Contratto

Enciclopedia delle Scienze Sociali I Supplemento (2001)

Contratto

Giorgio De Nova

di Giorgio De Nova

Contratto

Contratto e ordinamento statuale

Appare logico che una voce giuridica, qual è quella sul contratto, chiarisca innanzitutto in relazione a quale ordinamento statuale venga svolto il discorso: se si parla del contratto nel diritto italiano, ovvero del contratto nel diritto francese, o piuttosto nel diritto inglese.Se non si rinviene un chiarimento iniziale, il fatto che la voce si inserisce in un'enciclopedia italiana induce a ritenere che il riferimento sia implicito, e sia al diritto italiano. Tanto che il lettore non si sorprende, leggendo ad esempio la voce Contratti e atti giuridici in generale redatta da Enzo Roppo per la presente enciclopedia, se, non avendo trovato in limine un espresso riferimento al diritto italiano, nel corso della voce trova poi costanti richiami al Codice civile italiano, e trova i riferimenti a ordinamenti diversi soltanto alla fine della voce, quali "cenni di comparazione".

La questione non è però così banale.Innanzitutto accanto ai contratti connessi sotto ogni profilo al nostro ordinamento vi sono contratti con elementi di estraneità, contratti internazionali: e per questi la legge applicabile è non un dato scontato, bensì la soluzione di un problema.Sin qui, per la verità, nulla di diverso rispetto a ogni istituto giuridico, la cui concreta attuazione possa presentare elementi di estraneità: la filiazione, l'adozione, la successione mortis causa, l'atto illecito pongono essi pure problemi di legge applicabile.

Per il contratto, tuttavia, emerge, peculiare, il fenomeno del contratto senza legge, del contratto autosufficiente, o comunque al quale si applicano principî sovranazionali e non statuali.Emerge, soprattutto, un fenomeno recente, legato alla dimensione globale dei mercati: il contratto, pur se destinato a regolare rapporti interni a uno Stato - rapporti interni all'Italia, nel nostro caso -, è pensato e scritto sulla base di un modello del tutto estraneo all'ordinamento italiano, che pure costituisce la legge applicabile al contratto. È quanto avviene, ad esempio, per le vendite di partecipazioni sociali di controllo di società di capitali: il venditore è un italiano, la società oggetto è italiana, il compratore è italiano, ma il contratto è modellato sul sale and purchase statunitense. Il modello statunitense viene adottato perché ha capacità di circolazione globale, e il compratore potrebbe non essere italiano: se anche in concreto lo sarà, il modello continua a essere adottato.Questa circostanza rende, per determinati settori, meno ovvio il riferimento al diritto interno, e meno ovvia la contrapposizione tra contratto interno e contratto internazionale.

Al tempo stesso questa circostanza fa sì che venga progressivamente meno, nella prassi contrattuale, una differenza nello stile di redazione dei contratti che in passato divideva i paesi di common law dai paesi romanisti: mentre nei paesi di common law l'assenza per molti secoli di un diritto legiferato induceva le parti a stendere un contratto il più possibile analitico per prevedere ogni possibile patologia (e per altro verso i giudici a rispettare, almeno formalmente, ciò che le parti avevano pattuito, astenendosi dallo 'scrivere' il contratto per le parti), nei sistemi romanisti la presenza di un'analitica disciplina dei contratti nei codici induceva le parti a limitarsi a concordare i profili economici e gli aspetti particolari, nella convinzione che per il resto la disciplina sarebbe stata dettata in caso di necessità dalla legge (e per altro verso i giuristi a considerare la legge come fonte di disciplina concorrente rispetto alle clausole contrattuali).

Oggi in Italia molti contratti, almeno quelli a cui hanno messo mano i legali, sono spesso la traduzione di modelli statunitensi, con aspirazione all'autosufficienza, pur se contengono una clausola che indica come applicabile la legge italiana: che talora si tratti di mostri, è altro discorso.

Un esempio è offerto dalla vendita di partecipazioni societarie di controllo, cui si è accennato. L'adozione del modello statunitense ha portato all'ingresso, nella prassi contrattuale italiana, di iter di conclusione del contratto, e di contenuti contrattuali, inediti e non agevolmente rapportabili al diritto interno; quanto all'iter di formazione, alla scansione letter of intent, due diligence, sale and purchase agreement, closing, non rapportabili alla scansione trattativa/contratto preliminare/contratto definitivo; quanto al contenuto, a representations and warranties, e indemnity clauses, non rapportabili alle nostre garanzie contrattuali.

Non solo. Il diritto italiano dei contratti è stato sotto più profili determinato da direttive comunitarie. Ciò, in relazione al contratto in generale, sotto il profilo della formazione del contratto: si pensi alla direttiva n. 85/577 in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, alla direttiva n. 97/7 relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, e alla direttiva n. 2000/31 sul commercio elettronico; sotto il profilo del controllo del contenuto, si pensi alla direttiva n. 93/13 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. In relazione a singoli contratti, si pensi alle direttive n. 87/102 e n. 90/88 sul credito al consumo, alla direttiva n. 90/314 concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti 'tutto compreso', alle direttive n. 92/96 e 92/49 sulle assicurazioni, alle direttive n. 92/50, 93/36, 93/37, 93/38 sugli appalti, alla direttiva n. 96/92 sul mercato interno dell'energia elettrica, alla direttiva n. 99/44 sulle garanzie nella vendita di consumo.

Si è trattato di interventi dal carattere frammentario e anche frastagliato, ma che in ogni caso collaborano a formare all'interno del diritto italiano dei contratti un corpus di norme caratterizzato dalla necessità che l'interpretazione avvenga in conformità alla direttiva recepita, e dalla non disponibilità delle norme da parte del legislatore italiano, perché norme imposte da direttive europee.

Non si tratta soltanto di una fonte aggiuntiva rispetto a quelle proprie dell'ordinamento interno, si tratta di una fonte eterogenea. Le direttive comunitarie sono scritte in una koiné artificiale, e il legislatore nazionale, aduso a una recezione affrettata, poco si preoccupa se nel 'fotocopiare' la direttiva riproduce termini che non appartengono al nostro linguaggio tecnico. Non solo: talora i nuovi termini sono il veicolo di nuovi istituti. Così la normativa comunitaria in tema di trasparenza ha portato ad appuntare al termine 'forma' questioni come la necessità che il contratto sia redatto per iscritto, che sia consegnata una copia del documento al cliente, che il contratto disponga espressamente su questo o quell'altro punto. In tal modo accanto alle tradizionali ipotesi della forma per la validità del contratto e della forma per la prova del contratto si è aggiunta un'inedita forma 'informativa'.È dunque con la duplice consapevolezza della compresenza di fonti sovranazionali e di fonti comunitarie che la presente voce sul contratto fa riferimento al diritto italiano.È infine necessario considerare che l'avvento di Internet ha reso quotidiana la conclusione di contratti in un mercato che non ha regole, quantomeno che non ha regole che promanino da un'autorità il cui ambito di imperio sia pari a quello della rete.

Contratto e categorie contrattuali

Consumato negli anni settanta-ottanta l'addio al negozio giuridico come categoria ordinante e unificante dell'autonomia privata, il contratto ne ha assunto il ruolo.Ma in questi ultimi anni ci si è chiesti se si possa utilmente discutere del contratto come figura generale: e la risposta negativa ha trovato via via consensi crescenti. Troppe sono le differenze tra contratti tra imprenditori, contratti del consumatore, contratti tra privati e contratti collettivi, perché se ne possa trattare unitariamente.

Di qui la necessità di articolare anche la presente voce, dedicata al 'contratto', in più parti, ciascuna dedicata a una categoria contrattuale. Utilizzando la terminologia del commercio elettronico, distinguiamo tra business to business (indulgendo alla mania dell'acronimo, B2B), business to consumer (B2C), person to person (P2P), e così tra contratti tra imprenditori, contratti del consumatore, contratti tra privati, accanto ai quali si collocano le manifestazioni di autonomia contrattuale di soggetti collettivi (v. capp. 5, 6, 7 e 8).La ripartizione qui adottata non è pacifica.

Le codificazioni napoleoniche segnavano la distinzione tra contrats commerciaux e contrats civils, i primi caratterizzati dall'essere almeno una delle parti commerciante. È poi emersa negli Stati Uniti la categoria dei consumer contracts, fatta propria in Europa da numerose direttive comunitarie.

La Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili del 1980 esclude espressamente che "il carattere civile o commerciale delle parti o del contratto devono esser presi in considerazione ai fini dell'applicazione della presente Convenzione" (art. 1.3), ma al tempo stesso esclude la propria applicazione "alle vendite di beni mobili acquistati per uso personale, familiare o domestico" (art. 2.a), vale a dire ai consumer contracts.

I Principî sui contratti commerciali internazionali elaborati da UNIDROIT nel 1994 regolano appunto i contratti commerciali, espressione che, viene chiarito dai redattori, intende escludere i contratti del consumatore.I Principî del diritto contrattuale europeo sin qui elaborati dalla Commissione per il diritto contrattuale europeo presieduta da Ole Lando pretendono di applicarsi pure ai contratti del consumatore, anche se i redattori espressamente dichiarano di volersi astenere dal dettare regole speciali per i contratti del consumatore, di cui quindi riconoscono la necessità, e anche se le norme sull'applicazione dei Principî assai poco si adattano ai contratti del consumatore (si pensi all'applicazione in forza di richiamo alla lex mercatoria).Pur consapevoli dell'attuale incertezza dei confini, crediamo che la ripartizione proposta sia la più adatta a dar conto dei diversi problemi che per ciascuna categoria contrattuale si pongono e delle diverse discipline applicabili.

La rilevanza dei temi

L'importanza relativa dei temi che si pongono in materia di contratto varia nel tempo. Il tema dei vizi del consenso, errore, violenza e dolo, un tempo centrale, è oggi di rilievo assai scarso, sia perché i contratti sono sempre più spesso stipulati da soggetti che operano in nome e per conto altrui, sicché semmai diventa centrale il problema dei poteri di chi agisce, sia perché invocare un vizio della volontà per liberarsi da un vincolo contrattuale significa imboccare una via impervia, quando la via più agevole è oggi quella di valersi dello jus poenitendi o di mettere in discussione la conformità del contratto a questa o quella norma imperativa. Di qui la necessità di concentrare l'attenzione, nella presente voce, su alcuni nodi problematici soltanto, quelli più vivi: come la forza di legge del contratto, il controllo sul contenuto, il controllo sull'equilibrio contrattuale, il rapporto tra autonomia e tipi contrattuali (v. capp. 9, 10, 11 e 12).

I contratti internazionali

Il contratto internazionale vive un singolare paradosso.Per un verso, lo si è accennato, persegue una logica di autosufficienza: il testo contrattuale vorrebbe dare risposta a ogni possibile problema. Per altro verso proprio il settore dei contratti internazionali conosce un traffico di fonti di normazione particolarmente affollato.Si va dalle condizioni generali di contratto elaborate da enti terzi rispetto alle parti (si pensi alle clausole FIDIC sugli appalti), alle regole uniformi di interpretazione di clausole (si pensi agli incoterms, che dominano i contratti di trasporto), ai codici deontologici (si pensi a quelli in tema di franchising), alle fonti di normazione in senso stretto, come le convenzioni di diritto uniforme (si pensi alla Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita di cose mobili e a quelle di Ottawa del 1988 sul leasing e sul factoring).

Ed è in questo settore che quasi naturalmente trovano la loro prima ragion d'essere i tentativi di codificazione di principî sovranazionali: dai Principî sui contratti commerciali internazionali elaborati da UNIDROIT ai tentativi di codificazione del diritto europeo, come i recenti e ancora non completi Principî del diritto contrattuale europeo predisposti dalla Commissione presieduta da Ole Lando, di cui si è detto.Tre punti vanno colti in relazione a questi principî sovranazionali.Un primo punto: la disciplina che dettano è quasi integralmente dispositiva.Nei Principî UNIDROIT sono infatti inderogabili solo la disposizione che impone alle parti di comportarsi "in conformità alla buona fede" (art. 1.7), le disposizioni sulla validità del contratto in caso di vizi della volontà (cap. 3); la disposizione secondo cui in caso di arbitraria determinazione del prezzo da parte di un contraente deve essere determinato un prezzo "ragionevole" (art. 5.7.2), la disposizione secondo cui non può essere invocata una clausola di esonero della responsabilità "manifestamente ingiusta" (art. 7.1.6), la disposizione secondo cui la penale eccessiva può essere ridotta (art. 7.4.13).

Nei Principî della Commissione Lando sono imperative solo la norma che pone il dovere di buona fede e di corretto comportamento (art. 1:201), alcune norme in tema di clausola di omnicomprensività (clausola secondo cui lo scritto racchiude tutte le condizioni convenute) (art. 2:105), la norma che sostituisce con un prezzo o una clausola ragionevoli la determinazione unilaterale "manifestamente iniqua" (art. 6:105), alcune norme che vietano di escludere alcuni rimedi contrattuali (art. 4:118, 8:109), la norma che prevede la riducibilità della penale eccessiva (art. 9:509).

Se i Principî UNIDROIT e i Principî della Commissione Lando sostanzialmente coincidono nel prevedere poche norme imperative, i principî più recenti rafforzano la tendenza del contratto internazionale a operare in un quadro normativo derogabile.Infatti i Principî UNIDROIT all'art 1.4 così dispongono: "Nessuna disposizione di questi principî è intesa a limitare l'applicazione delle norme imperative di origine nazionale, internazionale o sovranazionale, applicabili secondo le norme di diritto internazionale privato". E ciò significa che il richiamo ai Principî UNIDROIT non esclude l'applicazione delle norme imperative applicabili.

Invece i Principî della Commissione Lando così dispongono all'art. 1:103, Norme imperative: "1) Quando la legge applicabile lo consente, le parti possono decidere che il contratto sia regolato dai Principî; in tal caso le norme imperative nazionali non sono applicabili. 2) In ogni caso troveranno applicazione quelle norme imperative della legge nazionale, del diritto sovranazionale e internazionale la cui applicabilità, secondo le norme proprie di diritto internazionale privato, non dipende dalla legge che regola il contratto". Il che significa che l'applicazione dei Principî può portare a escludere l'applicazione delle norme imperative statuali (salvo quelle di applicazione necessaria): il che non è poco.Il secondo punto che va sottolineato è che entrambi i Principî si ispirano in larga misura alla Convenzione di Vienna sulla vendita di beni mobili del 1980, che costituisce così il modello di riferimento per i tentativi di uniformazione in materia contrattuale.

Un terzo punto riguarda il cosiddetto favor contractus: l'intento è di tenere in vita per quanto possibile il contratto, limitando i casi in cui se ne può discutere la validità o si può porvi fine ante tempus, e ciò nella convinzione che sia comunque interesse delle parti tenere in vita l'affare originario piuttosto che cercare di procurarsi altrove i beni o i servizi sostitutivi.

I contratti tra imprenditori

La contrapposizione tra 'business to business' e 'business to consumer', tra contratti tra imprenditori e contratti del consumatore, non coincide con la distinzione tra contratti civili e contratti commerciali dei codici di derivazione napoleonica: così in base al Codice di commercio italiano del 1882 i contratti del consumatore sono contratti commerciali, perché è vero che "non sono atti di commercio la compra di derrate o di merci per uso o consumo dell'acquirente o della sua famiglia" (art. 5), ma se un commerciante vende a un consumatore il contratto è commerciale, perché "se un atto è commerciale per una sola delle parti, tutti i contraenti sono per ragione di esso soggetti alla legge commerciale" (art. 54).

La distinzione tra contratti tra imprenditori e contratti del consumatore guarda allo scopo per il quale una parte conclude il contratto: se quella parte è una persona fisica e conclude il contratto per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta si è in presenza di un contratto del consumatore, e ciò sia che il consumatore acquisti beni o servizi, sia che li ceda o fornisca (si veda il nuovo testo dell'art. 1469 bis del Codice civile, adeguato alle direttive comunitarie).I contratti tra imprenditori sono essi pure disciplinati da direttive comunitarie: è il caso - come accennato - degli appalti pubblici, e dei contratti che hanno ad oggetto le utilities.Non mancano direttive che hanno portata generale: così la direttiva 2000/35 relativa ai pagamenti prevede la decorrenza automatica degli interessi moratori, dalla scadenza contrattuale o da date congrue ivi indicate, senza necessità di messa in mora (direttiva che appunto non si applica ai contratti del consumatore).

Presupposto è un pari potere contrattuale tra i contraenti. È frequente che gli interessi delle parti non siano contrapposti, bensì siano diretti a uno scopo comune. La qualità di imprenditori di entrambe le parti consente di mantenere in linea di massima operanti i principî classici dell'autonomia contrattuale, e così la libertà di decidere se concludere il contratto, con chi concluderlo, e come concluderlo.In linea di massima, perché anche nel business to business si dà rilevanza talora alla qualità di contraente debole di una delle due parti: come avviene per la subfornitura, oggetto nel 1998 di un intervento normativo fortemente protettivo (almeno nelle intenzioni) del subfornitore, e quindi a limitare quelle libertà.La libertà di contrarre delle imprese trova un limite generale nella normativa antitrust, che vieta le intese restrittive della libertà di concorrenza, l'abuso di posizione dominante e le operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza. Limite generale, di recente introdotto (art. 9, legge del 18 giugno 1998, n. 192), e non ancora collaudato da applicazioni, è quello del divieto di abuso di dipendenza economica. Si tratta di limiti per i quali assume rilevanza la posizione dell'imprenditore nel mercato: il passero è libero nella gabbia delle aquile.

La formazione del contratto è caratterizzata dalla rilevanza che ha la riservatezza. La trattativa non deve essere l'occasione per un concorrente di venire a conoscenza dei segreti industriali dell'altro potenziale contraente, e ciò pone un limite all'informazione che può essere data e pretesa; in ogni caso non deve essere occasione perché i segreti industriali e commerciali vengano divulgati a terzi: di qui la sottoscrizione, in sede di trattative, di confidentiality agreements, e la previsione di un "obbligo di riservatezza" nei Principî UNIDROIT (art. 2.16) e di un "obbligo di non rivelare e di non usare informazioni confidenziali per fini estranei al contratto" nei Principî della Commissione Lando (art. 2:302).

È il settore di elezione della conclusione del contratto on line.Al riguardo la direttiva n. 2000/31, sul commercio elettronico, prevede quali siano le informazioni da fornire (art. 10) e i principî applicabili all'inoltro dell'ordine (art. 11). Si noti tuttavia che questa disciplina (inderogabile nel business to consumer) è per la maggior parte derogabile "tra parti diverse da consumatori".

È presente l'utilizzazione di contratti standard. Se entrambi gli imprenditori utilizzano propri contratti standard, e ciascuno invia all'altro le proprie condizioni generali di contratto, senza sottoscrivere quelle che riceve, si ha un conflitto tra formulari divergenti, una 'battle of forms' che pone un duplice problema: se un contratto sia stato concluso, e quale ne sia il contenuto. I Principî UNIDROIT risolvono la questione all'art. 2.22: "Quando entrambe le parti fanno uso di clausole standard, in mancanza del raggiungimento di un accordo su queste ultime, il contratto è concluso sulla base delle clausole concordate e di tutte le clausole standard coincidenti nella sostanza, salvo che una parte dichiari preventivamente con chiarezza, o comunichi in seguito alla controparte senza ingiustificato ritardo, che non intende essere vincolata da un tale contratto". La stessa soluzione si trova all'art. 2:209 dei Principî della Commissione Lando.

I contratti del consumatore

I contratti del consumatore sono caratterizzati, come si è detto, dalla presenza di una persona fisica che non è imprenditore e comunque se lo è non conclude il contratto in quella veste, ma per finalità non professionali né imprenditoriali.Presupposto è che l'imprenditore e il consumatore non si trovino in situazione di pari potere contrattuale.È molto frequente che i contratti del consumatore siano contratti standard, ovviamente predisposti dall'imprenditore.

La disciplina dei contratti dei consumatori è inderogabile, e anzi protetta dalla elusione che potrebbe derivare dalla scelta di una diversa legge applicabile (art. 5 della Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali).La disciplina dei contratti del consumatore è, nel nostro sistema, di derivazione comunitaria, e informa tutti i profili.

Tracciamo alcune regole, traendole dalle varie direttive.Il consumatore, prima della conclusione del contratto, deve essere adeguatamente informato, nella lingua europea del consumatore e con modalità che gli consentano di riesaminare l'informazione.Il consumatore ha la facoltà di recedere in un periodo iniziale (cosiddetto cooling off period).Il contratto deve essere redatto per iscritto, e una copia deve essere consegnata al consumatore o comunque da lui ottenibile.Le clausole contrattuali non devono determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. In caso contrario il consumatore può chiedere al giudice di dichiararne l'inefficacia, mentre il contratto rimane efficace per il resto (l'inefficacia può essere rilevata d'ufficio dal giudice) e le associazioni dei consumatori possono chiedere l'inibitoria del loro uso.

Le clausole proposte per iscritto devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio prevale l'interpretazione favorevole al consumatore. La conclusione del contratto on line è oggetto di disciplina inderogabile, come si è accennato, da parte della direttiva n. 2000/31, che impone le informazioni da fornire al consumatore (art. 10) e disciplina l'inoltro dell'ordine (art. 11), preoccupandosi che il consumatore ottenga ricevuta dell'ordine, e che sia messo in grado di correggere errori prima di inoltrare l'ordine.

La conclusione del contratto on line influisce sulla soluzione di numerosi problemi: il problema del luogo di conclusione del contratto perde importanza, perché trattandosi di contratto del consumatore concluso mediante l'uso di strumenti informatici e telematici il foro competente è comunque quello del consumatore; l'offerta al pubblico che si legge nel sito può essere considerata composta di condizioni generali di contratto, essendo dedicata alla conclusione di una pluralità di contratti, e dato che il consumatore non vuole utilizzare la firma digitale, se fra le condizioni generali del contratto vi sono clausole vessatorie, queste, non specificatamente approvate per iscritto, non hanno effetto (art. 1341, comma 2, del Codice civile); di regola l'esecuzione del contratto avviene essa pure on line, e così il consumatore perde il diritto di recesso, che non può essere esercitato dopo la prestazione del servizio.

Per la tradizionale rilevanza di tipo contrattuale di riferimento che la vendita ha per l'elaborazione di principî generali per il contratto, merita considerazione la recente direttiva n. 1999/44 sulle garanzie nella vendita di beni di consumo. La direttiva, che dovrà essere recepita entro il 1° gennaio 2002, riguarda la vendita di consumo di beni mobili materiali, e disciplina da un lato la garanzia ex lege del venditore per la non conformità al contratto dei beni venduti, indicando i rimedi (riparazione, sostituzione, riduzione del prezzo, risoluzione) e ponendo limiti alla previsione da parte degli Stati membri di termini di decadenza (non più di due mesi) e di prescrizione (non meno di due anni), e dall'altro la garanzia convenzionale, imponendo che contenga le indicazioni necessarie.

La direttiva ha dovuto trovare un punto di incontro tra i paesi tradizionalmente esportatori, come la Germania, restii ad ammettere garanzie di lunga durata, e paesi, come la Francia, più orientati alla tutela del compratore. Il modello di riferimento è stato ancora una volta la Convenzione di Vienna (si pensi alla nozione di non conformità), ma, trattandosi di disciplina di un contratto di consumo, con la radicale differenza che mentre le norme della Convenzione di Vienna sono derogabili, le norme della direttiva sono espressamente qualificate come inderogabili: le clausole che limitino i diritti derivanti dalla direttiva non sono opponibili al consumatore.

I contratti tra privati

Presupposto è che i contraenti abbiano pari potere contrattuale.Il contratto tra privati è rimasto sostanzialmente al riparo dall'attenzione delle fonti sovranazionali, e appare un'area conservativa. Al suo interno il diritto dei contratti immobiliari costituisce un settore di rilevante importanza economica, nel quale operano ancora i principî tradizionali dell'autonomia contrattuale.Innanzitutto i contratti sono oggetto di trattativa individuale, anche quando interviene l'intermediazione. I contratti hanno poi la funzione di registrare l'accordo delle parti sui dati economici, in particolare sul bene, sul prezzo e sulle modalità di pagamento, per il resto facendo ampio rinvio alla disciplina legislativa della vendita di beni immobili. Si tratta, come si è detto, di una disciplina ancora sostanzialmente di diritto interno: anche le direttive comunitarie tendono a escludere la propria applicabilità ai contratti immobiliari (è il caso della direttiva in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, della direttiva sul credito al consumo, della direttiva in materia di contratti a distanza, della direttiva sulle garanzie nella vendita), anche se un'apertura a essi è data dalla direttiva sulla multiproprietà.

I contratti immobiliari si caratterizzano per la funzione di creare un titolo, opponibile ai terzi: il contratto è piuttosto "modo di acquisto della proprietà", secondo la sistematica del Code Napoléon, che non "fonte di obbligazioni", secondo la sistematica del Codice italiano del 1942. La necessità di rendere il contratto - il titolo - opponibile ai terzi e la conseguente necessità di procedere alla trascrizione rende i contratti immobiliari settore di elezione dell'intervento del notaio. Si inserisce in quest'ottica la previsione della trascrivibilità del contratto immobiliare tipicamente obbligatorio, il contratto preliminare.Anche il settore dei contratti immobiliari subisce tuttavia qualche influenza delle fonti sovranazionali: è di oggi, a seguito della ratifica della Convenzione dell'Aja sui trusts, la stipulazione di atti di trusts interni, di trusts cioè retti da una legge straniera che disciplina quel tipo di trust, ma per il resto collegati con l'Italia. Dire che i contratti tra privati costituiscono un'area conservativa non significa affermare che per essi operi indisturbata la libertà contrattuale classica: basti pensare al settore dei contratti di locazione di immobili a uso abitativo, area oggetto della più intensa disciplina dirigistica. I contratti tra privati sono settore in cui la conclusione on line è meno frequente, ma si aprono spazi promettenti. Così il mercato dell'arte: Internet, per sua natura nemico dell'intermediazione, consente all'artista di vendere tramite il sito direttamente proprie opere. E sono contratti person to person quelli che si concludono nelle aste on line.

I contratti collettivi

Accanto alla tradizionale figura del contratto collettivo di lavoro si sono venute manifestando forme di esercizio di autonomia non riferite a specifici contraenti, ma a soggetti collettivi. Così nel settore dei contratti agroindustriali si riconosce e incentiva la contrattazione interprofessionale (legge del 16 marzo 1988, n. 88); i rapporti agrari sono ormai regolati da patti in deroga, fondati sull'autonomia assistita (art. 11, comma 2, d.l. 11 luglio 1992, n. 359); la disciplina della subfornitura prevede la possibilità di derogare al termine di pagamento di sessanta giorni mediante accordi nazionali per settori e comparti specifici, sottoscritti presso il Ministero dell'Industria da tutti i soggetti competenti per settore presenti nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro in rappresentanza dei subfornitori e dei committenti (art. 3, comma 2, legge del 18 giugno 1998, n. 192); la nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani prevede la possibilità di stipulare contratti alternativi rispetto a quelli ordinari, il cui contenuto è fissato dalla legge quanto alla durata, e stabilito per relationem per quanto attiene al canone e alle altre condizioni contrattuali, "sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative, che provvedono alla definizione di contratti-tipo" (art. 2, comma 3, legge del 9 dicembre 1998, n. 431); la nuova disciplina del diritto di autore prevede che la ripartizione fra gli autori e gli editori dei compensi per le riproduzioni per uso personale di opere dell'ingegno sia effettuata dalla SIAE, e ciò possa avvenire, se si tratta di aventi diritto per i quali la SIAE già svolga attività di intermediazione, nella misura e secondo le modalità stabilite da "accordi tra la SIAE e le associazioni delle categorie interessate", se si tratta di aventi diritto per i quali la SIAE non svolge già attività di intermediazione, "tramite le principali associazioni delle categorie interessate [...] in base ad apposite convenzioni" (art. 181 ter, legge del 22 aprile 1941, n. 633, come introdotto dall'art. 2, comma 5, legge del 18 agosto 2000, n. 248).

Le Camere di commercio possono "predisporre e promuovere contratti-tipo tra imprese, loro associazioni e associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti" e "promuovere forme di controllo sulla presenza di clausole inique inserite nei contratti" (art. 2, comma 4, lett. b e c, legge del 29 dicembre 1993, n. 680).

Mentre non risulta che la prima attività sia stata svolta, le Camere di commercio (cui il successivo art. 1469 sexies del Codice civile ha altresì attribuito la legittimazione attiva all'azione inibitoria dell'uso delle clausole abusive) hanno proceduto a una verifica per alcuni settori delle clausole dei contratti standard di consumo, in contraddittorio con le associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti: così la Camera di commercio di Milano ha formulato pareri sui formulari dei contratti di viaggio, di mediazione immobiliare, di multiproprietà, di somministrazione di gas e di energia elettrica. Nella sostanza si pone così in essere una contrattazione collettiva tra le categorie interessate, sotto la supervisione delle Camere di commercio: e l'azione inibitoria delle Camere di Commercio è l'extrema ratio. Un nodo irrisolto si è formato nei rapporti tra autonomia collettiva e comportamenti dei singoli in tema di contratti del consumatore e clausole vessatorie. L'art. 1469 ter, comma 4, del Codice civile esclude che siano vessatorie le clausole dei contratti del consumatore che siano state oggetto di trattativa individuale: in tal modo viene esclusa ogni rilevanza della trattativa collettiva. Avviene così che associazioni dei consumatori da un lato e associazioni di imprenditori dall'altro si riuniscano per verificare le condizioni generali di contratto predisposte dalle imprese, e per concordare l'eliminazione di quelle che vengono considerate vessatorie. Ma ciò non esclude la possibilità per associazioni di consumatori che non abbiano partecipato alla trattativa di chiedere l'inibitoria di ulteriori clausole, o per il singolo consumatore di chiedere la declaratoria di inefficacia di clausole ulteriori.

È quanto è avvenuto di recente in tema di contratti bancari, dove l'Associazione Bancaria Italiana da un lato e associazioni di consumatori dall'altro hanno concordato l'eliminazione di alcune clausole, e nel frattempo altre associazioni di consumatori hanno chiesto (e in parte ottenuto) l'inibitoria di clausole che in quella sede si era concordato di mantenere.

Una forma occulta di contrattazione collettiva ricorre nella raccolta degli usi in materia contrattuale da parte delle Camere di commercio. Ciò perché la ricognizione degli usi è operata con la partecipazione di esponenti delle categorie interessate (e da ultimo delle associazioni di consumatori), e la linea di demarcazione tra accertamento di un uso e concertazione sulle clausole contrattuali è sottile.

La forza di legge del contratto

Il contratto "ha forza di legge tra le parti": così si esprime l'art. 1372 del Codice civile. Espressione solenne: ma non più solenne dell'analoga espressione anglosassone, che sancisce il principio della 'sanctity of contract'. Per comprendere il significato di tale principio, e per verificarne l'attuale vigenza, è opportuno distinguere più significati a esso riconducibili.Un primo significato sottolinea il ruolo del contratto come atto di autonomia: è il contratto che dà norma alle parti. E dunque il contratto e non la legge: il contratto che il giudice deve applicare fedelmente.Il contratto, e non la legge. Ma oggi, come diremo meglio oltre, sono sempre più numerose le norme imperative che disciplinano i contratti.Non solo: sempre più spesso il contenuto dei contratti è predeterminato sin nel dettaglio da fonti regolamentari, che debbono essere osservate dalle parti. Di più: il legislatore interviene con norme imperative, ed esse vengono considerate applicabili dai giudici ai contratti precedentemente stipulati.

Quanto poi all'applicazione fedele del contratto da parte del giudice, il principio secondo cui il giudice non ha poteri modificativi o conformativi del contratto subisce attenuazioni e deroghe: così si riconosce che in caso di contratto preliminare inadempiuto la sentenza sostitutiva ex art. 2932 del Codice civile può avere anche un contenuto in parte difforme dal contratto definitivo previsto dalle parti.

Un secondo significato che può essere attribuito al principio è quello per cui il contratto non può essere modificato se non con l'accordo di entrambe le parti. Ma nell'importante settore dei contratti finanziari lo ius variandi unilaterale dell'ente creditizio o finanziario può essere validamente pattuito, sia pure con il temperamento di un diritto di recesso per il cliente.

Un terzo significato è quello secondo cui il contratto non può essere sciolto, se non di comune accordo. Ma se il contratto è a tempo indeterminato ciascuna delle parti può recedere, e ciò anche se né il contratto, né la disciplina legale prevede un siffatto potere. E per i contratti in cui una parte è considerata soggetto debole si riconosce un diritto di recesso iniziale, come jus poenitendi.

Un quarto significato è quello secondo cui il contratto deve essere adempiuto. Ciò vuol dire che il debitore della prestazione non può liberarsi offrendo il risarcimento del danno: appunto perché il creditore della prestazione ha diritto all'esecuzione in forma specifica del contratto (dispone infatti l'art. 1453 del Codice civile che "nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempia le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno"). È questo un punto caratteristico del nostro diritto dei contratti, rispetto al sistema anglosassone, ispirato invece al principio, per usare le parole di Holmes, secondo cui "l'obbligo di rispettare il vincolo contrattuale per common law significa la previsione che chi non rispetta il vincolo deve risarcire i danni, e null'altro". Di fronte a questo contrasto di principî (anche se poi nel diritto applicato le differenze si attenuano: perché per un verso nei paesi romanisti sono rimasti carenti gli strumenti processuali dell'esecuzione in forma specifica, e perché per altro verso nei paesi di common law la specific performance venne poi concessa, seppure in misura limitata, dalle corti di equity) è interessante esaminare come affrontano il problema i Principî della Commissione Lando. In conformità a quanto previsto dall'art. 46 della Convenzione di Vienna, e dall'art. 7.2.2 dei Principî UNIDROIT, l'art. 9:102 riconosce il diritto del contraente fedele alla esecuzione in forma specifica della prestazione non pecuniaria, ma lo esclude poi in molti casi (se la prestazione è illegale o impossibile, se la prestazione comporterebbe per il debitore uno sforzo o spese irragionevoli, se la prestazione è intuitu personae, se il creditore può ragionevolmente ottenere la prestazione altrimenti) e condiziona tale diritto a un esercizio tempestivo.In sintesi, la forza di legge del contratto trova smentite via via più numerose e rilevanti.

Il controllo sul contenuto

La teoria tradizionale del contratto, nel diritto italiano, identifica nella causa lo strumento per controllare l'autonomia contrattuale. In realtà sono quasi soltanto di scuola i casi in cui si può fondatamente ritenere che un contratto manchi di causa (così la vendita a un acquirente di cosa già di sua proprietà): al di fuori dei quali l'applicazione del principio secondo cui è nullo il contratto privo di causa diventa stravagante, come nella recente decisione della Cassazione, secondo cui sarebbe nullo per mancanza assoluta di causa un contratto di compravendita stipulato in assenza, da parte dell'acquirente, di qualsiasi seria intenzione di pagare il prezzo concordato. D'altra parte una recente decisione giurisprudenziale ha ritenuto sufficiente che, ove risultasse mancante una determinata causa 'principale', sussistesse almeno una causa alternativa (il caso è questo: un Comune commina sanzioni amministrative a un imprenditore edile, che le contesta, ma concorda con il Comune il trasferimento di un edificio, come datio in solutum, se le sanzioni risulteranno legittimamente comminate, in caso contrario come vendita per un determinato prezzo).Il controllo sul contenuto del contratto avviene piuttosto in base alla conformità o non conformità del contratto a norme imperative. Nel nostro sistema il contratto contrario a norme imperative è nullo, se la nullità è espressamente prevista, ma può essere nullo anche se la nullità non è espressamente prevista: si parla di nullità virtuale (art. 1418 del Codice civile).

Di qui l'importanza di identificare e correttamente applicare le norme imperative in tema di contratto.Un dato quantitativo, ma anche qualitativo, colpisce: quello dell'incremento delle norme imperative.Per rendercene conto esaminiamo il settore di disciplina che più da vicino riguarda il contenuto del contratto, quello dei singoli tipi contrattuali. Di 516 disposizioni che componevano il testo originario del titolo terzo del IV libro del Codice civile, circa un decimo sono espressamente indicate come inderogabili, o sono pacificamente considerate tali.Raggruppiamole secondo la ratio.

Alcune ribadiscono e specificano la necessità dei requisiti essenziali (così la rendita non può essere costituita su persone già defunte: art. 1876; l'assicurazione è nulla o si scioglie se non esiste o viene meno il rischio: artt. 1895, 1896; l'assicurazione contro i danni è nulla in difetto di interesse dell'assicurato: art. 1904, ed è invalida in caso di sproporzione tra somma assicurata e valore della cosa, imputabile a dolo dell'assicurato: art. 1909; la transazione è nulla se ha a oggetto diritti indisponibili o un contratto illecito: artt. 1966 e 1972, comma 1). Altre pongono requisiti di forma per la validità (così in tema di vendita con patto di riscatto: art. 1503, comma 3; di vendita di eredità: art. 1543, comma 1) o per la prova (in tema di assicurazione: artt. 1888 e 1919, comma 2). Altre attengono alla durata del contratto e ai termini (così in tema di vendita con patto di riscatto l'art. 1501.2; in tema di patto di preferenza nella somministrazione l'art. 1566.1; in tema di locazione l'art. 1573; di rendita perpetua l'art. 1865; di anticresi l'art. 1962). Un nutrito gruppo di disposizioni riguarda la ripartizione dei rischi (così gli artt. 1487.2 e 1490.2 sulla garanzia del venditore; l'art. 1579 sulla responsabilità del locatore; l'art. 1673.2 sul rischio del fortuito nell'affitto; l'art. 1667 sulla responsabilità dell'appaltatore; l'art. 1681 sulla responsabilità del vettore; l'art. 1713.2 sulla responsabilità del mandatario; l'art. 1784 sulla responsabilità dell'albergatore). Non poche disposizioni sono a tutela dell'interesse generale (ricordiamo i divieti speciali di vendita di cui all'art. 1471; il diritto del conduttore alla risoluzione se la casa locata è pericolosa per la salute: art. 1580; l'obbligo dell'assicuratore di indennizzo per sinistri conseguenti ad atti di solidarietà umana: art. 1900.3; l'invalidità della transazione su documenti falsi e su cosa giudicata: artt. 1968, 1973, 1974). Un numero percentualmente non troppo rilevante di norme sono a tutela di uno dei contraenti: oltre alle disposizioni in tema di assicurazione di cui l'art. 1932 sancisce l'inderogabilità relativa, e alle due disposizioni che richiamano il divieto del patto commissorio (artt. 1500.2 e 1963 per la vendita con patto di riscatto e per l'anticresi), possiamo ricordare gli artt. 1525 e 1526 in tema di inadempimento del compratore nella vendita rateale; gli artt. 1632 e 1633 in materia di miglioramenti dell'affittuario; le disposizioni a tutela dell'affittuario coltivatore diretto (artt. 1649-1653); la disposizione sui contratti dei concessionari di pubblici servizi di linea (art. 1679); sull'indennità dell'agente (art. 1751) e infine sulla previsione nelle polizze assicurative del riscatto e della riduzione e del loro valore (art. 1925).

In definitiva risulta confermata una visione del rapporto tra autonomia contrattuale e legge nel senso della prevalenza dell'autonomia, e del ruolo di supporto integrativo della legge.Se guardiamo al testo attuale del titolo terzo, notiamo che le modifiche apportate negli ultimi anni sono tutte rappresentate da norme imperative.Sono norme imperative quelle che modificano la disciplina dell'agenzia, introducendo il diritto di ottenere il documento contrattuale (art. 1742, comma 2) e il divieto dello star del credere (art. 1746, comma 2) e regolando i diritti dell'agente (art. 1748), gli obblighi del preponente (art. 1749), l'indennità in caso di cessazione del rapporto (art. 1751).

È norma imperativa l'art. 1785 quater che vieta le clausole limitative della responsabilità dell'albergatore da deposito in albergo. È norma imperativa l'art. 1815, comma 2, secondo cui "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi".Sono imperative le disposizioni che modificano la disciplina della fideiussione: la disposizione che prevede la nuova formulazione dell'art. 1938, che impone la fissazione "dell'importo massimo garantito", e la disposizione che aggiunge all'art. 1956 il comma secondo cui "non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione". Per converso, il legislatore ha totalmente trascurato di recepire con norme dispositive la prassi contrattuale relativa ai numerosi tipi contrattuali emersi di recente (dal leasing al factoring al franchising): sicché la tradizionale funzione del titolo sui singoli contratti, di deposito di norme dispositive in funzione integrativa di lacune, si è venuta perdendo.

Se poi si esce dal Codice civile per allargare l'indagine alle leggi speciali che hanno disciplinato i contratti, il trend è ancor più palese: si pensi alla disciplina ancora una volta imperativa delle locazioni, dei contratti agrari, della subfornitura. Il proliferare delle norme imperative ha reso molto più frequenti che nel passato i casi in cui una parte deduce la nullità del contratto che ha precedentemente concluso: come si è accennato è questa la via più agevole per impugnare un contratto, anche perché l'azione di nullità è imprescrittibile. Che la nullità sia oggi, oltre che presidio dell'interesse generale, anche rimedio per liberarsi dal vincolo è confermato dalla circostanza che molte delle nullità recenti sono nullità cosiddette relative, nullità cioè che possono essere fatte valere soltanto dalla parte che la norma imperativa intende proteggere.

Il controllo sull'equilibrio contrattuale

Nell'originario sistema del Codice civile del 1942 il controllo giudiziale sull'equilibrio contrattuale è consentito in casi eccezionali. L'equilibrio genetico può essere messo in discussione solo quando il contratto è stato concluso a condizioni inique per lo stato di pericolo, noto alla controparte, in cui una parte si trovava (art. 1447 del Codice civile), o quando una parte abbia approfittato dello stato di bisogno dell'altra per imporgli condizioni che integrano la lesione ultra dimidium: in tal caso è consentito il rimedio della rescissione. Ma lo squilibrio rileva solo in quanto conseguenza di un'alterazione della libertà contrattuale del contraente leso, né ciò basta, perché occorre altresì che l'altra parte ne abbia approfittato. La cautela del legislatore è confermata dalla circostanza che l'azione di rescissione si prescrive in un anno soltanto, che decorre per di più non dal momento in cui cessa lo stato di pericolo o di bisogno, ma dalla conclusione del contratto (art. 14, comma 1, del Codice civile). Data la pluralità di presupposti e i limiti di esercizio non sorprende che i casi in cui l'azione viene promossa e accolta siano molto rari.Quanto all'equilibrio funzionale, la sopravvenienza rileva solo se dipende da avvenimenti straordinari e imprevedibili: in tal caso la parte la cui prestazione è divenuta eccezionalmente onerosa può chiederne la risoluzione. Non può però chiederne la riconduzione ad equità, sicché si tratta pur sempre di un rimedio che porta allo scioglimento e non alla rettifica del contratto. La stessa considerazione vale per la presupposizione.

Per ottenere un riequilibrio delle prestazioni, nella sostanza se non nella forma, vi è la sola impervia via della deduzione di un dolo incidente (tale cioè da aver indotto non a stipulare il contratto, perché il contratto sarebbe stato comunque concluso, ma a stipularlo a condizioni diverse) con conseguente risarcimento del danno, idoneo appunto a riequilibrare le prestazioni, tenendo fermo il vincolo contrattuale.

Oggi il quadro normativo è notevolmente cambiato.La novella del 1996 sulle clausole vessatorie nei contratti del consumatore introduce un controllo generalizzato sul contenuto del contratto, dato che il giudice è chiamato a verificare che una clausola non comporti un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi a detrimento del consumatore. La formula adottata limita dunque il controllo all'equilibrio in senso giuridico, non in senso economico: l'art. 1469 ter, comma 2, del Codice civile precisa infatti che "la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile". Se la clausola risulta vessatoria, il giudice la dichiara inefficace, e il contratto rimane efficace (art. 1469 quinquies, comma 1, del Codice civile).

Più di recente l'art. 1, comma 2, lett. e della legge del 30 luglio 1998, n. 281, che disciplina i diritti dei consumatori e degli utenti, ha riconosciuto come diritto fondamentale dei consumatori e degli utenti quello "alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi". Chi scrive ha sostenuto che correttezza ed equità vanno riportate alla buona fede e all'equilibrio dei diritti e degli obblighi di cui all'art. 1469 bis: ma non manca chi ha ipotizzato che il riferimento all'equità consenta un controllo sulla congruità del prezzo.La normativa sin qui richiamata opera soltanto per i contratti del consumatore, non per i contratti tra imprenditori.

Ma anche per i contratti tra imprenditori ha fatto la propria comparsa nel nostro ordinamento (sia pure soltanto sulla carta, per ora) la nullità del contratto per abuso di dipendenza economica, cui si è accennato. L'art. 9 della legge del 18 giugno 1998, n. 192, contenuto nella legge sulla subfornitura, ma con portata generale, così dispone: "1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. 2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. 3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo".

Portata generale ha anche la nuova formulazione dell'art. 644 del Codice penale, introdotta dalla legge del 7 marzo 1996, n. 108, in tema di usura, là dove definisce come compensi usurari quelli che "risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria": norma che potrebbe estendere il suo ambito di applicazione al di là del mutuo a interesse, e comportare un controllo sulla proporzionalità economica delle prestazioni.

Due sono i punti chiave: se il controllo attenga all'equilibrio dei diritti e degli obblighi, o all'equità del contenuto economico del contratto; e se lo squilibrio economico rilevi di per sé, o perché conseguenza di una turbativa della libertà di decisione di un contraente.

È in quest'ultimo significato che si dà rilevanza all'eccessivo squilibrio nei Principî UNIDROIT all'art. 3.10, che così dispone: "1. Una parte può annullare il contratto o una sua singola clausola se, al momento della sua conclusione, il contratto o la clausola attribuivano ingiustificatamente all'altra parte un vantaggio eccessivo. Si devono considerare, tra gli altri fattori, a) il fatto che l'altra parte abbia tratto un ingiusto vantaggio dallo stato di dipendenza, da difficoltà economiche o da necessità immediate della prima parte, oppure dalla sua imperizia, ignoranza, inesperienza o mancanza di abilità a trattare, e b) la natura e lo scopo del contratto. 2. Su richiesta della parte che ha diritto all'annullamento il giudice può adattare il contratto o le sue clausole in modo da renderlo conforme ai criteri ordinari di correttezza nel commercio. 3. Il giudice può adattare il contratto o le sue clausole anche a richiesta della controparte alla quale sia stato inviato l'avviso di annullamento, purché tale parte ne informi l'altra prontamente dopo aver ricevuto l'avviso e prima che quest'ultima abbia agito facendovi affidamento. Le disposizioni di cui all'articolo 3.13(2) si applicano con le opportune modifiche". Ciò risulta in modo ancor più netto dall'art. 4:109 dei Principî della Commissione Lando, che così dispone, parlando di ingiusto profitto o vantaggio iniquo: "1) Una parte può annullare il contratto se, al momento della conclusione di esso: a) fosse in situazione di dipendenza o avesse una relazione di fiducia con l'altra parte, si trovasse in situazione di bisogno economico o avesse necessità urgenti, fosse affetta da prodigalità, ignorante, priva di esperienza o dell'accortezza necessaria a contrattare, e b) l'altra parte era o avrebbe dovuto essere a conoscenza di ciò e, date le circostanze e lo scopo del contratto, ha tratto dalla situazione della prima un vantaggio iniquo o un ingiusto profitto. 2) Su domanda della parte legittimata all'annullamento, il giudice può, ove il rimedio sia adeguato, modificare il contratto in modo da metterlo in armonia con quanto avrebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza. 3) Il giudice può parimenti modificare il contratto su domanda della parte alla quale è stata inviata la comunicazione di annullamento per ingiusto profitto o vantaggio iniquo, purché la parte che ha inviato la comunicazione ne sia informata prontamente da quella che l'ha ricevuta e prima che abbia potuto agire sulla fede nella comunicazione".

Più in generale, nei Principî si afferma la regola secondo cui anche nei contratti tra imprenditori "ciascuna parte deve agire in conformità alla buona fede e alla correttezza" (art. 1.7 e art. 1:201). Ma sarebbe errato concludere che sotto il profilo del controllo del contenuto i contratti del consumatore e i contratti tra imprenditori siano assimilabili: sarebbe errore ingenuo quanto quello di considerare coincidenti il diritto tedesco e il diritto italiano, solo perché al par. 242 BGB corrisponde l'art. 1375 del Codice civile, trascurando che la giurisprudenza tedesca ha dato applicazioni così numerose del Treu und Glauben che nei commentari quello del par. 242 richiede un volume delle dimensioni di un vocabolario, mentre poche pagine bastano a dare conto di tutte le applicazioni dell'art. 1375. Mentre per i contratti del consumatore l'equilibrio tra interesse dei consumatori da un lato e dei produttori e commercianti dall'altro si è già tipizzato in liste di clausole sospette, per i contratti tra imprenditori le formule della buona fede e del fair dealing sono ancora da concretizzare.

E poiché una clausola generale non concretizzata da applicazioni puntuali è vuota, il controllo dell'equilibrio contrattuale nei contratti tra imprenditori costituisce una pagina che deve essere ancora scritta (se pure lo sarà).

Gruppi di contratti e tipi contrattuali

La libertà delle parti di concludere il contratto come esse concordano si traduce nella scelta del tipo di contratto da stipulare: e le parti possono anche stipulare contratti che non appartengono ai tipi disciplinati dalla legge. La scelta è rilevante, e può dipendere da essa la validità stessa del contratto o di sue clausole. Due esempi per chiarire. Un socio di un'associazione non riconosciuta cede la sua quota nell'associazione a una persona interessata a entrarvi: contratto nullo per impossibilità dell'oggetto, dice la giurisprudenza, che invece considera valido il contratto di cessione delle utilità economiche connesse con la qualità di membro dell'associazione. Due parti stipulano un contratto di appalto, che è un contratto commutativo: una clausola che addossasse all'appaltatore un rischio relativo a circostanze al di fuori della sua possibilità di controllo potrebbe essere considerata nulla per incompatibilità con il tipo.

In questi ultimi decenni sono proliferati i contratti non disciplinati dalla legge, i cosiddetti contratti atipici.Le ragioni di tale fenomeno sono molteplici. Certamente una ragione è la circolazione dei modelli contrattuali statunitensi, con conseguente imitazione in Italia. Una seconda ragione è la reazione dell'autonomia privata alle rigidità del sistema giuridico interno. Un esempio: il nostro sistema delle garanzie mobiliari impone lo spossessamento, e la reazione è data dal leasing, che consente una garanzia mobiliare senza spossessamento, perché il bene è utilizzato dall'imprenditore, ma è a garanzia del lessor. Una terza ragione è data dalla reazione all'imposizione di norme imperative: il caso della elaborazione di tipi contrattuali che prevedono la concessione in godimento di un immobile urbano, ma esulano dal tipo 'locazione', è paradigmatico. Una quarta spiegazione è data dalla tendenza dell'impresa a concentrarsi sul core business e a delegare all'esterno le attività ulteriori: così si spiegano l'outsourcing, ma anche il catering o il factoring. Quanto all'individuazione della disciplina legale applicabile a uno specifico contratto, secondo l'impostazione sistematica del nostro Codice civile dapprima troviamo disposizioni sul contratto in genere (titolo secondo del libro IV), poi troviamo le discipline dei singoli contratti (titolo terzo del libro IV), con la disposizione dell'art. 1323 che fa da raccordo: "Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo". Questo rapporto sistematico, che vorrebbe applicate a un contratto le norme sul contratto in genere, e in seconda battuta le norme speciali per il tipo di contratto cui quello in esame è riconducibile, è stato negli anni ottanta messo in discussione, e si è proposta un'impostazione rovesciata, secondo cui innanzi tutto si applica la disciplina del tipo, e solo in via residuale la disciplina del contratto in genere.

Più di recente è stato osservato che la scelta del legislatore del 1942 di adottare come livello di intervento privilegiato quello del tipo contrattuale è stata abbandonata negli interventi ultimi.

Spesso il legislatore ha disciplinato piuttosto i soggetti che non i contratti (le imprese di assicurazioni, i mediatori, gli intermediari finanziari). E anche quando il legislatore ha disciplinato i contratti, non ha adottato come livello di intervento quello del tipo contrattuale, bensì quello del raggruppamento di contratti.Così, quando il legislatore ha previsto la nullità per omessa indicazione della concessione edilizia lo ha fatto in relazione non alla vendita di immobili, ma genericamente ad "atti [...] aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi ad edifici" (art. 17.1, legge del 28 febbraio 1985, n. 47). E quando ha comminato la nullità per omessa dichiarazione dei redditi, lo ha fatto in relazione, generica, ad "atti [...] di trasferimento della proprietà [...] e di costituzione o trasferimento di diritti reali" (art. 13 ter, d.l. 27 aprile 1990, convertito in legge 26 giugno 1990, n. 165).

Quando il legislatore ha disciplinato i contratti negoziati fuori dei locali commerciali, l'ambito di applicazione è stato così delineato: "il presente decreto si applica ai contratti tra un operatore commerciale ed un consumatore riguardanti la fornitura di beni o la prestazione di servizi, in qualunque forma conclusi, stipulati" appunto fuori dei locali commerciali (art. 1.1, d.l. 15 gennaio 1992, n. 50).

Così, ancora, nel disciplinare il credito al consumo, l'art. 18.1 della legge del 17 febbraio 1992, n. 142, definisce credito al consumo "la concessione nell'esercizio di una attività commerciale o professionale di credito sotto forma di dilazione di pagamento o di prestito o di analoga facilitazione finanziaria".

Così, ancora, nel dettare norme per la trasparenza, l'art. 2.1 della legge del 17 febbraio 1992, n. 154, dispone che essa si applica alle "operazioni di credito e di raccolta" indicate nell'elenco allegato alla legge e inoltre a "quelle eventuali che, pur avendo natura e requisiti delle predette operazioni, siano diversamente configurate [...] deliberatamente con scopo elusivo".

Dunque, la fattispecie regolata non è il singolo tipo contrattuale, bensì un raggruppamento di contratti, per di più determinato in modo elastico. Così l'art. 1, comma 1, lett. a, del d.lgs. del 9 novembre 1998, n. 427, in tema di multiproprietà, definisce, ai fini del decreto medesimo, per contratto: "uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o di trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto avente ad oggetto il godimento su uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell'anno non inferiore ad una settimana", e così disciplina insieme il contratto a effetti reali e a effetti obbligatori, il contratto preliminare e il definitivo. Con il risultato di dettare una serie di segmenti di disposizioni generali, che si collocano a livello intermedio tra la disciplina del contratto in generale e la disciplina dei singoli contratti.

Molti di questi casi sono di derivazione comunitaria. Emblematico di questo processo di superamento del tipo in favore del gruppo di contratti in sede comunitaria è il caso dei regolamenti in tema di accordi verticali. Si passa da regolamenti di esenzione relativi a specifici accordi (il regolamento 1983/83 sulla distribuzione esclusiva, il regolamento 1984/83 sulle esclusive d'acquisto, il regolamento 4087/88 sugli accordi di franchising) a un unico regolamento di esenzione, il regolamento 22 dicembre 1999, n. 2790/1999, relativo all'applicazione dell'art. 81, par. 3, del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, che concerne tutti gli "accordi verticali", e cioè gli accordi o le pratiche concordate "conclusi tra due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell'accordo, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, e che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi" (art. 2, comma 1). Con la duplice conseguenza che potranno essere esentati in base al nuovo regolamento anche accordi verticali prima non esentati, e potranno essere esentati anche accordi atipici di futura elaborazione da parte della prassi contrattuale.

Connessa innovazione è che mentre in base ai precedenti regolamenti la valutazione dell'accordo ai fini dell'esenzione si basava soprattutto sul contenuto degli accordi, perché era essenziale far rientrare un accordo nella definizione di un regolamento per godere dell'esenzione (e dunque la valutazione era in termini giuridico-formali), in base all'attuale regolamento il fuoco della valutazione si sposta sugli effetti concorrenziali degli accordi (e dunque la valutazione è in termini economico-pratici). Negli esempi sopra indicati il legislatore interviene ponendo limiti all'autonomia privata, con norme imperative. Ma invece di porre fattispecie ben delineate - come si dovrebbe quando si pongono norme imperative - lasciando alla tecnica della frode alla legge di colpire i tentativi di elusione, detta disposizioni il cui ambito di applicazione è indeterminato, nella speranza che nulla sfugga.

Ma l'adozione di questa tecnica comporta difficoltà, inefficienza e rischi. Difficoltà, perché alla tecnica collaudata della qualificazione del contratto in esame per ricondurlo a un tipo, al fine di individuarne la disciplina legale, occorre sostituire una tecnica inedita per applicare le disposizioni di legge dall'ambito non definito; inefficienza, perché per voler tutto sanzionare si finisce per non sanzionare nulla (il fallimento della legge sulla subfornitura è emblematico); rischi, perché la perdita della fattispecie nel delicato e cruciale settore dell'autonomia contrattuale può portare a limitazioni irrazionali. Ci troviamo così di fronte a un duplice fenomeno. Per un verso le nuove tecnologie danno vita a fattispecie senza norme, ed è paradigmatico il caso di Internet. Per altro verso vi sono norme senza fattispecie, come è il caso delle norme sul contratto in genere, di fronte al delinearsi di distinte tipologie contrattuali, e come è il caso di norme imperative, dall'ambito di applicazione indeterminato.

Bibliografia

Atiyah, P.S., An introduction to the law of contract, Oxford 1995⁵.

Bonell, M.J., An international restatement of contract law. The UNIDROIT principles of international commercial contracts, New York 1994.

Buonocore, V., Contrattazione d'impresa e nuove categorie contrattuali, Milano 2000.

Collins, H., The law of contract, London 1997³.

Dalmartello, A., I contratti delle imprese commerciali, Padova 1958.

Farnsworth, E.A., Contracts, New York 1999.

Furmston, M., The law of contract, London 1999.

Ghestin, J., Le contrat, Paris 1980.

Redenti, E., Dei contratti nella pratica commerciale, Padova 1933.

Sacco, R., De Nova, G., Il contratto, Torino 1993².

Santini, G., Commercio e servizi, Bologna 1988.

CATEGORIE
TAG

Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro

Condizioni generali di contratto

Associazione bancaria italiana

Contratto collettivo di lavoro

Diritto internazionale privato