COMPETENZA

Enciclopedia Italiana (1931)

COMPETENZA

Benedetto LIUZZI
Alfredo JANNITTI PIROMALLO
Gino SPAGNOL

È il complesso delle attribuzioni degli organi delle persone giuridiche pubbliche, considerati sia isolatamente che in gruppo. Questa nozione si contrappone a quella di diritto subiettivo. I diritti subiettivi possono spettare alle persone giuridiche pubbliche, non ai loro organi.

Diritto amministrativo.

La competenza si distribuisce secondo varî criterî: per territorio, per materia, per grado e per valore, Relativamente all'ambito territoriale si distinguono organi che hanno competenza su tutto il territorio dello stato o più genericamente della persona giuridica pubblica (centrali o generali; per esempio, nello stato, il re, il primo ministro), organi che non hanno competenza localizzata in una zona ma sono posti in sedi diverse (i cosiddetti organi localizzati, per es., istituti di istruzione), organi che hanno competenza solo su una parte del territorio (per es., il prefetto). Il sistema della concentrazione delle funzioni nell'ambito di una persona giuridica pubblica negli organi centrali è detto dell'accentramento, quello della distribuzione tra organi a competenza territoriale limitata, del decentramento burocratico. La nozione di decentramento burocratico va distinta da quella di decentramento istituzionale che riguarda il sistema del deferimento di funzioni a enti diversi dello stato (per es., i comuni), in contrapposizione al sistema dell'accentramento delle funzioni pubbliche nello stato.

La distribuzione della competenza per materia (o come taluno preferisce dire la determinazione della competenza secondo il criterio obiettivo) avviene in relazione alla diversità dell'oggetto dell'attività degli organi pubblici. Per esempio di regola avviene in questa maniera la distribuzione della competenza tra i varî ministeri (in Italia si ebbe un'eccezione nell'immediato dopoguerra col Ministero delle terre liberate), tra i varî uffici di uno stesso ministero, tra prefetto e intendente di finanza, tra i varî uffici dell'amministrazione comunale.

Si ha la competenza per grado (o, come taluno preferisce dire, la competenza funzionale) quando un organo di una persona giuridica pubblica ha la facoltà di compiere in casi eccezionali un atto normalmente di competenza d'un organo inferiore subordinato gerarchicamente, o appartenente a un ente distinto ma sottoposto a tutela (per esempio, facoltà della Giunta provinciale amministrativa rispetto agli organi ordinarî del comune che non possano funzionare, articoli 219, 220, 269 legge comunale e provinciale, e gli altri casi cosiddetti di tutela di surrogazione ordinaria) e contro il cui atto la legge accorda un ricorso gerarchico improprio (cioè ad autorità alla quale quella contro il cui atto è accordato ricorso non è gerarchicamente subordinata), o nei confronti del quale l'autorità superiore si è servita del suo potere di avocazione. Nei primi tre casi la competenza dell'autorità superiore presuppone di solito che il comportamento dell'inferiore (positivo o negativo) sia stato illegittimo o inopportuno.

La competenza è per valore (secondo un'autorevole dottrina è un caso che rientra nella competenza per materia) quando è attribuita in base al criterio del valore dell'affare.

La violazione delle norme sulla competenza nello stato moderno (in cui hanno un significato giuridico e uon di semplice opportunità tecnica, e sono ispirate dalla considerazione dell'interesse pubblico e di fornire una garanzia ai cittadini) implica per regola l'invalidità dell'atto, il quale è annullabile e revocabile. Nel nostro diritto positivo il principio è sancito dall'art. 26 della legge sul Consiglio di stato 26 giugno 1924, n. 1054, che accorda il ricorso al Consiglio di stato contro gli atti provenienti da un'autorità amministrativa o da un corpo amministrativo deliberante viziati da incompetenza. Per regola la competenza non è rinunciabile. La delegazione di competenza dal superiore all'inferiore (cioè un eccezionale conferimento di competenza in base ad un'apposita manifestazione del superiore) o la avocazione dell'affare da parte del superiore per sé non può avvenire che nei casi esplicitamente previsti dalla legge. Caso tipico di delegazione è quello della delegazione di attribuzioni al sottosegretario da parte del primo ministro delle sue facoltà di ministro per i ministeri affidati alla sua direzione (legge 24 dic. 1925, n. 2263, art. 4). Nei casi in cui ha luogo la delegazione o l'avocazione si parla di competenza delegata od avocata; questa può considerarsi un caso di competenza per grado. Si parla di un conflitto di competenza quando due o più organi di una persona giuridica, in un determinato affare, si dichiarano tutti competenti (conflitto positivo) o tutti incompetenti (conflitto negativo). In questi casi normalmente l'organizzazione amministrativa appresta gli organi o i rimedî per ottenere la soluzione del conflitto, specialmente quando sia possibile giungere ad un organo superiore rispetto al quale quelli in conflitto siano subordinati. Anche il privato ha negl'istituti della giustizia amministrativa i mezzi per raggiungere quello scopo.

In materia di giustizia amministrativa è anche regolato in maniera speciale, in base a principî posti dalla legge (regio decreto 23 ottobre 1924, n. 1672, legge 8 febbraio 1925, n. 88) o dalla giurisprudenza, il ricorso ad autorità incompetente, in modo che non sia privo di ogni effetto.

Bibl.: F. Cammeo, Corso di diritto amministrativo, Padova 1914, nn. 185, 275, 309; A. Salandra, Corso di diritto amministrativo, Roma 1921, p. 147; E. Presutti, Istituzioni di diritto amministrativo, I, Roma 1920, p. 163; Merkl, Allgemeines Verwaltungsrecht, Vienna e Berlino 1927, p. 321; Fleiner, Institutionem des deutschen Verwaltungrecht, Berlino 1928, p. 203; Porrini, I ministeri, in Tratt. di dir. amm. di V. E. Orlando, I, p. 572; Forti, I controlli della amministrazione comunale, in Tratt. di dir. amm. di V. E. Orlando, II, ii, p. 683. Anche la letteratura sugli atti amministrativi ha importanza in materia; in particolare vanno ricordati A. De Valles, La validità degli atti amministrativi, Roma 1927, cap. II; S. Trentin, L'atto amministrativo, Roma 1915, p. 357; K. Kormann, System der rechtsgeschäftlichen Staatsakte, Berlino 1910, p. 167. Per la delegazione e l'avocazione v. anche S. Romano, Il comune, in Trattato di dir. amministrativo di V. E. Orlando, II, p. 596; id., Principi di dir. amm., Milano 1912, n. 62; V. E. Orlando, La giustizia amministrativa, 2ª ed., Milano 1929, p. 61; F. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano 1901 segg., n. 240; Girioli, I pubblici uffici e la gerarchia amm., in Tratt. di dir. amm. di V. E. Orlando, I, p. 309. Per i conflitti di competenza v. L. Armanni, I conflitti interni di amministrazione pubblica, Venezia 1900.

Diritto processuale penale.

La nozione di competenza vuole esprimere un concetto di limite della giurisdizione. Questa, in astratto, è l'attributo generico caratteristico del giudice; e, esercitata entro confini legislativamente prestabiliti, costituisce per il giudice stesso la sfera oggettiva della sua attività, la quale, in correlazione, gli conferisce una potesta soggettiva circoscritta a un ambito determinato, nei riguardi di ciascun affare, solamente ed esclusivamente.

Le ragioni che hanno indotto il legislatore, in ogni tempo e in tutti gli stati, a limitare sotto varî aspetti la giurisdizione, possono ridursi fondamentalmente a tre: 1. necessità di più sicure garanzie giurisdizionali in rapporto con la maggiore gravità dei reati; 2. economia funzionale soprattutto in relazione con il bisogno di agevolare la prova e rendere più facile la difesa; 3. indispensabile corrispondenza fra lo stadio specifico del processo e l'organo giurisdizionale destinato a presiederlo nello svolgimento. Ciascuna di dette ragioni prende origine da considerazioni derivanti da stati e interferenze d'indole privata, e si riflette sugl'interessi dei singoli, che vengono a contatto con la giustizia, ma tutte attengono, in definitiva, all'interesse collettivo preminente dell'amministrazione della giustizia: onde assumono, nel complesso, carattere di interesse pubblico, che la competenza è predisposta, in ultima analisi, a tutelare. Da questo carattere deriva il requisito della indisponibilità assoluta del regolamento di competenza da parte di tutti, organi e soggetti processuali, e, conseguentemente, la norma fondamentale che la violazione delle disposizioni sulla competenza deve essere rilevata, in ogni caso, anche d'ufficio, nei modi e termini stabiliti dalla legge, e produce nullità processuale.

Le categorie d'interessi che circoscrivono la giurisdizione, valgono, naturalmente, a distinguere altresì le varie specie di competenza: per materia, in quanto attiene all'entità dei reati valutati in rapporto al titolo o alla sanzione penale per essi stabiliti dalla legge; per territorio, in quanto si riferisce alla circoscrizione assegnata a ciascuno dei giudici pari alla competenza per materia, per attribuzione funzionale, in quanto ha relazione con l'esercizio della potestà giurisdizionale nelle varie parti o fasi processuali. Le ipotesi di competenza cosiddetta prorogata (diversa dalla corremonalizzata, già consentita dall'art. 440 del codice di procedura penale del 1865), per connessione o per ragione di persona, non aggiungono nuove specie a quelle già accennate, riferendosi a condizioni particolari, che inducono soltanto il legislatore a derogare eccezionalmente al regolamento ordinario o comune.

Adottato il criterio della bipartizione dei reati, la competenza per materia non è più dominata, come nel codice di procedura penale del 1865, dalla distinzione dei reati stessi in crimini, delitti e contravvenzioni,

Rimaste ferme le tre magistrature di merito, corte di assise, tribunale, pretore, i giudizî sui diversi reati vengono, invece, distribuiti fra di esse soltanto in ragione della quantità o qualità della pena.

La diffidenza che, con crescente accentuazione, si manifestò contro la giuria, determinò prima un assottigliamento della sua competenza, già sensibilmente ristretta nel codice processuale penale del 1913 in confronto del precedente, attraverso i regi decreti legge 15 luglio 1923, n. 3288, 20 marzo 1924, n. 371 e la legge 25 novembre 1926, n. 2008, detta per la difesa dello stato, e quindi la sua trasformazione in una magistratura mista, di giudici giurati e togati.

Il tribunale, giudice collegiale, offre le maggiori garanzie e raccoglie i maggiori consensi, quanto al giudizio sui più gravi reati; mentre il pretore, giudice singolo, è senza dubbio il più adatto a giudicare di tutti i reati che non rivestono particolare carattere di gravità, sempre che, s'intende, il giudicante dia affidamento per maturità e capacità di giudizio. Concretamente, secondo gli articoli 29, 30, 31 del codice di procedura penale approvato con regio decr. 19 ottobre 1930, n. 1399, appartiene alla corte d'assise la cognizione dei delitti per i quali la legge stabilisce la pena di morte o dell'ergastolo, ovvero la reclusione non inferiore nel minimo a otto anni o nel massimo a dodici anni; appartiene al tribunale la cognizione dei reati diversi da quelli indicati nell'articolo precedente, e che non sono attribuiti alla competenza del pretore; appartiene, infine, al pretore la cognizione dei reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, non superiore nel massimo a lire diecimila.

Tuttavia il procuratore del re può disporre, con provvedimento insindacabile, fino a che non sia per la prima volta aperto il dibattimento, la rimessione del procedimento al tribunale.

Per quel che concerne la competenza per territorio, secondo l'art. 39 del cod. proc. pen., per i reati commessi nello stato, in concreto essa coincide con la nozione di circoscrizione territoriale, nel senso che, di regola, il giudice deve ritenersi competente a conoscere dei reati assegnati alla sua competenza per materia commessi nell'ambito assegnatogli per esercitarvi la sua giurisdizione (forum delicti commissi). Mancando la possibilità di servirsi di tale criterio, la legge stabilisce regole sussidiarie; norme particolari determinano poi la competenza sui procedimenti riguardanti i minorenni, oppure i reati che si considerano soltanto commessi nello stato, o quelli commessi all'estero (articoli 40, ult. capov., e 41).

La competenza per attribuzione funzionale presuppone il regolamento delle altre per materia e per territorio, nonché la esclusione di ogni cumulo o successivo esercizio di diverse funzioni da farsi da un unico giudice nel medesimo processo. Per quel che la riguarda le distinzioni, connesse fondamentalmente, come si è già detto, alle varie parti o fasi processuali, si riferiscono alla separazione nel procedimento fra i tre stadî della istruttoria, del dibattimento o della esecuzione, ovvero fra primo grado e grado ulteriore. In ogni ipotesi, per rispetto a peculiari esigenze, e principale fra queste l'opportunità di una maggiore garanzia processuale, il giudice, in stretta connessione con l'importanza della materia da trattare, è singolo o collegiale.

Il regolamento di competenza, per materia, per territorio, e quindi per attribuzione funzionale, indisponibile, è derogato nei soli casi eccezionalmente disposti o consentiti dalla legge. Il caso principale di deroga è costituito dalla connessione che (secondo l'art. 45 del codice di procedura penale) si verifica: se i reati furono commessi nello stesso tempo da più persone riunite, o da più persone, ancorché in tempi e luoghi diversi, ma in concorso fra loro, ovvero da più persone in danno reciprocamente le une delle altre; se gli uni furono commessi per eseguire o per occultare gli altri, o in occasione degli stessi, ovvero per conseguire o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità; se una persona sia imputata di più reati; se la prova d'un reato o d'una circostanza di esso influisca sulla prova d'un altro reato o di una sua circostanza.

In rapporto alla materia, quando ricorra una delle dette ipotesi, la competenza per tutti i reati connessi imputati a una o più persone, spetta alla corte d'assise se alcuno di tali reati è nella sua competenza; negli altri casi spetta al tribunale, se alcuno dei reati è nella sua competenza,salvo che per ragioni d'opportunità non disponga diversamente il giudice dell'istruttoria.

In relazione al territorio, poi, la cognizione dei reati connessi soggetti a competenza di giudici diversi, avvenuti in diverse circoscrizioni di corti, tribunali, o preture, appartiene al giudice della circoscrizione nella quale fu commesso il reato, o il maggior numero di reati, di competenza della corte d'assise, il reato o il maggior numero di reati di competenza del tribunale.

Quando il giudizio su tutti i reati sia di competenza della corte d'assise, del tribunale o del pretore, la cognizione appartiene alla corte, al tribunale o al pretore della circoscrizione nella quale fu commesso il maggior numero di reati. Se i reati soggetti ad una stessa competenza siano stati commessi in pari numero in circoscrizioni diverse, il giudice che ne deve conoscere è designato da quello immediatamente superiore da cui dipendono tutte le predette circoscrizioni. In questo caso gli uffici del pubblico ministero trasmettono col loro parere gli atti al giudice superiore, il quale può anche ordinare la separazione dei giudizî e rinviarne la cognizione ai giudici rispettivamente competenti. Gli altri casi di deroga, poi, derivano dalla qualità personale dell'imputato, dalla proroga di competenza pretoriale e da particolari situazioni processuali.

Il dissenso fra due o più giudici circa la propria competenza a decidere su un fatto demandato alla giurisdizione di ciascuno di essi, fa sorgere un conflitto, positivo o negativo. Circa il regolamento di competenza per materia, secondo la legge processuale vigente il conflitto è possibile solamente tra il giudice di primo grado, il quale si dichiari incompetente in contrasto con il giudice dell'istruttoria, che con la sua sentenza di rinvio gli attribuiva la competenza; e tra il giudice di secondo grado e il giudice dell'istruttoria, quando il primo dichiari l'incompetenza del giudice di primo grado in contrasto con la sentenza di rinvio erroneamente da quest'ultimo accettata. In ordine alla competenza per territorio, si verifica il conflitto quando due o più giudici, e s'intende aventi eguale competenza per materia e per grado, contemporaneamente abbiano preso o ritenuto di non poter prendere cognizione dello stesso reato. In ogni caso decide sul conflitto la corte di cassazione, salvo che, trattandosi di conflitto di competenza per territorio, il conflitto stesso non cessi per effetto di dichiarazione emessa da uno dei giudici, spontaneamente o anche ad istanza di parte. Per la competenza limitatrice di giurisdizioni speciali e per i giudici dei varî gradi di giurisdizione, si rimanda alle singole voci.

Bibl.: E. Altavilla, Ancora della competenza territoriale nell'omicidio consumato, in Foro penale napoletano, 1927, p. 67; F. De Luca, Appellabilità o conflitto in materia di competenza, in Scuola positiva, 1927, p. 206; G. B. de Mauro, La competenza per connessione, in Rivista di diritto e procedura penale, I (1913), p. 321; R. De Rubeis, Determinazione della competenza secondo l'art. 17 c. p. p., in Rivista penale, II, supp., 1915, p. 86; G. Escobedo, Connessione soggettiva e connessione obiettiva, in Giustizia penale, 1914, p. 1350; E. Florian, Cenno sulla natura giuridica delle decisioni dichiarative d'incompetenza, in Rivista di diritto e procedura penale, II (1918), p. 398; L. Lucchini, Elementi di procedura penale, 5ª ed., Firenze 1921, p. 227 segg.; V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, II, Torino 1925, p. 33 segg.; G. Sabatini, Principî di diritto processuale penale italiano, Città di Castello, 1931.

Diritto processuale civile.

Il complesso dei criterî, in base ai quali si effettua la ripartizione del potere giudiziario, cioè della giurisdizione in materia civile, costituisce l'istituto della competenza civile. L'art. 67 del codice di procedura civile dice appunto che la competenza "è determinata per materia o valore, per territorio, per connessione o continenza di causa". Analogamente determinano la competenza dei proprî magistrati le legislazioni straniere. Ma, secondo le affinità che corrono tra i varî criterî e la loro diversa importanza, dalla dottrina processualistica italiana e straniera più progredita essi vengono meglio raggruppati a questo modo: 1. criterio oggettivo; 2. criterio funzionale; 3. criterio territoriale.

Il criterio oggettivo è tratto dalla 1iatura della causa (competenza oggettiva); e secondo che si ha riguardo al valore della controversia o all'oggetto della medesima si ha la competenza per valore o per materia. Limiti di competenza tratti dal valore della causa ci presentano già il diritto romano (ad es., la lex rubria fissava a 15.000 sesterzî la competenza dei magistrati municipali) e il diritto germanico antico; ma una vasta applicazione di questo criterio la troviamo solo nel diritto medievale italiano e in quelli che ne derivarono. Nel diritto italiano vigente, la principale ripartizione delle cause secondo il loro valore è la seguente: cause il cui valore non eccede quattrocento lire, assegnate ai conciliatori; cause il cui valore eccede quattrocento ma non cinquemila lire, assegnate ai pretori; cause il cui valore eccede cinquemila lire, assegnate ai tribunali. La teoria della competenza per valore studia il modo di determinare il valore d'una causa e questo studio comprende due problemi principali: su quale base e secondo quali criteri si determini il valore delle cause. Il criterio tratto dall'oggetto della causa si riferisce di solito allo speciale contenuto del rapporto giuridico in lite e alla convenienza di assegnarlo al giudice che, per la sua conformazione, sia meglio in grado di decidere. Esempî: questioni di imposte, assegnate ai tribunali; azioni possessorie e quasi possessorie, assegnate ai pretori. Spesso si ha riguardo al valore della controversia e all'oggetto della medesima presi insieme: così si ripartiscono fra i pretori e i conciliatori le azioni di sfratto per finita locazione, a seconda che il fitto per tutta la durata del contratto ecceda o meno le quattrocento lire. La qualità delle persone litiganti ebbe un tempo grande importanza nella formazione di giurisdizioni speciali (fora privilegiata); ma oggi per sé sola non influisce più sulla competenza del giudice, tranne in casi eccezionalissimi.

Il criterio funzionale è dato dalla speciale natura e dalle speciali esigenze delle funzioni che il magistrato è chiamato a esercitare in uno stesso processo (competenza per funzione); così vi sono giudici di primo grado e di secondo grado (competenza per gradi), giudici di cognizione e giudici dell'esecuzione. Per quanto la denominazione di questo speciale criterio di competenza sia recentissima, il criterio in sé è molto antico. Un caso tipico ci è fornito nel diritto processuale romano del periodo classico dalla ripartizione del processo in una prima fase, in iure, e in una seconda fase, in iudicio; ma anche la ripartizione della causa in più gradi di giudizio era già nota ai Romani.

Il criterio territoriale si connette alla circoscrizione territoriale entro la quale il giudice è chiamato a esercitare le sue funzioni (competenza per territorio). Le varie cause della stessa natura sono assegnate a giudici della stessa natura, ma in luoghi diversi; e l'assegnazione ha luogo secondo circostanze varie: o per il fatto che il convenuto risiede in un dato luogo (forum domicilii, forum rei), o perché l'obbligazione fu contratta o deve essere eseguita in un dato luogo (forum contractus, forum destinatae solutionis), o perché l'oggetto della lite si trova in un dato luogo (forum rei sitae), o perché un fatto giuridico lecito o illecito si è verificato in un dato luogo (forum gestae administrationis, forum hereditatis, forum delicti commissi, ecc.). Spesso il criterio territoriale si compone, in unità di intento, col criterio oggettivo o con quello funzionale. Quando questa fusione si verifichi, si deduce dalla lettera o dallo spirito della legge. Esempî: procedura fallimentare, assegnata al giudice del luogo in cui il debitore ha il suo principale stabilimento commerciale; procedura esecutiva, assegnata al giudice del luogo dove è l'oggetto della esecuzione.

La connessione delle cause non è di per sé un criterio di competenza. La connessione è un vincolo corrente fra più cause che consiglia la loro unione: quando le cause da unirsi apparterrebbero a giudici diversi, nasce la questione, quale di questi giudici debba pronunciare nelle cause unite. La questione si risolve normalmente in base a due criterî fondamentali: quello della prevenzione e quello dell'accessione; vale a dire la decisione di tutte si affida al giudice adito per primo oppure adito per la causa principale. Così l'argomento della connessione ha profonde attinenze con la competenza dei giudici: onde la nostra e altre leggi lo pongono appunto fra le norme sulla competenza.

Quando un giudice, per l'oggetto e per il valore della causa per le funzioni che a lui si chiedono, per la sede in cui si trova, è capace di provvedere in una causa, si dice competente. Se il giudice non è competente, egli non ha obbligo né potere di pronunciare; non sorge validamente il rapporto processuale. Così la competenza si presenta come il più importante fra i presupposti processuali.

Questi varî criterî di ripartizione della giurisdizione non hanno tutti la medesima importanza. È regola fondamentale di diritto processuale che la giurisdizione non possa essere prorogata dalle parti, salvo i casi stabiliti dalla legge. Ciò sigmfica che nemmeno sull'accordo delle parti si può adire un giudice invece di quello stabilito dalla legge, a meno che la legge stessa lo permetta. I limiti della giurisdizione sono dunque prorogabili (o relativi, o dispositivi, come pure si dice) o improrogabili (assoluti, necessarî), secondo che ammettono o no di essere osservati, secondo che fanno assegnamento o no sulla volontà delle parti. Le parti possono accordarsi di non osservare i limiti prorogabili, e l'accordo può essere espresso (pactum de foro prorogando) o inerente all'elezione di domicilio. Se poi colui che è citato dinnanzi a un giudice privo di competenza, non eccepisce anzitutto tale difetto, si produce, in caso di competenza prorogabile, l'effetto della proroga. Quanto ai limiti improrogabili, qualunque accordo delle parti è inefficace, perché il giudice d'ufficio deve rilevare la propria incompetenza, e le parti (attore o convenuto) possono eccepirla non solo fin da principio, ma in qualunque stato e grado della causa. Si riproduce dunque nel campo della competenza la distinzione fra diritto cogente o assoluto e diritto dispositivo o relativo (onde il nome di competenza assoluta e relativa).

Sono assoluti i limiti tratti da criterî oggettivi (competenza per materia e valore). Quando la legge attribuisce a un giudice una causa con riguardo alla natura e all'entità di questa, ciò fa perché ritiene quel giudice più idoneo d'un altro a pronunciare: e questa considerazione della legge non ammette un diverso sentire dei privati. L'incompetenza per materia e valore può essere rilevata in qualunque stato e grado della causa; il giudice deve pronunciarla anche d'ufficio. Questo principio era, fino a poco tempo fa, cosi rigorosamente inteso dalla nostra legge, che essa lo applicava non solo ai giudici inferiori (conciliatore e pretore) riguardo alle cause di competenza del giudice superiore, ma anche al giudice superiore riguardo alle cause di competenza dell'inferiore. Ora invece, come la legge germanica, tratta diversamente i limiti del giudice inferiore e quelli del superiore, partendo dal concetto molto semplice e logico che nel più è compreso il meno, che cioè il giudice competente per il più non può dirsi incompetente per il meno. Conseguentemente, adesso, l'eccezione d'incompetenza per valore del magistrato adito dall'attore, per il motivo che la causa sia di competenza d'un giudice inferiore, deve essere proposta prima d'ogni altra istanza o difesa e non deve più essere dichiarata d'ufficio. In questo caso, adunque, il criterio oggettivo non è più assoluto.

Sono assoluti e improrogabili i limiti tratti dal criterio funzionale. Non si può omettere un grado di giurisdizione e adire direttamente il giudice d'appello. Non si possono proporre domande nuove in appello; se proposte devono rigettarsi anche d'ufficio. Non si può nemmeno rinunciare preventivamente all'appello, tranne quando la legge espressamente lo ammette, come nel caso dell'arbitrato e nel caso di causa trattata avanti il giudice superiore, benché di valore non eccedente la competenza del giudice inferiore.

La competenza per territorio è sempre prorogabile: se non si vuole accettare la proroga, si deve proporre, prima d'ogni altra istanza o difesa, la relativa eccezione; né può mai il giudice d'ufficio dichiararsi incompetente per territorio, nemmeno in assenza (contumacia) del convenuto. Peraltro anche i limiti tratti dal criterio territoriale diventano assoluti e improrogabili, ogni qual volta questo si trovi intrecciato, nel modo di cui si è già fatto cenno, al criterio oggettivo o a quello funzionale; così, ad es., se la procedura fallimentare è stata iniziata avanti a un giudice che non sia quello del luogo in cui il debitore ha il suo principale stabilimento, oppure se l'esecuzione è stata iniziata avanti a un giudice che non sia quello del luogo dove è l'oggetto della medesima, il difetto di competenza può da ogni interessato e deve dal giudice stesso essere rilevato in qualunque stato o grado del procedimento.

Si è già osservato come la connessione delle cause possa influire sulla competenza del giudice nel caso concreto. Questa influenza non si pub rilevare d'ufficio dal giudice, ma si può far valere dalle parti in ogni stato o grado di causa.

Bibl.: Sulla competenza civile nel diritto romano, v. M. A. von Bethmann-Hollweg, Der Civilprocess des gemeinen Rechts in geschitlicher Entwicklung, Bonn 1864-74, II, p. 114 segg.; L. Wenger, Institutionen des römischen Zivilprozessrechts, Monaco 1925, p. 40 segg. Per il diritto italico sino alla codificazione, v. A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., Torino 1896-1902, VI; G. Salvioli, Storia della procedura civile e criminale, voll. 2, Milano 1925-27. Per il diritto moderno, v. E. U. Pasini, Competenza civile, in Enciclopedia giuridica italiana, III, parte 2ª, sez. 3ª, Milano 1930, p. 505 segg.; G. Piola, Competenza civile, in Il digesto italiano, VII, parte 3ª, Torino 1896-99, p. 214 segg.; W. Höpfner, Zur Lehre von der Zuständigkeit, in Zeitschrift für deutschen Zivilprozess, XXXIV (1905), p. 469 segg. V. inoltre i trattatisti, tra cui G. Chiovenda, Principî di diritto processuale civile, 4ª ed., Napoli 1928, p. 483 segg.; L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, 5ª ed., Milano 1923, II, p. i segg. e V, p. 527 segg.; E. Garsonnet e C. Cézar-Bru, Traité de procédure civile, 5ª ed., Parigi 1912-25, I e II; J. Goldschmidt, Zivilprozessrecht, Berlino 1929, p. 56 segg.; H. Sperl, Lehrbuch der bürgerlichen Rechtspflege, Vienna 1925-28, I, parte 1ª, p. 100 segg. Cenni sulla competenza civile nelle varie legislazioni si leggono nella raccolta di F. Leske e W. Löwenfeld, Die Rechtsverfolgung im internationalen Verkehr, voll. 2, Berlino 1895-97.

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