afrodite di Cipro e di Afrodite di Cnido. Accenna alle statuette di Pan, a quadretti di fanciulle nude, di satiri ubriachi e d'itifalli e ad altri dipinti osceni posti nei cubicoli, tra cui le varie posizioni descritte da Filenide. Molti si facevano scolpire nella gemma degli anelli Leda con il cigno. Questo capitolo ricco di notizie sulle opere d'arte antiche, contiene pure qualche acuta osservazione su l'arte in generale. La frase "l'arte di Apelle e le mani di Lisippo hanno rivestito la materia della forma della gloria divina" (Protrep., iv, 4, 62, 3) è stata avvicinata ad analoghe espressioni moderne.

Altre notizie sull'arte antica, specialmente sulle arti minori, si trovano nel Protreptico, v, 65; x, 98, 102; nel Pedag., ii, 9, 11, 12; iii, 2, 10, 11. Notevoli, negli Stromati (i, 74-6, 78-80), sono i cataloghi delle invenzioni con i nomi leggendarî di quelli che le avrebbero scoperte e degli autori che se ne occuparono.

C. è un grande erudito; nelle sue opere sono state contate più di 257 citazioni da 150 autori profani. Come scrittore, egli è un po' diseguale; a pagine limpide, eleganti e ben costruite, s'alternano lunghe digressioni, frequenti ripetizioni. Le due opere letteratiamente migliori, sono il Protreptico e il Quis dives salvetur.

L'ideale che C. vagheggia, nella sua opera di maestro cristiano e di scrittore, è la conciliazione della filosofia greca con la nuova religione. Ciò lo costrinse a dare un largo sviluppo all'interpretazione allegorica della Bibbia. In questo egli fu discepolo di Filone e maestro di Origene.

Bibl.: Su C. si è scritto moltissimo, specialmente in questi ultimi anni. Una scelta bibliografia critica sino al 1906 si ha in E. De Faye, Clément d'Alexandrie, Parigi 1906, pp. 323-39; fino al 1922, in I. Hering, Étude sur la doctrine de la chute et de la prééxistence de l'âme chez Cl. d'Al., Parigi 1923. Per gli studî più recenti, cfr. C. Mondésert, Clément d'Al., Parigi 1944; J. Patrick, Clement of Alexandria, Edinburgo 1914; Ch. Bigg, The Christian Platonists of Alexandria, Oxford 1913; G. Bardy, Clément d'Alexandrie, Parigi 1925; J. Meifort, Der Platonismus bei Clemens Alexandrinus, Tubinga 1928; J. Munck, Untersuchungen über Klemens von Alexandrien, Stoccarda 1933; G. Lazzati, Introduzione allo studio di C. Alessandrino, Milano 1939; M. Pohlenz, Klemens von der Akad. der Wiss. zu Göttingen, 1943, pp. 103-180; C. Mondésert, Clément d'Alexandrie. Introduction à l'étude da sa pensée religieuse à partir de l'Écriture, Parigi 1944; Th. Camelot, Foi et Gnose. Introduction à l'étude de la connaissance mystique chez Clément d'Alexandrie, Parigi 1945; L. Alfonsi, L'elemento artistico nel Protreptico di C. Alessandrino, in Scuola Catt., 1945, pp. 209-216; J. Scham, Der Optativgebrauch bei Clemens von Alexandrien in seiner Sprache und stilgeschichtlichen Bedeutung, Paderborn 1913; E. Tengblad, Syntaktischstilistische Beiträge zur Kritik und Exgese des Klemens von Alexandrien, Würzburg 1934.

I mss. del Protrep. e del Pedag. derivano tutti dal cod. Parisinus greac. 451, che è il celebre codice del vescovo Areta, scritto dal suo segretario Boanes nel 914; gli Stromati, sono stati conservati dal Medicaeo-Laurentianus, Pl. V, c. 3, sec. IX e da una sua copia, Parisinus, Suppl. gr., 250.

L'Editio princeps delle opere di C. è quella stampata a Firenze, 1550, da Petrus Victorius; il vescovo anglicano I. Pater ne diede una migliore (Oxford 1715), ristampata nel Migne (P. G., 8 e 9). Ottima edizione critica di Otto Staehlin nel Corpus di Berlino, con copiosi indici, in 4 voll. (1906-8). Buone traduzioni di O. Staehlin in tedesco, del Wilson in inglese, del Bardy e del Mondésert in francese. In italiano si ha un'ottima traduzione del Protreptico di Q. Cataudella, Corona Patrum Salesiana, Torino 1940; una discreta del Pedagogo, di A. Boatti, Torino 1903. Sulle fonti di C., v. Merk, C. Alessandrinus in seiner Abhaengigkeit von der griechischen Philosophie, Lipsia 1878; I. Gabrilsson, Ueber die Quellen des Clemens Alexandrinus, Upsala 1906-09; G. Lazzati, L'Aristotele perduto e gli scrittori cristiani, Milano 1938. Sempre utili le Dissertationes del maurino L. De Nourry, ristampate in Migne, P. G., IX, col. 797-1484.

Per gli artisti citati da C., J. Overbeck, Die antiken Schriftquellen zur Geschichte der bildenden Kunst bei den Griechen, Lipsia 1888; Gesch. d. gr. Plastik, Lipsia 1898; L. de Nourry, op. cit., 902 L. 15,998-1000. Sul catalogo delle invenzioni: M. Kremmer, De catalogis heurematum, Lipsia 1890; A. Wendling, De peplo aristotelico, Quaestiones selectae, Strasburgo 1891.

TAG

Dionisio il giovane

Tolomeo filadelfo

Settimio severo

Cristianesimo

J. overbeck