CORRENTE

Enciclopedia Italiana (1931)

CORRENTE

Washington DEL REGNO
Ferdinando LORI ,Ferdinando VERNA

. Elettricità. - Mettendo in comunicazione per mezzo d'un filo metallico due conduttori elettrizzati a potenziali diversi, si osserva un rapido livellamento dei potenziali, dovuto a un movimento di cariche elettriche lungo il filo conduttore, che costituisce la "corrente elettrica". Il suo passaggio per il filo è rivelato da taluni fenomeni capaci di accusarci anche il senso del moto. Fra questi molto importanti sono i fenomeni magnetici che permettono di stabilire agevolmente la presenza della corrente, il suo verso e la sua intensità.

Se con adatti mezzi si riesce a mantenere costante la differenza di potenziali agli estremi del filo, si ha una corrente costante; in caso diverso si ha una corrente variabile nel tempo, con legge dipendente dalla variazione della differenza di potenziale. La sorgente classica e tipica delle differenze di potenziali costanti è la pila.

La tecnica moderna realizza delle macchine che producono differenze di potenziali (praticamente) costanti, le dinamo, mentre altre, cioè gli alternatori, dànno differenze di potenziali variabili coli legge (sensibilmente) sinusoidale. Si hanno in corrispondenza, nella pratica, correnti costanti e correnti alternate. Di esse soprattutto verrà trattato nell'articolo presente.

Sulle correnti variabili in genere esporremo qui alcune considerazioni generali; ma di esse e in particolare del periodo variabile che presenta la corrente continua al momento dell'apertura e della chiusura del circuito si tratterà anche a proposito dell'elettromagnetismo, del regime variabile delle correnti e dei cosiddetti fenomeni transitorî. A parte verranno trattati i fenomeni che si manifestano quando il movimento dell'elettricità ha luogo non attraverso un filo metallico, ma attraverso le soluzioni di certi corpi composti (elettroliti) o i gas (v. elettrolisi; elettriche, scariche).

Corrente elettrica costante. - Se si stabilisce mediante un filo metallico la comunicazione tra i due poli di una macchina elettrica, di una pila, di un accumulatore, si ha un flusso di elettricità che si conserva costante per tutto il tempo in cui il circuito resta chiuso. Si ha in tal caso una corrente continua costante, che dà luogo a fenomeni diversi, e cioè: riscaldamento del filo, creazione di un campo magnetico nello spazio circostante, deposito sugli elettrodi dei costituenti di una sostanza che si trovi allo stato di soluzione nel circuito attraversato dalla corrente.

Si definisce intensità di corrente la quantità di elettricità che nell'unità di tempo attraversa una sezione qualsiasi del conduttore; la quantità di elettricità che attraversa l'unità di sezione, si denomina densità della corrente. Dall'esperienza risulta che, a parità di ogni altra condizione, variando la natura della sostanza di cui è formato il filo, l'intensità della corrente varia: le diverse sostanze presentano un diverso comportamento, cioè si dice che esse hanno una diversa resistenza elettrica: quanto minore è questa resistenza, tanto maggiore è la conducibilità, misurata dal valore reciproco della resistenza.

La conducibilità varia col variare della natura della sostanza, e per una stessa sostanza col variare del suo stato fisico. I metalli sono buoni conduttori dell'elettricità: il migliore conduttore è l'argento. I liquidi conduttori dell'elettricità, detti elettroliti, sono costituiti dalle soluzioni dei sali, acidi, basi e dai sali fusi: i liquidi puri sono isolanti.

La conducibilità degli elettroliti è di natura diversa da quella dei metalli, perché negli elettroliti il passaggio della corrente è accompagnato da un trasporto di materia, mentre nei metalli questo trasporto manca. Attraverso il conduttore si trasporta solo della elettricità negativa senza sostegno materiale: il trasporto ha luogo nella direzione del campo elettrico dovuto alla differenza di potenziale applicata agli estremi del conduttore, e nel senso che corrisponde al passaggio delle cariche dai punti a potenziale più basso ai punti a potenziale più alto, cioè nel senso contrario a quello che, per convenzione, si è finora ammesso e seguita ad ammettersi come senso della corrente. I gas, isolanti nelle condizioni normali, diventano conduttori quando sono sottoposti all'azione di agenti "ionizzanti", come i raggi X e le radiazioni emesse dalle sostanze radioattive: il trasporto dell'elettricità è anche in questo caso di natura ionica.

In quanto all'influenza dello stato fisico della sostanza è da notare, da un punto di vista generale, che la resistenza elettrica varia notevolmente col variare della temperatura, nel senso d'un aumento col crescere della temperatura nel caso dei metalli, d'una diminuzione per gli elettroliti. Non manca l'influenza della pressione: in generale si ha una diminuzione della resistenza elettrica con la pressione e un aumento per la maggior parte dei metalli sottoposti a tensione.

Molto complesso è il comportamento delle leghe, dei metalli liquidi, dei cristalli e di alcune sostanze: ad es., il Bismuto presenta una notevole variazione di resistenza elettrica quando è sottoposto all'azione d'un campo magnetico; il Selenio, quasi isolante allo oscuro, diventa conduttore sotto l'azione della luce, dei raggi X e delle radiazioni emesse dalle sostanze radioattive.

Legge di Ohm. - Fra due punti A e B di un filo omogeneo, di sezione costante, attraversato da una corrente di determinata intensità, si ha una differenza di potenziale che si può misurare mediante l'elettrometro. Dall'esperienza risulta che la stessa differenza di potenziale si ha fra due altri punti quali si vogliono A′, B′ del filo, se AB = AB′; la differenza di potenziale fra due punti quali si vogliono di un conduttore omogeneo di sezione costante attraversato da corrente è quindi proporzionale alla lunghezza del filo. Se il passaggio della corrente non produce modificazione apprezzabile nella struttura della sostanza, l'esperienza mostra ancora che il rapporto fra la differenza di potenziale, misurata tra due punti quali si vogliono del conduttore, e l'intensità della corrente è una quantità costante:

Ciò vuol dire che la differenza di potenziale tra due punti quali si vogliono di un conduttore è anche proporzionale all'intensità della corrente. Queste leggi sono dovute ad Ohm (1827).

Il rapporto costante fra differenza di potenziale esistente fra due punti quali si vogliono del filo attraversato da corrente e l'intensità della corrente, si assume quale misura della resistenza elettrica R del tratto di conduttore considerato: si ha quindi la relazione

Questa relazione dà modo di definire l'unità di misura delle resistenze elettriche, e cioè: resistenza unitaria è quella di un conduttore che risulta attraversato dalla corrente uno quando sia uguale ad uno la differenza di potenziale applicata ai suoi estremi.

L'unità pratica di misura delle resistenze elettriche è l'ohm, cioè la resistenza d'un conduttore attraverso il quale passa la corrente di un ampère quando la differenza di potenziale applicata è di un volta (v. elettriche, misure). Poiché i volta = 108 unità assolute di differenza di potenziale, e 1 ampère = 10-1 unità assolute di intensità di corrente, risulta che 1 ohm = 108 : 10-1 = 109 unità assolute di resistenza elettrica.

L'ohm internazionale è la resistenza di una colonna di mercurio a 0°, della lunghezza di cm. 106,3, con sezione uniforme e massa di grammi 14,4521: ammettendo, secondo le più recenti determinazioni del Guillaume, uguale a 13,5950 la densità del mercurio a 0°, la sezione della colonna risulta di mmq. 1,000030.

I campioni secondarî dell'ohm impiegati nei laboratorî di misura sono di tipi diversi, costituiti in generale da fili di leghe adatte, cioè di sostanze il cui coefficiente termico di variazione della resistenza è assai piccolo e inoltre noto; sono protetti dall'influenza delle variazioni della temperatura esterna e muniti di un buon termometro che ne dà la temperatura all'atto della misura.

Le formule di dimensione della resistenza elettrica sono: nel sistema assoluto elettrostatico

nel sistema assoluto elettromagnetico

Conducibilità elettrica dei metalli. - Dall'esperienza risulta che la resistenza elettrica di un conduttore omogeneo filiforme è proporzionale alla lunghezza e inversamente proporzionale alla sezione; a parità di condizioni geometriche la resistenza dipende dalla natura della sostanza e dal suo stato fisico. Indicando con R la resistenza di un conduttore di lunghezza l e sezione s si ha

la costante di proporzionalità ρ, che rappresenta la resistenza di un filo di lunghezza e sezione unitaria, si denomina resistenza specifica e la quantità ρ − 1/σ conducibilità specifica.

La resistenza elettrica varia con la temperatura; nei metalli aumenta, mentre nei liquidi diminuisce col crescere della temperatura e con un coefficiente di variazione che è molto più grande di quello che si ha per i metalli.

In prima approssimazione e per temperature non molto alte, l'andamento della resistenza nei conduttori metallici è quasi lineare, con un coefficiente di proporzionalità che oscilla intorno al valore 1/250, cioè di poco maggiore del coefficiente di tensione dei gas a volume costante; a temperature più alte si ha una variazione maggiore. Comportamento differente e caratteristico per ciascuna delle sostanze hanno i metalli ferromagnetici Fe, Ni, Co e le sostanze diamagnetiche Bi e Sb.

Sulla variazione della resistenza elettrica con la temperatura di alcuni metalli puri (ad es. il ferro, il nichel, il platino) sono fondati i termometri elettrici a resistenza e i bolometri: con un filo di ferro affumicato il Langley ha realizzato un bolometro lineare col quale ha studiato la legge di distribuzione dell'energia nello spettro della luce solare; tale bolometro può rilevare variazioni di temperatura di un milionesimo di grado.

L'andamento della variazione della resistenza elettrica in funzione della temperatura subisce cambiamenti più o meno bruschi in corrispondenza a una trasformazione della sostanza: lo studio di questa proprietà è assai utile nelle ricerche di chimico-fisica che hanno per oggetto il rilievo delle variazioni della struttura interna delle sostanze prodotte da trattamenti termici e meccanici.

Con l'aumentare della temperatura, raggiunta la temperatura di fusione, si ha per ogni metallo una brusca variazione nel valore della resistenza elettrica e nel senso d'un aumento (fig. 1), eccetto che per il Bismuto e per l'Antimonio per i quali la resistenza diminuisce (fig. 2). Il comportamento anomalo di queste due sostanze sarebbe dovuto, secondo qualche autore, ad una trasformazione della sostanza, che si ritiene debba aver luogo per l'alto valore del calore di fusione del Bismuto. Il rapporto fra resistenza allo stato liquido e resistenza allo stato solido, in corrispondenza al punto di fusione, è sensibilmente lo stesso per tutti i metalli: fanno eccezione il Bismuto e l'Antimonio e in senso opposto il Mercurio.

Col diminuire della temperatura la resistenza dei metalli diminuisce sempre con continuità: fanno eccezione, come ha rilevato Kamerlingh Onnes, alcuni metalli per i quali la resistenza elettrica in prossimità dello zero assoluto cade bruscamente a un valore piccolissimo: la sostanza assume lo stato superconduttore (figura 3).

Non tutti i metalli diventano superconduttori: per molto tempo si è discusso se lo stato superconduttore sia proprietà generale della materia oppure uno stato particolare caratteristico solo di alcune sostanze. Esperienze del Kapitza (in Proc. of the Roy. Soc., marzo 1929) sulla variazione della conducibilità dei metalli nei campi magnetici molto intensi, inducono a ritenere che lo stato superconduttore sia veramente una proprietà generale della materia.

Le impurezze dei metalli innalzano il valore della resistenza specifica: le leghe si differenziano dai metalli puri per la resistenza specifica maggiore e per un coefficiente termico di variazione della resistenza elettrica più piccolo. Mentre, i metalli sono adatti a formare i circuiti conduttori, le leghe vengono impiegate nella costruzione delle resistenze; le leghe più impiegate sono l'argentana, la costantana, la manganina; una lega che ai nostri giorni riceve grande applicazione nella costruzione dei forni elettrici è il nichromo (nichel e cromo), la cui resistenza specifica è dell'ordine di grandezza d' un centinaio di microhm-cm. e varia poco dalla temperatura ordinaria a quella d'impiego.

La diminuzione notevole della conducibilità e del coefficiente termico della resistenza elettrica si ha nelle leghe formate da cristalli misti, cioè nelle leghe per cui nel reticolo di uno dei metalli entrano atomi dell'altro. Nelle leghe invece costituite da cristalli dell'uno e dell'altro metallo, leghe cioè con costituzione analoga a quella dei miscugli eutettici, la resistenza specifica è compresa fra quella dei costituenti.

Speciali leghe sono le amalgame: il mercurio presenta un aumento della sua conducibilità quando contiene sciolti dei metalli, conducibilità che si dimostra di carattere elettrolitico: si ha difatti dissociazione del metallo con trasporto in seno alla massa liquida.

Una spirale costituita da un filo di bismuto presenta un notevole aumento di resistenza per l'azione di un campo magnetico trasversale: alla proprietà si ricorre per misurare l'intensità di campi magnetici.

Anche nei metalli ferromagnetici si osserva una variazione di resistenza per l'intervento del campo magnetico; che non manca del resto per gli altri metalli, nei quali soltanto è assai piccola e molto difficile a scoprire, quando si tratta di campi di non grande intensità, quali si possono produrie con le ordinarie elettrocalamite.

Queste variazioni, finché sono piccole, seguono una legge di proporzionalità al quadrato dell'intensità del campo, cioè la legge che si ricava teoricamente nell'ipotesi che il campo magnetico devii il cammino degli elettroni fra un urto e l'altro contro gli atomi. Dalle esperienze del Kapitza, eseguite su 35 sostanze con campi magnetici fino a 350.000 gauss, risulta che la legge di proporzionalità al quadrato dell'intensità del campo non è valida in generale, poiché con l'impiego di campi sufficientemente intensi per produrre mutamenti cospicui si trova che la conducibilità dei metalli varia in ogni caso con legge semplicemente lineare, e ciò sia nei campi trasversali, sia nei campi longitudinali. Si ritiene che nei campi deboli il comportamento vero della sostanza sia mascherato dall'influenza perturbatrice di carattere specifico del campo, dipendentemente dalle condizioni fisiche conferite alla sostanza, ed anche da tracce d'impurezze: influenze perturbatrici che possono ritenersi equivalenti a quelle d' un campo interno che si sommi vettorialmente col campo esterno e la cui influenza è solo trascurabile per valori elevati di quest'ultimo.

Legge di Joule. - Il lavoro delle forze elettriche che operano il trasporto della quantità di elettricità q = it, se i è l'intensità della corrente e t il tempo, è espresso, per una ben nota legge di elettrostatica, da

VA e VB essendo i potenziali agli estremi del tratto di conduttore che si considera. Applicando la legge di Ohm si ha

lavoro che viene espresso in erg se i ed r sono espressi in unità del sistema assoluto, in joule se invece si adottano le unità del sistema pratico. Poiché 1 joule = 1/9,8 kilogrammetri e 1 kgm. equivale a 1/427 di caloria, 1 joule equivale a 0,239 piccole calorie; la quantità di calore sviluppata per il passaggio della corrente i per il tempo t è quindi espressa, in piccole calorie, da

Applicazioni:1) Valvole di protezione dei circuiti: sono costituite da fili inseriti nel circuito che per il riscaldamento possono fondere interrompendo il circuito.

2) Amperometri a filo caldo: si impiegano nelle misure di correnti alternate in sostituzione dei comuni amperometri elettromagnetici che si possono usare solo con correnti unidirezionali; il passaggio della corrente produce la dilatazione d'un filo e lo spostamento d'un indice di fronte ad una graduazione. Molto sensibili, hanno la scala con intervalli disuguali; occorre ritararli spesso perché il passaggio della corrente modifica la struttura del filo.

3) Misura dell'equivalente meccanico della caloria: mediante un ordinario calorimetro ad acqua, nel quale si trova immerso un filo di resistenza r, si può misurare la quantità di calore sviluppata per il passaggio della corrente d'intensità i per il tempo t; conoscendo l'equivalente meccanico della caloria, si può calcolare r misurando i e t; misurando invece r si può determinare l'equivalente meccanico della caloria.

Accoppiamento dei conduttori e delle pile. - Più conduttori, p. es., di resistenze r1, r2, r3, siano riuniti come è indicato nella fig. 4, in modo da formare un unico conduttore. Se i è l'intensità della corrente per la legge di Ohm, si ha

se i conduttori sono della stessa sostanza si ha VB = VC e VD = VE. Sommando le relazioni precedenti risulta

indicando con R la resistenza totale del circuito, poiché per la legge di ohm VAVF = iR, si ha

I conduttori così riuniti si dicono in serie: la resistenza totale dei conduttori in serie è la somma delle resistenze dei singoli conduttori.

Se invece i conduttori, accoppiati nel modo indicato nella fig. 5, s'inseriscono tra due punti d'un circuito attraversato da corrente, poiché per la legge di Ohm

si ha

Se il potenziale nel punto A è stazionario, ciò che ha luogo nelle condizioni di regime, la somma delle correnti d'intensità i1, i2, i3, uguale alla corrente I che attraversa il circuito, è espressa da

La resistenza R di un unico conduttore, che inserito fra A e B in sostituzione del fascio di conduttori derivati non altera la resistenza totale del circuito, la resistenza cioè del conduttore equivalente a quella del fascio, è

Sostituendo il valore di I ricavato da questa espressione nella (2) si ha

cioè la conducibilità del fascio di conduttori derivati fra due punti di un conduttore attraversato da corrente è uguale alla somma della conducibilità dei singoli tratti. Per n conduttori di uguale resistenza r si ha R = r/n.

La formula (1) di natura sperimentale si può ricavare considerando un filo come l'insieme di tanti fili in derivazione e ciascuno come l'insieme di tanti elementi di lunghezza e sezione unitaria posti in serie.

Si consideri il caso di conduttori diversi riuniti in serie quando però non siano nulle le forze elettromotrici di contatto. Su un asse si prendano segmenti proporzionali alle resistenze dei singoli tratti e sulle perpendicolari all'asse, condotte per questi punti, dei segmenti proporzionali ai potenziali. Unendo questi punti si ha una spezzata i cui tratti sono paralleli, essendo ΔV/r una quantità costante (fig. 6): nel grafico in B e D le forze elettromotrici sono da considerare positive perché tali da determinare una corrente positiva (B D): in C invece si ha una forza elettromotrice negativa. Se si percorre l'intero circuito, partendo da A e ritornando ad A, la variazione totale di potenziale è nulla; la caduta totale di potenziale ohmica ΔV lungo il conduttore sarà uguale all'innalzamento dei potenziali per le forze elettromotrici esistenti nei punti di unione: si ha quindi

se con R s'indica la resistenza totale del circuito

In un circuito costituito di una pila, la cui resistenza interna è ρ, e di un conduttore di resistenza r, se con E s'indica la forza elettromotrice della pila, si ha

relazione che esprime la legge di ohm estesa a un intero circuito.

In detto circuito si ha ΔV = ir, che, sostituita nella (3), dà

cioè a circuito chiuso la differenza di potenziale ai poli di una pila è tanto più piccola quanto maggiore è l'intensità di corrente che attraversa il circuito.

Le pile si accoppiano (v. batterie):1. in serie: se e indica la forza elettromotrice di ciascuno degli n elementi tutti uguali, ne sarà la forza elettromotrice della batteria ed ne sarà resistenza totale interna. L'intensità della corrente nel circuito di resistenza esterna r è

2. in parallelo: si ha un'uniea batteria dì forza elettromotrice e, di resistenza interna ρ/n: l'intensità di corrente è espressa da

Dal confronto della (4) e della (5) si ricava che quando r sia grande rispetto a ρ conviene adottare la disposizione in serie e viceversa.

3. in accoppiamento misto: siano n pile con le quali si formano a gruppi posti in serie, ciascuno di questi gruppi essendo formato da b elementi in parallelo con ab = n. L'intensità della corrente sarà data da:

Il massimo di I corrisponde al minimo di ρ/b + r/a, e poiché il prodotto delle due quantità ρ/b e r/a è una quantità costante, si ha il minimo della loro somma, cioè il massimo di I, quando queste due quantità sono uguali.

Leggi di Kirchhoff. - In una rete di conduttori attraversati da corrente sia O un nodo, cioè un punto di concorso di diversi conduttori (fig. 7); alcune delle correnti arrivano in O, altre se ne allontanano; la somma algebrica di queste correnti nelle condizioni di equilibrio deve essere nulla.

Infatti la condizione di regime richiede che il potenziale in O sia costante; di conseguenza la quantità d'elettricita che arriva al nodo in un tempo qualsiasi dev'essere uguale a quella che nello stesso tempo abbandona il nodo; per n conduttori si ha Σdqr = 0 e quindi anche Σdqr/dt = 0, cioè Σir = 0, relazione che esprime la prima legge di Kirchhoff.

La seconda legge si riferisce invece a una maglia di conduttori cioè a un circuito ABCD (fig. 8) ai cui vertici fanno capo altri conduttori che nell'insieme costituiscono una rete: in ognuno dei tratti costituenti la maglia si ha un valore dell'intensità della corrente e un senso per la propagazione dell'elettricità. Nei tratti della maglia, per maggiore generalità, si possono considerare esistenti delle forze elettromotrici che si sommano o si sottraggono alle cadute ohmiche di potenziale nei singoli tratti. Fissato un senso positivo della corrente, ad es. quello del moto delle lancette di un orologio, e assumendo positive le forze elettromotrici per le quali il potenziale s'innalza, procedendo nel senso della corrente positiva, si ha una differenza di potenziale nulla per l'intero percorso della maglia qualunque sia il punto dal quale si parte: di conseguenza la somma algebrica delle cadute ohmiche di potenziale, rappresentata da Σir, dev'essere uguale alla somma algebrica delle forze elettromotrici esistenti nella maglia: è questa la seconda legge di Kirchhoff.

Circuiti derivati: applicazioni. - Si consideri un fascio di conduttori derivato fra i due punti A e B di un circuito. Se si denotano con i1, i2, i3 le intensità di corrente nei singoli rami derivati, con I l'intensità della corrente nel circuito principale, si ha, per la prima legge di Kirchhoff,

Inoltre per la legge di Ohm VAVB = i1 r1 = i2 r2 = i3 r3, se con r1, r2, r3 s'indicano le resistenze dei singoli tratti; le intensità di corrente nei singoli tratti risultano quindi in ragione inversa delle rispettive resistenze.

Nel caso di due conduttori si ha I = i1 + i2 e i1 r1 = i2 r2, dalle quali si ricava

Un'applicazione di questa relazione si ha nella costruzione dei cosiddetti shunt per galvanometri, con i quali è possibile ridurre in un rapporto noto l'intensità della corrente che passa per l'apparecchio di misura, rendendo possibile la misura di una corrente d'intensità maggiore di quella massima che può attraversare l'apparecchio. Se rg è la resistenza del galvanometro e si vuole che la corrente che l'attraversa sia 1/n della corrente che attraversa il circuito nel quale è inserito, basterà derivare ai capi del galvanometro una resistenza rs tale che

In generale gli amperometri, i milliamperometri, i galvanometri sono dotati d'una serie di resistenze che permettono di ridurre l'intensità della corrente a 1/10, 1/100, 1/1000, ecc., di quella che attraversa il circuito: le resistenze di questi shunt sono per la (6) rispettivamente 1/9, 1/99, 1/999, ecc., della resistenza interna dell'apparecchio di misura.

Se in un circuito si deriva fra due punti A e B una resistenza r2 assai grande in confronto a r1, resistenza del tratto di conduttore compreso tra questi punti, la corrente che attraversa questa derivazione è trascurabile in confronto di quella che attraversa il tratto r1; si può ritenere quindi non esservi variazione apprezzabile della differenza di potenziale tra i due punti A e B prima e dopo di avere stabilito la derivazione. Questa differenza di potenziale è data dal prodotto del valore dell'intensità di corrente che attraversa la derivazione per la sua resistenza: si può quindi misurare la diflerenza di potenziale tra due punti di un conduttore attraversato da c:irrente derivando tra di essi un circuito contenente in serie un galvanometro e una resistenza r2 molto elevata: sarà ΔV = i [rg + r2], e in generale rg, essendo piccola rispetto a r2, si può trascurare.

I voltimetri sono appunto fondati su questo principio: misurano la differenza di potenziale fra due punti di un circuito attraversato da corrente. Essi non sono che degli amperometri con resistenza grande che vanno posti in derivazione anziché in serie, come gli amperometri, e sui quali è segnato non il valore dell'intensità di corrente che attraversa l'apparecchio, ma il prodotto di questa intensità per la resistenza dell'apparecchio. Altra notevole applicazione delle correnti derivate abbiamo nel ponte di Wheatstone, che viene impiegato nella misura delle resistenze elettriche. Siano r1, r2, r3, r4 quattro resistenze costituenti una maglia: due vertici non consecutivi sono collegati mediante un conduttore contenente una f. e. (cioè "forza elettromotrice") costante, ad es. una pila, e gli altri due con un conduttore nel quale è interposto un galvanometro (fig. 9). Se fra i due punti B e D la differenza di potenziale è nulla, nel galvanometro non passa corrente: si ha per la prima delle leggi di Kirchhoff i1 = i2 e i3 = i4; e per la legge di Ohm applicata ai conduttori costituenti la maglia

rapporti che sono eguali, per essere VD = VB. Risulta quindi

cioè è possibile conoscere il valore d'una resistenza inserita in uno dei quattro lati del ponte, quando si conosca il valore delle altre tre resistenze nelle condizioni d'equilibrio del ponte.

Nel caso del ponte non equilibrato, nel lato BD vi sarà passaggio di corrente. Sia Rg la resistenza del lato BD e i5 la corrente che lo attraversa: sia moltre I la corrente nel circuito AEC di resistenza R ed E il valore della forza elettromotrice della pila. Applicando le leggi del Kirchhoff si ha

che risolte dànno

con

Per r2 r3 = r1 r4, si ha i5 = 0, che esprime appunto la condizione di zero del ponte.

Generalmente ognuno dei tre lati del ponte è costituito da una cassetta di resistenze, di cui ciascuna può essere inclusa ed esclusa dal circuito: sono questi i ponti cosiddetti a cassetta che si distinguono dai ponti a filo, nei quali due delle tre resistenze variabili sono costituite dai due tratti nei quali viene diviso da un contatto mobile un filo omogeneo di sezione costante. Nei ponti a cassetta si raggiunge la condizione di zero facendo variare una sola delle resistenze, mentre le altre due mantengono durante tutta la misura un rapporto fisso. Questi due lati del ponte sono costituiti ciascuno generalmente di quattro resistenze 1, 10, 100, 1000 con le quali è possibile formare i rapporti 0,001, 0,01, 0,1, 1, 10, 100, 1000: se R1 ed R2 rappresentano i valori minimo e massimo della resistenza variabile, i valori delle resistenzeche si possono misurare col ponte sono comp7resi fra R1/1000 e 1000 R2. Nei ponti a filo, invece, inserita la resistenza incognita in uno dei lati del ponte, ad esempio ri, e scelto opportunamente il valore della r2, si varia il rapporto delle due resistenze r3 e ri spostando il punto D (fig. 10) fino ad ottenere che il galvanometro non sia attraversato da corrente: trattandosi d'un filo omogeneo di sezione costante il rapporto delle resistenze è uguale al rapporto delle lunghezze dei due tratti di filo, lette su una scala.

Il ponte di Kohlrausch, usato generalmente per la misura delle resistenze degli elettroliti, è un ponte a filo nel quale la sorgente di forza elettromotrice costante è sostituita da una f. e. alternata, per evitare la polarizzazione galvanica, e al galvanometro è sostituito un telefono.

Il ponte di Wheatstone è un apparecchio di alta sensibilità e precisione. Se due suoi lati sono costituiti da due fili sottilissimi di ferro affumicato di cui uno viene colpito da una radiazione, l'assorbimento dell'energia da parte del filo ne determina un riscaldamento, e quindi una variazione di resistenza che produce lo squilibrio del ponte. Data l'alta sensibilità, lo squilibrio si produce anche per piccolissime quantità di energia in arrivo sul filo: è questo il bolometro di cui si è fatto precedentemente cenno.

Va infine dato un cenno del potenziometro. Si abbia un circuito costituito dalla batteria di pile E, dal filo AB omogeneo e calibro, dal galvanometro G1, e dalla resistenza variabile R (fig. 11).

In un secondo circuito derivato su questo primo nei punti A e X, quest'ultimo variabile, è posto un galvanometro G2 e la pila di cui si vuole determinare la forza elettromotrice; i due circuiti sono in opposizione. Spostando il contatto mobile X, si può ottenere corrente nulla nel galvanometro G2: in tal caso E′ = ir′, se r′ è la resistenza del tratto AX e i l'intensità della corrente che attraveisa il circuito primario misurata dal galvanometro G1. Sostituendo a E′ una pila di f. e. diversa E″, si ha analogamente, nelle condizioni di zero del galvanometro, E″ - ir″ e quindi E/E′ = r″/r′ e per essere il filo calibro e omogeneo E/E′ = l/l′. Nota una delle forze elettromotrici, che è costituita generalmente da una pila campione, si può conoscere il valore assoluto della forza elettromotrice della pila in esame. Le pile campioni più generalmente usate sono la pila Weston, e la pila Clark la cui forza elettromotrice è rispettivamente uguale a:

La determinazione della forza elettromotrice, quando si conosce l'intensità di corrente che attraversa il conduttore, ci fa conoscere la resistenza del tratto di conduttore considerato; viceversa, nota la resistenza, si può conoscere l'intensità della corrente. È questo il dispositivo adottato nei potenziometri, apparecchi di largo uso nei laboratorî di misure elettriche (v. elettriche, misure).

Generalità sulle correnti variabili. - La denominazione di correnti elettriche variabili, designa i fenomeni di circolazione dell'elettricità, in cui fra le variabili che li caratterizzano figura anche il tempo. Il loro studio ha condotto a un ravvicinamento sempre maggiore fra i fenomeni elettrici e quelli magnetici. Come già è stato detto, ogni corrente elettrica è accompagnata da un campo magnetico, ma finché la corrente è costante, anche il campo magnetico che l'accompagna è costante: esso non è sede di fenomeni energetici, e può anche essere ignorato da chi studia soltanto i fenomeni che si svolgono entro il circuito elettrico. Invece ogni variazione di corrente, cioè ogni forma di accelerazione nel moto dell'elettricità genera, nel campo magnetico, un nuovo campo, a sua volta variabile, e induce correnti a distanza: questo campo e queste correnti reagiscono sulla corrente che li ha generati, e da ciò deriva che i fenomeni delle correnti variabili non si possono considerare indipendentemente da quelli del campo magnetico che li accompagna. Tutti i problemi relativi sono insieme problemi di circolazione di corrente e problemi di campi magnetici, cioè problemi di "elettromagnetismo". Di più, l'azione delle correnti e dei campi non si propaga con velocità infinita, ma con la velocità della luce, e da ciò deriva che nello studio delle correnti variabili, almeno di quelle variabili rapidamente, si deve abbandonare il modello delle azioni propagantisi con velocità infinita, e si debbono indagare le conseguenze della velocità finita di propagazione.

Lo studio delle correnti variabili ha poi condotto alla considerazione di fenomeni che hanno comune con quelli delle ordinarie correnti costanti (come, p. es., le correnti delle pile negli ordinarî circuiti) l'elemento magnetico. Ad essi perciò è stato attribuito il nome di "correnti elettriche" quantunque si tratti di fenomeni talvolta essenzialmente diversi da quello del movimento di elettricità, da cui la parola "corrente elettrica" nell'epoca voltiana ha avuto origine e applicazione.

Il movimento d'un sistema di cariche elettriche (come quelle che si considerano in elettrostatica), p. es. il movimento di un bastone di ebanite elettrizzato per strofinio, genera un campo magnetico. La scoperta di questo fenomeno avvenuta intorno al 1890 fu posta in dubbio per un certo tempo: poi ebbe conferma, che si deve ritenere definitiva. Perciò il fenomeno elettromagnetico, cui dà origine quel movimento, sì chiama "corrente elettrica". Per distinguere questa corrente da altre si aggiunge l'appellativo "di convezione". Il movimento di elettroni, come quello che ha luogo in tutti i recipienti vuoti che si adoperano come poliodi nelle radiotrasmissioni, costituisce una corrente di convezione.

Nelle soluzioni elettrolitiche il passaggio della corrente elettrica è dovuto a un movimento di elementi che si chiamano ioni, e che sono sistemi di atomi non elettricamente neutri, costituiti di materia ordinaria e di elettroni: si tratta anche in questi casi di correnti di convezione.

Quando varia la carica d'un condensatore elettrico si genera tutt'intorno un campo magnetico: il fenomeno elettrodinamico della variazione di carica costituisce una corrente. Esso in generale è provocato ponendo le armature in comunicazione con una sorgente d'energia elettrica per mezzo di due fili conduttori: in questi durante la variazione di carica circolerà una corrente di tipo ordinario, che si arresta alle armature stesse. Il Maxwell per non far perdere alla corrente elettrica la qualità di fenomeno, che ha per sede un circuito chiuso, ha supposto che la corrente ordinaria lungo i fili che vanno alle armature del condensatore si chiuda attraverso il dielettrico situato fra le armature (e che può essere anche il vuoto) e ha chiamato il fenomeno elettrodinamico fra le armature "corrente di spostamento". Quando il dielettrico è materiale (vetro, mica, parafina, ecc.), ciò che si verifica in esso può essere interpretato come uno spostamento dell'elettricità distribuita in seno alla sostanza che costituisce il dielettrico: quest'osservazione giustifica il nome adottato dal Maxwell. Quando si trasmettono attraverso lo spazio le onde elettromagnetiche cui è dovuta la trasmissione a distanza senza fili dei segnali e dei suoni, ogni elemento dello spazio è attraversato da una corrente di spostamento.

L'ordinaria corrente nei conduttori, come quella che la pila di Volta mette in circolazione nei fili metallici, si chiama, per distinguerla dagli altri tipi, "corrente di conduzione".

La corrente elettrica è un fenomeno che investe tutto il volume d'un corpo o d'un sistema di corpi. Assai sovente questo sistema, come le reti di fili, è costituito da elementi in cui una sola dimensione tanto prevale sulle altre che queste possono non essere considerate, e il sistema stesso risulta definito da linee (assi dei fili conduttori), di cui ogni punto s'individua mediante la sua distanza da un'origine, computata lungo l'asse stesso. Cioè, la corrente circola in circuiti lineari. Ma molte volte, e più spesso nel caso delle correnti variabili, occorre considerare tutto il volume impegnato dal fenomeno elettrodinamico. In tali casi è necessario introdurre nello studio il vettore "densità di corrente" che si definisce considerando in un punto generico il "filetto della corrente", assumendo la sua direzione e il suo senso come direzione e senso del vettore, e prendendo come suo valore assoluto o tensore il limite del quoziente della totale intensità di corrente che attraversa una sezione di piccola area δS, perpendicolare al filetto, per l'area stessa δS, essendo preso il limite per δS tendente a zero.

La densità di corrente cosi definita è un vettore distribuito nello spazio; si ammette che esso possa essere decomposto secondo tre assi coordinati, e il risultato non muti qualunque sia la direzione di questi assi. Vale a dire si ammette a priori che questo vettore abbia tutte le proprietà di un vettore geometrico. In un medesimo punto possono coesistere più tipi di corrente, p. es., corrente di convezione e di spostamento: si definiscono in tal caso i vettori per ciascun tipo: se ne fa la somma geometrica, e a questa si dà il nome di "corrente totale". Il Maxwell ha costruito una teoria elettromagnetica secondo la quale questo vettore "corrente totale" ha le proprietà di un vettore solenoidale, cioè di un vettore senza divergenza. Le sue linee sono chiuse. In questo senso si può dire che la corrente elettrica totale circola per circuiti chiusi. Ogni linea del vettore è l'asse di un filetto di sezione infinitesima, che è un tubo a sezione infinitesima del vettore: un fascio di questi tubi costituisce un circuito elettrico a sezione finita.

Nella concezione maxwelliana tutti gli elementi della corrente, sia di convezione (quella di conduzione può parimenti considerarsi come di convezione, perché anch'essa è dovuta a cariche in moto), sia di spostamento, sono generatori di campo magnetico. In ogni punto di questo campo si sommano le azioni magnetiche dei varî elementi della corrente. Secondo una concezione successiva del Lorentz, soltanto gli elementi delle correnti di convezione generano un campo, che si propaga con la velocità della luce. Questa concezione lorentziana è ispirata completamente dal modello delle azioni a distanza: la maxwelliana associa i due modelli delle azioni a distanza e delle azioni propagantisi attraverso un mezzo continuo. Oggi la fisica è sempre più propensa a considerare i modelli come pure rappresentazioni, che possono aiutare la fantasia del fisico, ma sono affatto sforniti di qualsiasi rapporto con la realtà: è tramontato il tempo in cui si cercava di spiegare tutto l'universo come se lo avesse costruito un ingegnere.

Particolarmente interessanti per il tecnico sono le correnti, che in condizioni di regime variano periodicamente col tempo. Naturalmente anche l'avviamento e lo spegnimento di questi fenomeni di regime rappresentano altrettanti tipi di correnti variabili. Le correnti variabili potrebbero essere così classificate:

1. correnti periodiche (fenomeno di regime);

2. correnti di brevissima durata: scariche, sia naturali come i lampi e i fulmini, sia artificiali come la scarica di un condensatore;

3. fenomeni di avviamento o di spegmmento, che hanno anch'essi in generale breve durata, e si chiamano comunemente transeunti o transitorî.

Una corrente telefonica, la quale trasmetta la parola, è un seguito di fenomeni transitorî: come pure una serie di segnali telegrafici, che siano trasmessi lungo una linea aerea o un cavo subacqueo. Ogni modificazione del regime d'un impianto elettrico dovuto a manovre volontarie d'interruttori o a guasti di qualsiasi genere determina un fenomeno transitorio.

Ci occuperemo qili soltanto delle correnti periodiche.

Corrente alternata. - Il tipo più comune di correnti periodiche è quello di cui ogni periodo è costituito da due semionde di segno contrario: generalmente la legge di variazione, a parte il segno, si riproduce invariata per le due semionde. Correnti di questo tipo si chiamano alternate (o alternative). La forma dell'onda è spesso assegnata con un diagramma cartesiano, assumendo come ascisse i tempi e come ordinate le intensità. L'area della curva fra due ordinate quali si vogliono fornisce allora la misura della quantità di elettricità circolante durante l'intervallo di tempo definito dalle ascisse estreme. Chiameremo "nodi" i punti in cui l'intensità è nulla. Per lo più si assume come origine delle ascisse, e quindi dei tempi, il momento in cui s'inizia una semionda positiva. Sia T il periodo, cioè la durata di due semionde consecutive. Si ha generalmente, indicando con i l'intensità e con t il tempo: i - i(t) - i(t + kT), se k è un numero intero qualsiasi; e quando le due semionde di segno contrario sono uguali: i(t) = − i(t + kT/2), se k è un numero intero qualsiasi dispari. La maggior parte delle moderne applicazioni di luce e di forza motrice utilizza correnti di questo tipo. Perciò nella tecnica si sono sviluppati per queste correnti metodi speciali di calcolo.

La funzione i si può sviluppare secondo il teorema di Fourier in serie di funzioni sinusoidali di frequenze costituenti una progressione aritmetica come quella dei numeri interi; dal che deriva che una corrente alternata si può considerare come somma di correnti sinusoidali di frequenze rispettivamente f, 2f, 3f,...,sf,... con s intero qualsiasi.

Si ricorda che: la frequenza f di una funzione periodica è il numero dei periodi interi, nell'unità di tempo, talché T = 1/f è (la durata di) un periodo; una funzione sinusoidale è rappresentata analiticamente dall'esplessione a = A sen (ωt + a), dove A (che si suppone positivo) è il valore massimo e ω = 2πf = 2π/T; la quantità ω si chiama pulsazione o costante di frequenza; α è la fase, misurata in angolo, mentre τ = α/ω è la fase misurata in tempo, cioè l'ascissa del primo nodo con cui s'inizia una semionda positiva.

Nella fig. 12 la (a) rappresenta una funzione sinusoidale, la (b) un'altra funzione sinusoidale; ambedue hanno la stessa frequenza: esse diversificano per il valore massimo (ampiezza) e per la fase. L'una si può ottenere dall'altra per mezzo d'uno scorrimento lungo l'asse delle ascisse e un cambiamento di scala per le ordinate. Lo scorrimento è la differenza di fase, misurata in tempo se si assumono come ascisse i tempi, o in angolo se si assumono come ascisse gli angoli. Nella fig. 12 sull'asse delle ascisse sono indicati due simboli angolo e tempo: a e t. Della (b) si dice che è ritardata rispetto alla (a), o viceversa si dice che la (a) è anticipata circa la (b).

Le frequenze, che si adoperano per le applicazioni di luce, calore, forza motrice, variano da 42 a 50, tranne il caso di qualche applicazione elettroferroviaria, come la trazione trifase nell'Italia settentrionale, la cui frequenza è un terzo della normale per luce; nelle radioapplicazioni si sale a frequenze di decine di migliaia e di milioni, per le quali si adotta come unità il chilociclo (1000 cicli o periodi).

Quando si scrive: a = A sen (ωt ± α), la quantità α si considera di solito come in sé positiva; perciò il segno − indica ritardo di fase, e il segno + anticipazione.

Particolarmente utile nei procedimenti grafici è, per una generica funzione sinusoidale a = A sen (ωt + α), la cosiddetta rappresentazione polare. S'immagini applicato nell'origine O d'un sistema di assi cartesiani OXY un vettore OP di lunghezza costante A, il quale ruoti, nel verso positivo (cioè in quello che va dal semiasse positivo OX al semiasse positivo OY traverso l'angolo retto), con la velocità angolare (costante) ω, e nell'istante t = 0 formi con l'asse OX l'angolo α. Se questo vetto1e rotante (uniformemente) si proietta sull'asse delle Y si ottiene un vettore alternativo, la cui lunghezza è data appunto, istante per istante, da A sen (ωt + α). Si ha cosl non solo un'immagine espressiva, e come già si disse, particolarmente utile, della funzione sinusoidale, ma anche un modo per costruirne per punti la curva rappresentativa (fig. 13). E siccome, se si tratta di funzioni sinusoidali aventi tutte una medesima frequenza, si può, in un certo senso, sottintendere la rotazione, esse si sogliono rappresentare ciascuna per mezzo di un vettore-applicato OP, che abbia per lunghezza, in una data scala, l'ampiezza corrispondente e formi con una retta orientata di riferimento OX un angolo uguale alla rispettiva fase.

Se il vettore rotante OP si proietta, anziché sull'asse delle Y, su quello delle X, si ha un altro vettore alternativo, la cui lunghezza A cos (ωt + α + α) si può scrivere A sen (ωt + α + π/2): si tratta dunque di una nuova funzione sinusoidale di ampiezza e frequenza uguali a quella relativa all'asse delle Y, ma avente rispetto ad essa un anticipo di fase di π/2, cioè di un quarto di periodo.

Va pure rilevato che se OP, OQ sono i vettori applicati, che rappresentano due date funzioni sinusoidali di uguale frequenza (fig. 14), il vettore applicato risultante (o somma geometrica) O R di O P, O Q (diagonale del parallelogramma contenuto da OP, OQ) rappresenta una nuova funzione sinusoidale della stessa frequenza, che è precisamente la somma delle date.

Derivando e integrando, rispetto al tempo, una funzione sinusoidale α = A sen (ωt + a), si ottiene rispettivamente

Si ottengono così ancora due funzioni sinusoidali di periodo uguale a quella di partenza; ma esse hanno come ampiezze Aω e A/ω e presentano, rispetto a a, un anticipo e un ritardo di un quarto di periodo.

Una funzione periodica che si possa considerare come somma di funzioni sinusoidali di frequenze proporzionali ai numeri interi ha l'espressione analitica seguente:

Una corrente periodica non si può manifestare senza la presenza di una f. e. periodica, e anche questa potrà in generale essere rappresentata da una serie di Fourier. La sinusoide pura è il tipo più semplice tanto della corrente periodica, quanto della f. e. periodica. In generale f. e. sinusoidali generano correnti non sinusoidali, e correnti sinusoidali possono essere generate da f. e. non sinusoidali; ma in alcuni tipi di circuiti f. e. e correnti sinusoidali coesistono, e in altri a f. e. sinusoidali corrispondono correnti, il cui andamento è così poco diverso da quello sinusoidale, che le differenze possono essere considerate come perturbazioni del fenomeno principale, e perciò trattate utilizzando le semplificazioni di calcolo, che derivano dalla legittimità di trascurare, di alcuni elementi analitici, le potenze superiori alla prima. Per questa ragione ogni trattazione di correnti periodiche comincia con lo studio delle correnti sinusoidali associate a f. e. sinusoidali. In quest'articolo ci limiteremo a poche considerazioni sui casi semplici.

I valori istantanei delle f. e. e delle intensità sono sempre collegati fra loro dalla legge di Ohm: vale a dire che anche per le correnti variabili si potrà scrivere:

quando si consideri un tratto di circuito, in cui l'intensità abbia in tutti i punti il valore i. Nel nu̇meratore Σe, si debbono porre tutte le f. e. agenti nel circuito, e nel denominatore Σr tutte le resistenze, per cui valga la legge di Joule, cioè tutte le cause di dissipazione d'energia proporzionali al quadrato dell'intensità. In molti casi, e con opportune limitazioni, la (1) si può applicare a un circuito chiuso completo.

Quali sono le f. e. da considerare nell'attuale trattazione?

Le f. e. tipo Volta non sono in generale periodiche: perciò esse, che rappresentano la più importante funzione nel caso delle correnti costanti, non sono da considerare generalmente nel caso delle correnti periodiche in condizione di regime.

F. e. periodiche si ottengono più frequentemente con fenomeni d'induzione elettromagnetica; basta, p. es., trascinare in moto rotatorio, con velocità angolare costante, un sistema di conduttori lineari in una regione anulare, in cui il campo magnetico varii periodicamente in funzione della posizione del sistema, in modo che il flusso concatenato col sistema di conduttori varii pure periodicamente; si ha allora, per la legge di F. E. Neumann, che la f. e. che si ottiene è periodica, e il periodo coincide con quello di variazione del campo. Questo è il caso di tutte le generatrici dinamoelettriche, le quali, poiché forniscono una f. e. attiva alternata, e quindi una corrente alternata, si chiamano alternatori.

Un circuito percorso da corrente periodica, per il quale si possa definire un coefficiente di autoinduzione costante, è sede d'una f. e. di autoinduzione periodica, il cui periodo coincide con quello della corrente. Infatti il flusso d'induzione magnetica concatenato col circuito, e da lui generato, se s'indica con i il valore istantaneo dell'intensità e con L il coefficiente di autoinduzione (o selfinduzione) è ϕ = Li. La f. e. che corrisponde alla variazione periodica di questo flusso è: ε = − dϕ/dt = − Ldi/dt, periodica se la i è una funzione periodica, sinusoidale se la i è sinusoidale. Si scriva i = I sen ωt, risulterà: ε = ωLI sen (ωt − 90°), cioè la f. e. di autoinduzione è sinusoidale, ritardata di 90° rispetto alla corrente. Procedendo lungo il circuito nel senso che corrisponde a valori positivi della corrente, questa f. e. corrisponde a una caduta di potenziale anticipata di 900 rispetto all'intensità.

Analogamente si ottengono i. e. periodiche con fenomeni di mutua induzione, se le correnti induttrici sono periodiche.

Queste considerate finora sono correnti in circuiti di conduzione ma è facile immaginarne anche in circuiti di spostamento. Si consideri un condensatore di capacità C costante e s'indichi con v la differenza di potenziale fra le amiature, che ci converrà poter distinguere l'una dall'altra, e perciò indicheremo con i numeri uno e due. La v sia la differenza di potenziale fra l'armatura uno e la due. Sia q il valore istantaneo della quantità di elettricità sulle armature, che si suppongono scariche nel momento rappresentato dall'origine dei tempi. Si ammetta che la carica avvenga perché l'armatura uno è collegata a un filo, nel cui elemento estremo verso quest'armatura circola un'intensità di corrente di conduzione la quale poi riprende a circolare nell'elemento, propinquo alla due, di un filo conduttore connesso a questa seconda armatura. Il segno positivo è attribuito alla i quando circola verso la uno e dalla due, cioè quando porta elettricità positiva sulla uno e negativa sulla due. Si avrà:

Se la i è sinusoidale, i = I sen ωt, si ha pure:

cioè la differenza di potenziale v (tensione del condensatore) è sinusoidale anch'essa, e ritardata di fase di 90° rispetto alla i. La totale corrente di spostamento nel dielettrico del condensatore è misurata parimente dalla i; perciò se consideriamo un tratto di circuito come ABCD della fig. 15, in cui AB, CD sono due elementi di filo conduttore, e il condensatore è rappresentato, come s'usa fra tecnici, con due tratti sottili e paralleli, si può alla funzione i attribuire il significato d'intensità del circuito (di conduzione attraverso ogni sezione dei fili, e di spostamento attraverso ogni sezione del dielettrico, che riempie lo spazio fra le armature). Quando il potenziale dell'armatura uno supera quello della due, chi percorre il circuito nel senso ABCD incontra, attraversando il condensatore, una caduta di potenziale, che si può chiamare f. e. negativa del condensatore, nel senso che tutte le volte che si scriverà l'equazione dell'equilibrio delle differenze di potenziale variabili con continuità o per salti lungo il circuito, si dovrà introdurre, in rappresentanza del tratto di circuito corrispondente al condensatore, la differenza di potenziale v col segno −. Di solito lo spessore del condensatore è piccolo e la v si può considerare fisicamente come una discontinuità del potenziale lungo il circuito.

Prima di procedere converrà chiarire i concetti con un esempio. Si abbia un circuito completo, come quello della fig. 16, tutto costituito da filo conduttore, eccetto il tratto fg, dove è il condensatore. Compaiono nella figura tre simboli grafici, che sono in uso fra gli elettrotecnici. Uno è un circoletto hk con due brevi tratti tangenti alle estremità d'un diametro e una curva dentro che vuol significare un periodo di funzione sinusoidale: rappresenta un elemento di circuito, in cui s'induce una f. e. periodica a spese di lavoro proveniente dall'esterno (motore primo): p. es. il sistema di conduttori indotti in un alternatore mosso da una turbina. L'altro, ab, è un tratto a zig-zag con spigoli netti: rappresenta un elemento con resistenza ohmica, nel quale cioè il solo fenomeno energetico da considerare è quello dissipativo secondo la legge di Joule.

Veramente in ogni circuito comunque avvolto è da considerare anche il fenomeno conservativo di autoinduzione; ma questo può essere piccolo, e trascurabile rispetto a quello dissipativo, se il circuito è avvolto in modo speciale, p. es. bifilarmente, e la resistenza non è piccolissima. Il terzo simbolo grafico è la linea ondulata cd (simbolo di una serie di spire), la quale rappresenta al contrario un elemento di trascurabile resistenza, in cui sia sensibile l'autoinduzione. Le lettere maiuscole E, R, L denotano il valore massimo della f. e. sinusoidale impressa nel tratto hk, la resistenza ohmica del tratto ab, e il coefficiente di autoinduzione del tratto cd. Ammetteremo E, R, L costanti. Con C continuiamo a rappresentare la capacità del condensatore. Se la resistenza e l'autoinduzione, anziché concentrate separatamente in determinate parti del circuito, sono distribuite nei varî elementi, con R e L s'intenderanno indicati i valori della totale resistenza e del totale coefficiente di autoinduzione. Nel caso di circuiti lineari aperti non si può utilizzare per il coefficiente di autoinduzione la definizione, che si basa sul concetto del flusso concatenato, perché non ha senso la locuzione "flusso concatenato con una linea non chiusa"; ma si può sempre utilizzare l'altra, che si basa sul concetto della f. e. di autoinduzione, e definisce il coefficiente come la grandezza, per cui bisogna moltiplicare la derivata della corrente rispetto al tempo per ottenere la totale f. e. di autoinduzione.

Con queste premesse s'intende subito che le f. e. da considerare lungo il circuito sono le seguenti: quella e, che essendo fornita da una sorgente di potenza esterna si può chiamare impressa, quella di autoinduzione - Ldi/dt, e quella relativa al condensatore

Perciò l'equazione di Ohm si deve scrivere così:

oppure:

Osserviamo subito che per una funzione sinusoidale generica a vale la relazione:.

perciò la (5) si può anche scrivere:

onde rileviamo che, per quanto si riferisce alle correnti sinusoidali, si può sempre a una capacità C in serie con un'autoinduzione L sostituire un'autoinduzione negativa L0 = − 1/(Cω2), senza che si turbi l'equilibrio elettrodinamico del circuito. Si osservi che la relazione precedente contiene la frequenza; perciò l'equivalenza di una capacità con un'autoinduzione si riferisce a una determinata frequenza.

La soluzione della (5), che fornisce l'intensità di regime, è la seguente:

dal che si apprende che una f. e. impressa sinusoidale in un circuito, le cui caratteristiche si possano definire mediante coefficienti costanti di resistenza, autoinduzione, capacità, mantiene in circolazione una corrente sinusoidale: che l'intensità di questa corrente è ritardata di fase rispetto alla f. e. di un angolo ϕ, la cui tangente è fornita dalla relazione

che il valore massimo dell'intensità è legato al valore massimo della f. e dalla relazione:

I problemi delle correnti sinusoidali consistono nella ricerca delle intensità che vengono generate da determinate f. e. sinusoidali impresse. Essi quindi conducono a equazioni differenziali lineari, come la (6) cui sempre si può ridurre la (5). Poiché la natura analitica delle soluzioni è nota (le correnti sono sinusoidali), questi problemi, benché conducano a equazioni differenziali, sono di natura algebrica, perché la loro soluzione numerica consiste nella ricerca degli elementi, che individuano le correnti, cioè, per ciascuna intensità, del valor massimo e della fase. La determinazione di questi elementi suole essere ottenuta dai tecnici con metodi grafici, di cui daremo qui un cenno.

Ogni equazione del tipo (5) si riduce alla forma

in cui a primo membro compare la somma di un certo numero n di funzioni sinusoidali: A è il valor massimo, e a la fase della generica di codeste funzioni, mentre la frequenza si suppone la stessa per tutte. La prima funzione sinusoidale generica si rappresenti, nel modo indicato dianzi, con un vettore-applicato OP in opportuna scala e rispetto a una direzione determinata OX, che servirà di riferimento per le fasi (fig. 17) e, similmente, si rappresentino le altre n-i funzioni sinusoidali con altrettanti vettori-applicati PQ, QR,... rispettivamente. La (10) in sostanza esprime che la poligonale OPQR... deve risultare chiusa. Se delle n funzioni a tutte sono note meno una, basta evidentemente disegnare la poligonale delle funzioni note e chiuderla, per poter desumere dal vettore-applicato di chiusura gli elementi della funzione incognita. La sua fase risulterà determinata rispetto alla direzione OX, assunta come fondamentale. Ciò del resto non ha grande valore, perché in pratica interessano soltanto le differenze di fase delle varie funzioni che si considerano, e perciò si potrebbe anche omettere di fissare e tracciare nel disegno la fondamentale OX. Questo è il principio della rappresentazione geometrica di equazioni del tipo (10), e della soluzione geometrica dei relativi problemi.

Anziché con la riga e col rapportatore la soluzione si può ottenere adoperando la trigonometria. Basta scrivere la (10) nel modo seguente:

con che appare subito che, dovendo l'equazione essere soddisfatta per qualunque istante di tempo, debbono separatamente annullarsi i coefficienti di sen ωt e cos ωt, cioè si deve avere:

Quindi a ogni equazione del tipo (10) corrisponde una coppia di equazioni del tipo (12); da questa coppia si possono ottenere per via algebrica e trigonometrica gli elementi delle funzioni incognite, se queste sono in numero uguale a quello delle equazioni di tipo (10). Le (12) del resto non sono altro che la traduzione analitica del fatto che la poligonale OPQR... è chiusa: esse si otterrebbero immediatamente proiettando la poligonale sopra due rette normali.

Si osservi pure che i vettori, i quali rappresentano la derivata di una funzione sinusoidale sono anticipati di 90° rispetto a quello che rappre- senta la funzione, e la loro lunghezza è il prodotto del valor massimo della funzione per la pulsazione ω, mentre i vettori che rappresentano gl'integrali sono ritardati di 90°, e la loro lunghezza è il quoziente del valore massimo della funzione per la pulsazione ω′. Perciò la linea poligonale, che rappresenta la (6) è un triangolo rettangolo, di cui l'ipotenusa è la forza elettromotrice impressa. Vedi fig. 15, da cui tosto si deducono le (8) e (9), applicando il teorema di Pitagora e la regola delle tangenti.

Un altro metodo per la soluzione di questi problemi utilizza la rappresentazione delle funzioni sinusoidali con i numeri complessi. È noto che in luogo della funzione generica a si può scrivere Aεiωt, in cui A è un numero complesso m + jn, di cui gli elementi real m, n siano collegati a quelli della funzione a dalle relazioni

è la base dei logaritmi naturali (che i matematici denotano col simbolo e, qui riserbato alla f. e. impressa) e j l'unità immaginaria √−1 (che i matematici denotano col simbolo i, qui riservato all'intensità della corrente). La (10) assume l'aspetto:

da cui la coppia di relazioni:

che servono per determinare gli elementi d'una funzione sinusoidale quando le altre sono note. Questo metodo, per ciò che concerne le difficoltà di calcolo, non presenta alcun vantaggio sul precedente, perché le (14) in sostanza sono le (12) sotto altra forma.

Ma finora abbiamo trascurato un fenomeno, che nel caso delle correnti variabili può avere notevole importanza pratica, quando le tensioni in giuoco sono elevate. Oltre il campo magnetico, dei cui effetti in modo integrale si è tenuto conto mediante il coefficiente di autoinduzione L, esiste il campo elettrico. Questo non dipende soltanto dalle differenze di potenziale fra i varî elementi del circuito, che sole sono da considerare nel caso dei circuiti di correnti costanti, ma anche dalle differenze di potenziale rispetto alla terra e a tutti gli altri corpi conduttori che eventualmente si trovassero in vicinanza del circuito. Distinguiamo le linee del campo elettrico in due famiglie: quelle che hanno ambedue le estremità sopra elementi del circuito, e quelle che hanno una delle estremità sopra un elemento di conduttore esterno al circuito (fra cui la terra). Quando nel circuito è una parte bifilare, come molte delle linee che servono per la trasmissione della corrente, le linee elettriche della prima famiglia hanno le estremità su due elementi dirimpetto, che si possono chiamare coniugati. Si consideri un elemento di lunghezza dx di un filo di linea, e le linee elettriche del campo della prima famiglia, che vi fanno capo, e che vanno all'elemento coniugato sull'altro filo. Se i fili sono paralleli, l'elemento, che si individua sull'altro filo seguendo il tragitto di tutte le linee, è anch'esso di lunghezza dx, e gli sarà dirimpetto. L'insieme delle linee costituisce una specie di falda, che ai fini delle correnti di spostamento si potrà paragonare a un condensatore di capacità δC la cui tensione di carica è la differenza di potenziale v, fra gli elementi della linea dirimpetto. Questa tensione si potrà spesso identificare con quella di linea (media delle differenze fra elementi della linea coniugati). Il coefficiente δC si potrà assumere proporzionale alla lunghezza dx, se quest'elemento appartiene a un tratto di linea omogeneo, scrivendo δC = Cdx: il coefficiente C si può chiamare capacità della linea in parallelo per unità di lunghezza. L'intensità della corrente di spostamento relativa all'elemento dx è: C(∂v/t)dx: essa rappresenta una derivazione dalla linea. Per effetto di essa la corrente di conduzione nella linea non può avere la medesima intensità in ogni punto: quella che giunge all'elemento dx deve essere considerata come funzione di x, oltre che del tempo, e per il primo principio di Kirchhoff deve essere: (∂i/x)dx = C(∂v/t)dx.

Analogamente si deve considerare l'effetto delle linee elettriche della seconda famiglia: esse daranno occasione a definire altri coefficienti di capacità in parallelo.

La trattazione fatta da noi per un circuito del tipo della fig. 16 prescinde dai fenomeni dovuti al campo elettrico esterno ai conduttori: di essi sarà trattato con qualche particolare nella voce linee.

L'espressione

che compare a denominatore dell'intensità nella (9), insegna quale impedimento (resistenza) alla circolazione dell'intensità provocata da una data f. e. E offrono i fenomeni di resistenza e di autoinduzione. Da questo concetto sono stati guidati i primi autori, di lingua anglosassone, che hanno adottato per questa grandezza il nome di impendance, mal tradotto dagl'Italiani con la parola "impedenza" divenuta ormai di uso comune. La natura dell'impedenza è quella di una resistenza, e perciò si misura praticamente in ohm. La differenza ωL − 1/ωC, con parola introdotta dagli Anglosassoni (reactance), si chiama "reattanza": il prodotto ωL si chiama reattanza magnetica: il termine 1/(ωC) reattanza di capacità o capacitanza. Nella fig. 18 è rappresentata geometricamente la relazione (9), pensata sotto la forma

L'angolo ϕ, ritardo della corrente rispetto alla f. e. impressa, può oscillare fra + 90° e − 90°; esso tende a ± 90° quando R tende a zero, cioè quando sono trascurabilì i fenomeni dissipativi rispetto a quelli conservativi dell'energia: tende a zero quando accade il contrario (R → -). L'autoinduzione produce ritardo dell'intensità rispetto alla f. e.: la capacità in serie produce anticipazione. Possono autoinduzione e capacità combinarsi in modo che sia soddisfatta la relazione:

l'intensità in tal caso si riduce a E/R: f. e. e intensità sono in fase. Se inoltre la resistenza è piccola si può con una pur debole f. e. mantenere una corrente intensa; al limite per R → 0 l'intensità assume valori finiti anche per f. e. infinitesime, o, viceversa, valore infinito per valori finiti comunque piccoli della f. e. Quando ωL = 1/(ωC), si dice che vi è risonanza elettromagnetica; la capacità e l'autoinduzione si chiamano risonanti, e non va dimenticato che la condizione di risonanza contiene la pulsazione: perciò una certa capacità risuona con una determinata autoinduzione soltanto per una determinata frequenza. In questo senso si può parlare di risonanza per una data frequenza d'un circuito che abbia una data composizione.

Ora rappresentiamo l'intensità con i = I sen ωt, e quindi la f. e. impressa con e = E sen (ωt + ω); cioè operiamo sull'asse dei tempi uno scorrimento τ = 2ϕ/ω. Ciò premesso, facciamo qualche considerazione energetica. La potenza messa in giuoco dalla f. e. impressa ha in ogni istante il valore:

differenza d'una parte costante e d'una parte variabile sinusoidalmente con frequenza doppia di quella dell'intensità. Il valor medio della potenza durante un intero periodo della corrente è rappresentato dalla parte costante (EI/2) cos ϕ, perché il valor medio della parte variabile sinusoidalmente è zero. Il valor massimo della parte sinusoidale è EI/2, in generale superiore al valor medio, o soltanto uguale quando ϕ = 0. Quindi vi sono durante il periodo intervalli di tempo, durante i quali la potenza messa in giuoco della f. e. impressa è negativa; in questi intervalli la sorgente di f. e. riceve potenza dal circuito, e gliela forniscono il campo elettrico nei momenti in cui diminuisce la loro energia potenziale.

Quando ϕ = 0 gli intervalli di potenza negativa si riducono anch'essi a zero; la f. e. impressa fornisce in ogni istante di tempo lavoro al circuito. Quando ϕ = 90° gl'intervalli di potenza negativa sono uguali in durata a quelli di potenza positiva; la potenza media messa in giuoco dalla f. e. è zero. Questa condizione si ha naturalmente al limite, quando non esistono o sono trascurabili i fenomeni dissipativi. La fig. 19 rappresenta in funzione del tempo le tre curve della f. e. impressa, dell'intensità e della potenza e mette in evidenza sull'asse dei tempi i tratti m1 n1, m2 n2,... di potenza negativa.

Il valore istantaneo dell'effetto Joule durante un periodo è RI2 (1 − cos 2ωt)/2; esso è nullo quando l'intensità è nulla; massimo quando l'intensità è massima qualunque ne sia il segno e il suo valor medio è: RI2/2. Il valor medio della potenza della f. e. impressa deve naturalmente coincidere con questo valor medio dell'effetto Joule, che è il rappresentante dei fenameni dissipativi. Del resto le formule lo confermano. Se l'intensità fosse costante e uguale a J, l'effetto Joule sarebbe RJ2: perciò J = E/√2 è l'intensità di quella corrente costante, la quale dissiperebbe (e quindi trasformerebbe in forma di calore) lo stesso lavoro che dissipa la corrente sinusoidale in un circuito della medesima resistenza R. Questo valore J si chiama intensità efficace della corrente sinusoidale.

Il concetto d'intensità efficace s'estende anche alle correnti variabili. Se i(t) è un'intensità, di cui è data la variazione in funzione del tempo t durante u̇n intervallo (0, T), l'intensità di quella corrente costante, la quale circolando durante quel tempo in un circuito della medesima resistenza, dissiperebbe la stessa energia, si chiama intensità efficace della i.

Evidentemente si ha:

vale a dire l'intensità efficace è il valore positivo della radice quadrata della media dei quadrati dei valori dell'intensità variabile.

Gli strumenti in generale subiscono azioni proporzionali al quadrato dell'intensità, e quindi, quando hanno un equipaggio mobile sufficientemente inerte, e se la frequenza non è molto elevata, forniscono come indicazione la media dei quadrati; perciò gli amperometri forniscono direttamente il valore efficace dell'intensità. Così fanno anche i voltometri, e ciò ha suggerito l'idea d'estendere il concetto di valore efficace anche alle f. e., e in generale a qualsiasi funzione alternata. Il valore efficace è il valor medio della radice quadrata della media dei quadrati. Indicheremo i valori efficaci con le maiuscole del carattere inglese corsivo.

Nel campo magnetico è immagazzinata energia sotto forma di energia potenziale: quando l'intensità è i, il valore di quest'energia è Li2/2; quindi l'energia potenziale magnetica varia da 0 al massimo valore LJ2/2: essa oscilla, compiendo durante un periodo due oscillazioni complete.

Anche nel campo elettrico è immagazzinata energia: questa oscilla fra zero e I/(2Cω2) con due oscillazioni complete durante un periodo della corrente, come l'energia magnetica; ma passa per i massimi valori, quando l'altra passa per zero e viceversa, perché l'una è massima quando è massima la corrente, l'altra quando è massima la tensione fra le armature del condensatore.

Campo magnetico e campo elettrico si scambiano energia. Quando i fenomeni dissipativi dell'energia sono trascurabili, e si ha risonanza, la sorgente di f. e. impressa non prende parte in alcun modo al giuoco dell'energia; una volta avviato il fenomeno, esso perdura in regime indefinitamente, senza comunicazione di lavoro dall'esterno; vi è soltanto scambio di energia fra campo elettrico e campo magnetico: quando è massima l'energia di questo, è zero quella elettrica, perché tutta l'energia si è trasferita dalla sede del campo magnetico a quella del campo elettrico. Queste sedi non coincidono in volume; in questa trattazione si ammette che la trasmissione avvenga con velocità infinita. Naturalmente i risultati di questi calcoli sono tanto più lontani dalla realtà, quanto più lontane sono le sedi dei due campi (lunghe linee, in cui sia collocato in serie un condensatore), o sia molto rapida la variazione degli elementi (altissime frequenze). Un pendolo realizza un fenomeno meccanico simile a quello che stiamo considerando. All'energia elettrica corrisponde quella gravitazionale, massima quando la massa pendolare è alla massima distanza dalla verticale (velocità zero); all'energia magnetica corrisponde quella cinetica (o forza viva) dovuta alla velocità, massima quando è massima la velocità (pendolo nella posizione verticale). Se non vi è attrito, il pendolo una volta in moto continua a oscillare indefinitamente. A ogni oscillazione completa, due volte si spegne la forza viva e si solleva la massa rispetto al centro della terra e viceversa.

Questo paragone con i fenomeni meccanici ha suggerito due ordini d'idee. L'uno (teorico) ha servito a ravvicinare tutte le formule fondamentali dell'elettrodinamica a quelle della dinamica. Ciò è stato ottenuto servendosi delle equazioni generali della dinamica del Lagrange, e su questo argomento non ci dilunghiamo. L'altro ha servito a immaginare e costruire molti modelli meccanici per illustrare i fenomeni delle correnti alternate. Un liquido, che oscilla in un tubo a U, è già un'immagine di corrente variabile, utile specialmente quando si vogliano trattare i fenomeni di avviamento o spegnimento d'una corrente alternata. Su questo modello quindi sorvoliamo, perché ora ci limitiamo allo studio delle correnti in regime. Un tubo, che un setto elastico in una sua sezione divida in due compartimenti non comunicanti, e sia chiuso in sé stesso per costituire un circuito completo, se è pieno d'acqua, rappresenta un circuito con condensatore. L'acqua non potrebbe circolarvi con velocità costante, sempre diretta in un senso, perché il moto è impedito dal setto elastico: ma può oscillarvi più o meno. Quando l'acqua corre in un senso, il setto si tende formando una concavità dove l'acqua lo preme; questa tensione si oppone alla continuazione del moto, come la carica del condensatore si oppone alla continuazione della corrente, cercando di equilibrare l'azione della f. e. impressa; quando il setto è teso al massimo, la velocità dell'acqua è ridotta a zero, come, quando la tensione del condensatore è massima, l'intensità della corrente è nulla: poi il setto si sposta in direzione contraria, e il giuoco continua con fasi alterne.

I problemi delle reti nel caso delle correnti sinusoidali si trattano applicando i principî di Kirchhoff. Tutte le correnti che giungono a un nodo di una rete debbono avere somma nulla in ogni istante (primo principio di Kirchhoff). Perciò ogni rete dà origine a un'equazione fra i valori istantanei delle intensità del tipo 0 = Σi = ΣI sen (ωt + α), cui corrisponde nella rappresentazione geometrica un poligono chiuso, che permette di enunciare il teorema seguente: la somma geometrica delle intensità efficaci delle correnti, che giungono a un nodo di rete, è nulla. Analogamente, se s'individua una maglia di conduttori di una rete, l'applicazione del secondo principio di Kirchhoff consente di tracciare una linea poligonale chiusa con i vettori, che rappresentano le forze elettromotrici dei lati della maglia e le cadute di tipo ohmico lungo i medesimi lati. Quindi dai principî di Kirchhoff si ottiene un numero di equazioni fra grandezze elettriche doppio di quello che si ha nel caso delle f. e. costanti; esse bastano per la determinazione delle intensità delle correnti, perché ogni determinazione d'intensità esige la ricerca di due elementi, il valore efficace e la fase.

I problemi delle reti si possono risolvere anche col metodo delle funzioni complesse. La (6), se si rappresenta la i con la funzione Iεjωt, e la e con la funzione Eεjωt, conduce alla relazione:

L'intensità risulta dunque il quoziente della f. e. per un numero complesso; la forma della funzione, che rappresenta l'intensità in funzione della f. e. è ancora quella di Ohm, con la differenza che in luogo della resistenza compare la quantità complessa

che si ehiama operatore di resistenza. Risulta da questa osservazione che a tutti i teoremi relativi a correnti costanti, che discendono dalla legge di Ohm, si possono far corrispondere altrettanti teoremi per le correnti sinusoidali, sostituendo semplicemente nell'enunciato alla parola "resistenza" la parola "operatore di resistenza". Citiamo in modo particolare il teorema della resistenza di un fascio di circuiti, che si trasforma nel seguente; in una rete di correnti sinusoidali, a un fascio di n circuiti derivati fra due punti A e B non contenenti f. e. impresse, né di mutua induzione (ma contenenti reattanze in serie), si può sostituire senz'alterazione dell'equilibrio elettrodinamico, fra i medesimi punti A e B, un circuito solo, di cui l'operatore di resistenza sia l'inversa della somma delle inverse degli operatori dei singoli circuiti, che costituiscono il fascio. Da questo teorema, che dà origine a un'equazione fra numeri complessi (coppia di relazioni fra numeri reali) si possono dedurre la resistenza e la reattanza del circuito equivalente.

Un altro caso classico analogo è quello del ponte di Wheatstone. Il quadrilatero relativo può essere eccitato con una sorgente di f. e. sinusoidale. Nel ponte non passerà corrente se i prodotti degli operatori di resistenza per le due coppie di lati opposti sono uguali. Dall'applicazione di questo teorema si deduce in generale una coppia di relazioni, le quali debbono essere soddisfatte dagli elementi di resistenza e reattanza che compongono i lati del quadrilatero; e ne risulta la giustificazione di metodi noti per il confronto delle capacità o dei coefficienti d'induzione.

Le f. e. di mutua induzione in circuiti magneticamente concatenati dànno origine in generale a trattazioni speciali: l'esempio classico è quello di due circuiti magneticamente concatenati (il trasformatore). Di esso si tratta nella voce trasformatori. Ma in generale quando si ha una rete, in cui compaiono concatenamenti magnetici fra i circuiti che la compongono, si può facilmente costruire un'altra rete, in cui si prescinda da concatenamenti magnetici e si tenga conto soltanto degli effetti ohmici e di reattanza. Essa si chiama "equivalente" e si tratta con i principî di Kirchhoff. I trattati sulle correnti alternate sono pieni di questi esempî.

F. e. rappresentabili da una serie di Fourier, agendo in circuiti con resistenza e reattanza costanti, generano (in regime) correnti complesse, anch'esse rappresentabili con serie di Fourier. La linearità delle equazioni come la (5) permette di prevedere che le singole f. e. sinusoidali, che compongono la f. e. complessa, si possono considerare come indipendenti; e perciò si possono determinare le intensità, che ciascuna di esse genererebbe qualora agisse da sola nel circuito; la corrente complessa reale sarà la somma di tutte le componenti così determinate. Quindi un circuito, in cui si debbano considerare fenomeni in serie di resistenza e reattanza, se s'indica la resistenza con R, l'autoinduzione con L e la capacità (in serie) con C, qualora sia eccitato da una f. e. complessa:

sarà percorso dalla corrente complessa:

Da ciò apparisce che l'autoinduzione per sé stessa spegne le armoniche tanto più, quanto maggiore è la loro frequenza, mentre la capacità in serie per sé stessa le esalta; in modo particolare poi saranno esaltate le frequenze, per cui i circuiti sono risonanti. Su questo principio, applicato a circuiti semplici, o a fasci, sono fondati quei sistemi che si chiamano anche "filtri", destinati a ricevere l'azione di una f. e. complessa, o una corrente complessa, e praticamente a lasciarsi attraversare con intensità non inapprezzabile soltanto da frequenze determinate, oppure da bande di frequenze limitate opportunamente fra una superiore e una inferiore.

Anche per una corrente o per una f. e. complessa si può definire il valore efficace. Risulta che il quadrato del valore efficace è la somma dei quadrati dei valori efficaci delle singole componenti.

Così si può considerare la potenza di una corrente complessa; essa in generale ha per valor medio il prodotto del valore efficace della f. e. per il valore efficace dell'intensità, e per un fattore, in ogni caso minore di 1, che dipende dalla composizione delle funzioni che rappresentano intensità e f. e. Questo fattore minore di i può definire un angolo, di cui esso sia il coseno. Se questo angolo s'indica con la lettera ϕ si può scrivere come valor medio della potenza, in funzione del valore efficace della f. e., &out;e, e del valore efficace dell'intenstà,

ma l'angolo ϕ non ha alcuna relazione geometrica con le curve, che rappresentano f. e. e intensità. Si può parlare di differenza di fase di queste curve, se l'una si può dedurre dall'altra con semplice cambiamento di scala associati a uno scorrimento lungo l'asse dei tempi; ma nemmeno in tal caso l'angolo che compare nella (20) sarebbe la differenza di fase.

Elementi interessanti delle curve complesse di grandezze periodiche sono il valor medio durante il mezzo periodo (in generale è nullo il valor medio durante un periodo), che nel caso delle funzioni sinusoidali è il prodotto del valore massimo per 2/π, il valore massimo, il valore efficace, e il rapporto fra questo e il medio, che dà un'idea della deviazione dall'andamento sinusoidale, e che si chiama "fattore di forma". Il fattore di forma delle curve sinusoidali è π/2√2 = 1,11.

Bibl.: G. Sartori, La tecnica delle correnti alternate, Milano 1913; A. Russel, A Treatise on the Theory of alternating Currents, voll. 2, Cambridge 1904-6 (traduz. fr., Parigi 1909); C.E. Magnusson, Alternating Currents, New York 1921; C.P. Steinmetz, Alternating Current Phenomena, New York 1916; E. Arnold, Die Wechselstromtechnik, I, Theorie der Wechselströme, Berlino 1923; A. Fränkel, Theorie der Wechselströme, Berlino 1929.

Le correnti telluriche.

Fra due punti del suolo esistono differenze di potenziale, che vengono rilevate ponendo nei punti stessi elettrodi collegati a cavo isolato, nel quale è inserito un galvanometro, o meglio un potenziometro compensato. Nota la resistenza del circuito, si deduce, dall'intensità della corrente, la differenza di potenziale.

Si tratta di misure delicate, da compiersi con molte precauzioni, in siti non perturbati da correnti industriali, e per lunghi intervalli di tempo. Sono ricordate notevoli serie di determinazioni eseguite a Greenwich (1865-66) e a Berlino (1884-87). Le più importanti ricerche sono quelle compiute dal servizio telegrafico svedese, sotto la direzione dello Stenquist, e quelle in corso presso gli osservatorî dell'Ebro, presso Tortosa, in Spagna, e a Watheroo, in Australia (dal 1924, per cura della Carnegie Institution di Washington). Le correnti telluriche vengono esplorate con apparecchi registratori; le sonde sono poste a distanze da 1 a 3 km., una coppia in direzione N.-S., l'altra in direzione E.-O.

Nell'osservatorio di Watheroo si hanno differenze di potenziale dell'ordine da 1 a 2 millivolta per chilometro. Esistono tipiche fluttuazioni diurne e annue, nell'intensità di corrente; la direzione di esse è invece quasi stazionaria; prevale di gran lunga la componente N.-S. La corrente tellurica ha dirette relazioni con le variazioni del magnetismo terrestre. Ogni variazione magnetica è accompagnata da analoga alterazione nella corrente tellurica; in particolare ogni burrasca magnetica è associata a correnti telluriche di eccezionale intensità e variabilità, le quali disturbano fortemente i servizî telegrafici.

Le sistematiche differenze di potenziale, fra punti di uno stesso piano orizzontale, hanno carattere tellurico; invece analoghe differenze, che si riscontrano fra punti a diverso livello, in zone montuose o in pozzi, sembrano derivare da cause locali, generalmente da azioni termoelettriche.

Bibl.: I lavori originali sull'argomento sono in gran parte pubblicati, o largamente riassunti, nella rivista trimestrale Terrestrial Magnetism and Atmospheric Electricity, Cincinnati (S. U.).

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