Francese, comunità

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

francese, comunità

Riccardo Regis

Localizzazione, status giuridico, consistenza demografica

fig. 1

Il francese è riconosciuto come lingua ufficiale, accanto all’italiano, nella regione amministrativa della Valle d’Aosta; come lingua di minoranza (➔ minoranze linguistiche), insieme con il provenzale (➔ provenzale, comunità) o il francoprovenzale (➔ francoprovenzale, comunità), in alcune valli alpine del Piemonte (più precisamente, nelle cosiddette Valli Valdesi – bassa Val Chisone, Val Germanasca, Val Pellice – e nelle alte Valli Chisone e di Susa, compresa Susa città; v. fig. 1).

La posizione giuridica di lingua ufficiale è connessa con la promulgazione dello statuto speciale della Regione autonoma nel 1948, mentre quella di lingua di minoranza è di recente acquisizione, ed è conseguenza dell’applicazione della legge 482/1999 sulla tutela delle minoranze linguistiche.

Non esistono valutazioni attendibili circa il numero effettivo dei parlanti francofoni in Italia. Per la Valle d’Aosta, le stime variano dalle 50.000 alle 100.000 unità, con l’ultima cifra che si avvicina all’ammontare totale della popolazione regionale (125.979 abitanti: ISTAT 2008). Tali stime sopravvalutano tuttavia abbondantemente la consistenza numerica dei valdostani che parlano effettivamente il francese. Per il Piemonte, esiste il dato di Allasino et al. (2007: 6), che però, quantificando i francofoni pedemontani in 41.711 unità, si riferisce non già al numero degli utenti reali della lingua, bensì al totale dei residenti nei 18 comuni che, in base alla legge 482/1999 e mediante autodichiarazione, hanno deliberato di appartenere alla minoranza linguistica francese.

Il francese nel passato

La storia del francese ha conosciuto, nelle aree sopra ricordate (Valle d’Aosta, Valli Valdesi, alta Val Chisone e alta Valle di Susa), sviluppi peculiari. Con l’editto del 22 settembre 1561 il duca Emanuele Filiberto impose, nella stesura dei documenti ufficiali del ricostituito Ducato di Savoia, l’impiego dell’italiano nei territori cisalpini e del francese nell’area transalpina. L’influenza del francese, ad ogni modo, si mantenne forte anche al di qua delle Alpi e, già documentabile sin dal XIV secolo (Patria & Telmon 2004: 147-150), divenne più marcata nel corso del Seicento, proseguendo poi per tutto il Settecento (Marazzini 1992: 21). All’indomani dell’editto ducale si concesse ai valdostani l’uso del francese negli atti ufficiali, pur essendo la Valle d’Aosta territorio cisalpino.

Lingua di cultura in cui si riconosceva tutta la comunità valdostana, il francese non assunse mai, tuttavia, il ruolo di lingua parlata, impiegata quotidianamente dalla popolazione, ricoperto invece dai patois francoprovenzali. La Chiesa e il clero valdostano furono tra i promotori più convinti dell’uso del francese nella predicazione, già a partire dal XV secolo (ben prima, quindi, dell’editto di Emanuele Filiberto); un altro passo importante fu la promozione del francese nel Settecento a lingua dell’insegnamento scolastico (Favre 2002: 144), che fu impartito in quella lingua fino alla vigilia dell’Unità d’Italia. La politica linguistica del nuovo stato unitario emarginò sensibilmente la posizione del francese nell’ordinamento scolastico valdostano, dando luogo ad accesi dibattiti fra sostenitori e detrattori del francese (Omezzoli 1995). Nel 1925 il regime fascista (➔ fascismo, lingua del; ➔ politica linguistica) abolì l’insegnamento scolastico delle lingue minoritarie, e quindi del francese. Dal 1948, con l’istituzione della Regione autonoma in regime di bilinguismo, la didattica avviene, a tutti i livelli, in italiano e francese.

Nelle Valli Valdesi il francese ebbe un radicamento più popolare che non in Valle d’Aosta, avendo assunto, nel contempo, la funzione (che sarebbe stata mantenuta dal Seicento sino all’avvento del fascismo) di lingua della scuola e del culto, contrassegno dell’identità religiosa e culturale della comunità valdese. Le condizioni di segregazione alle quali i valdesi furono costretti fino al 1848 (anno dell’approvazione dello Statuto Albertino, che tollerava confessioni e religioni diverse dal cattolicesimo) li indussero a provvedere autonomamente all’istruzione; cosa che essi fecero utilizzando la traduzione francese della Bibbia come testo scolastico e il francese come lingua d’apprendimento di ogni materia (Telmon 2001: 93-94).

Ancora differenti le modalità di diffusione del francese nelle alte Valli Chisone e di Susa. Tali territori, insieme con la Castellata (alta Valle Varaita), furono parte integrante del Regno di Francia fino al Trattato di Utrecht (1713), che segnò il loro passaggio alla sovranità sabauda. Gli abitanti dell’alta Val Chisone e della Val di Susa, in special modo, ottennero dal nuovo re di poter continuare a usare il francese, che rimase lingua ufficiale e di cultura fino agli anni Dieci del XX secolo (Telmon 1994: 927).

La conoscenza del francese, lingua originaria della corte sabauda, fu peraltro ampiamente diffusa nella borghesia piemontese fino almeno all’Ottocento avanzato.

Tratti e fenomeni linguistici

Dal punto di vista fonetico, il francese parlato in Valle d’Aosta e nelle valli piemontesi presenta due caratteristiche comuni, che sembrano appartenere, più in generale, ai francesi regionali del Midi (Telmon 2001: 94). Si tratta, in primo luogo, della realizzazione della vocale finale indistinta (francese regionale valdostano e piemontese [ˈlynə] «luna», [ˈtablə] «tavolo», ecc. contro francese standard [lyn], [tabl], ecc.; ➔ scevà), da connettere con il fatto che, nei dialetti provenzali e francoprovenzali di ➔ sostrato, la vocale finale risulta perfettamente conservata (cfr. provenzale alpino [ˈlyno], [ˈtawlo], francoprovenzale [ˈløna], [ˈtabla], ecc.). Il secondo tratto caratteristico è la realizzazione (più presente in area piemontese, meno in quella valdostana) come laterale palatale della l mouillée del francese parigino: [faˈmiʎə] «famiglia» in luogo del francese standard [faˈmij].

Il lessico si è rivelato sensibile non solo all’influsso sostratico dei dialetti provenzali e francoprovenzali, ma anche all’apporto adstratico del piemontese e dell’italiano, che è nel frattempo diventato la lingua di più largo impiego (Telmon 2001: 94-96). Tra i termini provenienti dai patois locali andranno menzionati, per il francese regionale valdostano, alper «portare le vacche all’alpeggio», arpian «pastore dell’alpeggio», confle «neve ammucchiata dal vento», fontine «tipo di formaggio», rascard «edificio di legno»; per il francese regionale sia valdostano sia valdese sia, ancora, valsusino, balme «riparo sotto una roccia» e brique «luogo ripido». Si faranno risalire al piemontese alcuni vocaboli e sintagmi che, prima ancora di entrare nel francese locale, erano già di uso comune nei patois provenzali e francoprovenzali e, talvolta, nell’italiano regionale: chiquet «bicchierino di grappa» (← piem. cichèt, ital. region. cicchetto), donner le blanc «tinteggiare» (← piem. dè ’l biànc, ital. region. dare il bianco), grilet «insalatiera» (← piem. grilèt, ital. region. grilletto), donner un pousson «spingere» (← piem. dè ’n pussùn), ranchin «tirchio» (← piem. rancìn, ital. region. rancino), sgnaquer «schiacciare» (← piem. sgnaché).

È comunque dall’italiano che proviene la messe più consistente di prestiti, che possono essere il frutto di un trasferimento diretto oppure mediato (attraverso i patois locali e/o il piemontese). Saranno ascrivibili alla prima categoria i verbi cocoler «coccolare» (fr. choyer), se classifier «classificarsi» (fr. se classer), se recorder «ricordarsi» (fr. se rappeler), e le locuzioni par combination «per combinazione» (fr. par hasard), pour manière de dire «per modo di dire» (fr. pour ainsi dire), sans compliments «senza complimenti» (fr. sans façon), ecc. Andranno presumibilmente inseriti nella seconda categoria i sostantivi filard «filare (di una vigna)» (fr. rangée), patate «patata» (fr. pomme de terre), i verbi bagner «bagnare» (fr. arroser), bloquer «bloccare» (fr. arrêter), le locuzioni à la campagnole «alla campagnola» (fr. à la mode campagnarde), se la passer pas mal «non passarsela male» (fr. mener une vie assez agréable), ecc. Mette conto osservare che, mentre i termini transitati dai patois al francese riempiono generalmente delle lacune nel vocabolario della lingua mutuante, la parte restante del lessico alloglotto (di provenienza piemontese e italiana) rimpiazza parole e sintagmi alternativi, e perfettamente in uso, nel francese standard.

Quadro sociolinguistico e vitalità

La posizione del francese rispetto agli altri codici del repertorio non è di facile valutazione. La parità statutaria di cui godono, nella Regione autonoma della Valle d’Aosta, francese e italiano ha portato a una situazione di bilinguismo in potenza, in cui la lingua d’Oltralpe, studiata e appresa a scuola, è pressoché assente nella comunicazione quotidiana (Berruto 2003: 44). Se le lingue della prima socializzazione sono l’italiano e il patois francoprovenzale, il francese resta una lingua seconda, più che straniera, dotata di prestigio e relegata a nicchie d’uso specifiche (oltre che nell’educazione scolastica, in ambito politico-istituzionale, nella segnaletica stradale, in toponomastica; Puolato 2006: 347 segg.).

Una modellizzazione del repertorio linguistico (➔ bilinguismo e diglossia; ➔ repertorio linguistico) per la Valle d’Aosta è stata proposta da Telmon (1994: 928), che individua un rapporto triglottico tra italiano e francese (polo alto), patois francoprovenzale (livello medio) e piemontese (polo basso), ammettendo tuttavia che l’ultimo codice è di uso assai ristretto (e oggi limitato all’area orientale della regione). Più di recente, Berruto (2003: 45) ha visto nella situazione della Valle d’Aosta un caso di repertorio complesso, in cui la dilalia tra italiano e francoprovenzale è complicata da una presenza marginale del francese e del piemontese (l’uno nel gradino alto, l’altro nel gradino basso).

Venendo al territorio piemontese, bisogna sottolineare come ancora tra Settecento e Ottocento l’impiego del francese fosse abituale presso l’aristocrazia e la borghesia del capoluogo. Qualora si volesse tratteggiare, per quel periodo e relativamente a Torino, un abbozzo di repertorio, il francese sarebbe collocato a livello alto, accanto all’italiano nell’uso scritto e accanto al dialetto torinese cortigiano e all’italiano nell’uso orale. L’italiano si situerebbe ai livelli medio e basso destinati all’uso scritto; varietà di piemontese torinese, più o meno marcate in diastratia, ai livelli medio e basso per gli usi orali (Telmon 2001: 37-38).

Quanto alle aree del Piemonte a tutt’oggi francofone, Telmon (1994: 927) delinea per le Valli Valdesi, dove la pratica del francese è andata confinandosi all’uso familiare di un numero sempre più esiguo di famiglie (il 10% circa), uno schema triglottico, con italiano nel gradino alto, patois provenzale e francese nel gradino intermedio, piemontese (varietà torinese) nel gradino basso. Manca, in letteratura, uno schema di repertorio delle alte Valli Chisone e di Susa che includa anche il francese, a cui andrà tendenzialmente assegnato il ruolo di lingua di cultura tradizionale. Se è ormai scomparsa la generazione educata in lingua francese, nelle alte Valli Chisone e di Susa è venuto affermandosi una sorta di ‘bilinguismo commerciale’, dovuto all’intensificarsi dei rapporti con la Francia e, più in generale, al turismo.

Così come non è facile, per ragioni diverse, collocare il francese nei repertori valdostano e piemontese, altrettanto arduo è pronunciarsi circa la sua vitalità in territorio italiano, anche a causa degli status differenziati che, in aree limitrofe, la lingua possiede (cfr. § 1).

Il francese è un codice che, altamente standardizzato e in grado di assolvere a tutte le funzioni comunicative, si configura vitale per definitionem. In Italia si manifesta tuttavia una situazione paradossale, nella quale, facendo riferimento ai parametri dell’UNESCO, la lingua transalpina sarebbe, per certi aspetti, vitale (ricchezza di materiali per l’educazione linguistica e l’alfabetizzazione; ampia promozione ai livelli istituzionale e governativo; presenza di un atteggiamento positivo da parte della comunità), per altri, invece, in pericolo, perché non soggetta, o molto poco, a trasmissione intergenerazionale e dotata di un numero assai scarso di utenti reali (in assoluto e in rapporto al totale della popolazione).

Ugualmente paradossale appare il fatto che, valutando quanto è a rischio in Italia la lingua francese, si dedurrebbe una maggiore precarietà del francese valdostano (che abbiamo detto essere appreso soltanto in età scolare) rispetto al francese di area valdese (che abbiamo visto essere ancora trasmesso in circa un decimo delle famiglie). In Valle d’Aosta tuttavia il mantenimento del francese è garantito dalla legislazione della Regione autonoma, dalla sua ampia presenza nella scuola; il francese rappresenta inoltre la lingua di riferimento per la politica autonomista locale e per una buona parte dell’attività culturale di livello più elevato, che privilegia i rapporti e gli scambi con la Savoia e la Svizzera francofona.

La vitalità sociolinguistica del francese cisalpino, in ultima analisi, sembra poggiare quasi esclusivamente sugli usi istituzionali, sul prestigio acquisito e sul suo carattere di lingua internazionale, avendo il suo impiego nella comunicazione ordinaria carattere del tutto episodico.

Studi

Allasino, Enrico et al. (2007), Le lingue del Piemonte, Torino, Istituto di ricerche economico sociali del Piemonte.

Berruto, Gaetano (2003), Una Valle d’Aosta, tante Valli d’Aosta? Considerazioni sulle dimensioni del plurilinguismo in una comunità regionale, in Une Vallée d’Aoste bilingue dans une Europe plurilingue. Actes du Colloque tenu à l’Université de la Vallée d’Aoste (novembre 2002), Aosta, Fondation Émile Chanoux, pp. 44-53.

Favre, Saverio (2002), La Valle d’Aosta, in I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, a cura di M. Cortelazzo et al., Torino, UTET, pp. 139-150.

Marazzini, Claudio (1992), Piemonte e Valle d’Aosta, in L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali, a cura di F. Bruni, Torino, UTET, pp. 1-44.

Omezzoli, Tullio (1995), Lingue e identità valdostana, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Valle d’Aosta, a cura di S.J. Woolf, Torino, Einaudi, pp. 137-202.

Patria, Luca & Telmon, Tullio (2004), Tracce di francoprovenzale in documenti del balivato valsusino nel tardo Medio Evo. Actes de la Conférence annuelle sur l’activité scientifique du Centre d’études francoprovençales (Saint-Nicolas, 20-21 décembre 2003), a cura di R. Champrétavy, Aoste, Centre d’études francoprovençales René Willien, pp. 147-189.

Puolato, Daniela (2006), Francese-italiano, italiano-patois. Il bilinguismo in Valle d’Aosta fra realtà e ideologia, Bern - Berlin - Bruxelles, Lang.

Telmon, Tullio (1994), Aspetti sociolinguistici delle eteroglossie in Italia, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3° (Le altre lingue), pp. 923-950.

Telmon, Tullio (2001), Piemonte e Valle d’Aosta, Roma - Bari, Laterza.

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