CORFÙ

Enciclopedia Italiana (1931)

CORFÙ (gr. Κέρκυρα, lat. Corcçra; A. T., 82-83)

Roberto ALMAGIA
Doro LEVI
Vincenzo COSTANZI
Roberto CESSI
Francesco TOMMASINI
Oscar RANDI

Isola del Mare Ionio, appartenente alla Grecia, situata all'incirca fra 39°22′ (C. Bianco) e 39°50′ (C. Arástēs) lat. N., e fra 19°38′ (C. Kepháli) e 20°9′ (C. Monda) long. E. Ha un'area di 585,5 kmq. (circa due volte e mezzo l'isola d'Elba). È separata dalla terraferma per il Canale di Corfù, che nel suo sbocco settentrionale (Vóreios Porthmós) si restringe a soli 2 km.; la costa dirimpetto appartiene qui all'Albania. Per la sua posizione presso il Canale d'Otranto, dove le penisole italica e balcanica più si avvicinano, e per il sicuro e riparato porto, di contro alla costa epirota importuosa, Corfù ebbe sempre grande importanza per le comunicazioni marittime tra le due penisole; per chi venga per mare da nord è il primo avamposto del mondo greco e una tappa quasi obbligata.

L'ossatura dell'isola è costituita da strati potenti di calcari del Cretacico e del Giurassico (con qualche lembo di Triassico), ma essi non vengono a giorno che nella parte NE. dell'isola e nel centro. A NE. essi formano un massiccio, intensamente carsificato, povero d'acqua e di vegetazione, il cui nucleo è un altipiano, tabulare al centro, con orli rilevati, culminante nel M. S. Salvatore o Pantokrátor, massima altezza dell'isola (906 m.). Nella parte centrale le formazioni mesozoiche riappaiono nell'Hágioi Déka (576 m.), cui si ricollegano i rilievi correnti tanto lungo la costa occidentale (S. Matteo, 453 m.), quanto sull'orientale (Stavró o Santa Croce, 460 m.). In tutto il resto dell'isola il Secondario è ricoperto da terreni terziarî, con prevalenza di arenarie, marne e sabbie plioceniche, che formano un paesaggio di colline molli, ricche d'acqua, ben coltivabili Frequenti ed estese le aree alluvionali, specialmente sulla costa N., e verso l'estremità SE. dell'isola. Anche nell'interno si stendono, nella parte mediana dell'isola, grandi conche quasi chiuse, riempite di materiali alluvionali, che rappresentano antichi fondi di laghi, ancora in parte acquitrinosi: le più estese sono la Valle di Ropa e quella di Triklíno. Le coste hanno nelle varie sezioni caratteri molto diversi. La più favorevole, dal punto di vista umano, è la costa orientale nella sua sezione mediana, dove i rilievi terziarî si affacciano al Canale di Corfù con frequenti promontorî collinosi, che riparano profonde insenature; il miglior porto è Corfù (v. oltre). Meno favorevoli sono la sezione NE., ove il tavolato calcareo scende al mare talora con ripe erte e dritte, e la monotona, piatta costa settentrionale. La costa NO. e O. fino al Golfo Kantoialos è prevalentemente erta, accidentata da sporgenze elevate e da piccoli, profondi seni, con due o tre buoni approdi; nella rimanente lunga sezione occidentale, e anche in quella di SE., prevalgono le coste alluvionali, piane, talora con acquitrinî e lagune; tra queste la lunga laguna di Korissía, separata dal mare per uno stretto cordone litoraneo. Tutta questa parte è assai povera di approdi, infestata per di più dalla malaria e perciò disabitata lungo il mare. A mezzogiorno si avanza erto nel mare il Capo Bianco (Asprokávos), che costitilisce l'estremità meridionale dell'isola.

Il clima di Corfù - per quanto può giudicarsi dalle osservazioni della stazione omonima, delle quali i dati più importantì sono raccolti nella tabella della pagina seguente - è di tipo prettamente meditermneo, con estati lunghe e calde (due mesi con temperatura media prossima a 26°), inverni miti (la media del mese più treddo non scende sotto i 10°, temperature estreme inferiori a zero sono rarissime), ma con escursioni abbastanza notevoli (15°,7), il che si deve alla vicinanza di Corfù al continente, di cui risente un po' gl'influssi. La quantità annua di pioggia è ancora assai notevole a Corfù, mentre diminuisce rapidamente procedendo verso S., nel continente e anche nelle altre isole ionie (Argostoli 860 mm.); la piovosità è peraltro concentrata per 4/5 nel semestre invernale (ottobre-marzo) e l'estate è caratterizzata da siccità sovente assai prolungata. Un'altra caratteristica dell'estate a Corfù è la frequente assenza di correnti atmosferiche: l'aria umida, pesante, stagna nel Canale di Corfù. I venti dei quadranti settentrionali, che soffiano durante l'estate nel Mare Egeo, si notano anche a Corfù, con prevalenza del Maestro (NO.). D'inverno predominano invece venti dei quadranti meridionali, specie lo scirocco, onde le miti temperature; arrivano peraltro talora fino a Corfù. I venti freddi dell'Adriatico settentrionale, sotto forma di turbini violenti. La neve è molto rara invece frequenli sono d'inverno e anche in primavera, i temporali con grandine.

I corsi d'acqua, brevi, hanno tutti carattere e regime torrentizio; essi sono utilizzati tuttavia per l'irrigazione, che è un indispensabile sussidio all'agricoltura ed è praticata dai tempi più antichi. Due di essi portano acqua al mare anche nella stagione secca: il Typhlopótamo, che sbocca sulla costa nord, e il Mesopótamo a NE.; la Valle di Ropa è scolata dall'Ermone, mentre le acque di altre conche della parte mediana sono raccolte dal Potamós, che mette foce nel Canale di Corfù poco a N. della città. Il fiume più lungo dell'isola è il Messonghi (Μεσσογγῆς) nella parte sud.

Corfù era senza dubbio, nell'antichità, rivestita in gran parte di boschi, con prevalenza di querce e di macchie. Ma la popolazione, dedita dai più remoti tempi alla marineria, ha sperperato quasi ovunque il bosco d'alto fusto, del quale sopravvivono residui solo nel Pantokrátor e nel S. Matteo; rimane, invece, in aree ancora assai estese la macchia (con ilice, corbezzolo, mirto, lentisco, oleastro), spesso così folta e intricata, che riesce difficile penetrarvi, non solo all'uomo, ma anche al bestiame ovino; essa giova tuttavia a riparare il suolo dall'azione degli agenti atmosferici e a mantenere l'umidità superficiale. Le zolle calcaree del NE., aride, sono invece coperte dalla phrýgana, povera e rada, o da pascoli magri. Coi boschi sono scomparsi anche i grandi animali selvaggi. Ineerto è se sopravviva lo sciacallo.

La vita economica dell'isola ha ormai la sua base nell'agricoltura alla quale si prestano egregiamente le colline terziarie, con suolo ricco, profondo, facilmente lavorabile e con abbondanza d'acqua, che permette l'irrigazione nella stagione secca. Predominano le colture arboree, e tra esse l'ulivo e la vite. L'ulivo, la cui coltura si diffuse, a scapito di quella della vite, dopo l'occupazione veneziana (1386), è tuttora in assoluta prevalenza: circa i 5/7 dell'isola sono occupati da uliveti, spesso di meraviglioso rigoglio, che vegetano fino a 400 m. di altezza, in veri e propri boschi verdissimi; la produzione annua s'aggira oggi intorno a 15-16.000 tonn. Nessun'altra regione della Grecia ne dà una quantità maggiore. La vite, che nel Medioevo forniva il principale articolo d'esportazione, ha sempre indietreggiato, almeno dal sec. XVI in poi, di fronte all'ulivo; oggi il vino serve soltanto per il consumo degli abitanti. Lo stesso deve dirsi per gli alberi da frutto, dei quali prosperano le qualità più diverse, ma specialmente agrumi e fichi. Dei cereali il più diffuso è il mais (calamfocchio; ἀμβοσιτον), che cresce sulle pendici del S. Salvatore fino a 750 m. e fornisce la base dell'alimentazione ai contadini; il raccolto peraltro non basta neppure al consumo locale, ed è integrato con importazioni dall'Albania e dall'Italia. Anche il grano è per buona parte importato. L'allevamento del bestiame (in gran prevalenza pecore e capre) ha scarsa importanza; mancano cifre sul numero dei capi. I latifondi (baronie), che un tempo erano molto diffusi a Corfù, sono ora quasi del tutto scomparsi perché suddivisi in piccole proprietà; la forma prevalente di possesso è una sorta di enfiteusi: il terreno è dal proprietario ceduto al colono e ai suoi eredi, in cambio di una rendita, che si corrisponde in generi ed è fissata in proporzione al prodotto.

Secondo il censimento del 1928, Corfù ha una popolazione di circa 103.000 ab., che, salvo una notevole colonia di Ebrei e una minore di Maltesi, in città, sono tutti Greci; l'influenza della lunga occupazione veneziana è tuttavia ancora vivissima ed evidente ovunque: l'italiano, un tempo la lingua parlata da tutto il ceto più colto, è ancor oggi compreso dalla grande maggioranza degli abitanti.

Nel corso dei tempi la popolazione di Corfù ha subito grandi oscillazioni. Nell'età greca e nel periodo di maggior fiore dell'isola, si calcola che essa albergasse almeno 110-120.000 ab., cifra superiore all'attuale. Nel Medioevo la popolazione diminuì molto; ma bisogna arrivare alla fine del sec. XV per trovare un dato sicuro: è la statistica veneta del 1499, che dà 53.000 ab. Nel sec. XVI, dopo l'assedio del 1537, l'isola si spopolò: si vuole che 15-18.000 ab. fossero tratti via schiavi, mentre altri cercarono scampo nella fuga; pertanto nel 1576 pare che la popolazione fosse ridotta a meno di 20.000 ab. Nei successivi secoli si ebbe un nuovo graduale incremento: un computo veneto del 1766 assegna all'isola circa 45.000 ab. Non molti di più erano questi nel 1803, mentre nel 1865 se ne contavano 71.476 e 76.469 nel 1879. Il censimento del 1907 ne trovò 92.200, il computo del 1920 90.721; la lieve diminuzione è peraltro probabilmente dovuta alla temporanea presenza, nel 1921, di abitanti di Corfù in altre parti della Grecia. La densità (circa 175 ab. per kmq.) è altissima.

La popolazione si addensa in special modo nella parte centrale, collinosa, dell'isola; meno popolata è invece la regione calcarea del Nord e meno ancora la parte meridionale. L'unico centro notevole dell'isola è Corfù (v. oltre); tutti gli altri sono soltanto villaggi agricoli; ve ne sono una diecina con più di 1000 ab., ma nessuno raggiunge i 2500. L'isola è provvista di buone strade rotabili, iniziate già durante l'occupazione inglese, ma molto sviluppate soprattutto durante la guerra mondiale, nel periodo in cui vi permanevano le truppe francesi.

Il capoluogo. - La città di Corfù sorge nella parte E. dell'isola, sulla penisoletta che termina al Capo Sidero, più a N. dell'antica Corcira (Corcyra), edificata invece nella maggiore penisola che chiude a est la baia di Khalikiópoulo. La città, di aspetto gradevole, cinta ancora in parte di mura verso terra, ha strade strette, pavimentate, fiancheggiate da alte case bianche; la nomenclatura delle strade è ancora quasi tutta italiana. L'estremità della penisoletta è occupata dalla cittadella veneziana, la Fortezza Vecchia, con la bella cinta murata e i due cocuzzoli coronati in alto da cipressi. Una vasta zona priva di costruzioni - la Spianata - separa la cittadella dal centro abitato. La citta ha una popolazione di circa 32.200 abitanti, tra i quali circa 3000 Ebrei e 1500 Maltesi. È uno dei più attivi centri commerciali della Grecia e il quarto porto per movimento di navi. Nella rada a N., protetta dai venti settentrionali, i più pericolosi, l'approdo è riparato anche dall'isolotto di Vído; qui ancorano i maggiori piroscafi, mentre le imbarcazioni minori trovano ricetto nel Piccolo Porto, riparato da un molo. Il tonnellaggio totale delle navi entrate nel porto fu di 301.500 tonn. circa nel 1927, di 375.000 nel 1929; quello delle navi uscite rispettivamente 285.000 e 331.500. Di gran lunga al primo posto, sia per l'entrata sia per l'uscita, è il naviglio italiano, cui segue quello greco. Le relazioni più strette sono con i porti di Trieste, Venezia e Brindisi; inoltre con Patrasso e il Pireo. Attivissima è anche la navigazione di cabotaggio con i porti delle altre Isole Ionie e della vicina costa greca e albanese. Le industrie della città si basano essenzialmente sui prodotti del suolo: vi sono perciò oleifici, fabbriche di sapone e altri derivati olearî, fabbriche di spiriti, ecc. Corfù è capoluogo di un nomos che, dal 1909, comprende, oltre le piccole isole circostanti, anche Paxos e Leucade (popolazione totale del nomos circa 135.000 ab.); l'isola maggiore è poi divisa in 79 comuni oltre ad altri tre nelle isole circostanti.

Bibl.: J. Partsch, Die Insel Korfu, in Peterm. Mitteil., Gotha 1887, fasc. 88 (ivi analisi dei lavori più antichi); A. De Claparède, Corfou et les Corfiotes, Ginevra 1900; F. Mielert, Die Insel Corfu, in Globus, 1909; E. Fels, Die Küsten von Korfu, in Mitteil. geogr. Gesellsch. München, 1923; id., Die neuere Kartographie der Insel Korfu, in Peterm. geogr. Mitteil., 1922.

Carte: Carta al 100.000 annessa allo scritto di J. Partsch sopra citato. Carta topografica del Regno di Grecia alla scala 1 : 75.000, fogli Kérkyra e Karousádes (1912). Carta francese al 50.000 Île de Corfou, in 4 fogli a colori, con cartina dei dintorni di Corfù al 20.000, pubblicata dal Service géogr. de l'Armée durante l'occupazione dell'isola (1918), e derivante dalla carta greca al 75.000 con integrazioni e rettifiche.

Monumenti. - Fra i monumenti archeologici di Corfù hanno importanza soprattutto i resti scultorei del frontone d'un tempietto dorico arcaico, presso il monastero di Garítza, nel sobborgo di Kastrádis, ora nel Museo della città; è uno dei più antichi esempî di frontoni ellenici a noi pervenuti, e rappresenta una colossale immagine di Gorgone, con Pegaso e Crisaore, fra due pantere. Il monumento di Menecrate, un locrese prosseno di Corfù, consiste in una piccola rotonda attorno alla quale corre l'iscrizione metrica dedicatoria, fra le più antiche del genere. Ruderi di altri edifici si trovano nella città e nei suoi dintorni, come i resti della cinta delle mura di periodo classico, degli edifici pubblici della città e delle sue necropoli; nella località di Kardáki, nei dintorni immediati di Corfù, vi sono ancora ruderi di un tempietto ellenistico.

Pochi ricordi ha lasciato il periodo bizantino, fra i quali la chiesa dei santi Giasone e Sosipatro, del sec. XII, nel sobborgo di Kastrádis; la chiesetta vicina, ad abside rotonda, di S. Corcira, secondo un'iscrizione risale nella sua prima costruzione fino al secolo IV. Tra i monumenti più imponenti e meglio conservati dell'architettura militare veneziana sono le fortificazioni della cittadella (Fortezza Vecchia), pittorescamente erta su un promontorio a due cime, isolato da un canale e a strapiombo sul mare. Fu costruita nel 1550, e il comandante veneziano conte Schulenburg vi sostenne vittoriosamente il terribile attacco turco del 1716.

Vanno menzionati infine alcuni monumenti recenti: la chiesa di S. Spiridione, contenente le reliquie del vescovo cipriota martirizzato sotto Diocleziano e che, sopravvissuto al martirio, prese parte tutto mutilato al concilio di Nicea; la Villa Reale di MonRepos, sede degli alti commissarî britannici durante la guerra mondiale, e, a circa 9 Km. fuori della città, la Villa dell'Achilleo, costruita per l'imperatrice Elisabetta d'Austria nel 1890, e posseduta fino alla guerra da Guglielmo II di Germania.

V. tavv. LXIII e LXIV.

Storia. - Antichità. - L'antica Corcira (Κέρκυρα, Κόρκυρα, nomi probabilmente di origine illirica) era identificata nell'antichità con l'isola dei Feaci. È certo che, prima dell'arrivo dei coloni corinzî l'isola era abitata da una popolazione illirica. Vi giunsero i coloni corinzî nella seconda metà del sec. VIII, con la stessa spedizione, secondo una tradizione, che andò a colonizzare Siracusa, la quale, secondo i dati più comuni, sembra fosse fondata nel 734; c'era però una tradizione che salva per l'una e per l'altra fino al 757. La città è omonima con l'isola, ed è posta a metà della costa orientale. Altri piccoli centri si trovavano nell'isola: uno dei più noti era Cassiope, omonimo approssimativamente di una città dell'Epiro (Cassope), con un buon porto. Sembra che a Corcira esistessero le tribù doriche; ma è dubbio se esse mantenessero il loro carattere di entità amministrative.

La felicità della posizione, servendo essa quasi di ponte tra Epiro e Italia, la relativa fertilità del terreno, per la vegetazione arborea specialmente, fecero prosperare Corcira che si rese in meno d'un secolo indipendente dalla metropoli, se merita fede incondizionata la tradizione che intorno al 660 vi fu una grande battaglia navale tra Corinzî e Corciresi. Corcira fu riconquistata da Periandro nel sec. VI (o da Cipselo padre di lui); ma, abbattuta la tirannia o forse durante l'ultimo periodo di essa, Corcira si emancipò nuovamente, e la troviamo indipendente nel sec. V. Serbò sempre con la metropoli, anche nemica, i vincoli di pietà, tanto che, dovendo colonizzare Epidamno (intorno al 620), chiese l'ecista (v.) a Corinto, un Bacchiade, e rimase con un governo aristocratico sino al principio della guerra del Peloponneso.

Nella grande spedizione di Serse, Corcira rimase neutrale, forse perché non le si prospettava all'orizzonte il pericolo di perdere la sua indipendenza. Sappiamo che Temistocle decise come arbitro una controversia tra Corinto e Corcira. Non abbiamo più alcuna notizia di Corcira sino al 434, quando, avendo negato soccorso ai democratici d'Epidamno cacciati dagli aristocratici con l'aiuto dei Taulanzî illirici, si trovò in conflitto con Corinto che accolse le domande degli Epidamnî. I Corinzî sconfitti nella battaglia di Leucimma prepararono un nuovo attacco; perciò Corcira chiese l'alleanza di Atene e la ottenne, ma nonostante ciò fu sconfitta alla battaglia di: Sibota, per quanto poi l'intervento ateniese rendesse vana la vittoria corinzia. Avvenne dal 427 al 425 una rivoluzione democratica che finì con una carneficina degli aristocratici, e il governo democratico rimase in vigore per tutto il tempo in cui Atene tenne testa ai rivali peloponnesiaci. Abbiamo notizia di un'altro conflitto tra oligarchici e democratici nel 410. Forse in seguito al disastro di Sicilia anche a Corcira ci fu una riscossa aristocratica, ma nel 410 fu repressa. Dopo la pace d'Antalcida ci deve essere stato un periodo di trionfo dell'aristocrazia; ma, dopo il 375, in Corcira trionfò di nuovo la parte democratica, e nel 353 l'aristocratica. Occupata nel 303 da Cleonimo spartano quando venne per recare aiuto ai Tarantini contro i Lucani, fu assediata nel 297 da Cassandro e liberata da Agatocle. Questi la diede in dote alla propria figlia Lanassa quando andò sposa a Pirro. Passata poi Lanassa in moglie a Demetrio Poliorcete nel 290, questi occupò Corcira, ma Pirro la recuperò nel 281. Dopo la guerra illirica, per opera di Demetrio di Faro, riconobbe la soggezione a Roma, e fu poi dichiarata libera. Fu sempre alleata dei Romani che l'aiutarono anche contro Filippo re di Macedonia nel 198. Nelle guerre civili parteggiò per Pompeo. La vita di Corcira sotto il dominio romano è conosciuta solo per episodî, non certo molto importanti, uno dei quali il canto di Nerone dinnanzi all'altare di Zeus Casio nella città di Cassiope.

Bibl.: Oltre al Busolt, al Beloch e al Meyer, v. L. Pareti, Studi siciliani e italioti, Firenze 1920, p. 310 seg.; Philipp, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, coll. 1400-1417. Per le iscrizioni, v. Inscr. Graecae, IX, i, p. 146 segg.

Medioevo ed età moderna. - Nella divisione dell'impero, Corcira fece parte amministrativamente dell'Epirus vetus, poi Tema di Nicopoli. La grandezza e l'importanza di essa si affievolirono nell'alto Medioevo non tanto per ripercussione della fondazione di Nicopoli, quanto per lo spostamento della base marittima e navale dell'equilibrio militare bizantino, nel bacino Adriatico, verso Cefalonia, eretta a centro del ducato ionico. Al nome antico si andò sostituendo quello di Corfù, derivato attraverso l'accusativo (εἰς τοὺς Κορϕούς) da Κορροί o Κορϕοί, nome dell'altura dove ora è la Fortezza Vecchia. Il risorgimento della fortuna dell'isola data dal movimento che precede immediatamente e accompagna l'attività politica e militare delle prime crociate, quando essa diviene uno dei capisaldi dell'espansione normanna verso Oriente. Occupata nel 1081 da Roberto il Guiscardo e tosto perduta, nuovamente rioccupata tre anni dopo e ancora perduta alla morte del Guiscardo, fu ripresa da Ruggiero II (1147) nella nuova marcia verso Oriente. Anche questo fu possesso di breve durata, seguito dalla riconquista, pochi anni dopo, da parte dei Bizantini, che ne fecero un posto avanzato di difesa contro i Latini, fino a che il vecchio impero non dovette cedere alle più vigorose forze delle repubbliche marittime. A Corfù presero stanza prima i Genovesi nel 1177; poi i Veneziani, i quali nello sfacelo dell'impero greco non seppero trar profitto di questo possesso marittimo e mantenerlo in loro dominio. Corfù fu incorporata nel despotato d'Epiro (1214). Per più di un trentennio l'isola seguì le vicende del despotato e del debole governo latino, e divenne prezzo di alleanza svevo-latina ai tempi di Manfredi (1259) per puntellare le sorti del minacciato Impero latino d'Oriente: costituì infatti la dote della seconda moglie di Manfredi, Elena. Carlo d'Angiò fece poi suo il dominio dell'isola per diritto di confisca dei beni della spodestata corona reale e resistette vittoriosamente alle rivendicazioni del despotato d'Epiro. In tal guisa l'isola, la cui funzione storica per più secoli era oscillata fra Oriente e Occidente, entrava definitivamente nella sfera d'azione di quest'ultimo, siccome scolta avanzata di stati occidentali verso Oriente. Per più di un secolo la dinastia angioina ne fece strumento di penetrazione nei territorî greci e vi costituì una base navale per il controllo e la difesa dello Ionio contro gli assalti e le incursioni nemiche. Ma nella crisi della fine del sec. XIV, i Veneziani seppero negoziare l'acquisto di Corfù ottenendone prima il possesso, nel 1386, sotto forma di occupazione di fatto e di protettorato, poi nel 1401 per atto di legale cessione, e vi costituirono la base navale militare e commerciale del basso Adriatico, cui furono riannodate le linee di navigazione per l'Oriente e per il Ponente. L'importanza e la delicata funzione, che venne così a occupare l'isola nel sistema politico e coloniale veneziano, diventarono di estrema sensibilità, sì che Corfù fu la roccaforte di difesa, solidamente agguerrita da formidabili opere militari, nei momenti più critici. Contro questo baluardo invano cozzarono i Turchi nel 1537 e nel 1716-1718. Corfù rimase la base che precluse l'entrata dell'Adriatico agli invasori, e tenne aperto l'accesso al Mediterraneo alla potenza veneziana fino ai suoi ultimi aneliti: fu anche ricettacolo e rifugio dello spirito ellenico oppresso dalla tirannia turca, perché in essa si raccolsero i profughi e i perseguitati del continente greco. Al tramonto della vecchia repubblica di San Marco, i Francesi occuparono Corfù nel 1797, ma furono sopraffatti due anni dopo dalle armate russo-turche. Dopo una breve parentesi di autonomia, come capitale dell'Eptaniso eretto fra le alterne vicende del periodo napoleonico, nel 1807 fu rioccupata dai Francesi, cui due anni dopo fu strappata dagli Inglesi, che, consolidato il possesso col trattato di Parigi del 1815, la tennero sotto forme diverse, con parvenza anche di amministrazione autonoma, fino alla sua riunione con le altre isole Ionie al Regno greco nel 1864.

Bibl.: A. Mustoxidi, Delle cose corciresi, Corfù 1848; Hopff, Griechenlands Geschichte in Mittelalter, Lipsia s. a.; E. Lunzi, Della condizione politica delle isole Ionie sotto il dominio veneto, Venezia 1858; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie, I, Parigi 1907; Schaube, Storia del commercio dei popoli latini nel Mediterraneo, in Bibl. dell'economista, s. 5ª, VI; Heyd, Il commercio dei latini in Oriente, ibid., s. 5ª, X; Cerone, La sovranità napoletana sulla Morea, in Arch. stor. nap., n. s., II (1916), p. 15 segg.; Cessi, Venezia e i regni di Napoli e Sicilia nell'ultimo trentennio del sec. XIV, in Arch. stor. sicil. orient., VIII, fasc. 3; Theotokis, Corfù e l'occupazione francese, Corfù 1922; Adami, Napoleone a Corfù, Milano 1928; G. M. Monti, Il Regno di Sicilia e il Levante Mediterraneo, Bari 1930.

Il patto di Corfù. - Si chiama cosi l'accordo concluso il 20 luglio 1917 a Corfù fra il governo serbo, che vi si era rifugiato dopo l'invasione della Serbia da parte degl'Imperi centrali, e il Comitato nazionale, costituito il 2 maggio 1915 da emigrati iugoslavi dell'Austria-Ungheria e presieduto da Ante Trumbić, il quale aveva per compito di patrocinare la causa iugoslava presso i paesi dell'Intesa.

Nel preambolo, i rappresentanti serbi, croati e sloveni dichiaravano e nella maniera più categorica che la nazione iugoslava non è che una e che essa è la stessa per sangue, per lingua parlata e scritta, per il sentimento della sua unità, per la continuità e l'unità del territorio su cui vive, e infine per gl'interessi comuni e vitali della sua esistenza nazionale e dello sviluppo generale della sua vita morale e materiale. Va rilevato che nel preambolo stesso l'Italia, che pur aveva avuto la parte principale nel salvataggio dell'esercito serbo dopo la disfatta, era, a differenza degli altri alleati e dell'America, completamente ignorata.

Le clausole principali del patto erano le seguenti: 1. il futuro stato iugoslavo, che doveva avere la denominazione ufficiale di "Regno dei Serbi, Croati e Sloveni", doveva essere libero e indipendente, sotto la dinastia dei Karageorgević, con un territorio indivisibile e un unico diritto pubblico; 2. lo stato doveva avere uno stemma unico, una sola bandiera e una sola corona; ma i vessilli e gli stemmi particolari delle tre stirpi dovevano avere diritti eguali e potevano essere esposti liberamente in ogni occasione: 3. i due alfabeti, cirillico e latino, dovevano avere anch'essi diritti eguali e ciascuno poteva servirsene liberamente in tutto il territorio del regno; 4. tutte le religioni conosciute potevano essere esercitate liberamente e pubblicamente: i culti ortodosso, cattolico romano e musulmano dovevano essere eguali fra loro e avere gli stessi diritti di fronte allo stato; 5. il territorio del regno doveva comprendere tutto il territorio sul quale la nazione dai tre nomi vive in masse compatte e senza discontinuità; esso non poteva esser mutilato senza portar danno agl'interessi vitali della comunità; la nazione, desiderosa di liberarsi e di costituire la sua unità, respingeva ogni soluzione parziale del problema della sua liberazione dalla dominazione austro-ungarica e della sua unione con la Serbia e col Montenegro; 6. il mare Adriatico doveva, nell'interesse della libertà e dei diritti uguali di tutte le nazioni, essere libero e aperto a tutti e a ciascuno; 7. sul territorio del regno tutti i cittadini dovevano essere eguali e godere degli stessi diritti di fronte allo stato e alla legge; 8. le elezioni dei deputati alla rappresentanza nazionale e quelle per i comuni e per le altre istituzioni amministrative dovevano aver luogo col suffragio universale, eguale, diretto e segreto; 9. la costituzione, da elaborare dopo la conclusione della pace da un'Assemblea costituente, doveva dare "al popolo la possibilità di esercitare le sue energie particolari nelle autonomie locali, definite dalle condizioni naturali, sociali ed economiche".

Il patto fu firmato per il governo serbo da Nicola Pašić e per il Comitato nazionale iugoslavo da Trumbić. Contro di esso si affrettò a protestare Koroscez a nome del club iugoslavo del Parlamento austriaco (22 luglio 1917), il quale si mostrava ancora ligio alla casa d'Asburgo. Il 29 ottobre 1918, quando lo sfacelo della Monarchia apparve inevitabile, la Dieta di Zagabria proclamò ancora la costituzione di uno stato sovrano e indipendente composto di tutte le regioni iugoslave dell'Austria-Ungheria e ne affidò il governo a un Consiglio nazionale. La conferenza di Ginevra (6-9 novembre), a cui parteciparono rappresentanti del governo serbo, del Comitato nazionale e del Consiglio nazionale di Zagabria, sembrò portare a un accordo, che tuttavia non coincideva col patto di Corfù. Ma in seguito vi furono nuove tergiversazioni da ambo le parti. L'unione del nuovo stato, creato a Zagabria, col regno di Serbia, fu proclamata a Belgrado soltanto il 1° dicembre 1918.

Bibl.: A. Tamaro, La lotta delle razze nell'Europa danubiana, Bologa 1923; O. Randi, La Jugoslavia, Roma 1925.

L'incidente di Corfù nel 1923. - Il 27 agosto 1923 la delegazione italiana incaricata della delimitazione dei confini albanesi e costituita dal generale Tellini, dal maggiore medico Corti, dal tenente d'artiglieria Bonaccini e dal meccanico Farneti, trovandosi durante una ricognizione in territorio greco sulla strada Giannina-Santi Quaranta, fu massacrata da banditi, rimasti momentaneamente ignoti. Siccome il governo greco non mostrava di voler intervenire con sufficiente prontezza e la posizione dell'Italia veniva criticata aspramente dalla stampa della Iugoslavia (il governo di Belgrado era presieduto da Nicola Pašić, che intesseva intrighi nell'Albania) e da quella della Piccola Intesa, il governo fascista decise di occupare militarmente Corfù quale pegno per le riparazioni chieste al governo greco. L'occupazione, da parte di un forte contingente dell'esercito in unione alla regia marina, avvenne il giorno 31 agosto, dopo che da parte della spedizione furono sparati alcuni colpi di cannone contro la guarnigione della fortezza dell'isola, la quale aveva rifiutato di arrendersi. La Conferenza degli ambasciatori, intanto, di cui era organo la delegazione massacrata, stabiliva, consenziente il governo italiano, che l'isola, avendo il governo greco accettato le riparazioni imposte (50 milioni, onori militari alla flotta italiana che era accorsa al Pireo), venisse sgombrata il 27 settembre. Sulla somma versata il governo italiano donò poi 10 milioni ai Cavalieri di Malta, perché fossero distribuiti fra i profughi greci dell'Anatolia.

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