Comunità e pastori del protestantesimo italiano

Cristiani d'Italia (2011)

Comunita e pastori del protestantesimo italiano

Lothar Vogel

In Italia il protestantesimo costituisce una minoranza piccola ma stabile. Ai tempi del censimento del 1911 ben 120.000 persone si dichiararono "evangelici"1; secondo i dati rilevati dal Centro studi sulle nuove religioni (Cesnur) nel 2005-2006, al giorno d'oggi 363.000 cittadini italiani sono "protestanti" in senso molto largo, compreso l'ambito pentecostale che ne conta 250.000, escludendo, però, i 400.000 Testimoni di Geova. Fra gli immigrati residenti in Italia si stima una presenza di 150.000 evangelici2. Evidentemente, le cifre rilevate attraverso censimenti o sondaggi non coincidono precisamente con quelle degli elenchi delle relative Chiese. Il numero più o meno stabile di ben 100.000 evangelici italiani aderenti alle Chiese evangeliche non-pentecostali, comunque, è un risultato della storia dell'ultimo terzo del secolo XIX: ancora il censimento del 1861 rilevava meno di 33.000 protestanti, dei quali meno di 10.000 fuori dal Piemonte, il che significa che statisticamente il protestantesimo coincideva quasi con la Chiesa valdese; in seguito, invece, si assiste non solo, fino al 1911, a una considerevole crescita numerica ma anche a una progressiva diffusione geografica dei protestanti su tutta la penisola, cui corrisponde anche una maggiore multiformità. Il protestantesimo rappresenta, dunque, una dimensione di cristianesimo italiano le cui coordinate di base si stabilirono proprio durante e in seguito al Risorgimento3, periodo che per questa ragione costituisce il baricentro di questo saggio.

I presupposti storici

Ai tempi della Riforma personaggi e gruppi orientati all'insegnamento della Riforma germanofona o ginevrina furono presenti in molte zone della penisola. Sin dagli anni Quaranta del secolo XVI, però, queste tendenze furono rigorosamente soppresse4. Con l'eccezione del ventennio napoleonico, l'affermazione pubblica di visioni protestanti fu proibita in tutti i territori italiani fino alla metà del secolo XIX. Considerando i confini dello Stato italiano formatosi nel Risorgimento, la sola eccezione fu costituita dai Valdesi, che all'epoca della Riforma si erano trasformati in una Chiesa riformata d'orientamento ginevrino. Appoggiata dalla solidarietà dei fratelli di fede europei, questa Chiesa sopravvisse in alcune vallate delle Alpi Cozie appartenenti alla Savoia (su suolo francese soltanto fino al 1685) a diversi periodi di persecuzione. Gli insediamenti valdesi delle Puglie e della Calabria, invece, risultati dell'emigrazione dalle valli alpine dal secolo XIII in poi, furono violentemente sottomessi al cattolicesimo romano5. Tra i presupposti storici del protestantesimo italiano contemporaneo possiamo indicare, dunque, la presenza in territorio sabaudo di una Chiesa riformata d'impostazione presbiteriana-sinodale, le cui singole Chiese furono governate da un concistoro composto di anziani, diaconi e dal pastore, e la cui massima autorità fu il sinodo composto da pastori e anziani. Fra un sinodo e un altro, la gestione della Chiesa spettò alla Tavola valdese, composta da tre pastori, cui furono associati nel 1823 anche due rappresentanti laici, e presieduta dal moderatore6. Culturalmente, l'Eglise des Vallées fu orientata verso Ginevra e Losanna, dove la stragrande maggioranza dei futuri pastori svolse gli studi teologici per prepararsi al ministero. A quest'orientamento corrispose l'uso del francese come lingua della Bibbia, della scolarizzazione, del culto e della teologia, mentre la lingua della vita quotidiana era (ed è in parte ancor oggi) l'occitano7. Ufficialmente tollerate soltanto in una zona concessa dalla signoria sabauda nel contratto di Cavour del 1561, presenze valdesi si rintracciano sin dalla fine del secolo XVII anche nella zona di Torino8.

Il secondo presupposto per la formazione di un protestantesimo italiano fu la continua presenza sulla penisola di stranieri non cattolici, che soggiornarono nei territori italiani come commercianti, diplomatici e militari. A Venezia, inglesi, olandesi, francesi e tedeschi impiegarono dal secolo XVII dei predicatori, il cui ministero rimase però limitato a riunioni private. Fu la corporazione dei commercianti tedeschi, il Fondaco, a definire nel 1657, reagendo a pressioni da parte del magistrato veneziano, un ordinamento comunitario che limitò la possibilità di associarsi alla comunità a una ristretta élite di commercianti autonomi e che impose per la partecipazione alle stesse riunioni diverse misure di clandestinità9. Con l'annessione austriaca del 1798 entrò in vigore nel territorio veneziano l'editto di tolleranza emanato dall'imperatore Giuseppe II nel 178110. Nonostante l'editto concedesse soltanto lo svolgimento privato del culto, la comunità raggiunse un primo riconoscimento giuridico. Nel periodo post-napoleonico essa fu integrata nell'ordinamento delle Chiese austriache aderenti alla Confessio augustana; le fu, però, imposto di svolgere le sue attività in lingua tedesca e di rinunciare a ogni tipo di testimonianza pubblica11.

Un altro fattore favorevole all'insediamento di protestanti in Italia fu, dal secolo XVIII in poi, l'esistenza di porti franchi. A Livorno, la Congregazione olandese-tedesca svolse già dal 1622, dietro una facciata cattolica, la sua opera assistenziale, lasciando spazio anche a predicazioni protestanti. Le inaugurazioni della cappella anglicana nel 1707 e di quella prussiana nel 1761 sancirono l'uscita dei non cattolici dalla clandestinità, sebbene questi luoghi di culto rimanessero integrati nelle residenze dei relativi consolati12. A Trieste, città sottomessa da lungo tempo al governo austriaco, le patenti d'istituzione del porto libero, rilasciate nel 1719 dall'imperatore Carlo VI, promisero commercio libero «a tutti, e singoli di qualunque nazione, condizione e religione quelli siano». Lì, una comunità aderente alla Confessione augustana fu ufficialmente riconosciuta già nel 1778, ossia solo qualche anno prima dell'editto di tolleranza giuseppino, e un'altra 'confessione elvetica', vale a dire riformata, immediatamente dopo, nel 1782. Nel 1829 vi si associò una comunità anglicana. Data l'appartenenza della città all'Austria fino alla Prima guerra mondiale, entrò ancora in vigore in essa il decreto imperiale del 1861, attraverso cui fu concessa agli evangelici la celebrazione pubblica del culto e la costruzione di chiese proprie – un'opportunità colta presto dai luterani triestini13. Vale lo stesso per le comunità professanti la Confessione d'Augusta che si formarono in Istria (Fiume, Abbazia)14 e, causa il nascente turismo, nell'Alto Adige (Merano e Bolzano)15.

Accanto al commercio la diplomazia fu un altro motivo importante per l'arrivo in Italia di protestanti, e fu il carattere extraterritoriale delle ambasciate transalpine a dare spazio a riunioni di culto evangelico. Politicamente la Restaurazione in Italia, compresa la ricostruzione dello Stato pontificio e del regime borbonico a Napoli, fu realizzata sulla base della Santa alleanza fra l'Austria cattolica, la Russia ortodossa e la Prussia evangelica, che si erano accordati per governare «secondo le parole della Sacra Scrittura» e per affermare il principio del governo «per grazia divina»16. Sotto i presupposti di un ecumenismo reazionario lo svolgimento di culti non cattolici da parte degli stranieri andava tollerato, finché non si trattasse di tentativi di guadagnare proseliti fra la popolazione. Fu questo il motivo per cui la tolleranza rimase condizionata all'uso della relativa lingua straniera. A Roma, culti anglicani sono documentati sin dal 1816, nonostante non ci fosse un'ambasciata17; un anno dopo, il segretario della legazione prussiana, Christian Carl Josias Bunsen, organizzò nella sua abitazione un culto evangelico per celebrare il 300° anniversario della Riforma – impulso che comportò nel 1819 l'invio a Roma di un predicatore da parte del re prussiano e la fondazione di una comunità, dotata dal 1823 di una cappella collocata negli stabili dell'ambasciata sul Campidoglio18. A Firenze, dove la legislazione toscana imitava l'editto di tolleranza austriaco19, la numerosa presenza di stranieri inglesi, tedeschi e svizzeri, fra cui un gruppo consistente proveniente dai Grigioni di madrelingua italiana, fece nascere presto una collaborazione fra cattolici liberali e protestanti. In materia pedagogica Raffaello Lambruschini, fondatore dell'Istituto di S. Cerbone, collaborò con la protestante risvegliata Matilde Calandrini, che si era trasferita da Ginevra a Pisa per ragioni di salute, e con Enrico Mayer, discendente di una famiglia di commercianti protestanti livornesi. Nel 1836 Lambruschini accolse perfino per qualche mese il pastore valdese Bartolomeo Malan, inviato dalla Tavola in Toscana per imparare l'italiano. Fu inoltre di provenienza ginevrina un importante ispiratore fiorentino del Risorgimento, Gian Pietro Vieusseux, fondatore dell'Antologia e dell'Archivio storico italiano20. Una comunità riformata, composta anzitutto da svizzeri, si costituì nel 1826 sotto la protezione prussiana, celebrando il culto in lingua francese,  occasionalmente in tedesco (regolarmente soltanto dal 1854) e in italiano. Dal 1828, il luogo di culto fu anche usato da una comunità anglicana. La celebrazione di culti protestanti in italiano, giustificata dalla presenza di svizzeri italofoni, attrasse anche alcuni fiorentini, fra cui il conte Piero Guicciardini, più tardi una delle figure più importanti dell'evangelismo risorgimentale, convertito a suo dire nel 183621. Avviene in questo periodo anche un primo tentativo di evangelizzazione organizzata fra la popolazione fiorentina mediante 'colportori' ossia venditori di Bibbie e trattati, fra cui l'avvocato Tito Chiesi, guadagnato al protestantesimo dalla Calandrini. Attività di questo tipo comportarono, però, nel 1844, la rottura fra Lambruschini e gli evangelici22. A Napoli, la fondazione di una comunità evangelica, composta da tedeschi e francesi e protetta dall'ambasciata danese prima e prussiana poi, risale al 1824-1826. In seguito, si costituirono sul territorio del Regno delle due Sicilie alcune altre Chiese evangeliche e anglicane23.

Per quanto riguarda il Regno lombardo-veneto, è documentata già nel 1805, ossia in epoca napoleonica, a Bergamo, una 'colonia protestante', composta di commercianti di seta provenienti dalla Svizzera. Dopo il ristabilimento del governo austriaco, questa realtà fu definita una «società di famiglie riunite per il culto privato»24. Ciò nonostante, la comunità sviluppò presto un carattere bilingue, cui corrispose una maggiore partecipazione dei membri della Chiesa nella vita politica locale. Nel 1848 un membro del concistoro si fece perfino coinvolgere nel governo provvisorio della città, dimostrando così un punto di vista politico di carattere repubblicano25. Fu simile a Bergamo il destino della comunità protestante svizzero-tedesca di Pordenone, legata all'industria del cotone e menzionata per la prima volta nel 1838-183926. A Milano, i protestanti svizzeri e tedeschi videro respinta nel 1824 la loro richiesta di poter costituire una comunità; non restò loro altro che partecipare saltuariamente ai culti celebrati nella caserma da cappellani ungheresi. Solo nel 1850 ricevettero una sorta di riconoscimento, anche se non come comunità ma come 'riunione evangelica' ossia come adunanza strettamente privata27. In generale, queste Chiese composte da cittadini stranieri vissero nella separazione dalla popolazione locale, e con una mentalità conservatrice dovuta anche all'appartenenza di gran parte dei soci all'alta borghesia, godendo al tempo stesso di una forte autonomia amministrativa, che rese spesso difficile la posizione del predicatore ovvero del pastore, più dipendente che in patria dal benestare dei membri del suo consiglio di Chiesa e ridotto a volte a un ruolo di funzionario della Chiesa, anziché esserne il rappresentante. Diversa fu invece la situazione a Torino, dove si costituì nel 1827, sotto la protezione del ministro plenipotenziario prussiano Friedrich Ludwig von Waldburg-Truchsess28, una Commune protestante, che riunì gli stranieri evangelici insieme ai valdesi residenti nella capitale. Furono chiamati come ministri pastori valdesi, il che significa che, contrariamente alle altre chiese di stranieri, la Commune di Torino creò una piena comunione fra protestanti stranieri e locali, fra cui alcuni convertiti e profughi provenienti da altri territori italiani. Nel 1847, la comunità annoverava circa 800 membri29. Accanto a queste manifestazioni vistose, però, non va sottovalutata la presenza capillare di stranieri protestanti su tutto il territorio, incluse le parti meridionali30.

Evangelizzare l'Italia: motivazioni teologiche

Nella prima metà del secolo XIX l'assetto statico delle presenze evangeliche in Italia fu animato, come in tutto il mondo protestante, dal movimento della seconda ondata del Risveglio (da distinguere da quella precedente, del secolo XVIII), che era partita dal mondo anglofono e che intendeva dare al cristianesimo uno slancio nuovo in risposta alla crescente scristianizzazione della società e della cultura, intravista da alcuni perfino nella teologia accademica di stampo 'razionalistico' o 'sociniano'31. In parte, il Risveglio si tradusse anche in una riscoperta delle identità confessionali – un motivo che spiega la formazione di chiese di stranieri, confessionalmente definite in Italia proprio nella prima metà del XIX secolo32. Furono tipici del Risveglio sia l'impegno missionario, portato avanti spesso non dalle Chiese ma da libere 'associazioni' di credenti, sia la presenza di uno spirito riformista all'interno delle Chiese, che poteva anche comportare separazioni dei pii risvegliati dagli organismi ufficiali. In ogni caso, lo strumento delle associazioni rafforzò l'influsso dei 'laici', ossia dei non-pastori, nelle vicende ecclesiastiche. Particolare importanza ebbero, per il protestantesimo italiano, il Risveglio scozzese – che fece nascere, attraverso la Disruption del 1843, una Free Church – nonché il Réveil ginevrino, entro la cornice del quale spiccò, fra le diverse conventicole che si erano costituite, la Société des Amis, fondata nel 1810, e impegnata nell'edificazione reciproca, in scuole domenicali e in opere assistenziali, ulteriormente infervorata dal soggiorno a Ginevra dello scozzese risvegliato Robert Haldane nel 1816. Sotto l'influsso di Henry Drummond, più tardi uno dei fondatori della Chiesa neo-apostolica, questa società si costituì nel 1817 come Chiesa libera separata da quella statale, con sede al Bourg-au-Four. Accanto a essa, furono fondate in questi stessi anni a Ginevra due altre Chiese libere, la Chapelle du Témoignage del pastore César Malan (fra il 1820 e il 1823) e la Société évangélique di François Samuel Louis Gaussen (1831), importante quest'ultima per aver inaugurato, nel 1834, una École de Théologie in alternativa alla facoltà teologica dell'Accademia statale, conosciuta com'era per il suo socinianesimo. Dopo un complicato processo di avvicinamento reciproco, che comportò nel 1839-1840 l'adesione della maggioranza del Bourg-au-Four alla Société évangélique, e il trasferimento di una sua minoranza alla Pélisserie, tutto l'ambito dissenziente ginevrino confluì nel 1848 nell'Église évangélique libre. Processi simili si svolsero a Losanna, dove fra il 1845 e il 1846 si costituì l'Église libre vaudoise (non 'valdese'ma 'del Vaud') con una propria scuola teologica, cui si associò anche Alexandre Vinet, famoso per la sua richiesta di libertà della Chiesa dallo Stato33.

Attraverso i viaggi dei risvegliati nelle Valli e i percorsi di formazione intrapresi dai futuri pastori in queste città – la Tavola lasciò loro la scelta se frequentare le Accademie statali o le Scuole libere – questo impulso influenzò profondamente la spiritualità dei valdesi, provocando perfino la formazione di alcune comunità separatiste34. A parte influssi spirituali nel senso stretto, la particolare attenzione dei risvegliati per la Chiesa delle valli, considerata un discendente diretto del cristianesimo apostolico35, permise in questa zona la fondazione di istituzioni pedagogiche e sanitarie innovative: gli ospedali di Torre Pellice e Pomaretto (1826-1828) e una riorganizzata rete di scuole elementari, dovuta all'impegno dell'alto ufficiale inglese Charles Beckwith, residente nelle Valli dal 1834. Egli partecipò anche, associandosi all'impulso dato dal canonico anglicano William S. Gilly di Durham, alla costruzione del Collegio valdese nel 1839, pensato come istituto di formazione secondaria, e provvide inoltre a un miglioramento degli ospedali chiamando nelle Valli suore provenienti dalla Casa delle diaconesse di Echallens (più tardi Saint-Loup)36. Il servizio delle diaconesse fu anche il presupposto per l'apertura di asili e case di riposo in questa regione, nonché per l'istituzione di una casa italiana delle diaconesse (1901)37. Fu influenzato dal Réveil anche Camillo Benso conte di Cavour, che soggiornò più volte presso i suoi parenti ginevrini. In una lettera del 1833 egli si riferì esplicitamente a Vinet, affermando la sua tesi dell''inevidenza' delle idee religiose come contestazione del razionalismo teologico. Dà testimonianza di questi contatti anche la celeberrima richiesta cavouriana di una 'libera Chiesa in un libero Stato'. Il rapporto fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolico-romana, così come progettato dall'architetto politico del Regno d'Italia, riflette le richieste risvegliate di un superamento della condizione di Chiesa di Stato38.

Fra le tante 'società' risvegliate impegnate nella missione e nell'evangelizzazione merita un accenno particolare la British & Foreign Bible Society fondata nel 1804, che presto iniziò, dalla sua base dell'isola di Malta (che era sotto dominio britannico dal 1800), a stampare e diffondere la Bibbia del Diodati nell'Italia meridionale. Nel 1812, ossia in epoca napoleonica, questa società si era potuta avvalere di un'apposita autorizzazione rilasciata dal vescovo di Messina. In seguito, però, collaborazioni del genere divennero impensabili, e il fatto che una Bibbia fosse stampata senza annotazioni (permettendo dunque al lettore un accesso immediato alla Scrittura) divenne di per sé una caratteristica confessionale39. L'interessamento particolare del mondo risvegliato anglofono per l'Italia fu dovuto a una visione assai polemica del papato, considerato l'antesignano di ogni tipo di oppressione e superstizione, il cui sconvolgimento politico sembrava aprire il paese alla libertà di coscienza e, al contempo, all'ascolto dell'Evangelo – una visione permeata da elementi escatologici, politicamente legata all'egemonia britannica nel Mediterraneo40.

Accanto al Risveglio, anche le tendenze riformistiche attive negli ambienti cattolici prepararono in un certo senso l'impresa evangelica. Si erano diffuse in Italia, a partire dal secolo XVIII, correnti gianseniste che, riproponendo un orientamento al rigore della Chiesa antica, non solo criticarono una prassi devozionale considerata abusiva ma si concretizzarono anche in progetti riformistici, fra cui spiccò quello toscano, caratterizzato da una visione nazionalizzante della Chiesa nonché dall'idea di una limitazione dell'influsso papale41. Nel contesto della Restaurazione, i gruppi carbonari e repubblicani sperimentarono inevitabilmente una tendenza anticlericale e ostile allo Stato pontificio, senza però abbandonare necessariamente il cristianesimo come tale. È evidente che fenomeni di questo tipo poterono essere percepiti da osservatori stranieri come disponibilità al passaggio verso il protestantesimo42. Fra le figure chiave del Risorgimento, Giuseppe Mazzini raccomandò in conferenze pubbliche la lettura dell'Evangelo, poiché «per esso i popoli si faranno liberi»43. Nonostante una vicinanza di queste affermazioni al principio riformato del libero esame della Scrittura, cui potrebbero essere associate affermazioni simili di Giuseppe Garibaldi44, Mazzini prese esplicitamente le distanze dal protestantesimo inteso come prodotto di quella storia che si voleva ora superare. Il suo pensiero religioso si orientò invece verso idee sansimoniste e verso il riformista cattolico Hugues Felicité Robert de Lamennais per ribadire la sacralità della nazione, che rimaneva però saldamente integrata in un contesto europeo formato da altre nazioni, considerate altrettanto sacre45.

La nascita di comunità evangeliche italiane nell'esilio

Nella primavera rivoluzionaria del 1848 il re sardo Carlo Alberto, spinto da Roberto d'Azeglio, concesse nelle lettere patenti del 17 febbraio ai valdesi i pieni diritti civili (poco più tardi anche agli ebrei), rompendo così con la secolare emarginazione del protestantesimo. Lo Statuto albertino, promulgato nel mese successivo, previde, accanto alla definizione di Chiesa cattolica come 'religione dello Stato', anche che «altri culti sono tollerati conformemente alle leggi»46. Con l'andamento delle Guerre d'indipendenza lo Statuto entrò in vigore anche negli altri territori italiani, costituendo così la base giuridica per le attività delle missioni evangeliche. Un ordine del giorno approvato nel 1871 dalla Camera dei deputati si pronunciò poi per il riconoscimento ufficiale della libertà religiosa in Italia47. Relativamente all'esercizio del culto e dei relativi ministri e luoghi, il Codice penale del 1889 non fece più distinzioni tra i culti «ammessi nello stato», compreso quello cattolico48.

Fu decisivo per la formazione di un ambiente evangelico in Italia il fatto che sin dai moti carbonari del 1820-1821 un certo numero di attivisti impegnati nel superamento della Restaurazione fosse costretto a recarsi in esilio, entrando in tal modo in contatto con il cristianesimo evangelico. Questo vale in particolare per l'isola di Malta, Londra e Ginevra, dove si formarono negli anni Quaranta dell'Ottocento le prime congregazioni evangeliche di nazionalità italiana. Attorno al 1844-1845 Giacinto Achilli, ex-frate domenicano e persona assai contestata ai suoi tempi, fondò a Corfù, che era allora protettorato britannico, una Chiesa italiana orientata al modello anglicano; la sua partenza per Malta, avvenuta poco dopo, segnò però il fallimento di questo tentativo49. A Malta, base di attività evangeliche per diverse società britanniche già dall'inizio del secolo XIX, si costituì verso la fine 1847 una Congregazione italiana, legata alla Scuola collegiale di S. Giuliano, gestita da un comitato londinese e da poco dotata, su proposta di Achilli, di una sezione teologica che doveva preparare ex-sacerdoti cattolici all'evangelizzazione. La Congregazione fu concepita come indipendente sia dagli anglicani, sia dalla Free Church scozzese, che era già attiva sull'isola. Ne fu persona chiave, accanto all'Achilli, Luigi Desanctis, ex consultore del Sant'Uffizio e parroco romano. Un anno dopo, comunque, la chiusura della Scuola collegiale, decretata dal vescovo anglicano di Gibilterra, alla cui diocesi apparteneva l'isola, insieme alla rottura personale fra Achilli e Desanctis misero termine anche a questo progetto50.

A Londra, la Scuola gratuita italiana fondata da Mazzini ebbe come vicedirettore Filippo Pistrucci, diventato evangelico attorno al 1840. Nel 1844 Salvatore Ferretti, anch'egli ex prete, fondò l'Asilo per i fanciulli poveri italiani, prevedendo un insegnamento di 'storia sacra' e 'istruzione biblica' ossia una formazione religiosa di carattere non cattolico. Dato che Ferretti come studente di teologia aveva avuto contatti con Scipione de' Ricci, vescovo giansenista di Pistoia, e con la comunità svizzera di Firenze51, egli simboleggia il passaggio dal riformismo cattolico a una visione evangelica. Ugualmente nel 1847 fu fondata anche a Londra una Chiesa italiana, cui aderirono, fra l'altro, Ferretti, Pistrucci e Achilli, che a quel tempo vi soggiornava, un atto accompagnato dalla nascita di una rivista dal titolo «L'Eco di Savonarola». Il progetto mirò a una Chiesa nuova che non si associasse né al 'papismo', né al 'protestantesimo come sistema', superando lo spirito settario con un immediato orientamento biblico52. Nei fatti, però, si verificarono all'interno tensioni fra un raggruppamento anglicanizzante, che richiedeva un preciso ordinamento liturgico e ipotizzava l'introduzione dell'episcopato, e visioni orientate ai Plymouth Brethren, un movimento risvegliato in auge in quegli anni, caratterizzato da riunioni sovradenominazionali dei fedeli per la libera condivisione dei carismi e la celebrazione della Cena. I Brethren non riconobbero alcun ministero di predicazione e amministrazione dei sacramenti, insediando soltanto anziani per la conduzione delle comunità. Lo stesso Ferretti aveva inoltre fatto la conoscenza personale di John N. Darby, antesignano di una tendenza radicale fra i Brethren che affermava la decadenza totale della Chiesa in quanto organizzazione confessionale o denominazionale, considerando per questo le proprie adunanze la forma esclusiva di cristianesimo in vista dell'imminente ritorno di Cristo – una corrente che sfociò nella formazione degli Exclusive Brethren. Attraverso un suo soggiorno nel Vaud e a Ginevra dal 1837 al 1845, Darby influenzò anche il Réveil francofono53. In senso plymouthista le riunioni degli evangelici italiani a Londra furono definite «ragunate dei fratelli per la mutua edificazione, la preghiera e la Cena», celebrate con «piena libertà dell'esercizio dei doni»; soltanto per eventi pubblici di evangelizzazione si previde anche la funzione di «anziano» (cioè vescovo), cui si riconosceva il carisma dell'annuncio evangelico54. La Chiesa, e la rivista con essa, si affermò fino al 1860, anno di ritorno in patria di gran parte degli esuli. Dal 1851, però, essa si ritrovò in concorrenza con Alessandro Gavazzi, un ex frate barnabita dalle visioni giobertiane, che nel 1848 si era reso conto dell'illusorietà delle speranze in un Pio IX 'liberale', eccitando, come alcuni suoi colleghi, con la sua predicazione nazionalista e anticuriale le masse delle città e assumendo la funzione di cappellano militare nella repubblica romana. Ridotto allo stato laicale, egli era fuggito a Londra nel 1849, ottenendovi una cappella ex battista per diffondere il suo insegnamento, che assomiglia a quello di Achilli e Ferretti nella ricerca di un autentico cristianesimo evangelico al di là delle divisioni confessionali; al tempo stesso, però, Gavazzi accentuò gli elementi anticlericali, dando così al suo messaggio un carattere più popolare e più godibile, viste le condizioni del tempo, anche da parte del pubblico inglese55.

La città di Ginevra, centro del calvinismo europeo, si era sempre trovata in scambi non soltanto economici ma anche culturali con il territorio sabaudo56. La presenza di esuli italiani in questa città indusse il colonnello Henri Tronchin, anziano della Pélisserie, a organizzare un Comité d'évangélisation italien-suisse. Nel 1850 il Comité invitò a predicare agli italiani residenti a Ginevra Luigi Desanctis, cui si associò due anni dopo Bonaventura Mazzarella, un ex magistrato borbonico che aveva partecipato all'avventura della repubblica romana per recarsi poi a Torino in esilio, dove si era associato alla Commune protestante57. Dato che Ginevra era al tempo stesso luogo di studi di futuri pastori valdesi, possiamo localizzare lì anche contatti importanti fra i valdesi e le idee del Risorgimento. Fu proprio Desanctis a farsi consacrare nel 1852 ministro di culto valdese, definendo nella sua richiesta d'ammissione la Chiesa delle Valli 'l'antica Chiesa italiana' e trasferendosi poi come evangelista a Torino58. In seguito, il progetto originario di cura pastorale degli italiani a Ginevra si concluse con il licenziamento anche di Mazzarella, lasciando un certo attrito fra il Comité e la Tavola valdese, che, a parte le contingenze, riflette la tensione ecclesiologica fra un segmento dell'Église libre ginevrina influenzata da idee darbyiste e una classica Chiesa riformata – una differenza che si sarebbe rivelata decisiva per la formazione del protestantesimo in Italia. A Ginevra, comunque, si costituì nel 1853 una Comunità evangelica italiana, che «proclamò formalmente la sua indipendenza da qualsiasi Chiesa riguardo alla forma, alla disciplina, ed anche alle dottrine non fondamentali nella Chiesa universale di Cristo»; riguardo all'ordinamento, «molteplici essendo le dispensazioni dello Spirito (Efesi 4/11), la Comunità evangelica italiana credette doversi schiudere a tutti i suoi membri, mercé una compiuta eguaglianza, la via di appalesarle all'edificazione comune», seguendo cioè una rotta plymouthista59.

In generale, le Chiese evangeliche italiane dell'esilio furono caratterizzate dalla ricerca di un cristianesimo evangelico che non fosse protestante, che oltrepassasse cioè le tradizionali distinzioni confessionali, orientandosi direttamente alla Bibbia ed elaborando così una versione autentica, non cattolica e al tempo stesso specificamente italiana di cristianesimo. La mentalità anticlericale e in gran parte repubblicana degli esuli favorì inoltre una propensione per idee radicalmente evangeliche e plymouthiste, caratterizzate da un modello di fratellanza egualitaria dei credenti e dall'abolizione di un ministero ordinato.

L'evangelizzazione italiana della Chiesa valdese

La Chiesa valdese, influenzata com'era dal Risveglio ginevrino, fu spinta da diversi fattori a rivolgere la sua attenzione al nascente Stato italiano. A parte l'appartenenza politica alla Savoia, che stava per rivelarsi la potenza chiave del Risorgimento, fu Charles Beckwith a dare impulsi importanti. Si dovette a lui l'invio di Bartolomeo Malan a Firenze nel 1836, un soggiorno pensato come preparazione linguistica all'insegnamento presso il Collegio di Torre Pellice; vale lo stesso nel 1844 per l'introduzione dell'italiano come materia in tutte le scuole elementari delle Valli60. Relativamente all'ordinamento della Chiesa, risale al suo influsso anglicanizzante la modifica del 1839, secondo cui non si parlava più, come prima, di un 'corpo' di Chiese locali, ma di un'unica Chiesa. Non fu esaudito, però, il desiderio del generale d'introdurre una costituzione episcopale, e rimase ugualmente priva di effetti la sua pubblicazione di un ordinamento liturgico anglicanizzante nel 185061. Nel 1848, comunque, quando fu abolita l'emarginazione giuridica dei valdesi in Savoia, egli li esortò all'evangelizzazione del Piemonte, coniando la formula «d'ora in poi, o siete missionari o non siete nulla»62. Nonostante un diffuso senso di distanza dall'Italia63, la Chiesa valdese compì ora un'apertura verso la Savoia e tutta la penisola, inviando a Firenze quattro giovani teologi per acquisire conoscenze della lingua italiana adeguate all'evangelizzazione. Nello stesso anno lo studente di teologia Paolo Geymonat, iscritto all'École libre di Ginevra, sostenitore fervente del Risveglio, si fece inviare dal Comité d'évangélisation italien-suisse, disubbidendo perfino agli ordini della Tavola, a Roma per diffondere il messaggio evangelico. Era già attivo lì il giovane teologo ginevrino Théodore Paul, dal 1843 collaboratore in un'opera caritativa della comunità svizzera di Firenze e al contempo colportore, che nel 1848 aveva intrapreso un tentativo di evangelizzazione a Roma, ristampando anche il Nuovo Testamento di Diodati. Aveva quasi avuto carattere simbolico l'incontro fra Paul e il pastore in carica dell'ambasciata prussiana, che declinò l'invito alla collaborazione (offrendo pur sempre ospitalità all'evangelista) con l'argomento che il governo del papa su Roma fosse di diritto divino64. Si evidenziò in questa vicenda il rapporto difficile fra l'evangelizzazione italiana e le comunità protestanti di stranieri, la cui sopravvivenza era stata legata per generazioni alla rinuncia al 'proselitismo'. Geymonat, comunque, giunse a Roma soltanto dopo la soppressione della repubblica, in circostanze cioè in cui era impossibile realizzare il suo proposito65. Nonostante questo, egli rimase anche in seguito un fervente promotore dell'evangelizzazione italiana.

La diffusione della Chiesa valdese in Italia si verificò attraverso due processi collegati ma distinti: l'opera evangelizzatrice e l'adesione di comunità già esistenti. Riguardo al secondo aspetto, nell'ottobre 1848 fu la Commune protestante di Torino, che riuniva stranieri e valdesi, a creare un precedente, chiedendo alla Chiesa valdese l'integrazione con mantenimento, però, delle sue specificità amministrative, fra cui la composizione del consiglio di stranieri e valdesi. Le trattative portarono nell'estate 1849 all'adesione incondizionata come sedicesima parrocchia e, per conseguenza, alla scissione della comunità degli stranieri. Ne fu anche conseguenza la perdita del vecchio luogo di culto, situato nell'ambasciata prussiana, che portò alla costruzione di un tempio proprio, inaugurato nel 185466. Fu meno difficile, nel 1852-1853, l'integrazione della Chiesa evangelica di Nizza, fondata nel 1822 da inglesi e amministrata dal 1835 da pastori riformati francofoni, dotata anch'essa di un'opera di evangelizzazione fra la popolazione di lingua italiana67. A Genova, dov'era giunto un certo numero di esuli evangelici toscani a causa della soppressione delle tendenze evangeliche partita nel Granducato nel 185068 e dove Geymonat si stabilì nel 1852 come evangelista, l'integrazione avvenne ugualmente nel 1853. La comunità svizzera, però, vietò all'evangelista l'uso della sua cappella. Sin dall'inizio, questa Chiesa patì inoltre una certa tensione culturale fra i profughi toscani, legati a idee repubblicane, e lo spirito di lealtà verso Casa Savoia, ribadendo pur sempre la separazione fra Stato e Chiesa, che dominava in ambito valdese69.

Le attività degli evangelisti non si limitarono, però, all'accompagnamento di nuclei già esistenti, ma compresero tutto il Piemonte e la Liguria, dal 1860 tutta l'Italia, e con risultati particolarmente incoraggianti in Campania e Sicilia, dove il pastore Giorgio Appia funse da evangelista70. Gli strumenti dell'evangelizzazione furono la predicazione, spesso presso famiglie disponibili ad accoglierle, e poco dopo anche la fondazione di scuole diurne, serali e domenicali – una strategia promettente in vista del tasso elevato di analfabetismo – di ricoveri o perfino ospedali (fra cui Genova 1857, fondato in collaborazione con le locali comunità evangeliche di stranieri, e Torino 1871)71, nonché di numerose associazioni funerarie e società di mutuo soccorso sia per operai industriali, sia per lavoratori agricoli. Queste misure furono tanto più importanti in quanto l'adesione a una comunità evangelica poteva aver per conseguenza l'emarginazione sociale e la perdita del posto di lavoro. Proprio così, però, l'evangelizzazione diede anche un contributo alla modernizzazione delle condizioni sociali. Il finanziamento di questi strumenti si basò anzitutto su aiuti provenienti dall'estero. Giocò un ruolo particolare al riguardo il sostegno della Free Church scozzese, mediato dal pastore Robert W. Stewart, residente a Livorno dal 184472. Un altro elemento indispensabile del lavoro di evangelizzazione fu, come già praticato a Firenze e a Roma, la diffusione di materiali a stampa, per la cui produzione fu fondata nel 1855 una casa editrice dal nome Claudiana, ricordando il vescovo iconoclasta Claudio di Torino del secolo IX, ricorrendo cioè a un tipo di precursore italiano della Riforma73. Costituirono spesso l'avanguardia dell'evangelizzazione i 'colportori', uomini incaricati dalle società missionarie che giravano per il paese con un carro corredato di libri in vendita. Furono spesso loro, persone in grande maggioranza prive di formazione accademica, a guadagnare i primi simpatizzanti su cui si poterono appoggiare ulteriori attività74. Soltanto dopo fu inviato l''evangelista' teologicamente formato (il titolo 'pastore' rimase riservato al ministero in una comunità consolidata) per annunciare pubblicamente il messaggio evangelico e per dare una forma più stabile a quella comunità locale in nascita.

Un problema organizzativo dell'evangelizzazione valdese fu che la Chiesa venne governata da un sinodo che rappresentava esclusivamente le comunità delle Valli, cui si associarono man mano quelle integrate. Mentre gli evangelisti inviati nelle diverse parti del paese, in gran parte ministri di provenienza valdese, ne erano membri, non ci fu una rappresentanza organica dei nuclei comunitari nati nel campo di evangelizzazione. Questo fu dovuto a una certa preoccupazione dei valdesi di non voler imporre al nascente ambito evangelico italiano, pur partecipando all'evangelizzazione, le peculiarità della tradizione, come si evince dalla relativa delibera del sinodo del 185575. Nel 1860 fu istituito, come istanza responsabile di questo lavoro nei confronti del sinodo, il Comitato di evangelizzazione, seguendo i modelli di Ginevra e Nizza e limitando le mansioni della Tavola alle comunità pienamente integrate76. Da quando esso organizzò, nel 1872, le prime conferenze dei nuclei di evangelizzazione, emerse da quest'ambito, contrariamente alle attese del 1855, una forte richiesta di adesione formalizzata alla Chiesa valdese, il che persuase il sinodo del 1873 a suddividere il campo di evangelizzazione in cinque distretti77. Il passo successivo verso l'integrazione delle Chiese della diaspora fu compiuto nel 1887, allorché il sinodo accolse per la prima volta come membri i deputati dei distretti78. Questo processo si concluse quando nel 1912 il sinodo deliberò l'abolizione del Comitato di evangelizzazione, integrando tutte le Chiese nell'amministrazione della Tavola e incorporando a essa per ogni distretto un sovrintendente – una modifica entrata in vigore nel 191579.

Geograficamente, l'evangelizzazione valdese seguì l'espansione dell'area di validità dello Statuto albertino, iniziando dal Piemonte e da Nizza e arrivando nel 1860 nell'Italia meridionale80. In generale, le attività evangelistiche dei valdesi trovarono un terreno fertile più in città che in campagna, un fatto dovuto a una certa disponibilità al distacco dalla Chiesa romana sviluppatasi attraverso la ricezione di pensieri anticlericali o socialisti nella popolazione cittadina81. Inoltre, chi svolgeva una professione autonoma o d'impiego industriale era meno esposto di un contadino a pressioni sociali di vario tipo. Nonostante questo, ci furono anche Chiese valdesi prettamente contadine82. I successi della missione valdese decelerarono, però, a cavallo fra Otto e Novecento, per il disgelo fra il Regno d'Italia e la Sede romana e per le crescenti preoccupazioni della borghesia per il socialismo, che comportarono in questo ceto una svolta conservatrice83. L'apertura che c'era negli anni del Risorgimento per il messaggio evangelico si evidenzia in modo esemplare dalle cifre del censimento del 1871 concernenti la città siciliana di Riesi, allorché dei 12.000 abitanti 5.000 si dichiararono evangelici. Un anno prima, un colportore aveva visitato la città e trovato appoggio da parte di un medico e degli operai delle locali miniere di zolfo, il che fece nascere in quel centro un nucleo evangelico che invitò il pastore valdese di Messina a predicare in città. Questo successo iniziale fu senz'altro dovuto a una lettura del protestantesimo come cristianesimo liberale e in particolare anticlericale; negli anni successivi la comunità valdese di Riesi si stabilì come una realtà piccola ma resistente84.

La comunità evangelica di Firenze, che aveva subito dal 1850 al 1855 un periodo di repressioni, visse dal 1860 una rapida ripresa, anche perché nello stesso anno fu trasferita nella futura capitale del Regno d'Italia la Scuola valdese di teologia, fondata nel 1855 a Torre Pellice secondo il modello dell'École de théologie ginevrina, per assicurare una formazione teologica mirata all'ambito italiano dei futuri pastori85. Giunse così a Firenze anche il Geymonat, non come evangelista ma come professore di questa scuola, dando comunque forti impulsi all'ambito evangelico della città. Avvalendosi di una sala di culto collocata negli stabili della Scuola, egli divenne persona di riferimento di una comunità che sviluppò tanta sostanza da dichiararsi nel 1866 Chiesa evangelica italiana, senza usare cioè l'attributo 'valdese', integrando nel suo consiglio di Chiesa anche due membri stranieri. Due anni dopo, questa Chiesa richiese, come prima comunità pienamente italofona, l'adesione a pieno titolo alla Chiesa valdese. Dopo trattativi difficili, in parte a causa di tensioni personali fra Geymonat e il Comitato di evangelizzazione, la comunità si sottomise nel 1873 al Comitato, mantenendo il suo nome86. Anche a Firenze, però, la comunità evangelica italiana non riuscì a integrare in maniera duratura le chiese straniere anglicane e riformate, che continuarono le loro attività.

Un ultimo aspetto che promosse la diffusione dei valdesi fu l'emigrazione, che fece nascere comunità valdesi nella Svizzera, lungo il Rio de la Plata (Uruguay e Argentina) e in diverse città nordamericane, fra cui merita un accenno particolare Valdese (Carolina del Nord), dove i valdesi formarono nel 1893 una colonia propria. Mentre i valdesi di Valdese si sono integrati presto delle Chiese nordamericane già esistenti, le comunità svizzere e sudamericane hanno sempre conservato un legame organico con la Chiesa patria87. Riguardo alla presenza globale di questa Chiesa, merita anche un accenno la partecipazione a diversi progetti missionari svolti in Lesotho e Zambia88.

L'evangelizzazione delle chiese libere

Per breve tempo la Chiesa valdese fu l'unico attore impegnato nell'evangelizzazione italiana. Nel 1851 si associarono a essa Luigi Desanctis, inviato a Torino, e Bonaventura Mazzarella, licenziato a Ginevra, che si recò come coadiutore da Geymonat a Genova, dove i valdesi, formati per secoli nella visione calvinista dell'ubbidienza verso il monarca legittimo, si confrontarono con un ambiente di esuli propensi a idee repubblicane e garibaldine89. Inoltre, la spiritualità protestante dei valdesi cozzò con la ricerca di un cristianesimo 'evangelico', non confessionale ed egualitario, come s'era affermato fra gli esuli. In queste circostanze un dissenso di rilevanza apparentemente secondaria fece scattare una rottura insanabile. Poco dopo l'adesione formale della comunità di Genova alla Chiesa valdese, nell'autunno 1853, la Tavola procedette all'acquisto dal demanio di una chiesa sconsacrata, il che suscitò, però, una fortissima reazione cattolica capeggiata dall'arcivescovo Andrea Charvaz, già protagonista della Restaurazione come vescovo di Pinerolo. Nel 1854 la Tavola cedette alle pressioni del re e del ministro Camillo Benso di Cavour, rivendendo la chiesa per costruire un edificio di culto in altra sede. Dalla componente evangelica della comunità questo atto fu denunciato come favoreggiamento dell'idolatria, dato che ci si aspettava ora la riapertura della chiesa come luogo di culto cattolico90. Sia a Genova che a Torino gran parte degli evangelici italiani, fra cui Mazzarella, si dissociò dalla Chiesa valdese, fondando in entrambe città delle 'società evangeliche' autonome secondo il modello ginevrino. Il Desanctis si mise al servizio della Società evangelica genovese, mantenendo però il titolo di pastore conferitogli dalla Chiesa valdese91. Si stabilì così, accanto alla Chiesa valdese e in contrasto con essa, un ambiente di 'Chiese libere' evangeliche, animate da idee plymouthiste e politicamente repubblicane, come risulta in particolare dalla carriera parlamentare di Mazzarella.

Anche l'ambito delle Chiese libere, però, non fu risparmiato da tensioni interne. Nel 1854 era ritornato dall'esilio londinese il conte Piero Guicciardini, che si era associato al ramo moderato dei Plymouth Brethren e aveva inoltre guadagnato come discepolo Teodorico Pietrocola Rossetti, nipote di Gabriele Rossetti. Il suo arrivo a Nizza, dove la comunità valdese si era completamente associata ai 'liberi', portò subito alla riproduzione dello scisma inglese fra Brethren aperti e darbyisti lungo la Costa Azzurra92. Rossetti, invece, svolse l'evangelizzazione ad Alessandria e dintorni, creando in quella regione una rete di nuclei radicati nei ceti operai e anche nella popolazione rurale. Vale generalmente l'osservazione che le Chiese libere riuscirono meglio dei valdesi a interessare i ceti sotto-borghesi93. Ebbe carattere programmatico il libretto Principii di fede e di disciplina estratti dalla Parola di Dio per servire di base alla Chiesa evangelica di Torino pubblicato da Desanctis nel 1855, che in linea di massima riprodusse la costituzione dell'Église libre ginevrina del 184894. Nel novembre 1858 i rappresentanti delle diverse Chiese libere, fra cui anche Ferretti di Londra, si riunirono a Torino in un «Sinodo di tutte le chiese evangeliche d'Italia», dando così alla loro nascente denominazione una rappresentanza comune95. Essa si diffuse senza avvalersi di un comitato gestionale, mantenendo l'assoluta autonomia delle singole Chiese locali, usufruendo però dei finanziamenti messi a disposizione da Guicciardini, che si avvalse da parte sua di fondi inglesi, e dei Comités di Ginevra e Nizza96. Benché i 'liberi' sviluppassero il loro baricentro nel Piemonte, le loro Chiese si diffusero ampiamente. A Napoli, dove Giuseppe Garibaldi aveva consegnato nel 1860 a Gavazzi una chiesa per le sue predicazioni, Vincenzo Albarella d'Afflitto costituì un anno dopo un'altra comunità di carattere plymouthista97. Mentre la Scuola valdese di teologia imboccava, come il suo modello ginevrino, una rotta accademica, nacquero nell'ambito delle Chiese libere due scuole di evangelisti: una a Genova, diretta da Mazzarella e Desanctis (in cui ci si preparava anche all'insegnamento elementare), e un'altra ad Alessandria, gestita da Rossetti98. Provocò scalpore nel 1863 il libretto Principii della Chiesa romana, della Chiesa protestante, della Chiesa cristiana, pubblicato da Guicciardini e Rossetti, che non solo conteneva dure invettive contro il cattolicesimo, ma denunziava anche i valdesi come 'protestanti' altrettanto legati quanto i cattolici alle proprie tradizioni invece che all'Evangelo. Colpisce in questo contesto l'elogio dell'anglicanesimo, dovuto forse anche a dipendenze economiche99. In fondo, però, ci fu all'interno di questo ambito un dissenso di base di carattere ecclesiologico, che a lungo andare si sarebbe rivelato inconciliabile. Personaggi come Desanctis e Mazzarella, cui si associò Gavazzi, nonostante il suo impegno come cappellano di Garibaldi, ricercarono una Chiesa evangelica e italiana al tempo stesso, libera da superati legami confessionali, dotata, però, di un ministero pubblico e di un minimo di ordinamento comune; il conte Guicciardini, invece, e i plymouthisti con lui, volle una rete di fratellanze governate esclusivamente dallo Spirito divino. Dato che nella seconda metà degli anni Cinquanta dell'Ottocento Desanctis si riavvicinò ai valdesi, morendo nel 1869 come professore della loro Scuola di teologia100, questa tensione sfociò in un confronto fra Guiccardini e Gavazzi, che richiedeva con sempre maggiore determinazione un ordinamento presbiteriano per far nascere una Chiesa nazionale di carattere evangelico, che comprendesse alla fine anche i valdesi. Per il raggiungimento di questo obiettivo egli godette dell'appoggio del pastore John R. McDougall, ministro della comunità fiorentina della Free Church scozzese101. Si confrontarono, dunque, i modelli di una fratellanza plymouthista e quelli di una Chiesa presbiteriana libera.

La spaccatura definitiva fra queste due tendenze avvenne allorché nel 1865 e nel 1870 Gavazzi riunì a Bologna e poi a Milano due assemblee, dalla cui preparazione l'ala di Guicciardini e Rossetti era stata quasi esclusa. Quando il congresso del 1870 approvò la costituzione della Chiesa cristiana libera d'Italia, Rossetti rispose non con una contro-assemblea ma con la fondazione della rivista «Vedetta Cristiana», completamente dedicata allo studio della Bibbia e pensata come strumento di collegamento fra quelle Chiese libere che sarebbero rimaste fuori dal progetto di Gavazzi; fu inoltre coltivata la consuetudine delle Agapi, in cui si riunirono i responsabili delle singole comunità senza dare a questi eventi un carattere assembleare102. Si stabilirono così due organismi ecclesiali distinti. Al contempo, le comunità schierate attorno a Guicciardini e Rossetti rimasero anche separate dalle comunità darbyiste nel senso stretto, che avevano approfittato del soggiorno personale di Darby a Torino nell'anno precedente, il quale criticava in particolare il fatto che il conte Guicciardini soleva elargire uno stipendio mensile ad alcuni «operai», ossia ministri, che costituivano «l'ossatura della vecchia opera delle Chiese cristiane libere»103. Per la Chiesa libera costituita nel 1870 Gavazzi costruì a Roma un centro prestigioso, dotato di un asilo, scuole e di una scuola teologica, di cui egli stesso fu la figura centrale. Tutta la Chiesa, però, ebbe una vita difficile, restando sempre dipendente dai doni scozzesi. Ripetutamente, le difficoltà economiche provocarono l'adesione di pastori e d'intere comunità da loro dirette ad altre denominazioni, in particolare ai metodisti e ai valdesi. Nel 1904, la Chiesa libera si sciolse definitivamente, associandosi ai metodisti104.

Dopo la morte del conte Guicciardini, avvenuta nel 1886, la parte del suo lascito dedicata all'opera servì al sostentamento di questi primi operai ormai anziani; a parte questo, però, le Chiese libere (al plurale, il che le distinse dall'opera di Gavazzi) dipesero in seguito dalle comunità sorelle inglesi. Questo significò anche che i ministri dovevano in ogni caso vivere del lavoro manuale, il che li avvicinò senz'altro agli altri membri delle loro comunità. Al tempo stesso, questa nuova generazione di ministri era teologicamente meno preparata e per conseguenza meno capace di coltivare i rapporti con i 'colleghi' evangelici. Tra i costumi delle Chiese libere italiane, presto chiamate anche 'Chiese dei fratelli' e caratterizzate da riunioni incentrate sulla Scrittura e da una spiritualità biblicista, spicca il rifiuto della festa di Natale, interpretata come simbolo della 'costantinizzazione' della Chiesa105.

Le attività delle associazioni missionarie anglofone

Accanto a impulsi radicati in Italia, la storia del protestantesimo di questo paese è anche caratterizzata dall'impegno di associazioni missionarie estere, in particolare di provenienza anglofona. Accanto alla Chiesa anglicana, che si limitò presto alla pastorale rivolta ai connazionali106, e alla Free Church scozzese, le cui rappresentanti collaborarono con i valdesi o con la Chiesa libera, si assiste a intense attività svolte da organizzazioni metodiste e battiste. Per quanto concerne il metodismo wesleyano inglese, il pastore William Arthur, figura importante della Società missionaria metodista che aveva già dato sostegno alla Chiesa italiana di Londra, intraprese fra il 1859 e il 1860 un viaggio attraverso l'Italia, riassumendo le sue esperienze nel libro Italy in Transition, interessante documento dell'Italia risorgimentale107. Conseguenza di ciò fu la decisione della sua società d'aprire in questo paese un'opera missionaria, partendo da Firenze, ricoprendo però uno spazio che si doveva estendere da Ivrea fino a Napoli. Ricevettero l'incarico di dedicarsi a questo progetto i pastori Richard Green e Henry James Piggott, che mirarono a un'evangelizzazione capillare dal profilo basso, sviluppata cioè senza creare «rumore circa le nostre iniziative», dando invece appoggio alle attività evangeliche già in atto, in particolare a quelle valdesi108. Mentre la collaborazione con i valdesi, il cui anti-arminianesimo tradizionale era stato già ammorbidito dal Risveglio, era assai positiva, entrambi i rami dei 'liberi' si opposero inizialmente a ogni possibile interferenza estera nell'evangelizzazione italiana109. Presto, comunque, anche le attività metodiste sfociarono nella costituzione di una denominazione propria, in cui lavorarono colportori ed evangelisti italiani sotto la direzione di Piggott, dopo che Green aveva lasciato il paese per ragioni di salute. Nel 1868 fu proclamata la Chiesa evangelica metodista in Italia, atto accompagnato dalla fondazione di riviste e perfino di una Scuola di teologia a Padova (1869). Nel 1870, i predicatori italiani furono riconosciuti anche dalla Conferenza britannica, cui rimasero sottoposti i due 'sinodi distrettuali' (uno settentrionale e uno meridionale) istituiti nel 1870110. Come nelle altre denominazioni, la predicazione fu accompagnata dalla fondazione di scuole e di opere assistenziali, anche in collaborazione con altri evangelici. A Roma, per esempio, l'evangelista Francesco Sciarelli cooperò con Gavazzi, fondando nel 1871 il Collegio misto di arti diverse tra gli evangelici in Roma, che intendeva raggiungere anche la classe operaia111.

La breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 chiamò in campo ancora un altro attore metodista, i metodisti episcopali degli Stati Uniti, che nell'anno successivo inviarono in Italia il pastore Leroy Monroe Vernon, che si stabilì a Bologna intraprendendo evangelizzazioni lungo la costa adriatica e nelle grandi città. Nonostante le dichiarazioni iniziali di voler evitare la creazione di un'ulteriore denominazione a sé stante, nel 1874 Vernon procedette alla fondazione della Chiesa metodista episcopale d'Italia, un atto cui fu forse anche spinto dal fatto che sin dall'anno precedente i metodisti americani erano stati quasi costretti ad assumersi il carico di sostenere un certo numero di evangelisti della Chiesa libera, sin da quando l'American and Foreign Christian Union, che fino ad allora aveva dato loro appoggio, si era ritirata dall'Italia112. Come i metodisti inglesi, anche quelli americani integrarono subito nella loro opera evangelisti italiani, fra cui alcuni di provenienza valdese, ma anche diversi ex sacerdoti113. Mentre i primi guadagnavano adesioni anche fra la popolazione rurale, i metodisti episcopali si concentrarono consapevolmente nelle grandi città114. Fu una cesura, nella storia di quest'ultima opera, l'arrivo di William Burt nel 1886 quale sovrintendente del distretto settentrionale prima e come successore di Vernon dal 1888. Convinto del ruolo provvidenziale della sua Chiesa nella storia italiana, egli seguì una politica chiaramente denominazionalista, spingendo alle dimissioni (il che in realtà significò spesso il passaggio verso altre Chiese evangeliche) quasi un quarto dei predicatori115. Nonostante questo, la gestione Burt coincide con la massima fioritura dell'opera metodista episcopale in Italia, dovuta non solo all'appoggio economico americano ma anche alla sintonia delle visioni anticlericali e antipapali di questa Chiesa con le correnti liberali della borghesia italiana, che si esprimeva anche nel fatto che gran parte del livello gestionale della Chiesa, Burt incluso, apparteneva alla massoneria. Divenne quasi il simbolo della gestione Burt l'edificio situato all'angolo fra via 20 settembre e via Firenze, inaugurato il 20 settembre 1895 – in occasione del venticinquesimo anniversario della breccia di Porta Pia – destinato a dar spazio non solo a sale distinte per culti in lingua italiana e inglese, ma anche a un collegio maschile, a una casa editrice e, anche in questo caso, a una propria scuola di teologia. Tutto sommato, questa politica comportò successi vistosi, fra cui anche l'adesione di alcune comunità wesleyane e, nel 1904, di quel che restava della Chiesa libera116.

Contemporaneamente ai metodisti anche diverse opere battiste s'impegnarono in Italia. Il primo impulso al riguardo risale a un'iniziativa quasi privata, allorché nel 1863 tre pastori battisti del Sud-Ovest dell'Inghilterra fondarono la Gospel Mission to the Italians, il che permise a due di loro, James Wall ed Edward Clarke, di recarsi in Italia per iniziare un'opera evangelica a Bologna e a La Spezia, dedicandosi in particolare ai militari. Nel 1870, Wall guadagnò per Bologna l'appoggio della Società missionaria battista. Quando nello stesso anno il Foreign Mission Board della Southern Baptist Convention americana inviò in Italia un missionario di nome Wilfred Nelson Cote, che si stabilì a Roma, Wall si associò organicamente alla missione americana. Rimase invece più autonoma, e al tempo stesso meglio integrata nel tessuto sociale italiano, l'opera di Clarke a La Spezia, che era caratterizzata, fra l'altro, da un forte impegno educativo, portato avanti da sua sorella e un'amica inglese che li accompagnava117. Accanto a queste due corporazioni ci furono anche attività dei Northern Baptists a Roma, inizialmente integrate, però, nell'opera dei fratelli meridionali. Allorché, però, il Wall costituì nel 1878 la Chiesa cristiana apostolica, collaborando con i nordisti, si giunse a una tripartizione dell'opera battista in Italia118. Un problema teologico ampiamente discusso fra le opere aderenti a sudisti e nordisti fu l'ipotesi di una 'comunione aperta', ossia l'ammissione di evangelici 'pedobattisti' alla Cena. Mentre i nordisti, e Wall con loro, favorivano l'ammissione (riservando sempre la decisione nel merito alla comunità locale), essa fu considerata impossibile dagli altri119. I rapporti originariamente buoni fra Wall e le Chiese libere vissero una rottura nel 1879; questo, però, aprì la strada all'avvicinamento delle opere nordiste e sudiste, con l'esito della fondazione dell'Unione cristiana apostolica battista (Ucab) nel 1884, cui si associò nel 1910 anche Clarke di La Spezia. Restò fuori dall'unione l'ex evangelista valdese Oscar Cocorda, che nel frattempo aveva fondato una Chiesa battista a Torre Pellice120. Il consolidamento della denominazione si espresse nel 1901 nell'apertura, a Roma, di una Scuola teologica battista, i cui docenti erano in maggioranza inglesi e americani, fra cui troviamo, però, anche Enrico Paschetto, un valdese che aveva studiato teologia all'Oratoire, aderendo poi ai battisti, professore ora sia alla Scuola battista sia a quella della Chiesa libera, nonché libero docente di lingue semitiche all'Università statale121. Dei suoi figli uno, di nome Ludovico, lo seguirà nel ministero battista e nell'insegnamento alla Scuola teologica. Un altro, Paolo, diventerà rappresentante di spicco dell'Art décor  italiana122.

Altre denominazioni evangeliche

Accanto a quelle allora più numerose, alcune altre denominazioni evangeliche si stabilirono già prima della Grande guerra sul suolo italiano. Gli Avventisti del settimo giorno iniziarono le loro attività già nel 1864, stabilendosi anzitutto nelle Valli valdesi per costituire poi piccole comunità in diverse città italiane123. L'Esercito della salvezza, invece, organizzò le sue prime riunioni a Roma nel 1887 per sviluppare poi, grazie all'operato del valdese Fritz Malan, il proprio baricentro nelle Valli124. Nel 1908 anche il movimento pentecostale giunse in Italia, propagato da emigrati negli Stati Uniti, che avevano fondato un anno prima a Chicago una Chiesa pentecostale italiana. Nell'arco di pochi anni si costituirono nuclei pentecostali dalle Puglie fino all'imbocco delle Valli valdesi (Luserna San Giovanni)125. Dall'inizio degli anni Ottanta dell'Ottocento anche la Chiesa veterocattolica si stabilì in Italia, spaccandosi poi in una frangia orientata ai contestatori germanofoni dell'infallibilità papale e in una anglicanizzante, capeggiata dal pastore Ugo Janni di Sanremo. Alla fine egli si associò alla Chiesa valdese, divenendo in essa un protagonista importante dell'ecumenismo ovvero dell'idea di 'pancristianesimo'126.

Collaborazione interdenominazionale e progetti di unione

Il protestantesimo italiano, pur costituendo un fenomeno altamente minoritario, si contraddistinse per un'elevata varietà denominazionale, accompagnata da una propensione per il congregazionalismo, mettendo cioè l'accento sull'autonomia della singola comunità locale. Al tempo stesso, gran parte delle comunità locali, che furono spesso di consistenza minuscola, dovettero la loro esistenza all'impatto 'carismatico' di singole persone, cosa che ebbe anche per conseguenza che ogni tanto un pastore cambiò denominazione assieme a tutta la sua congregazione127. Ci fu, però, in tutto l'ambito evangelico un consenso di base, rinnegato soltanto da una parte dei Fratelli, secondo cui la Chiesa come comunità salvifica dei credenti non era identificabile con una specifica denominazione. Perciò il passaggio da una denominazione a un'altra non fu per forza vissuto come 'conversione', anche se questo non era escluso, in particolare quando una persona aderiva, ottenendo il battesimo da adulto, ai battisti. Fu comunque viva sin dall'inizio in questo ambiente una consapevolezza di fraternità sovra-denominazionale, che si espresse in innumerevoli casi di aiuto reciproco, nella partecipazione dei ministri evangelici ai funerali di loro colleghi appartenenti ad altre denominazioni128, ma anche in progetti di ricerca di una comunione più organica all'interno del protestantesimo italiano.

Sul piano internazionale, questo sviluppo si era preparato attraverso l'Alleanza evangelica, fondata nel 1846 in seguito all'impulso di Thomas Chalmers, uno dei protagonisti della Free Church scozzese, e pensata come associazione di cristiani singoli, non di organismi ecclesiastici, di spiritualità risvegliata. L'assemblea dell'Alleanza evangelica tenuta a Parigi nel 1855 vide uniti rappresentanti valdesi e della Chiesa libera. In Italia, ci fu già nella prima metà degli anni Ottanta del secolo XIX un comitato intermissionario, composto dal presidente del Comitato di evangelizzazione valdese, da McDougall, che dirigeva la Chiesa libera, e dai dirigenti delle opere metodiste e battiste; mancarono in questa cerchia sia il Clarke di La Spezia, sia i Fratelli. Nell'aprile 1884 il Comitato organizzò a Firenze un'Assemblea promotrice di unione e di cooperazione tra le Chiese evangeliche d'Italia, che non sortì, però, risultati concreti. Nello stesso periodo la Chiesa valdese e la Chiesa libera (quella gavazziana) cercarono di superare la spaccatura del 1854. Nonostante le analogie costituzionali, la questione circa il nome della nuova Chiesa unita fece fallire le trattative fra il 1886 e il 1887129. Al contempo, però, fu celebrato, nel maggio 1887 a Firenze, il primo congresso delle Associazioni cristiane dei giovani (Acdg) d'Italia, creando, come ramo nazionale della Young Men's Christian Association (Ymca), una piattaforma interdenominazionale dei circoli giovanili evangelici sparsi in tutto il paese130. Nel 1901 e nel 1920 furono organizzati a Roma congressi evangelici. Nel secondo caso intervennero anche alcuni Fratelli e pentecostali, ma l'ipotesi allora discussa di un superamento delle divisioni, se in una federazione o attraverso la fondazione di una Scuola teologica comune, non incontrò il necessario sostegno131. Una delle poche conseguenze concrete di questi tentativi di avvicinamento fu l'integrazione di due teologi metodisti nel corpo docenti della Facoltà valdese132.

Dal punto di vista teologico, questo istituto si era aperto già dagli anni Settanta dell'Ottocento alla metodologia storica. Mentre Emilio Comba, titolare della cattedra di teologia storica e discepolo di Henri Merle d'Aubigné, svolgeva ricerche meritevoli sul valdismo medioevale, riconoscendo senza riserve il superamento di visioni mitologiche in questo ambito133, l'esegeta Alberto Revel recepì i risultati dell'esegesi storico-critica, in particolare del Pentateuco. L'accresciuto peso della metodologia storica nella teologia fu, del resto, combattuta da Geymonat, allora titolare della cattedra di teologia sistematica134. Con l'arrivo di Giovanni Luzzi come successore di Geymonat nel 1902 la Facoltà valdese di teologia (chiamata così ufficialmente dal 1904) si aprì anche all'influsso della teologia liberale sviluppata in Germania da studiosi come Albrecht Ritschl e Adolf von Harnack, partecipando cioè ai dibattiti svolti in questo periodo nella teologia protestante a livello internazionale135.

Riguardo ai rapporti con il cattolicesimo romano, tutto il progetto di evangelizzazione dell'Italia partì da una visione assai polemica del cattolicesimo come 'superstizione', rafforzata ancora dalle convinzioni antiromane diffuse tra i risvegliati anglofoni e da un fermento anticlericale, un aspetto che si manifestò anche nell'adesione di numerosi pastori protestanti (in particolare metodisti episcopali, della Chiesa libera e valdesi) a logge massoniche136. La contrapposizione al cattolicesimo si espresse in numerose controversie pubbliche fra ministri evangelici e sacerdoti cattolici, fra cui quella organizzata a Roma nel 1872 sulla storicità del soggiorno dell'apostolo Pietro in questa città137. La reazione del clero cattolico all'arrivo di colportori ed evangelisti protestanti consistette quasi sempre in un aperto confronto e si tradusse perfino nell'istigazione a sommosse violente della popolazione, che causavano feriti e, in casi estremi, persino dei morti. Guadagnò una triste celebrità al riguardo la città pugliese di Barletta, dove nel 1866 una campagna evangelistica di Gaetano Giannini, collaboratore del conte Guicciardini, suscitò una reazione talmente violenta da provocare sei vittime. Le modalità in cui intervennero in situazioni del genere le forze dell'ordine andarono dall'intervento imparziale fino alla soppressione dell'impulso evangelico in nome della pace pubblica138. Il confronto fra protestanti e cattolici si ammorbidì soltanto all'inizio del secolo XX con l'emergere del dibattito sul modernismo. Furono in particolare protestanti dal profilo 'liberale' a riconoscere nei modernisti interlocutori ecumenici139.

Il protestantesimo di fronte al fascismo e nazismo

Nel corso della Prima guerra mondiale, i protestanti italiani s'identificarono con la loro nazione in maniera altrettanto enfatica quanto i loro concittadini. Senza riserve i protestanti prestarono il servizio militare, nel quale si poterono avvalere di propri cappellani militari140. Il fascismo, che comportò pochi anni dopo la conclusione della guerra l'ascesa di Benito Mussolini al potere, ebbe originariamente anche una componente anticlericale, che fu però eliminata nel corso del consolidamento del regime141. Le reazioni dell'opinione protestante alla politica fascista furono ambigue. Mentre la rivista «La Luce», settimanale della diaspora valdese diretto nel 1922 da Mario Falchi, docente del Collegio di Torre Pellice, si esprimeva sin dall'inizio in maniera piuttosto critica verso le tendenze totalitarie del regime e denunciava «l'apologetica cattolico-nazionalista di Mussolini» come ideologia strumentale142, ci furono anche voci più favorevoli, diffuse particolarmente fra gli ambienti ecumenicamente aperti, che videro nel fascismo un'ipotesi politica al di là dell'alternativa fra le visioni filoclericali del Partito popolare italiano e il socialismo materialista. Divenne simbolo di questa corrente la scelta di Luzzi, ritornato nel frattempo nella natia Poschiavo, di fondare lì fra gli operai italiani un fascio143. Fu anche a causa di una crescente pressione della censura che dal 1925 le voci critiche verso il fascismo scarseggiarono nella pubblicistica evangelica, senza essere, però, completamente zittite144.

Per quanto concerne la Chiesa valdese, un primo problema concreto si pose con la riforma del sistema scolastico iniziata dal ministro Giovanni Gentile nel 1923, che non soltanto sottrasse ai comuni la supervisione delle scuole elementari conferendola alle province, ma previde anche la chiusura delle scuole piccole e delle Scuole normali private, fra cui quella di Torre Pellice, nonché l'italianizzazione dell'insegnamento anche in zone linguisticamente allofone. Per quanto riguarda l'insegnamento religioso, la religione cattolica fu definita, come noto, 'fondamento' e insieme 'coronamento' della formazione scolastica; al contempo, però, si previde anche l'ipotesi di esenzione dall'ora di religione cattolica su richiesta dei genitori. Benché questa legge abolisse nelle Valli, dove fu attuata dal 1925 in poi, una secolare storia di scolarizzazione comunale, l'introduzione della riforma Gentile passò senza grandi resistenze, poiché la specificità religiosa delle Valli fu rispettata, concedendo, ad esempio, la sopravvivenza delle piccole scuole di quartiere come istituti sussidiari e l'affissione nelle sale scolastiche dell'immagine del Buon pastore invece del Crocifisso, come richiesto nel testo legislativo. La forzata italianizzazione provocò diverse resistenze, ma portò negli anni Trenta alla progressiva abolizione del francese sia come lingua veicolare per lo scambio culturale e intellettuale (stampa ed editoria), sia come lingua di culto145. A lungo andare divennero vittime della politica scolastica fascista anche le poche scuole valdesi ancora esistenti nella diaspora (per esempio Forano Sabina nel 1926, Sanremo nel 1935)146.

I protestanti italiani osservarono con apprensione i tentativi di Mussolini di guadagnare consensi mediante la riconciliazione dell'Italia con la Santa Sede, strategia che culminò nei Patti Lateranensi del febbraio 1929147. A questo atto il governo fascista fece seguire una nuova legislazione concernente i culti non cattolici, varando nel giugno dello stesso anno la legge sui culti ammessi, che da un lato ribadì il principio della libertà religiosa e la possibilità di riconoscimento di organizzazioni religiose non cattoliche come enti morali, dall'altro lato però condizionò all'approvazione dello Stato la nomina dei ministri di culto. La legge era quindi interpretabile o come preparazione di pressioni statali o come riconoscimento legislativo delle Chiese evangeliche all'interno di una sistemazione delle vicende ecclesiastiche italiane – un punto di vista adottato, ad esempio, da Ugo Janni, che fra il 1922 e il 1924 aveva ancora pubblicato su «La Luce» dure polemiche contro il nuovo regime148. Che si aprisse, comunque, una nuova distinzione giuridica fra la religione di Stato e gli altri culti, si evidenziò dalla rielaborazione del Codice penale del 1927, in cui le offese alle religione di Stato erano punite con pene maggiori di quelle rivolte agli altri culti149. A parte le questioni normative, tuttavia, la sostituzione dei governi liberali con il regime fascista significò per l'intero ambito evangelico un peggioramento delle sue condizioni, dato che sin dall'inizio i nuovi governanti nutrirono contro di esso dei sospetti e si mostrarono più suscettibili a suggerimenti cattolici mirati alla repressione del protestantesimo, descritto come minaccia all'unità della nazione150. Nel 1927, con l'insediamento di Arturo Bocchini come capo di polizia, si diede avvio a un preciso sistema di sorveglianza e pressioni151. Un problema condiviso da tutte le denominazioni evangeliche fu il progressivo peggioramento dei rapporti fra l'Italia fascista e il mondo anglofono, considerato l'avversario principale. Per i valdesi, considerati dai fascisti un elemento della nazione italiana, questo fatto si espresse anzitutto nella sensibile diminuzione degli aiuti provenienti dall'estero, che costrinse la Chiesa a dolorose misure di risparmio, compresa la riduzione nel numero di pastori in servizio e la ricerca di un'autarchia economica. Il pastore e professore della Facoltà Ernesto Comba, figlio di Emilio Comba e moderatore dal 1934, divenne la figura simbolica di una politica ecclesiastica valdese mirata alla sopravvivenza economica e al contempo alla massima prudenza nei confronti del fascismo, da lui realizzata in uno stile irritualmente autoritario152. Più in generale, l'atmosfera accesamente nazionalistica creata dal regime fece apparire in una luce ambigua ogni tipo d'inserimento in organizzazioni internazionali. Per questa ragione, Comba ridimensionò anche la partecipazione, precedentemente intensa, della Chiesa valdese agli eventi ecumenici del tempo153.

Fu colpito, però, in modo particolare da queste condizioni il settore giovanile, dato che l'Acdg si presentò come filiazione italiana della Ymca. Il pastore valdese Paolo Bosio progettò come alternativa «un tipo di organizzazione più rigidamente confessionale ed ecclesiastico», diretto dal pastore della Chiesa locale, formalmente costituita fra il 1937 e il 1938 sotto il nome di Federazione delle unioni valdesi (Fuv)154. Si profilò invece come difensore del carattere internazionale e interdenominazionale del lavoro giovanile Mario Falchi, uno dei pochi a trovare nel 1938 anche il coraggio di protestare apertamente contro le leggi razziali155. Dalla guerra in Abissinia fino al 1943, molti valdesi furono coinvolti come soldati e cappellani nelle azioni militari italiane. A parte poche eccezioni, però, non si registrano nel merito affermazioni di entusiasmo; quando a Reggio Calabria la consegna della medaglia d'oro alla memoria a un aviatore valdese caduto in Africa orientale fu celebrata in chiesa, questo atto creò perfino uno scandalo156. Riassumendo, il comportamento della Chiesa valdese può essere descritto nel senso di una lealtà di base, considerata dovuta nei confronti di un governo legittimo, vissuta però in una presa di distanza spesso silenziosa e implicita, compresa l'accoglienza clandestina di perseguitati, anche e in particolare di ebrei157.

Furono ancora più difficili durante il fascismo le condizioni delle altre denominazioni evangeliche, legate com'erano al mondo anglofono. I metodisti e i battisti, riuniti dal 1923 nell'Opera cristiana evangelica battista d'Italia (Ocebi), ottennero, alla stregua dei valdesi, il riconoscimento come culti ammessi; al tempo stesso essi furono però costretti a una scelta di austerità economica, dato che i loro rapporti con le Chiese-madri suscitò regolarmente sospetti politici. La propensione per un orientamento politico di sinistra, cui si collegò nel caso dei metodisti una contiguità alla massoneria, fece entrare un numero considerevole di pastori e rappresentanti di queste denominazioni nel mirino della polizia, sfociando in diversi atti di pressione, incarcerazione e confino158. L'ambito delle Chiese libere, divise fra Fratelli 'larghi' e 'stretti', ebbe l'ulteriore problema di non disporre di un ministero pastorale il cui riconoscimento poteva rientrare nella normativa della legge sui culti ammessi. Mentre le quattro comunità strettamente darbyiste richiedevano e ottenevano permessi eccezionali, il tentativo dei Fratelli 'larghi' di nominare alcuni anziani come ministri di culto e di estendere l'ente morale già costituito a Firenze, a causa di esigenze patrimoniali su tutte le comunità segnò l'inizio di una lunga serie di conflitti con le istituzioni statali e di atti repressivi delle prefetture, motivati dall'idea che i Fratelli rappresentassero un ambito caratterizzato da convinzioni repubblicane159. Furono colpiti in modo particolare dalle pressioni fasciste l'Esercito della salvezza, che non fu riconosciuto come 'ammesso' e finì quasi per dover sospendere le sue attività in Italia160, e i Pentecostali, sprovvisti di un ministero ordinato, che inizialmente furono integrati nel sistema dei culti ammessi attraverso un'autorizzazione concessa al capo della comunità romana con facoltà di delega ad altri. Già nel 1928, però, la polizia accolse una perizia psichiatrica, secondo cui il culto pentecostale avrebbe provocato uno stato mentale nevropatico e dannoso in particolare ai minori, un'argomentazione cui si associò la nunziatura apostolica d'Italia nel 1934. Si basò su ragionamenti simili anche la circolare del sottosegretario del ministero degli Interni Guido Buffarini Guidi del 1935, che vietò il culto pentecostale dichiarando «che esso si estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all'ordine sociale e nocive all'integrità fisica e psichica della razza»161. I pentecostali non si fecero scoraggiare, continuando le loro riunioni nella clandestinità e pagando per questo un alto prezzo d'incarcerazioni risultate mortali per alcuni162. Ai Testimoni di Geova, portatori di una spiritualità assai diversa da quella delle denominazioni evangeliche finora trattate e presenti in Italia dall'inizio del secolo XX in alcuni minuscoli nuclei locali, fu vietata nel 1928 la distribuzione della loro rivista «Torre di guardia»; inoltre, i 59 abbonati furono sorvegliati. Dal 1934, diversi attivisti finirono in carcere o al confino, spesso a causa del loro rifiuto del servizio militare; dal 1939 si avviò una persecuzione sistematica163. Queste pressioni, comunque, interrompendo una tradizione di libertà religiosa istaurata nel 1848, da un lato colpirono con particolare durezza alcuni gruppi considerati marginali anche all'interno del protestantesimo; dall'altro lato, però, esposero tutte le Chiese evangeliche a condizioni precarie, in cui le direzioni delle singole Chiese furono costrette a dedicarsi con tutte le forze nella battaglia per la sopravvivenza del proprio organismo (e cioè nel mantenimento degli impegni nei confronti di pastori, impiegati e affidati), perdendo così di vista, a parte alcune eccezioni, l'esigenza di una protesta profetica contro le continue e sistematiche violazioni del diritto e della dignità umana.

D'altra parte, fuori dalle istanze gestionali, il protestantesimo partorì alcuni progetti pubblicistici che diedero voce e spazio a visioni dissenzienti. Il primo fu la rivista «Conscientia», fondata nel 1922 e editorialmente radicata nell'Opera battista. Essa riuscì a guadagnare le firme prestigiose di Piero Gobetti, rappresentante della tesi della mancata riforma in Italia, che ora stava richiedendo una Rivoluzione liberale164, e di Giuseppe Gangale, che si dichiarò esplicitamente solidale con Gobetti e con la sua critica del regime. Proprio pochi giorni dopo l'assassinio di Matteotti, l'Opera battista nominò Gangale condirettore della rivista, dopo che egli si era fatto battezzare – un atto il cui peso politico non può essere rimasto nascosto. Diversamente da Gobetti, assalito a morte su ordine di Mussolini, Gangale riuscì a portare avanti questo progetto editoriale fino al 1927, anno della sua soppressione definitiva, per continuare poi con una casa editrice dal nome Doxa. Un suo saggio su Calvino costituì una delle prime imprese editoriali. In esso, egli mise al centro, come insegnamento di Calvino, la trascendenza di Dio e una dialettica insormontabile fra vita e ragione umana – tutti motivi per mettere in discussione le pretese totalizzanti del regime. Nel 1934, però, Gangale scelse la via dell'esilio in Svizzera165. Fu simile a Doxa la libreria e casa editrice Gilardi & Noto, fondata nel 1930 a Milano dal metodista wesleyano e attivista delle Acdg Ferdinando Visco Gilardi, influenzato da idee antroposofiche166. Un terzo ramo di dissenso evangelico, alla fine, fu incoraggiato dalla ricezione della teologia di Karl Barth, docente di teologia all'Università di Bonn prima e all'Università di Basilea poi, nonché fondatore della 'teologia dialettica', che anche in Germania avrebbe offerto un fondamento teologico alla resistenza della Chiesa confessante. Mentre alla Facoltà valdese dominavano negli anni Venti, come in tante facoltà germanofone, delle fortissime riserve nei confronti della teologia barthiana, il giovane pastore Giovanni Miegge, collaboratore anche di «Conscientia» nelle sue due ultime annate e di Doxa (con traduzioni italiane di opere fondamentali di Lutero), fu il primo in Italia a diffondere il concetto barthiano della distinzione di base fra Dio e mondo. Non sorprendono i contatti con Gangale, data la loro profonda parentela nell'elaborazione di un'antitesi dialettica a visioni totalizzanti. Miegge fu accompagnato in questa impresa dal suo collega più giovane, Valdo Vinay. La piattaforma di questo rinnovamento teologico divenne la rivista «Gioventù Cristiana», testata appartenente alle Acdg, che seppe resistere fino alla chiusura del 1940, giustificata dalla mancanza di carta, alle crescenti pressioni della censura. Fu anche conservato il carattere sovradenominazionale del periodico, alla cui redazione aderirono, fra gli altri, il metodista Giorgio Spini e il pastore battista Manfredi Ronchi. Si associò all'impresa di «Gioventù Cristiana» perfino un organo dei Fratelli dal titolo «Ebenezer». Fra il 1933 e il 1935, entrambe le riviste riportarono regolarmente, con articoli di Vinay e Spini, notizie del Kirchenkampf tedesco, e questo colpisce particolarmente per una testata radicata in una denominazione che preservava sempre la massima distanza dalle questioni della quotidianità. Perfino dopo la soppressione di «Gioventù Cristiana», il gruppo dei barthiani, che dal 1935 aveva acquisito visibilità anche attraverso le 'giornate teologiche' tenute al Ciabàs, nella Val Angrogna, riuscì a organizzare un'ulteriore testata dal titolo «L'Appello»167.

L'armistizio italiano dell'8 settembre 1943 coincise da parte valdese con il primo giorno del sinodo annuale, in cui il giovane pastore Vittorio Subilia, anch'egli appartenente al gruppo barthiano, presentò un ordine del giorno che espresse una confessione di peccato di tutta la Chiesa valdese per « non aver saputo proclamare in ogni contingenza ed a costo di qualsiasi rischio il messaggio di Cristo il Signore in tutte le sue implicazioni». Il dibattito, durante il quale arrivò la notizia dell'armistizio, fu controverso. In vista di un'eventuale sconfitta in assemblea Subilia lo ritirò, ma solo dopo aver reso visibile la contrapposizione fra chi aveva seguito la rotta della prudenza e chi aveva tentato una protesta profetica168. Nel periodo successivo la divisione del paese in una parte occupata dai tedeschi e un'altra parte controllata dagli alleati impedì sia ai valdesi sia alle altre denominazioni di mantenere un'amministrazione funzionante. Nelle Valli valdesi la Resistenza si organizzò molto rapidamente, anche perché era già preparata da una rete antifascista il cui principale punto di riferimento fu il Collegio di Torre Pellice con i docenti Mario Falchi e il pastore Francesco Lo Bue, e perché già fra la caduta di Mussolini e l'armistizio il Partito d'Azione, che ideologicamente si offriva come alternativa sia al materialismo comunista sia a un ripresa del Ppi, era riuscito – fatto unico fuori dalle grandi città – a costituire nella Val Pellice una presenza organizzata. Simboleggia quasi il legame fra valdismo e azionismo la figura di Mario Alberto Rollier, che aveva frequentato gruppi giovanili valdesi e recepito l'influsso di Gangale e dei barthiani, pubblicando articoli su «Gioventù Cristiana», per diventare poi federalista169. In una delle tre vallate, però, nella Val Luserna, la Resistenza fu di carattere 'garibaldino', cioè comunista, e meno radicata tra la popolazione170. Anche altrove, del resto, gli evangelici diedero alla Resistenza un contributo sostanziale171.

Il coinvolgimento particolare delle Valli valdesi nella Resistenza ha suscitato la questione circa il legame fra questa scelta politico-esistenziale e il fatto religioso. Sembra lecito dire, con Giovanni Miegge, che «[nel]la grande, la vecchia, la cara idea di libertà» il credo confluì inestrinsecabilmente con esperienze storiche e convinzioni politiche172. Gli organi ufficiali della Chiesa valdese cercarono però di conservare nella battaglia accanita fra la Resistenza e le forze tedesche una sorta di neutralità, dichiarando di schierarsi con la popolazione inerme, cosa che segnalò anche la rinuncia a una presa di posizione politica173. Nessun pastore fu formalmente nominato cappellano dei gruppi di resistenza, sebbene alcuni teologi svolgessero fattivamente questa funzione174. Fu l'impegno 'laico' e individuale, non quello istituzionale, a far assumere al protestantesimo un ruolo attivo nella Liberazione.

Il protestantesimo italiano dopo il 1945

Contrariamente alle attese, la ricostituzione dello Stato italiano non portò immediatamente all'abolizione delle misure repressive nei confronti dei protestanti. Mentre gli alleati avevano concesso a valdesi, metodisti e battisti un posto nei programmi della radio, le autorità italiane cercarono subito di ostacolare trasmissioni radiofoniche protestanti. Anche diversi tentativi di denominazioni evangeliche, inclusa quella valdese, di recuperare luoghi di culto abbandonati durante la guerra o di creare nuclei nuovi, dovettero subire interventi da parte delle forze dell'ordine. Nonostante la Costituzione del 1948 stabilisse il principio della libertà religiosa, si considerò giustificata una lettura repressiva della legge sui culti ammessi. Per i pentecostali, la circolare Buffarini Guidi fu abolita, dopo alcune applicazioni di detta normativa nel periodo post-bellico, soltanto nel 1955175. Il carattere difficoltoso dei rapporti fra le Chiese evangeliche e la Repubblica italiana, dominata com'era dalla Democrazia cristiana, fu evidenziato anche dal fatto che non si conclusero per decenni quelle 'intese' fra lo Stato e le associazioni religiose non cattoliche che erano previste nello stesso testo della Costituzione.

Sia l'esigenza di distribuire aiuti provenienti dai paesi protestanti, sia la necessità di esprimere una voce comune nell'impegno per la libertà religiosa e per il carattere 'laico' della democrazia, sia ancora l'avvicinamento ecumenico a livello mondiale, che nel 1948 sarebbe sfociato nella fondazione del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) a Ginevra, sollecitarono i rappresentanti del protestantesimo italiano verso la ricerca di una collaborazione più organica. Nacque così, nel 1946, il Consiglio federale delle Chiese evangeliche in Italia, di cui fecero parte, accanto a valdesi, metodisti (i cui due rami erano confluiti in un'unica organizzazione, sottostante alla Conferenza britannica), battisti, Esercito della salvezza, e anche – benché non a pieno titolo  – i Fratelli, gli avventisti e i pentecostali. La Chiesa evangelica luterana in Italia, erede delle Chiese di stranieri germanofone, che si costituì corpo ecclesiastico indipendente dalle Chiese-madre tedesche nel 1949, vi aderì nel 1961176. Nel frattempo le congregazioni battiste intrapresero un processo di crescente autonomia (anche economica) dall'estero, costituendo nel 1956 l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia, dotata di nuovo, dopo la chiusura dell'istituto romano nel 1932, di una Scuola teologica propria, fondata nel 1949 a Rivoli (Torino) e funzionante fino all'inizio degli anni Settanta177. L'approfondimento della collaborazione interdenominazionale fece nascere poi, nel 1965, la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei). Le associazioni giovanili dei valdesi, metodisti e battisti, che erano la forza propulsiva di questo processo, si costituirono nel 1969 come Federazione giovanile evangelica italiana (Fgei), recuperando così l'unità di cui avevano già goduto nelle Acdg178. Per quanto concerne i rapporti fra la Chiesa valdese e il metodismo italiano, che è anche erede della Chiesa libera, si giunse nel 1974 al patto d'integrazione, che prevede un sinodo e un corpo pastorale comuni, conservando, però, le identità denominazionali delle singole chiese locali. Sulla base della Concordia di Leuenberg del 1973, comunque, questa Chiesa si trova anche in piena comunione ecclesiale, inclusa l'ammissione alla Cena e il riconoscimento del ministero, con le Chiese luterane, riformate, unite e metodiste continentali179. È invece una specificità italiana l'accordo fra la Chiesa valdese, compresa la componente metodista, e l'Ucebi del 1990, secondo cui entrambi gli organismi si riconoscono reciprocamente «quali Chiese di Gesù Cristo», dando così una base teologica a una collaborazione sempre più intensa scaturita dal lavoro giovanile comune180.

Dopo l'esperienza della Seconda guerra mondiale, un desiderio di riconciliazione e comunione pacifica fu l'impulso di base del pastore Tullio Vinay, fratello di Valdo, quando iniziò nel 1947 vicino a Prali, un luogo remoto delle Valli valdesi, la costruzione di un villaggio comunitario destinato ai giovani, di nome Agàpe, pensato come luogo di scambio, dibattito e comunione vissuta fra i partecipanti dei diversi 'campi' e i 'residenti', che avrebbero fatto la scelta di passare in quest'opera un periodo di qualche anno come collaboratori. Il centro fu inaugurato nel 1951. S'impone quasi un confronto con la comunità di Taizé, fondata pochi anni prima da Roger Schutz, duramente criticata del resto da Miegge già nel 1943181, proprio per identificare le specificità del progetto di Agàpe: la rinuncia a una convivenza e a una liturgia semi-monastica a favore del confronto argomentativo e il legame, ribadito da Tullio Vinay, con la Chiesa locale di Prali182. Il tema delle questioni sociali, coltivato fra l'altro proprio ad Agàpe, e presumibilmente anche il senso di un'atmosfera politica soffocante, fece germogliare, però, in seno al lavoro giovanile una forte tendenza marxista, che mise anche in dubbio la validità del progetto originario di quest'opera. Nel 1961 Tullio Vinay decise di compiere il passaggio dal dibattito all'azione, fondando a Riesi in Sicilia, città dotata dalla fine del secolo XIX di una Chiesa valdese, il Servizio cristiano, istituendo un asilo, diverse scuole e un centro agricolo, pensato tutto come testimonianza cristiana di giustizia in una regione tormentata dalla povertà e dalla corruzione. Alla fine lo stesso Tullio Vinay divenne senatore, associandosi al Pci, il che suscitò all'interno della Chiesa un duro confronto fra tendenze filomarxiste, che trovavano la loro platea nella rivista «Gioventù evangelica», e conservatrici183.

Sotto il profilo teologico, il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale fu caratterizzato dall'orientamento, anche critico, verso la teologia barthiana. Ottennero cattedre alla Facoltà valdese, trasferita nel 1922 a Roma e unico istituto di formazione teologica che sopravvisse alla crisi degli anni Trenta e Quaranta, proprio Giovanni Miegge, Valdo Vinay e Vittorio Subilia, che riuscirono inoltre a sviluppare ulteriormente i rapporti dell'istituto con le facoltà evangeliche estere, in cui la teologia di Barth giocò per decenni un ruolo altrettanto importante184. Relativamente ai rapporti con il cattolicesimo, il concilio Vaticano II sollecitò un'apertura importante nel senso dell'ingresso della Chiesa cattolica nel campo dei rapporti ecumenici, cosa che introdusse anche una stagione di disgelo nei rapporti fra la Chiesa di maggioranza e Chiese evangeliche locali. Fu Valdo Vinay a collaborare con la comunità romana di Sant'Egidio, mentre Paolo Ricca, che dal 1976 sarebbe stato professore della Facoltà valdese, si profilava durante il concilio, su incarico dell'Alleanza riformata mondiale, come commentatore teologico185. Analogamente alle scelte adottate nelle altre Chiese riformate, unite e luterane continentali, sia la Chiesa valdese (dopo una decisione sinodale del 1962), sia le chiese battiste riunite nell'Ucebi (negli anni Ottanta), aprirono il ministero pastorale alle donne186. Da parte valdese questa decisione era accompagnata dall'esperienza dell'esaurirsi delle vocazioni al ministero femminile diaconale, come istituito nella Casa delle diaconesse. A questo riguardo, la modifica nell'impostazione del ministero ecclesiastico femminile rispecchiò da un lato la modernizzazione della società italiana, ma dall'altro lato fu anche vissuta come messa in pratica della parola paolina sull'eguaglianza essenziale di uomo e donna in Cristo (Gal. 6, 2).

Per quanto concerne le questioni legislative, soltanto nella seconda metà degli anni Settanta lo Stato italiano ha avviato trattative con la Chiesa valdese. Per l'entrata in vigore dell'intesa, però, si dovette attendere la revisione del Concordato del 1984, con la quale il cattolicesimo perdeva la qualifica di religione di Stato, sebbene venisse conservato il carattere costituzionale dei Patti Lateranensi. Da allora sono state stipulate intese anche con altre associazioni religiose, che possono ora partecipare alla ripartizione dell''otto per mille'187. In tutte queste trattative la Fcei ha giocato e gioca tuttora un ruolo importante.

Tutto il periodo successivo al 1945, comportò, però, un capovolgimento delle proporzioni delle diverse denominazioni in senso molto largo evangeliche. Mentre nelle 'chiese storiche' (valdesi, metodisti, battisti, luterani e in un certo senso anche i Fratelli) il numero dei fedeli rimaneva sostanzialmente stabile, si assistette alla crescita esponenziale di due denominazioni precedentemente marginali, ossia dei Testimoni di Geova, provvisti di un'organizzazione centralistica, e del vasto ambito congregazionalista delle Chiese e delle associazioni pentecostali, capaci entrambi di penetrare anche nei ceti rurali e operai. Questo processo, le cui ragioni non possono essere approfondite in questa sede, ha comunque fatto diventare statisticamente minoritarie perfino nel proprio ambito evangelico le 'chiese storiche'188. Un secondo aspetto, che negli ultimi trent'anni ha profondamente trasformato la realtà sociale del protestantesimo italiano, è l'immigrazione di protestanti provenienti in particolare da paesi africani e dalla Corea del Sud, fra cui un numero consistente di presbiteriani, metodisti e battisti. Parte di loro si è presto decisa ad associarsi alle Chiese già esistenti, creando così in esse un clima di rinnovamento ma a volte anche situazioni difficili, dovute a differenze nella cultura e nella spiritualità vissuta; altri invece preferiscono – come gli immigrati dei secoli XVII-XIX – costituire realtà ecclesiali a sé stanti per conservare la loro identità religiosa e al tempo stesso culturale. I rapporti fra i protestanti italiani e immigrati sono oggetto del progetto Essere chiesa insieme, curato dalla Fcei, che dal 1990 organizza regolarmente convegni, giornate di studio ed eventi dedicati a questo tema, con lo scopo di rendere esperibile la comunione nella fede senza confonderla con culture o mentalità diverse189. I risultati di questo processo avranno senz'altro ripercussioni importanti sul futuro del protestantesimo in Italia.

Note

1 Le cifre statistiche riportate sono tratte da G. Spini, Risorgimento e protestanti, Torino 20083, p. 310. Cfr. anche id., Italia liberale e protestanti, Torino 2002, p. 85; G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche. Direttive e articolazioni del controllo e della repressione, Torino 1990, p. 15.

2 Cfr. Le Religioni in Italia, sotto la direzione di M. Introvigne, P.L. Zoccatelli, Leumann 2006, pp. 7-11. Questo dizionario offre anche una panoramica per quanto possibile completa del protestantesimo italiano contemporaneo.

3 Cfr. P. Ricca, Le chiese protestanti, in Storia del Cristianesimo, a cura di G. Filoramo, D. Menozzi, IV, L'età contemporanea, Roma-Bari 1997, pp. 66-71; B. Bellion, M. Cignoni, G.P. Romagnani et al., Dalle Valli all'Italia. I Valdesi nel Risorgimento (1848-1998), Torino 1998.

4 Cfr. S. Caponetto, La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento, Torino 1992; M. Firpo, Riforma protestante ed eresie nell'Italia del Cinquecento, Roma-Bari 1993.

5 A. Armand-Hugon, Storia dei valdesi, II, Dall'adesione alla Riforma all'Emancipazione, Torino 1974; E. Stancati, Gli ultramontani. Storia dei valdesi di Calabria, Cosenza 2008.

6 V. Vinay, Storia dei valdesi, III, Dal movimento evangelico italiano al movimento ecumenico (1848-1978), Torino 1980, p. 322. Cfr. anche Th.J. Pons, Actes des synodes des Églises vaudoises. 1692-1854, Torre Pellice 1948.

7 T. Telmon, Plurilinguismo come patrimonio identitario, in Héritage(s). Formazione e trasmissione del patrimonio culturale valdese, a cura di D. Jalla, Torino 2009, pp. 239-252.

8 P. Bianchi, Militari, banchieri, studenti. Presenze protestanti nella Torino del Settecento, in Valdesi e protestanti a Torino (XVIII-XX secolo). Convegno per i 150 anni del Tempio valdese (1853-2003), a cura di P. Cozzo, F. De Pieri, A. Merlotti, Torino 2005, pp. 40-46.

9 Th. Elze, E. Lessing, Geschichte der protestantischen Bewegungen und der deutschen evangelischen Gemeinde A. C. in Venedig, Firenze 1941, pp. 64-68.

10 P. G. Tropper, Von der katholischen Erneuerung bis zur Säkularisation – 1648 bis 1815, in Österreichische Geschichte, hrsg. von H. Wolfram. Geschichte des Christentums in Österreich. Von der Spätantike bis zur Gegenwart, Wien 2003, pp. 295 segg.

11 Th. Elze, E. Lessing, Geschichte der protestantischen Bewegungen, cit., pp. 98 segg.

12 G. Panessa, M. del Nista, Interkultur und Protestantismus im Livorno der Nationen. Die holländisch-deutsche Kongregation, Livorno 2002, pp. 11, 26, 65.

13 H. Patzelt, Evangelisches Leben am Golf von Triest. Geschichte der evangelischen Gemeinde in Triest mit Abbazia, Görz, Fiume und Pola, München 1999, pp. 33-88; G. Carrari, Protestantesimo a Trieste dal 1700 al 2000, Trieste 2002, pp. 11, 23-29. Per quanto riguarda la politica di tolleranza nell'impero austriaco, che si concluse con il riconoscimento della libertà religiosa nella costituzione del 1867, cfr. M. Liebmann, Von der Dominanz der katholischen Kirche zu freien Kirchen im freien Staat – vom Wiener Kongreß 1815 bis zur Gegenwart, in Österreichische Geschichte, cit., pp. 380 segg.

14 H. Patzelt, Evangelisches Leben, cit., pp. 220-242.

15 R. Sörries, Von Kaisers Gnaden. Protestantische Kirchenbauten im Habsburger Reich, Köln 2008, pp. 78 segg.

16 Cit. in H.-W. Krumwiede (hrsg. v.), Kirchen- und Theologiegeschichte in Quellen. Ein Arbeitsbuch, 4, 1,  Neuzeit (17. Jahrhundert bis 1870), Neukirchen-Vluyn 1979, pp. 181 segg.; cfr. anche S.J. Woolf, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia, a cura di G. Romano, C. Vivanti, III, Dal primo Settecento all'Unità, Torino 1973, pp. 242 segg.

17 G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., p. 101; A. Esch, D. Esch, Anfänge und Frühgeschichte der deutschen evangelischen Gemeinde in Rom 1819-1870, «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 75, 1995, p. 375.

18 A. Esch, D. Esch, Anfänge, cit., pp. 375-380; per quanto riguarda Bunsen cfr. F. Förster, Christian Carl Josias Bunsen. Diplomat, Mäzen und Vordenker in Wissenschaft, Kirche und Politik, Bad Arolsen 2001, in partic. pp. 35-134.

19 Cfr. D. Menozzi, La patente di tolleranza in Italia (1781-1790), «Mitteilungen des Österreichischen Staatsarchivs», 35, 1982, pp. 57-84.

20 Cfr. G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., pp. 153-164; V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 32 segg.; G. Spadolini, Fra Vieusseux e Ricasoli. Dalla vecchia alla 'Nuova Antologia', Firenze 1982.

21 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 16 segg.; T. André, La Chiesa evangelica riformata di Firenze. Dalle origini ai nostri giorni (1826-1889), Firenze 1899, pp. 19-60; S. Jacini, Un riformatore toscano dell'epoca del Risorgimento. Il conte Piero Guicciardini (1808-1886), Firenze 1940, pp. 58 segg., in partic. pp. 63-64; A. Artini, La Chiesa anglicana di Firenze. Nascita e attività nel XIX secolo, «Bollettino della Società di studi valdesi», 119, 2002, 191, pp. 125-131.

22 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 34-35; Id., Entstehung und Bedeutung der Evangelischen Bewegung in Italien seit der Zeit des Risorgimento, «Zeitschrift für Kirchengeschichte», 84, 1961, 3-4, pp. 349 segg.; anche nella conversione del conte Guicciardini un colportore giocò un certo ruolo.

23 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 21 segg.; E. Ferrari, Église évangélique de langue française de Naples. 1826-1926. Notice historique publiée à l'occasion du centenaire, Napoli 1926. Il mancato rapporto fra gli stranieri protestanti e la popolazione napoletana è descritto in D. L. Caglioti, Vite parallele. Una minoranza protestante nell'Italia dell'Ottocento, Bologna 2006.

24 M.G. Girardet, Th. Soggin, Una presenza riformata a Bergamo. La Comunità Cristiana Evangelica nel corso di due secoli, Bergamo 2007, pp. 17, 43.

25 Ibidem, p. 67.

26 E. Pagura, Storia della presenza protestante nel Friuli occidentale, in E. Pagura, E. de Mattia, Protestanti a Pordenone nell'Ottocento, Pordenone 2009, pp. 15 segg.

27 Cfr. V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 25 segg.; C. Martignone, Imprenditori protestanti a Milano. 1850-1900, Milano 2001.

28 Sul personaggio cfr. B. Lovisa, Italienische Waldenser und das protestantische Deutschland. 1655 bis 1989, Göttingen 1994, pp. 49-57.

29 G. Ballesio, Due comunità per una Chiesa? Divisioni sociali e divisioni di culto nella comunità valdese di Torino nel secondo Ottocento, in Valdesi e protestanti a Torino, cit., pp. 129 segg.

30 Cfr. E. Zumpano, Valdesi in transito e le fonti del Venerabile Hospedale di Spezzano Piccolo, in Valdesi nel Mediterraneo. Tra medioevo e prima età moderna, a cura di A. Tortora, Roma 2009, pp. 87-97.

31 Cfr. U. Gastaldi, I movimenti di Risveglio nel mondo protestante. Dal «Great Awakening» (1720) ai «revivals» del nostro secolo, Torino 1989; P. Ricca, Le chiese protestanti, cit., pp. 33-38.

32 Wilhelm von Humboldt, ambasciatore prussiano a Roma dal 1806 al 1808, fu orgoglioso di poter far battezzare suo figlio nella cattedrale di S. Pietro, fatto che sarebbe stato chiaramente inconcepibile per il suo successore, Karl Bunsen. Cfr. A. Esch, D. Esch, Anfänge, cit., p. 368.

33 Cfr. U. Gastaldi, I movimenti di Risveglio, cit., pp. 90-95; A. Vinet, Libere chiese in libero Stato. Memoria in favore della libertà dei culti (1826), Chieti-Roma 2008.

34 U. Gastaldi, I movimenti di Risveglio, cit., pp. 97-100.

35 Su questa visione storica, corretta da Andrea Charvaz, vescovo cattolico di Pinerolo, cfr. A. Armand Hugon, Storia dei valdesi, cit., p. 287.

36 Sugli ospedali cfr. A. Taccia, Carità, Umiltà, Speranza. L'Opera delle Diaconesse Valdesi, Pinerolo-Torino 2001, pp. 24 segg.; sul Collegio cfr. A. Armand Hugon, Storia dei valdesi, cit., pp. 293 segg.; J.-P. Meille, Le général Beckwith. Sa vie et ses travaux parmi les Vaudois du Piémont, Losanna 1872, pp. 80-92; sulla scolarizzazione elementare cfr. A. M. Valdambrini Dragoni, Charles Beckwith e l'istruzione primaria nelle Valli valdesi, in «O sarete missionari o non sarete nulla». Charles Beckwith 1789-1989, Torre Pellice 1989, pp. 21-41.

37 Cfr. A. Taccia, Carità, Umiltà, Speranza, cit., pp. 34 segg.

38 Cfr. R. Romeo, Vita di Cavour, Roma-Bari 1984, p. 71.

39 G. Spini, Le Società Bibliche in Italia. Un episodio ignorato del Risorgimento, «Bollettino della Società di Studi Valdesi», 97, 1955, 76, pp. 24-57; M. Cignoni, La presenza in Italia delle Società Bibliche, in La parola che cambia il mondo. La Bibbia dalla stampa al computer. 1450-2000, a cura di A.F. Jesson, M. Cignoni, Roma 2000, pp. 33-41; D. Maselli, Duecento anni di storia in Italia, in La Società Biblica Britannica e Forestiera. 200 anni di storia in Italia, a cura di D. Maselli, C. Ghidelli, Roma 2004, pp. 11-15.

40 Cfr. G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., pp. 226, 248-249.

41 M. Rosa, Riformatori e ribelli nel '700 religioso italiano, Bari 1969, p. 183; sul giansenismo italiano in generale cfr. P. Stella, Il giansenismo in Italia, 3 voll., Roma 2006.

42 G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., pp. 225-226.

43 Ibidem, p. 223.

44 Cfr. G. Conti, La religione di Garibaldi, «Il Testimonio», 99, 1982, 6-7, pp. 4-5.

45 Cfr. G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., p. 137; S. Levis Sullam, «Dio e il Popolo»: la rivoluzione religiosa di Giuseppe Mazzini, in Storia d'Italia, XXII, Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti, P. Ginsborg, Milano 2007, pp. 401-422.

46 A. Armand Hugon, Storia dei valdesi, cit., p. 300; G.P. Romagnani, Carlo Alberto e i valdesi, in La Bibbia, la Coccarda e il Tricolore. I valdesi fra due Emancipazioni (1798-1848), a cura di G.P. Romagnani, Torino 2001, pp. 299-304.

47 D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio. Storia delle chiese cristiane dei Fratelli 1836-1886, Torino 1974, p. 251.

48 Cfr. G. Peyrot, La legislazione sulle confessioni religiose diverse dalla cattolica, in La legislazione ecclesiastica, a cura di P.A. D'Avack, Vicenza 1967, p. 524; G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche, cit., p. 9.

49 V. Vinay, Luigi Desanctis e il movimento evangelico fra gli italiani durante il Risorgimento, Torino 1965, p. 78.

50 Ibidem, pp. 105-120.

51 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 33.

52 V. Vinay, Evangelici italiani esuli a Londra durante il Risorgimento, Torino 1961, pp. 61, 74-77. La citazione è presa da Ragunata della Chiesa italiana, «L'Eco di Savonarola. Foglio mensile diretto da italiani cristiani», Londra 1847, p. 171.

53 D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 14-39.

54 Ragunata della Chiesa italiana, cit., p. 175; cfr. V. Vinay, Evangelici italiani, cit., p. 80.

55 V. Vinay, Evangelici italiani, cit., p. 103; G. Monsagrati, Gavazzi, Antonio (in religione Alessandro), in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, LII, Roma 1999, pp. 719-722. Sulle sollevazioni popolari suscitate da lui e da altri cfr. E. Francia, «Il nuovo Cesare è la patria». Clero e religione nel lungo Quarantotto italiano, in Storia d'Italia, XXII, Il Risorgimento, a cura di A. M. Banti, P. Ginsborg, Torino 2007, pp. 439-443.

56 Cfr. D. Carpanetto, Divisi dalla fede. Frontiere religiose, modelli politici, identità storiche nelle relazioni tra Torino e Ginevra (XVII-XVIII secolo), Torino 2009.

57 S. Mastrogiovanni, Un riformatore religioso del Risorgimento. Bonaventura Mazzarella, Torre Pellice 1957.

58 V. Vinay, Luigi Desanctis, cit., pp. 185 segg.

59 Cfr. G. Luzzi, La Chiesa Evangelica Italiana a Ginevra. Ricordi, «Rivista Cristiana», 39, 1912, p. 253; V. Vinay, Luigi Desanctis, cit., pp. 190-193; D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 51 segg.

60 Si veda nota n. 36.

61 G. Gonnet, Beckwith nella storiografia valdese, cit., pp. 17 segg.; G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., p. 280.

62 J.-P. Meille, Le général, cit., p. 212.

63 Cfr. V. Vinay, Luigi Desanctis, cit., p. 179, con particolare attenzione alle affermazioni di Mazzarella sui valdesi a Ginevra.

64 G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., p. 223.

65 Th. van den End, Paolo Geymonat e il movimento evangelico in Italia nella seconda metà del secolo XIX, Torino 1969, pp. 24-28; V. Vinay, Il Nuovo Testamento della Repubblica romana 1849, «Protestantesimo», 11, 1956, 9, pp. 5-24.

66 G. Ballesio, Due comunità, cit., pp. 131 segg.

67 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 49.

68 Cfr. D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 56-65.

69 V. Vinay, Storia del valdesi, cit., pp. 51-55.

70 Ibidem, pp. 108 segg.

71 Su Genova cfr. I. Pons, Centocinquant'anni sulle alture di Genova. Storia dell'Ospedale Evangelico Internazionale (1857-2007), Torino 2007. Su Torino A. Taccia, Carità, Speranza, Umiltà, cit., p. 33.

72 G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., p. 197.

73 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 59; Claudiana 1855-2005. 150 anni di presenza evangelica nella cultura italiana, a cura di C. Papini, G. Tourn, Torino 2005.

74 Cfr. il capitolo Colportage in Rapport de la Commission d'Évangélisation au Synode de l'Église vaudoise s'ouvrant a Saint-Jean le 21 mai 1861, Torino 1861, pp. 17 segg.; D. Maselli, Duecento anni, cit., pp. 35 segg.

75 V. Vinay, Ecclesiologia Valdese ed Evangelizzazione, «Protestantesimo», 13, 1958, 1, pp. 35-47.

76 Archivio storico della Tavola valdese, Torre Pellice, Comitato di evangelizzazione, volume di verbali 1860-1886, f. 2r (seduta costituente del 6 giugno 1860).

77 Chiesa evangelica valdese. Relazione annua sulle opere di evangelizzazione in Italia presentata al venerabile Sinodo di detta Chiesa sedente in Torre-Pellice il 2 Settembre 1873, Firenze 1873, pp. 6 segg.

78 Chiesa evangelica valdese. Sinodo del 1887 tenuto in Torre Pellice dal 5 al 9 Settembre, Torre Pellice 1887, p. 5; cfr. V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 323.

79 Chiesa evangelica valdese. Sinodo del 1913 tenuto in Torre Pellice dal 1° al 5 Settembre, Torre Pellice 1913, pp. 37 segg.

80 Cfr. V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 229-280; M. Cignoni, I Valdesi in Italia, in Dalle Valli all'Italia, cit., pp. 122-128.

81 Cfr. G. Verucci, L'Italia laica prima e dopo l'unità. 1848-1876. Anticlericalismo, libero pensiero e ateismo nella società italiana, Bari 1981.

82 Ad esempio la chiesa di Felonica Po, nata nei primi anni del Novecento, cfr. G. Freddi, Felonica. Storia. Documenti, Felonica 1996, pp. 143-151.

83 Cfr. V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 286.

84 Ibidem, pp. 104 segg.

85 Cfr. V. Vinay, Facoltà valdese di teologia (1855-1955), Torre Pellice 1955, pp. 51-70; F. Ferrario, La Scuola Teologica di Firenze e la formazione dei pastori valdesi nella seconda metà dell'Ottocento, in Pastori, pope, preti, rabbini. La formazione del ministro di culto in Europa (secoli XVI-XIX), a cura di M. Sangalli, Roma 2005, pp. 185-206.

86 Th. van den End, Paolo Geymonat, cit., pp. 178-200.

87 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 205-226; G.B. Watts, The Waldenses of Valdese, Valdese 1965. Sulla Chiesa presbiteriana di lingua italiana di Chicago, retta dal 1890 al 1914 da un pastore valdese cfr. E. Stretti, Il Movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio in Italia, Torino 1998, pp. 19-25.

88 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 190.

89 Cfr. Ibidem, p. 51; Th. van den End, Paolo Geymonat, cit., p. 45.

90 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 60.

91 Vinay, Luigi Desanctis, cit., pp. 257-277.

92 D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 111 segg.

93 Ibidem, p. 180.

94 Su esso cfr. G. Spini, L'evangelo e il berretto frigio. Storia della Chiesa cristiana libera in Italia. 1870-1904, Torino 1971, pp. 18 segg.; Vinay, Luigi Desanctis, cit., pp. 285 segg.

95 Vinay, Luigi Desanctis, cit., pp. 297 segg.; D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 147 segg.

96 D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 175 segg.

97 Cfr. L. Santini, Alessandro Gavazzi (Aspetti del problema religioso del Risorgimento), Modena 1955, pp. 143-148; D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 196-199; V. Vinay, Storia dei valdesi, III, cit., p. 110; R. Ciappa, Le origini del movimento evangelico a Napoli (1860-1862), in Movimenti evangelici in Italia dall'Unità ad oggi. Studi e ricerche, a cura di F. Chiarini, L. Giorgi, Torino 1990, pp.113-128.

98 G. Spini, L'evangelo e il berretto frigio, cit., pp. 19 segg.; V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 65.

99 Cfr. D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 205 segg.

100 Vinay, Luigi Desanctis, cit., pp. 339-344.

101 G. Spini, L'evangelo e il berretto frigio, cit., pp. 33 segg.; cfr. D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., p. 215.

102 D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., p. 261. Sulle Agapi cfr. anche Jacini, Un riformatore toscano, cit., p. 245.

103 D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., p. 239.

104 Le vicende di questo organismo ecclesiastico sono descritte in G. Spini, L'evangelo e il berretto frigio, cit.

105 D. Maselli, Libertà della Parola. Storia delle chiese cristiane dei Fratelli. 1886-1946, Torino 1978, p. 46.

106 Cfr. G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., p. 308.

107 W. Arthur, Italy in Transition. Public Scenes and Private Opinions in the Spring of 1860, New York 1860.

108 Cfr. la lettera di Green del 6 maggio 1861, riportata in F. Chiarini, Storia delle chiese metodiste in Italia. 1859-1915, Torino 1999, pp. 20 segg.; cfr. anche G. Spini, Italia liberale e protestanti, cit., pp. 179-193; H. J. Piggott, Vita e lettere, a cura di F. Cavazzutti Rossi, Torino 2002.

109 F. Chiarini, Storia delle chiese metodiste, cit., p. 28.

110 Ibidem, pp. 33 segg.

111 Ibidem, p. 49.

112 Ibidem, pp. 64 segg. Cfr. anche G. Spini, Italia liberale e protestanti, cit., pp. 195-210.

113 F. Chiarini, Storia delle chiese metodiste, cit., p. 67; cfr. V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 141.

114 F. Chiarini, Storia delle chiese metodiste, cit., pp. 99 segg. Si veda anche G. Iurato, Pietro Taglialatela. Dalla filosofia del Gioberti all'evangelismo antipapale, Torino 1972.

115 F. Chiarini, Storia delle chiese metodiste, cit., pp. 96 segg. Cfr. anche G. Spini, Il «Grand Dessein» di William Burt e l'Italia laica, in Il metodismo italiano, a cura di F. Chiarini, Torino 1997, pp. 109-120.

116 F. Chiarini, Storia delle chiese metodiste, cit., pp. 102 segg. Cfr. anche G. Spini, Italia liberale e protestanti, cit., pp. 195-210; id., L'evangelo, cit., pp. 199-221.

117 D. Maselli, Storia dei battisti italiani (1873-1923), Torino 2003, pp. 22-30.

118 Ibidem, pp. 54 segg.

119 Ibidem, pp. 45 segg.

120 Ibidem, p. 79.

121 Ibidem, p. 96. Cfr. anche L. Ronchi De Michelis, Una pagina dell'evangelismo italiano: la Scuola Teologica Battista di Roma (1901-32), in Chiesa, laicità e vita civile. Studi in onore di Guido Verucci, a cura di L. Ceci, L. Demofonti, Roma 2005, pp. 247-262.

122 Su lui v. il catalogo Paolo Paschetto. 1885-1963. Collegio valdese di Torre Pellice, agosto-settembre 1985, Torre Pellice 1985.

123 G. de Meo, Granel di sale. Un secolo di storia della chiesa cristiana avventista del 7° giorno in Italia. 1864-1964, Torino 1980, p. 60 e 95; V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 363.

124 A. Lesignoli, L'Esercito della Salvezza. Una introduzione, Torino 2007, pp. 35 segg.

125 E. Stretti, Il Movimento pentecostale, cit., pp. 21-27.

126 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 231 segg., 252; C. Milaneschi, Ugo Janni. Pioniere dell'ecumenismo, Roma 1979, pp. 16-46, 83-88 (sull'adesione di Janni ai valdesi); F. Ferrario, Fermenti «pancristiani», in G. Spini, Italia di Mussolini e protestanti, a cura di S. Gagliano, Torino 2007, pp. 300 segg.

127 Cfr. V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 120.

128 Questa 'sonda' per descrivere i rapporti interdenominazionali è applicata in D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., p. 257.

129 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 312 segg.

130 Cfr. gli atti del congresso pubblicati in «L'Italia evangelica», 7, 1887, 21-23.

131 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 315 segg.; D. Maselli, Tentativi di unione delle Chiese Evangeliche tra Ottocento e Novecento, in Uniti per l'Evangelo, a cura di G. Long, R. Maiocchi, Torino 2008, pp. 28 segg.

132 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 338. Cfr. anche id., Facoltà valdese, cit., pp. 129 segg.

133 Sul personaggio cfr. S. Biagetti, Emilio Comba. 1839-1904. Storia della Riforma e del Movimento valdese medievale, Torino 1989.

134 Th. van den End, Paolo Geymonat, cit., p. 154.

135 Cfr. H.-P. Dür, Giovanni Luzzi (1856-1948). Traduttore della Bibbia e teologo ecumenico, Torino 1996, pp. 99 segg., 114 segg.

136 Cfr. A. Comba, Valdesi e massoneria. Due minoranze a confronto, Torino 2000; D. Maselli, Libertà della Parola, cit., p. 7, dove si ribadisce la distanza dei Fratelli dalla massoneria.

137 D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 267 segg.; G. Spini, Italia liberale e protestanti, cit., pp. 182 segg.

138 G. Spini, Risorgimento, cit., pp. 319 segg., 327; D. Maselli, Tra Risveglio e Millennio, cit., pp. 163, 228 segg.; V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 119, 246 segg.

139 Cfr. C. Milaneschi, Ugo Janni, cit., pp. 98-104; H.-P. Dür, Giovanni Luzzi, cit., pp. 86 segg.

140 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 306 segg. V. anche G. Rochat, I cappellani valdesi, Torre Pellice 1996.

141 J.-P. Viallet, La Chiesa valdese di fronte allo Stato fascista. 1922-1945, Torino 1985, pp. 84 segg.; D.M. Smith, Storia d'Italia dal 1861 al 1997, Roma-Bari 2005, p. 437.

142 Così P. Chiminelli, Novissimi apologeti del cattolicesimo nazionale, «La Luce», 15, 11 gennaio 1922, 2, p. 1. Sull'autore cfr. G. Spini, Italia di Mussolini, cit., pp. 90 segg. Anche sotto la successiva direzione di Ernesto Comba l'assassinio di Giacomo Matteotti continuò a suscitare reazioni di sdegno, v. «La Luce», 17, 18 giugno 1925, 25, p. 1. V. anche J.-P. Viallet, La Chiesa valdese, cit., pp. 95 segg.,

143 J.-P. Viallet, La Chiesa valdese, cit., pp. 84-94; cfr. anche H.-P. Dür, Giovanni Luzzi, cit., pp. 214 segg.

144 J.-P. Viallet, La Chiesa valdese, cit., pp. 107 segg., 304 segg.; G. Spini, Italia di Mussolini, cit., p. 74.

145 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 357 segg.; J.-P. Viallet, La Chiesa valdese, cit., pp. 101-105.

146 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 376; C. Milaneschi, Ugo Janni, cit., p. 128. Cfr. anche D. Giorgi, Le scuole valdesi di Forano Sabina: una testimonianza di libertà, Tesi di laurea in teologia, Facoltà valdese di teologia, Roma A.A. 2006-2007.

147 J.-P. Viallet, La Chiesa valdese, cit., pp. 121 segg.

148 C. Milaneschi, Ugo Janni, cit., pp. 125-128. Cfr. anche nota 142.

149 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 369-373.

150 V. G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche, cit., pp. 29-40.

151 Ibidem, pp. 40 segg.

152 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 379.

153 V. Vinay, Storia dei valdesi, III, cit., p. 379.

154 Ibidem, pp. 380 segg.; J.-P. Viallet, La Chiesa valdese, cit., p. 269.

155 I. Pons, Confessione di fede e impegno civile: Mario Falchi, in Gli evangelici nella Resistenza, Atti del convegno organizzato dall'Associazione Piero Guicciardini (Genova 21-22 ottobre 2005), a cura di C. Papini, Torino 2007, pp. 187-197. Cfr. anche M. Falchi, Quel che l'umanità gli deve... vale a dire: “quello di cui essa, l'umanità, fu e rimane debitrice ad Israele”!, «La Luce», 31, 3 agosto 1938, 30-31, p. 2.

156 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 381.

157 Vedi M. Bonafede, Azione a favore degli ebrei da parte di pastori metodisti e valdesi in Italia dopo l'emanazione delle leggi razziali (1938-1945). Una prima panoramica, sulla base delle testimonianze raccolte, Tesi di laurea, Facoltà valdese di teologia, Roma 1984; P. Vinay, Testimone d'amore. La vita e le opere di Tullio Vinay, Torino 2009, pp. 31-35.

158 Cfr. G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche, cit., p. 97 (assai significativo, a questo proposito, il caso di Liutprando Saccomani, pastore battista confinato nel 1927); id., La Legge sui culti ammessi del 1929 e le chiese metodiste, in Il metodismo italiano, a cura di F. Chiarini, cit., pp. 127-130; G. Spini, Profilo storico della presenza metodista in Italia, ivi, pp. 21 segg. (fra cui Fausto Nitti, incarcerato per una visita dalla vedova di Matteotti).

159 D. Maselli, Libertà della Parola, cit., pp. 100 segg.

160 G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche, cit., pp. 229-239; A. Lesignoli, L'Esercito della Salvezza, cit., pp. 43-48.

161 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 377; G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche, cit., pp. 114, 245-248.

162 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., p. 378; E. Stretti, Il Movimento pentecostale, cit., pp. 32-42.

163 G. Rochat, Regime fascista, cit., pp. 275-301; P. Piccioli, I Testimoni di Geova durante il regime fascista, «Studi storici», 41, 2000, 1, pp. 191-229.

164 Su questo dibattito cfr. S. Biagetti, Il mito della «Riforma italiana» nella storiografia dal XVI al XIX secolo, Milano 2007, pp. 114-255.

165 Cfr. G. Spini, Italia di Mussolini, cit., pp. 89-103; cfr. G. Gangale, Calvino, Milano 1927; L. Demofonti, La Riforma nell'Italia del primo Novecento. Gruppi e riviste di ispirazione evangelica, Roma 2003, p. 244.

166 G. Spini, Italia di Mussolini, cit., pp. 162 segg.; G. Bouchard, A. Visco Gilardi, Un evangelico nel Lager. Fede e impegno civile nell'esperienza di Ferdinando e Mariuccia Visco Gilardi, Torino 2005.

167 S. Saccomani, Giovanni Miegge. Teologo e pastore, Torino 2002, pp. 22-34; G. Spini, Italia di Mussolini, cit., pp. 211-237.

168 J.-P. Viallet, La Chiesa valdese, cit., pp. 308-311.

169 C. Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier. Un valdese federalista, Milano 1991, pp. 25 segg.

170 V. D. Gay Rochat, La Resistenza nelle Valli valdesi. 1943-1944, Torino 2006, pp. 24-32; J.-P. Viallet, La Chiesa valdese, cit., pp. 315-319. Sulla Resistenza 'garibaldina' cfr. anche G. Bouchard, Evangelici «garibaldini», in Gli evangelici nella Resistenza, a cura di G. Bouchard, A. Visco Gilardi, cit., pp. 141-159.

171 Ne offre una panoramica G. Bouchard, Relazione introduttiva, in Gli evangelici nella Resistenza, a cura di G. Bouchard, A. Visco Gilardi, cit., pp. 5-22.

172 J.-P. Viallet, La chiesa valdese, cit., p. 327, con riferimento a G. Miegge, L'Église sous le joug fasciste, Ginevra 1946, p. 105.

173 Cfr. V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 389 segg.

174 Cfr. J.-P. Viallet, La chiesa valdese, cit., pp. 330 segg., 327 (sul caso di Jacopo Lombardini).

175 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 428 segg.

176 Ibidem, p. 434.

177 P. Spanu, F. Scaramuccia, I battisti. Libertà – tolleranza – democrazia, Torino 1998, pp. 42-45.

178 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 433-437, 446-449; G. Bouchard, Una faticosa gestazione. Il Congresso evangelico del 1965 e la nascita della Federazione, in Uniti per l'Evangelo, a cura di G. Long, R. Maiocchi, cit., pp. 35-46.

179 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 435 segg.; P. Gajewski, Tra Chiese postconfessionali e movimenti transconfessionali, in F. Ferrario, P. Gajewski, Il protestantesimo contemporaneo. Storia e attualità, Roma 2007, pp. 124 segg.

180 P. Spanu, F. Scaramuccia, I battisti, cit., pp. 50 segg.

181 S. Saccomani, Giovanni Miegge, cit., pp. 86 segg. (nota 74).

182 V. Vinay, Storia dei valdesi, cit., pp. 437 segg.

183 Ibidem, pp. 440 segg. Cfr. anche P. Vinay, Testimone d'amore, cit.

184 V. Vinay, Facoltà valdese, cit., pp. 133-151.

185 P. Ricca, Valdo Vinay. Teologo valdese e pioniere dell'ecumenismo in Italia a cento anni dalla nascita tesi, «Protestantesimo», 62, 2007, 2, pp. 73-84; id., Il cattolicesimo del Concilio. Un giudizio protestante sul Concilio vaticano II, Torino 1966.

186 V. D. Di Carlo, Pastorato femminile: sacerdozio per tutti o sacerdozio universale?, in S. Baral, I. Pontet, G. Ribet et al., La Parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi, Torino 2007, pp. 43-49.

187 Cfr. G. Long, Unità degli evangelici e libertà religiosa in Francia, Spagna e Italia, in Uniti per l'Evangelo, a cura di G. Long, R. Maiocchi, cit., pp. 64-72.

188 Vedi P. Gajewski, Eredità dei risvegli, in F. Ferrario, P. Gajewski, Il protestantesimo contemporaneo, cit., p. 120.

189 Un indice dei convegni tenuti dal 1990 è disponibile all'indirizzo fedevangelica (26 ott. 2010). Cfr. inoltre A. Köhn, “Essere chiesa insieme” a Udine: un'esperienza di interculturalità protestante, in Democrazia, laicità e società multireligiosa, a cura di R. De Vita, F. Berti, L. Nasi, Milano 2005, pp. 169 segg.

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