COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE (abbreviato CLN)

Ilario DELLE PIANE

Unione dei partiti e movimenti politici che in Italia e, con lo stesso nome o nomi simili, anche all'estero (Francia, Belgio, Olanda, ecc.) diresse e coordinò la resistenza contro gli occupanti tedeschi e i loro sostenitori indigeni nell'ultima fase della seconda Guerra mondiale e che, a liberazione avvenuta per opera propria e delle truppe delle Nazioni alleate, costituì il primo nucleo di governo.

In Italia l'origine prima dei Comitati di liberazione può trovarsi nell'esigenza sentita dalle diverse forze dell'opposizione antifascista di tenersi a contatto e coordinare la propria azione. I "progenitori" dei CLN sarebbero così, le varie alleanze e "concentrazioni" costituite all'estero e in alcuni casi e luoghi realizzate all'interno avanti il 25 luglio 1943, le quali si concretarono un po' dappertutto e si palesarono dopo questa data nei Comitati interpartiti, organi del Fronte della libertà, come fu chiamata allora la coalizione dei partiti antifascisti. Dopo l'armistizio e l'occupazione tedesca di gran parte del paese, nel vuoto di autorità che si venne a creare con la fuga del governo italiano nel meridione e con il disfacimento dell'esercito e la sottomissione (sia pure non sempre in egual misura e con notevoli eccezioni) dell'amministrazione civile al nemico, i Comitati interpartiti si trasformarono in CLN, così a Roma, dove si costituì il comitato centrale (CCLN), come in molte altre città. Tuttavia, la filiazione da quelle lontane coalizioni e perfino da questi più recenti comitati interpartiti, pur sembrando diretta, è in fondo soltanto generica. Ché questi erano punto d'incontro esclusivamente di forze organizzate e la formula sulla quale si fondavano era prevalentemente negativa: combattere il fascismo; sebbene nei comitati del periodo badogliano l'atteggiamento, considerato retrivo, del governo e la preponderanza in essi dei partiti di sinistra li conducesse sempre più su un piano di rivendicazioni positive e di critica alle forze politico-sociali che si raccoglievano intorno al re e al suo ministero. Al contrario, i Comitati erano espressione di un più vasto moto di opinione e vi convenivano non soltanto partiti ma altresì energie al di fuori di questi, e si fondavano su un programma sostanzialmente positivo: di guerra ai Tedeschi e al fascismo, ma anche di rinnovamento profondo della struttura politica, amministrativa, economica, sociale della nazione. Certo non è facile definire la natura e la funzione dei comitati, che non erano univocamente intese nemmeno dalle correnti che ad essi davano vita. Anzi, le maniere di concepirli erano assai diverse: e si andava da un estremo, per cui si considerava il compito dei comitati come affatto provvisorio e limitato al coordinamento delle forze patriottiche, ad un altro opposto, per il quale essi erano voluti vitali oltre il momento della lotta, nuclei anticipatori e generatori di una nuova costituzione statale. Ma, sorvolando su questi svariati modi di vedere (che pur contarono moltissimo), a chi guardi l'insieme e la sostanza della loro azione e le formulazioni ideologiche cui si attennero, i comitati si appalesano gli strumenti di lotta, la forma organizzativa, di più, i provvisorî organi istituzionali di una nuova classe politica distinta non soltanto da quella nazionalista-totalitaria del ventennio mussoliniano, bensì pure da quella borghese, libero-liberistica che guidò il paese dall'unità all'avvento della dittatura fascista. Una élite nuova, che cercava e, in parte, trovava la sua base nei ceti popolari per l'innanzi praticamente esclusi dalla vita pubblica e tendeva all'instaurazione di un regime democratico, socialmente progressista, in quanto ravvisava nel fascismo il risultato dell'insufficienza delle istituzioni, che la nazione aveva ricevute dal Risorgimento, a soddisfare le istanze della vita contemporanea e, soprattutto, della incapacità della vecchia minoranza dirigente a sentire e rappresentare veramente gli interessi generali della comunità.

Questa loro natura, che ben può dirsi rivoluzionaria, risulta d'altronde evidente dal fatto che - sotto la spinta dei partiti di sinistra - si posero subito come terzo governo fra quello fascista repubblicano e quello del Badoglio, non accontentandosi di cercare di fare le veci degli organi legali che erano venuti a mancare, ma assumendo fin da principio un atteggiamento di critica, di opposizione e di indipendenza dal governo di Brindisi, che basava la propria legittimità sulla continuità dello Stato ed era la concreta manifestazione della pretesa della vecchia classe politica a tornare al comando, e tendeva, conseguentemente, alla restaurazione della condizione prefascista.

E questa indipendenza e ostilità si conservò, in sostanza, sempre: tant'è vero che, anche quando, liberate le zone dove si trovavano, d; entro le truppe degli Alleati ritornarono i funzionarî dell'amministrazione centrale, i comitati non si sciolsero, bensì continuarono ad esistere in concorrenza e in contrasto con quelli, reclamando l'autogoverno e tentando di controllare tutta la vita locale. Né la formazione del primo gabinetto Bonomi, ufficialmente proclamato espressione del CLN, né il riconoscimento da parte del governo di Roma del Comitato dell'Alta Italia quale suo rappresentante, modificano nella sostanza la condizione detta e, per conseguenza, si oppongono alla interpretazione data. Infatti l'una appare come il tentativo preciso della classe politica nuova, postfascista, di impadronirsi del potere centrale e l'altro, vale a dire l'accettazione del CLNAI di operare quale mandatario del governo luogotenenziale, può intendersi come un atto formale di sottomissione fatto allo scopo di avere più regolari relazioni con le Potenze alleate e ricavarne maggiori aiuti, di rendere più stabili di fronte al Governo militare alleato (AMG) e a qualsiasi eventuale cambiamento ministeriale a Roma i provvedimenti di carattere indubbiamente rivoluzionario che il Comitato andava prendendo e più si riprometteva di prendere; e, specialmente, di introdurre defìnitivamente nell'amministrazione dello Stato elementi della nuova classe politica. E che, appunto, quell'atto fosse consigliato da ragioni tattiche e d'immediato utile lo prova l'osservazione che il CLNAI non volle mai legittimare la propria esistenza e la propria azione soltanto dichiarandosi rappresentante autorizzato del governo romano, ma volle sempre sottolineare che derivava la propria sovranità direttamente dal popolo (v. per tutte la formula contenuta nel Testo unico del decreto per l'assunzione dei poteri).

Certo, da regione a regione la fision0mia, l'opera e la storia dei CLN si presentano diverse. Tuttavia rimane comune questo: il sentimento e la volontà di rinnovare lo Stato. Ciò è meno chiaro se si guardano i comitati dell'Italia meridionale, i quali però, per il fatto stesso che si costituirono in regioni dove non era avvenuto, o non era avvenuto così completo come al nord, il disfacimento dell'antica amministrazione ed erano sotto il controllo del governo Badoglio, avvalorano l'interpretazione che si è proposta.

Comunque, non è tanto questi che occorre tener presenti, quanto gli altri, del centro e del settentrione, che si posero come veri e proprî governi locali e ne ebbero le caratteristiche poiché crearono un esercito indipendente da quello monarchico (le bande partigiane, poi riunite nel CVL); emanarono decreti ed ordinanze riguardanti le più svariate materie, e li fecero rispettare - come poterono - con la forza; imposero tasse ed emisero prestiti; amministrarono giustizia; e, financo, tennero rapporti di carattere internazionale. E tutto ciò nei territorî occupati dai Tedeschi. Ché, quando le forze partigiane riuscirono a liberare e controllare alcune zone del paese, l'opera politica e amministrativa di essi si fece ancora più larga, precisa ed inequivoca. E sempre evidente appare il fine che si diceva: costituire o, almeno, mettere le premesse di una democrazia veramente popolare e sociale, col portare uomini e ceti nuovi nella vita pubblica, con l'attuare l'autogoverno, col riformare la struttura economica facendo del lavoro il fattore principale della produzione.

Tratteggiare una storia unitaria dei CLN è cosa assai ardua per la già avvertita estrema varietà di essi. Come si disse, sorsero da un'esigenza spontanea, spesso indipendentemente l'uno dall'altro e talvolta perfino al di fuori, da principio, dei partiti. Diressero la Resistenza (v. in questa App.) in tutta Italia, in tutte le sue forme, attive e passive. A Firenze prima, in tutto il settentrione poi, condussero il popolo all'insurrezione armata contro i Tedeschi e i fascisti, facendo sì che molta parte d'Italia contribuisse a liberarsi con le sue stesse forze dalla occupazione straniera e dalla tirannia; e in questo modo contribuirono anche in maniera prevalente a modificare le intenzioni punitive delle Nazioni Unite e a fornire il paese di indiscutibili titoli per la sua riammissione nel concerto degli stati (cfr. il preambolo del Trattato di pace fra le N. U. e l'Italia). Governarono i territorî liberati fino all'arrivo dell'AMG e si posero come immediato compito di pace la ricostruzione economica e politica della nazione, alla quale avevano conservato, impedendone la distruzione per opera del nemico, gran parte dell'attrezzatura industriale. I partiti che li composero furono diversi. Generalmente erano presenti in essi quelli che formavano il CCLN, ossia il comunista, quello d'azione, il democratico cristiano, il socialista, il liberale e il democratico del lavoro. Questo ultimo, però, non faceva parte, perché non ancora là organizzato, dei CLN dell'Italia settentrionale. Per converso qui e nell'Italia centrale si trovano partecipanti ai comitati altri partiti, quali il repubblicano e il cristiano sociale.

L'organizzazione di essi variava da zona a zona. Per lo più i comitati erano comunali e facevano capo al comitato provinciale, a sua volta dipendente (qualche volta soltanto formalmente) da quello regionale. Nel settentrione, secondo le specifiche esigenze della zona, tagliata per lunghi mesi dal resto d'Italia, si costituì, al disopra di quelli regionali, il CLNAI, che fu il massimo organo della Resistenza italiana. Inoltre, sempre nel nord, i comitati si articolarono nella maniera più ampia, fino al CLN di rione, di fabbrica, di azienda, di categoria professionale, attuando un ordinamento capillare, controllante ogni settore della vita del paese, in vista dell'insurrezione armata, della necessità di governare la zona prima dell'arrivo dell'AMG e del fine di radicale rinnovamento che ci si riprometteva. Sempre a questi scopi, i CLN dell'Italia settentrionale includevano anche rappresentanti di organizzazioni militari e di massa, come il CVL, le Camere del lavoro, il Fronte della gioventù e l'UDI.

Il massimo sforzo di affermazione (sebbene, per molti aspetti, si fosse già in una posizione di difesa, e quello fosse proprio un estremo tentativo di non ritirarsi) compiuto sul terreno legale dalla classe politica che aveva espresso i CLN, fu quando questi riuscirono a mettere a capo del governo F. Parri. La caduta del suo ministero segna la sconfitta dell'azione di rinnovamento rivoluzionario che era il fine politico ultimo di una parte dei membri dei comitati. Indubbiamente non tutto andò perduto: ma la soluzione, invece che rivoluzionaria, fu di compromesso. Ciò fu dovuto in parte a ragioni esterne, quali l'atteggiamento degli Alleati e l'opera della classe politica prefascista, che aveva ancora saldissime radici nel paese, volta a ridare alla nazione quell'ordine e quella pace che essa vedeva unicamente nel ripristino dei tradizionali istituti parlamentari e amministrativi, e per il resto a ragioni intrinseche alla medesima costituzione dei comitati, perché vigeva in essi il principio dell'unanimità, e bastava, perciò, il voto contrario di pur un solo partito per paralizzare ogni iniziativa.

Sicché, quando i CLN, con l'elezione dell'Assemblea costituente, si sciolsero, erano già morti nella realtà politica.

Bibl.: Sono fonti essenziali: Documenti ufficiali del Comitato di Liberazione per l'Alta Italia, Milano 1945; I CLN nell'Alta Italia. Formazione e funzionamento, Roma 1945; Costituzione ed attività degli organi del potere democratico nelle zone liberate, Roma 1945. Testimonianza diretta e ricca è: E. Sereni, CLN, Il Comitato di Liberazione della Lombardia al lavoro, Milano 1945. Mentre è un tentativo di interpretazione storica: M. Delle Piane, Funzione storica dei Comitati di Liberazione, Firenze 1946.

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