COMPROPRIETÀ

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

COMPROPRIETÀ (XI, p. 11)

Emilio Albertario

Diritto romano. - Il rapporto di comproprietà o condominio è nel diritto romano indicato dall'espressione rem communem habere o rem plurium esse, come il rapporto di proprietà, nel quale vien posta in evidenza l'appartenenza della cosa al soggetto, è indicato dall'espressione res mea est o in bonis meis est, onde i diritti altrui che gravano sopra la cosa nostra si chiamano iura in re, e non ancora iura in re aliena, come vengono chiamati successivamente quando la proprietà è piuttosto definita come la più generale signoria (ius) del soggetto sulla cosa.

Le origini della comproprietà romana sono da ricercare in quel consorzio familiare, che nei primi tempi della storia di Roma si costituiva naturalmente fra i sui heredes alla morte del paterfamilias, e che si poteva volontariamente costituire fra estranei, sul quale hanno portato tanta inattesa luce i frammenti di Gaio recentemente scoperti (v. gaio, App.). In questo consorzio, che Gaio chiama societas, e che distingue dalla societas iuris gentium in quanto questa presuppone il consenso dei soci, non richiesto nella societas propria civium Romanorum, ogni comproprietario è dominus di tutta la cosa; l'ordinamento del rapporto è penettamente corrispondente all'ordinamento della magistratura collegiale romana, nella quale ciascuno dei due consoli è titolare di tutto l'imperium. Da ciò deriva - come Gaio ci attesta - che ciascuno dei condomini può alienare la cosa di tutti, precisamente come uno dei consoli può da solo esercitare tutta la sovranità; da ciò, anche, consegue che per l'esercizio del diritto di proprietà da parte dei singoli condomini, come per l'esercizio del diritto di sovranità da parte di ciascuno dei due consoli, non è richiesto il consenso preventivo degli altri condomini nel primo caso, dell'altro console nel secondo, ma funziona l'opposizione all'atto di proprietà o all'atto di sovranità, cioè la prohibitio o la intercessio: due termini rapplesentanti lo stesso concetto e indicanti la stessa funzione.

Tracce sopravviventi di questo ordinamento dell'antica comproprietà romana si riscontrano nell'ordinamento della comproprietà elaboratosi più tardi: il condomino è chiamato ancora socius; è detto ancora, senza limitazioni, dominus; alcune azioni sono al singolo condomino concesse ancora in solidum e non pro parte; per quanto attiene all'uso della cosa, ciascun condomino può disporne indipendentemente dagli altri fino al momento della loro prohibitio, nel qual caso il socius prohibitus deve acconciarsi al divieto. Accentuazione ancor viva della prima origine dell'istituto è quel rilievo dato alla fraternitas che l'età classica affe ma ancora posta alla sua base.

Ma nel diritto classico oramai un diverso ordinamento si configura e prevale; e le parole di Celso (Dig., XIII, 6, comm. vel contra, 5,15), ammonenti duorum vel plurium dominium in solidum esse non posse e ciascuno dei condomini totius corporis pro indiviso pro parte dominium habere, sembrano veramente seppellire il passato. Il regime fondamentale del condominio classico si può riassumere così: ogni condomino ha un diritto di proprietà su tutta la cosa; ma la misura, in cui ciascuna facoltà si esercita, non deve superare la quota che rappresenta l'estensione del suo diritto. In modo conforme a questo concetto è regolata tanto la disposizione materiale quanto la disposizione giuridica della cosa comune.

Quanto alla prima, ciascun condomino acquista la proprietà dei frutti iure soli all'atto della separazione, ma pro parte; e così pro parte fa suoi gli acquisti dello schiavo comune, a meno che lo schiavo non abbia agito in nome di uno solo di essi o ricevuto da uno solo di essi lo iussus (consenso) per l'acquisto.

Quanto alla disposizione giuridica, ciascun condomino esercita pro parte le sue facoltà, e così può alienare la sua pars dominii, gravarla di usufrutto, costituirla in pegno o in ipoteca. Ma non può costituire sul fondo comune una servitù prediale, perché questa è un diritto indivisibile e perciò non può essere costituita pro parte; non può seppellire (mortuum inferre) nel fondo comune, perché la parte di fondo destinata al sepolcro diventa res religiosa e perciò extra commercium, né distruggere la cosa comune o manomettere lo schiavo. Può rinunciare alla sua pars domimi, e questa pars derelicta si accresce agli altri condomini.

Nel diritto giustinianeo il condominio assume un ordinamento diverso dal classico: le tracce sopravviventi dell'antichissimo consorzio familiare scompaiono del tutto; influenze cristiane, o ellenistico-orientali, sono fonte di innovazioni numerose.

Nel diritto classico, se l'uno dei condomini manometteva lo schiavo, faceva sì che la sua quota si accrescesse all'altro condomino: favore libertatis, invece, Giustiniano stabilisce che lo schiavo manomesso da uno dei condomini diventa libero, e obbliga soltanto a corrispondere l'indennità all'altro condomino costretto a vendere la sua parte. Il seppellimento nel fondo comune è vietato ancora quando extranei inferantur, non quando vi sia sepolto un condomino; e nel sepulchrum commune il condomino non ha soltanto un diritto al sepeliri, ma al mortuum inferre. La servitù prediale costituita da un solo condomino non dovrebbe avere alcun giuridico effetto; ma i compilatori giustinianei in testi interpolati stabiliscono che il condomino, il quale abbia dato il suo consenso alla costituzione della servitù, non possa recedere dal consenso dato. Finalmente, lo ius prohibendi è un istituto spento: l'uso della cosa è regolato non dalla facoltà di disporne indipendentemente dagli altri a ciascuno riconosciuta, salvo la prohibitio anche d'un solo condomino; ma dal nuovo principio della maggioranza che vincola la minoranza dissenziente.

Il condominio giustinianeo non è né la societas antica, il consortium fratrum richiamato da Gaio, che restò per lungo tempo indivisibile (ercto non cito: lo dice Gaio; societas inseparabilis: lo dice Gellio); non è neppure il condominio classico chiamato ancora societas, quando il suo ordinamento è pur tanto diverso dall'antico. Rapporto esprimente il vincolo di fratellanza nell'età antica e, sia pur anche soltanto metaforicamente, nell'età classica, esso è per i giureconsulti romani una societas che può esser re o voluntate coita: ed è re coita, ad es., fra coeredi; è voluntate coita, ad es., fra più compratori di una stessa cosa.

Ma nell'età giustinianea, il condominio è un rapporto che può essere cum societate e sine societate, e così è condominio sine societate la comunione ereditaria, proprio quella che fu la prima forma storica di societas. Il diritto giustinianeo pone questa distinzione, perché motiva: cum herede non contrahimus sed incidimus in eum. Il condominio sine societate è per i Giustinianei un quasi contractus.

A far tempo dalla legge delle XII Tavole, qualunque coerede può chiedere la divisione della cosa ereditaria comune con l'actio familiae erciscundae; qualunque condomino, non coerede, può chiedere la divisione della cosa comune con l'actio communi dividundo: le due azioni sono date inoltre per regolare ogni rapporto di debito e credito tra condomini anche durante la comunione: perciò i Giustinianei dicono che queste azioni hanno una mixta causa o una mixta natura, iam in rem quam in personam. La rinuncia alla divisione non era ammessa nel diritto classico; nel diritto giustinianeo ammessa per un tempo deteminato.

Bibl.: P. Bonfante, Istituz. dir. rom., 9ª ed., Milano 1932, p. 289 segg.; id., Corso di diritto romano, II, 2: Proprietà, p. 3 segg., con bibl; S. Riccobono, Dalla communio del diritto quiritario alla comproprietà romana, in Essays in Legal History a cura di P. Vinogradoff, Oxford 1913, p. 33 segg.; E. Ein, Le azioni dei condomini, in Bull. ist. dir. rom., XXXIX (1931), p. 73 segg.; P. Frezza, Actio communi dividundo, in Riv. it. sc. giur., n. s., VII (1932), p. 3 segg.; id., Il consortium ercto non cito e i nuovi frammenti di Gaio, in Riv. di filol. e d'istr. class., n. s., XIII (1934), p. 27 segg.; E. Albertario, Appunti sul consorzio famigliare romano, in Riv. dir. comm., 1934; V. Arangio-Ruiz, Societas re contracta, in Studi in onore di S. Riccobono, Palermo 1934 (cfr. P. Frezza, in Studia et documenta historiae et iuris, Roma 1935); S. Solazzi, in Studi pubblicati dalla Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Pavia, ecc., 1934.

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