Contratto sociale, teoria del

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

contratto sociale, teoria del

Riccardo Vannini

Patto ipotetico attraverso cui individui appartenenti a una stessa società decretano le regole che sottendono al suo fondamento. La filosofia politica si è occupata di sviluppare una teoria del c. s. fin dall’età classica e, sebbene nel 1600 si fosse già in presenza di una dottrina evoluta, è solo a partire da T. Hobbes (➔) che questa assume i connotati moderni. Tra i maggiori esponenti di tale teoria si annoverano anche J. Locke (➔) e J.-J. Rousseau (➔) e, in età contemporanea, J. Rawls (➔), secondo il quale (2007) le diverse teorie contrattualistiche assumono rilievo all’interno del contesto storico in cui sono maturate.

Lo stato di natura per Hobbes

Hobbes cerca di offrire con il suo testo più famoso, Leviathan  (1651), una conoscenza filosofica di come lo Stato potrebbe sorgere. Egli postula un ipotetico stato di natura  in cui gli individui, spinti dall’egoismo, muovono una guerra incessante, tutti contro tutti, per ottenere l’utilizzo esclusivo delle risorse comuni. Per sfuggire a un simile stato di natura gli uomini possono sottoscrivere un c. s. con cui conferiscono il proprio ius in omnia a un sovrano, affinché egli vigili sul rispetto dei patti e garantisca loro la pace. Pertanto, i cittadini, ceduti allo Stato i propri diritti naturali, si trovano di fronte a un sovrano assoluto, la cui potenza è raffigurata dalla figura biblica del Leviatano. Secondo Rawls, la teoria del c. s. offerta da Hobbes è una risposta agli eventi politici che segnarono l’Inghilterra di quegli anni: la guerra civile, gli scontri tra religioni e i conflitti di classe.

Lo stato di natura per Locke

Lo scopo filosofico della teoria del c. s. di Locke è di dimostrare l’illegittimità di un assolutismo monarchico, in un epoca in cui, a seguito della cosiddetta Crisi dell’esclusione del 1679-81, si temeva in Inghilterra il ritorno all’assolutismo. Per Locke (1690), lo stato di natura è caratterizzato da una legge fondamentale basata sulla ragione: gli individui tendono all’autoconservazione, al reciproco rispetto della proprietà, della libertà e della vita. Ne consegue che nello stato di natura gli individui sono persone libere, eguali, ragionevoli e razionali. Lo Stato che sorge dal patto tra questi individui non è, come in Hobbes, depositario dei singoli diritti naturali, ma ne diviene piuttosto il garante, indicando forme e termini di un giusto esercizio del potere. Ne risulta che lo Stato è una scelta libera dei cittadini, mirata a salvaguardare la stessa libertà. Pertanto è illegittima ogni forma di assolutismo, ovvero di assoggettamento all’incostante e arbitraria volontà di un’altra persona.

Il Contratto sociale di Rousseau

La teoria di Rousseau costituisce la via per l’instaurazione di un regime politico che preservi gli individui dai vizi e dalle miserie della modernità, e costituisca il fondamento per il ritorno a uno stato di natura caratterizzato dall’eguaglianza. Il filosofo rappresenta, in questo senso, la generazione che rinnegò l’ancien régime e pose le basi ideologiche della Rivoluzione francese.

La teoria di Rawls

All’inizio degli anni 1970, Rawls ha portato la teoria del c. s. su un più alto livello di astrazione. Lo stato di natura – che egli definisce ‘la posizione originaria’– è contraddistinto da un ‘velo di ignoranza’, che rende gli individui inconsapevoli su 4 elementi. Il primo è la posizione (status) occupata da ciascuno attualmente e nella società che si formerà dopo il c. sociale. Il secondo è la distribuzione tra gli individui di capacità e attitudini psico-fisiche. Il terzo è costituito dalle preferenze e dall’atteggiamento verso il rischio di ognuno. Il quarto elemento, infine, è fornito dalle altre variabili fondamentali quali, per es., età, censo, o situazione politica. Con queste ipotesi, Rawls immagina che gli individui, liberi e uguali, decidano le regole di una società giusta. Unanimemente gli individui si accorderanno su un sistema in cui «ogni persona ha un uguale diritto al più ampio sistema totale di eguali libertà fondamentali, compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti» e in cui «le ineguaglianze economiche e sociali devono essere: a) per il più grande beneficio dei meno avvantaggiati […] e b) collegate a cariche e posizioni aperte in condizioni di equa eguaglianza di opportunità» (J. Rawls, A theory of justice, 1971). Tra i diversi Stati del mondo, ovvero tra tutte le soluzioni possibili, risulterà socialmente preferibile quello che massimizza il benessere dell’individuo che si trova al più basso livello di utilità. Questo criterio in letteratura è conosciuto come maximin. (➔ ottimizzazione)

La letteratura economica ha dato ampio spazio al secondo principio alla base del c. s. secondo Rawls. Nell’enunciato si rinviene il ‘principio di differenza’, secondo cui le ineguaglianze circa le prospettive di vita futura sono ammissibili solo se a esse si connette un miglioramento delle condizioni dell’individuo che si trova nella posizione peggiore. Tale principio viene formalizzato con la funzione di benessere sociale rawlsiana (➔ benessere sociale, funzione del), la quale si distingue da quella utilitaristica alla Bentham (➔) proprio per il suo carattere accentuatamente egualitario. Il premio Nobel J. Stiglitz, alla fine degli anni 1980, ha dimostrato che la funzione di benessere sociale rawlsiana può preferire situazioni meno ugualitarie a situazioni maggiormente ugualitarie, se le prime favoriscono in assoluto la persona più svantaggiata.

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