CONTINENTE DI PLASTICA

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

CONTINENTE DI PLASTICA

Silvia Lilli

Espressione con cui ci si riferisce ad accumuli di rifiuti di dimensioni estremamente notevoli, prevalentemente composti da materiale plastico, concentrati in diverse aree oceaniche. A partire dalla scoperta del c. di p. nel Nord del Pacifico a opera del velista Charles Moore nel 1997 (uno dei più estesi, che si pensa abbia raggiunto dimensioni doppie rispetto a quella degli Stati Uniti), studi più approfonditi negli ultimi anni, tra cui la spedizione Malaspina compiuta tra il 2010 e il 2011 (che ha raccolto campioni di detriti plastici in 141 siti oceanici), hanno permesso di comprendere meglio l’entità, la distribuzione e i danni ambientali ed economici provocati dalla concentrazione in mare di tali detriti. I rifiuti plastici, il cui ammontare è stimato intorno a 269.000 t (ma la cui estensione totale risulta incerta, data l’impossibilità di individuare i detriti dal satellite o di calcolare la densità di agglomerazione), una volta in mare sono soggetti all’azione delle correnti oceaniche e tendono nel tempo ad accumularsi nelle aree di convergenza dei vortici subtropicali (dell’Oceano Indiano, del Nord e Sud del Pacifico, del Nord e Sud dell’Atlantico). Il materiale plastico, non essendo soggetto a processi di biodegradazione, permane nelle acque riducendosi progressivamente in frammenti attraverso un processo di fotodegradazione, cioè mediante l’effetto della luce solare, coadiuvato dall’azione corrosiva delle onde, del vento e degli organismi viventi. Tali frammenti, di dimensione minore di 5 mm di diametro, vengono definiti microplastica e dominano l’inquinamento della superficie oceanica, risultando particolarmente stabili.

Studi recenti (per i quali si veda The UNEP yearbook 2011 e 2014, a cura dell’United Nations environment programme) ne hanno valutato l’impatto per l’ecosistema marino: se a rifiuti di maggiori dimensioni è legato un fattore di rischio fisico per gli animali, cioè l’ostruzione mortale dell’apparato digerente o respiratorio, ai frammenti di microplastica è legato il rischio di inquinamento chimico, derivante da due fattori: la tossicità del materiale plastico ingerito, che ad alte concentrazioni può avere effetti dannosi per la salute, e la tossicità derivante dalla predisposizione dei detriti plastici ad accumulare PBT (Persistent, Bioaccumulative and Toxic), sostanze persistenti, bioaccumulative e tossiche rilasciate da altri fattori di inquinamento, come residui industriali o domestici, già presenti nell’ambiente marino. Tali sostanze provocano effetti cronici sul sistema endocrino e quindi riproduttivo, aumentano la frequenza delle mutazioni genetiche e la comparsa di fenomeni tumorali: attraverso l’ingestione accidentale di microplastica, esse entrano nella catena alimentare, arrivando a costituire un fattore di rischio per l’uomo stesso.

Numerose sono le iniziative non governative a sostegno dello studio e della prevenzione di tale forma di inquinamento; particolarmente attiva dal 1994 è l’Algalita marine research foundation, una delle ONG (Organizzazione Non Governativa) a sostenere il progetto denominato 5 Gyres, che attualmente studia la distribuzione dei rifiuti plastici di concerto con la spedizione Pangea e la campagna Safe planet delle Nazioni Unite. Nella stessa direzione si muove il Marine strategy framework directive, attivato nel 2008 dalla Commissione europea.

Localizzazione detriti nell'Oceano Pacifico

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