CASTALDI, Cornelio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASTALDI, Cornelio

Claudio Mutini

Nacque a Feltre intorno al 1453 dal notaio Daniele, che aveva ricoperto in città cariche pubbliche. Scarse notizie si hanno sugli studi che egli compì nella città natale. A Feltre, comunque, insegnava umanità quel Bernardino da Pola che fu maestro di Giovan Battista Scita, coetaeo del Castaldi. Non è improbabile che anche quest'ultimo possa averlo avuto come maestro. Nel 1483 il C. divenne notaio, e una clausola negli statuti della Scuola dei notai di Feltre ("Quod nullus examinari debeat seu acceptari in collegio notariorum Feltri ante completos annos viginti suae aetatis") conferma indirettamente la data di nascita del Castaldi.

Allo scadere del sec. XV il C. lascia la nativa Feltre per perfezionare i propri studi giuridici e sceglie per tale scopo la vicina Padova. Qui segue le lezioni di Bartolomeo Socino, al quale dedicherà una poesia latina, e il 1° febbr. 1503 Ottiene la laurea in diritto civile. Nel medesimo giorno egli indirizza al Collegio dei giuristi una elegante orazione latina, caratteristica di una precoce versatilità stilistica secondo i migliori modelli quattrocenteschi. Conseguita la laurea, il C. decide di trasferirsi a Venezia per esercitare nella maniera più vantaggiosa la professione di avvocato, per la quale poteva valersi dell'aiuto del vicentino Enrico Ant. Godio. Risale a questo periodo il suo matrimonio con Elena Anderlina di Massanzago. Girolamo Bologni indirizzava al C. per l'occasione una poesia latina, nella quale, fra l'altro, si accennava ad una precoce notorietà letteraria. Senonché tale allusione sembra che non possa riferirsi ad una autentica attività di scrittore, quanto piuttosto alla consuetudine che aveva il C., sin da questo periodo e nella città universitaria così ricca di fermenti intellettuali, di frequentare letterati e poeti.

Durante il periodo della lega di Cambrai il C. accorse a Feltre per partecipare alla sua difesa dagli eserciti collegati contro Venezia: una politica di assoluta fedeltà alla Serenissima era divenuta da tempo tradizionale per la cittadina veneta. Il 18 dic. 1511 si avverte in città il bisogno di rivolgersi direttamente a Venezia per sollecitare soccorsi; dal Consiglio cittadino sono scelti Nicolò Borgusio e il C. per patrocinare l'invio di aiuti. Il 22 dicembre i due giungono a Venezia unendosi con Bernardino Tomitano e si presentano al doge per supplicare "la Sublimità Vostra mandarci un Magnifico Provveditore che ci amministri giustizia, e che mentre intenti alla riedificazione c'impieghiamo con li soldati suoi, dall'incursioni de' Barbari ci difendi, acciocché uniti con quegl'istessi privilegi, statuti et oblighi della Iª deditione, godiamo l'antico bramato governo e possiamo più ben servire all'Illustrissima Signoria e a Vostra Serenità". Tale perorazione sortì l'effetto desiderato presso il doge Leonardo Loredan, tanto che il 31 dello stesso mese faceva il suo ingresso a Feltre il nuovo provveditore Angelo Gnoro con gli aiuti militari richiesti.

Forse spinto dal successo di questa ambasceria, il C. decise di stabilirsi a Venezia per esercitarvi la professione. Da questo momento la sua attività appare come quella di un agente feltrino a Venezia, di cui la città natale, che ha oramai ristabilito contatti regolari con la Serenissima, si varrà ripetutamente. Il 23 genn. 1513 il Consiglio di Feltre delega al C., abitante a Venezia, la facoltà di nominare un ambasciatore presso il governo di questa città. A seguito di una serie di benemerenze conseguite in qualità di emissario presso la Serenissima, il Maggior Consiglio di Feltre nella seduta del 16 maggio 1513 decide di conferire al C. un compenso annuo di 28 ducati d'oro. Tale retribuzione gli viene ancora riconfermata il 1° giugno 154 e poi sospesa, fino a quando, il 28 giugno 1518, il Consiglio stabilisce di abrogare il compenso annuo per il C., il quale verrà d'ora in avanti risarcito in misura dei servigi resi di volta in volta alla citta natale. Da questa, il 4 luglio 1513, il C. viene di nuovo sollecitato per presentare al doge una supplica onde portare aiuto a Feltre devastata durante l'invasione: il Senato decide di eleggere Girolamo Barbarigo podestà e capitano di Feltre. In altre circostanze il C. viene delegato dalla cittadinanza di patrocinare presso il governo veneziano gli interessi di Feltre.

Era inoltre chiamato a dirimere divergenze sorte per la riscossione dei dazi o a proporre il proprio arbitrato circa i dissensi, numerosi in periodo di crisi economica, nati tra gli iscritti alla maggiore arte cittadina: quella della lana. Si trattava in questo caso di interpretare il senso di certi articoli compresi negli statuti dell'arte circa la possibilità da parte dei contadini di fabbricare panni per proprio conto: ciò che acuiva i dissensi tra i mercanti di lana da una parte e i distrettuali dall'altra. L'opera del C., tesa a una sostanziale pacificazione dei contendenti, si concretò in otto capitoli di concordato resi di pubblica ragione il 15 aprile 1527. Ed è questa la data estrema che conclude il soggiorno veneziano del Castaldi.

Avvocato celebre, rinomato per tanti servigi resi alla città natale. favorito dalla stima degli amici letterati, se. come appare probabile dalla scelta degli argomenti, la maggior parte delle rime in latino e in volgare coincide col periodo veneziano del C., egli decide di ritirarsi nella più tranquilla Padova, ove una diffusa tradizione, peraltro non confermata da documenti, lo vuole pubblico lettore all'università, o addirittura aggregato al Consiglio cittadino.

Colpito da una grave malattia nell'estate del 1527, pensò di recarsi a Feltre per trascorrere un periodo di convalescenza. Agostino Beazzano, il discepolo dei Bembo, si rallegrava col C. per lo scampato pericolo: e lo stesso Bembo, della cui lettiga il C. si era valso per recarsi a Feltre promettendogli di tornare al più presto possibile "in sinum suum", non mancò di congratularsi per la pronta guarigione dell'amico.

Trovandosi a Feltre ancora nel 1530, partecipò ripetutamente alle sedute del Consiglio cittadino, mentre più intense si facevano le relazioni letterarie tra il C. e gli scrittori più o meno vincolati alla scuola poetica del Bembo: oltre il Beazzano, Giovanni Aurelio Augurelli, Gian Francesco Fortunio, Trifon Gabriele. Anche nel 1532 è attestata la sua presenza a Feltre, intento alla compera di un podere e di una casa, che il C. voleva attrezzare come la sua dimora definitiva. Ormai stabilmente fissato a Feltre appare nel 1536, allorché (23 giugno) redige il proprio testamento. Morì soltanto qualche mese più tardi: il 17 genn. 1537.

Le poesie del C., mai pubblicate vivente l'autore, furono raccolte nel sec. XVIII da T. G. Farsetti, Poesie volgari e latine di C. C., Londra 1757, con inserita la prima biografia del C., e ristampate, con notevoli aggiunte tratte da manoscritti, da G. B. Ferracina, La vita e le poesie italiane e latine edite ed inedite di C. C., giureconsulto feltrino (sec. XV-XVI), I-II, Feltre 1899-1904. Si tratta di un considerevole manipolo di rime che si impongono all'attenzione se non per il valore estetico, almeno come prodotto letterario di notevole originalità, specie se rapportate al canone bembista trionfante nel giro di anni in cui furono composte. Non che i tributi al Bembo da parte dei C. manchino in senso assoluto - e sono del resto assai facilmente verificabili anche sul piano biografico -, ma tali tributi si rivelano superficiali e sporadici e la lirica del C. evita il petrarchismo bembiano mantenendosi da un lato saldamente ancorata a quel livello di occasionalità che caratterizza la produzione quattrocentesca (ciò si intenda tanto per le rime in volgare quanto per i carmina, che valsero all'autore i riconoscimenti del Fracastoro e dei Navagero), dall'altro rifiutando, con accenti che seppero di scandalo in ambiente bembiano, l'imitazione univoca del modello petrarchesco. In nome di un disimpegno stilistico, tipico di certa eredità "cortigiana" dei Quattrocento, il C. riusciva ad individuare lucidamente i limiti dei petrarchisti: "Leggo talor tutto un vostro volume, / Da capo a piedi ch'io non vi discerno / D'arte o d'ingegno un semivivo lume. / Altro disponimento, altro governo, / Altro che certi punti di ricamo, / Ci vuole a fare un suo lavoro eterno. / Già vi amai, ed or non vi disamo, / Anzi v'onoro, e reverisco in tanto / che del versificar padri vi chiamo. / Ma non so darvi poetico vanto, / Però che mai non mi parrà poeta / Chi sol l'orecchie mi pasce col canto, / Se non s'aggiunge una vampa secreta / Che dilettando mi discenda al cuore, / Co' raggi dietro a guisa di cometa / ... / Per me di questa libertà mi godo, / Salvando sempre l'altre vostre norme, / Che i trasgressor della lingua non lodo: / Biasmo lo stil dove l'ingegno dorme".

Vero è altresì che il C. non riuscì a concretare questo tipo di polemica, per aspra che fosse, con un'esperienza tale da limitare l'orizzonte dell'egemonia bembiana, tanto che l'Augurelli poteva replicare in favore della scuola petrarchistica semplicemente rimproverando all'amico l'abbandono, nelle poesie italiane, dei grandi modelli tradizionali: Dante e Petrarca, mentre nei Carmina il C. perpetuava l'imitazione degli "auctores" prescritti dalla letteratura umanistica. Pietro Bembo, ben diversamente da quel che era successo a seguito della morte dell'altro e più violento suo detrattore, Antonio Brocardo, poteva commentare la fine del C. con una vena di autentico rimpianto scrivendo al nipote Giammatteo a Zara: "Il povero messer Cornelio da Feltre l'altro dì passò di questa all'altra vita che mè doluto assai"; e insomma l'episodio di buon senso letterario che vide il C. come promotore poté considerarsi una parentesi definitivamente chiusa.

In Arcadia il suo energico richiamo alla serietà delle lettere fu inteso come una riprova necessitante della riforma bembiana e, nella critica contemporanea, la rivalutazione che ne tentò il Graf è caduta giustamente nel dimenticatoio.

Bibl.: S. Ticozzi, Storia dei lett. e degli artisti del dipartim. della Piave, I, Belluno 1813, pp. 77-85; A. Cambruzzi, Storia di Feltre, Feltre 1873; A. Vecellio, D'un Petrarchista feltrino del sec. XVI, in Vittorino da Feltre, I (1889), pp. 913; D. Pompei, Gli orti di Murano, in Natura e arte, XVII (1869-97), p. 441; G.B. Ferracina, La vita e le Poesie ital. e latine edite e inedite di C. C., giureconsultofeltrino (sec. XV-XVI), Feltre 1899-1904. A parte questi studi particolari, notizie sul C. appaiono in molte opere generali riguardanti la lirica cinquecentesca. Si vedano in particolare: A. Graf, Petrarchismo e antipetrarchisino, in Attraverso il Cinquecento, Torino 1888;B. Croce, La lirica cinquecentesca, in Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1933, pp. 339 ss.;L. Baldacci, Il petrarchismo icaliano del Cinquecento, Milano 1957, ad Ind.;F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., ad Indicem.

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