Corruzione

Enciclopedia delle scienze sociali (1992)

Corruzione

Franco Cazzola

Introduzione

Il tema 'corruzione', così come altri che a questo si possono accomunare in quanto caratterizzati dall'elemento della segretezza e dell'illegalità formale (potere occulto, connessione tra delinquenza e politica, ecc.; v. Bobbio, 1980), non è mai stato centrale nell'analisi delle scienze sociali. Pur essendo stato considerato anche dai classici come uno degli aspetti significativi dei diversi sistemi sociali e politici, questo tema-problema non è mai diventato oggetto di modelli, teorie e indagini di ampio respiro.Oggi esso sta conoscendo una certa fama anche in conseguenza di fenomeni di non poco conto verificatisi in alcuni dei maggiori paesi occidentali (negli Stati Uniti all'epoca della presidenza Nixon, in Francia con Giscard d'Estaing, in Germania, in Giappone negli anni settanta e in Italia a partire dalla seconda metà degli stessi anni settanta). Come però è già stato ricordato da altri autori, questa recente ondata di interesse per il problema è stata preceduta da almeno altri due periodi in cui di 'corruzione' si sono occupati (sempre marginalmente) gli studiosi di scienze sociali.Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, quando si verificano grandi rivolgimenti nei paesi europei, "il filone realistico della nascente scienza politica si interroga sulla natura e sul destino dei fenomeni degenerativi connessi al parlamentarismo e allo sviluppo della politica di massa: corruzione parlamentare, compravendita del voto, clientelismo e patronato degli uffici, trasformismo, politicantismo e bossismo, machine politics, sono ampiamente presenti nelle pagine dei maggiori scrittori politici dell'epoca, da Mosca a Ostrogorsky, a Pareto, a Max Weber, a Bryce" (v. Belligni, 1987, p. 61).

Circa mezzo secolo più tardi non è più il mondo occidentale a essere sottoposto ad analisi sotto questo aspetto, ma, sull'onda della loro entrata nella scena internazionale, i riflettori vengono puntati sui paesi ex coloniali: "L'interrogativo a cui si cerca di dare risposta verte sulle ragioni del permanere, sia tra le élites modernizzanti che tra le popolazioni, di atteggiamenti e di comportamenti in contrasto con gli standard di legalità e di universalismo imposti dai nuovi ordinamenti mutuati dalla cultura occidentale" (ibid., p. 62).

Recentemente, come si diceva, si assiste a una ripresa di interesse per il complesso dei fenomeni che vengono etichettati con il termine 'corruzione', ma si è ancora ben lontani dalla chiarezza terminologica e da una robusta teoria della corruzione. Infatti, ancora oggi si usano le stesse categorie per strutture, funzioni e forme di comportamento illecito tra loro assai dissimili. Si passa da fenomeni che riguardano la degenerazione dei sistemi sociali o politici (v. Aron, 1965; v. Friedrich, 1963; v. Fraenkel, 1941; v. Dobel, 1978), a comportamenti privati eticamente discutibili, o ancora a fenomeni afferenti alla delinquenza organizzata che usa 'anche' lo strumento della corruzione.Per evitare di disperderci in una molteplicità di filoni e di distinzioni, prenderemo in considerazione soltanto la cosiddetta corruzione nei regimi politici, cioè quella che si realizza in sedi pubblico-istituzionali. Anche se ogni studioso del problema ha voluto proporre una sua specifica definizione della corruzione, i criteri fondamentali utilizzati per individuarla sono stati tre: legalità, interesse pubblico (bene comune), opinione pubblica.È stato sottolineato che la corruzione è l'abuso di ruoli e risorse pubbliche con il fine di ottenerne vantaggi privati. Abuso in tal senso può essere realizzato da chi detiene posizioni pubbliche o da chi cerca di influenzarle.

Ma quali sono gli indicatori che ci permettono di individuare l'abuso? Uno potrebbe essere costituito dalla inosservanza di quelle che sono le 'regole' secondo la pubblica opinione; il verificarsi di comportamenti contrari all'interesse pubblico ne rappresenta un altro. Entrambi sono però gravemente insufficienti: il primo è basato su standard oscillanti, vaghi e spesso contraddittori, mentre il secondo si basa su un qualcosa che nella maggior parte dei contesti non esiste. Un indicatore più stabile e preciso è costituito dalle norme, dalle leggi formali. La legge può cambiare, ma questo ci permette di confrontare i mutamenti nel tempo (v. Johnston, 1986, p. 460). Prendiamoli in esame con maggiore attenzione.

I criteri di definizione

A un primo sguardo le definizioni basate sul criterio opinione pubblica appaiono le più semplici: è corruzione ciò che viene considerato tale dall'opinione pubblica; un atto è presumibilmente corrotto solo se la società lo condanna come tale e se chi lo compie sente dei sensi di colpa nel compierlo (v. Leys, 1978). Una prima critica a questa impostazione deriva dalla vaghezza del criterio: che cosa è l'opinione pubblica? è quella che risulta dai sondaggi di opinione? è quella che possiamo ricavare dai giornali? è quella del 'pubblico' indifferenziato? o delle élites politiche?

Uno dei massimi studiosi dell'argomento ha cercato di superare questa critica 'graduando' le forme di corruzione. J. Heidenheimer (v., 1978) distingue infatti fra una corruzione 'nera', una 'grigia' e una 'bianca'. Nella sua teorizzazione, la corruzione è determinata dalla relazione tra il giudizio di un particolare atto dato dall'opinione pubblica e il giudizio dato dalla classe politica o burocratica. Se entrambi giudicano un atto come corrotto ed entrambi vorrebbero che esso venisse represso, allora abbiamo una corruzione 'nera'; all'estremo opposto abbiamo la corruzione 'bianca', ovvero quegli atti che, pur essendo giudicati da entrambi i soggetti in questione come corrotti, non sono da perseguire nel giudizio di nessuno dei due; tra i due estremi si colloca la corruzione 'grigia': quell'insieme di atti che solo una delle due parti vuole vengano perseguiti e repressi, mentre l'altra li ritiene accettabili. Secondo l'autore quest'ultima è la corruzione più pericolosa per la stabilità e la durata di un sistema politico, in quanto può portare a conflitti tra società civile e istituzioni politiche (o una parte di queste).

Questo tipo di definizione unisce criteri diversi, ma crea più problemi di quanti ne risolva; in particolare questo tentativo confonde due aspetti del problema corruzione: realtà e immagine, fatto e rappresentazione. Come ha scritto M. Johnston: "corruzione e percezione pubblica che un'azione sia corrotta non sono necessariamente la stessa cosa; possiamo imbatterci nell'una senza l'altra. Inoltre non possiamo basarci solo sulle opinioni e percezioni della società: la concezione popolare di ciò che è giusto o sbagliato è imprecisa e mutevole [...]. Di conseguenza le inchieste che chiedono alla gente di giudicare la corruzione o la scorrettezza delle azioni scoprono, più che divisioni di giudizio nette, una gamma di giudizi impercettibilmente graduati [...]. Le definizioni basate su questi giudizi finirebbero probabilmente per costringere in una falsa struttura un insieme di percezioni inafferrabili, o per produrre categorie tanto numerose, instabili e dai confini indistinti da essere inutilizzabili" (v. Johnston, 1986, p. 460).Il secondo criterio (quello che si basa sull'interesse pubblico) allarga notevolmente il concetto di corruzione. Prendiamo la definizione di A. Rogow e H. Lasswell: "Un atto positivamente responsabile è quello che serve a un sistema di ordine pubblico o civico nel contesto di una comunità.

Le deviazioni dalle norme di ordine pubblico e civico sono atti negativamente responsabili quando sono effettuate da persone capaci di intendere e in condizioni di apprendere le norme fondamentali. Diciamo che il cittadino di uno Stato democratico agisce in modo positivamente responsabile quando si sforza di proteggere le istituzioni fondamentali e lo schema basilare di distribuzione di valori all'interno della comunità [...]. Un sistema di ordine pubblico e civico esalta l'interesse comune ponendolo al di sopra degli interessi particolari; trasgredire l'interesse comune per interessi particolari è corruzione" (v. Rogow e Lasswell, 1966).È inutile, credo, riportare altre definizioni dello stesso tipo, mentre è doveroso ricordare che usando tale criterio ci si espone a critiche taglienti del tipo seguente: "questa definizione orienta la nostra attenzione verso qualunque atto o insieme di atti che minaccia la distruzione di un sistema politico, e lascia al ricercatore tutta la responsabilità di determinare che cosa è il pubblico o comune interesse prima di asserire che un determinato atto è corrotto [...]. Questa definizione, di fatto, consente a un politico di giustificare quasi ogni atto affermando che esso è nell'interesse pubblico" (v. Peters e Welch, 1978, p. 975).Infine, se ci si basa sul criterio della legalità, un comportamento è corrotto quando viola uno standard formale o una regola di comportamento predisposti da un sistema politico per i pubblici funzionari. In questo ambito, la definizione più articolata è fornita da J. S. Nye, per il quale 'corruzione' è "un comportamento che devia dai doveri formali di un ruolo pubblico (una carica elettiva o dovuta a nomina) per ottenere vantaggi privati (personali, di famiglia, di clan) relativi al denaro o allo status; oppure che viola delle regole stabilite per impedire indebite forme di influenza privata" (v. Nye, 1967). Sulla stessa onda si muovono altri autori sostenendo che "la corruzione è una pratica al di fuori della legalità, usata da individui o gruppi per influenzare le azioni della burocrazia" (v. Benson e altri, 1978; v. Abueva, 1966).

Le critiche che vengono mosse a coloro che utilizzano il criterio legalistico sono nella sostanza di un solo tipo: è una definizione al tempo stesso troppo stretta e troppo larga, in quanto non tutti gli atti di corruzione, si sostiene, sono illegali. Inoltre, se questo criterio può aiutare il ricercatore che si trova di fronte a norme certe e statutariamente specificate, per colui che invece deve operare in un campo in cui doveri formali di ufficio e regole sono ambigui, esso appare del tutto inutilizzabile.Tutte le definizioni che abbiamo visto presentano dunque limiti e rischi; conviene quindi adottare quella che da un lato tiene più presente la distinzione tra realtà e costruzione sociale della realtà, e dall'altro può risultare la più utilizzabile in una ricerca. In altre parole, credo che l'approccio meno ambiguo risulti quello fondato sulla definizione legalistica della corruzione, considerando gli aspetti dell'opinione pubblica come political responses (or non responses) a essa. Come è stato in proposito ben sottolineato, "questa prospettiva di analisi focalizza la nostra attenzione sui contrasti tra le norme ufficiali e quelle della società, in quanto problema politico importante di per sé. Le risposte o le non risposte alla corruzione, siano esse fornite dal governo o dalle opposizioni politiche, o dai cittadini comuni, sono in certi casi di gran lunga più importanti dal punto di vista 'politico' delle stesse azioni corrotte" (v. Johnston, 1986, p. 461).

La definizione che mi pare più utile ai fini di una ricostruzione empirica del fenomeno è quindi la seguente: perché si abbia corruzione, in quanto scambio di favori sotto forma di baratto o di scambio sociale, è necessaria la presenza di quattro elementi costitutivi: 1) che vi sia la violazione di norme e di regole sancite normativamente; 2) che essa avvenga nel corso di uno scambio che si svolge in modo clandestino tra arene politiche e mercato economico; 3) che tale violazione abbia come finalità l'appropriazione da parte di individui o gruppi che operano nelle arene politiche o nel mercato economico di risorse d'uso o di scambio (denaro, prestazioni, influenza, ecc.) di provenienza pubblica per una loro utilizzazione non prevista normativamente; 4) che tutto questo abbia come conseguenza a livello politico (voluta o accettata) di modificare di fatto i rapporti di potere nei processi decisionali, nonché di accrescere sempre più il divario tra potere e responsabilità (per alcuni gruppi o individui il potere aumenta senza che ciò comporti, per essi, una maggiore responsabilità), mentre, a livello sociale ed economico, all'impossibilità 'legale' di far rispettare i contratti di scambio consegue la violenza come elemento di sanzione (v. Padioleau, 1975).

Le teorie sulla corruzione

Sappiamo tutti che la corruzione c'è sempre stata e ha fatto la sua parte in ogni sistema sociale e politico; sappiamo che ciò che spinge a corrompere e a farsi corrompere è un insieme di passioni e interessi individuali o di gruppo, quali la ricerca del guadagno, il desiderio di potere, la ricerca di uno status superiore nelle diverse gerarchie; e che tutto questo è in gran parte insito nella natura umana. Ma, detto ciò, come spiegare il variare dell'intensità, della profondità, dell'estrinsecarsi, dell'emergere o meno della corruzione nelle diverse età e nei diversi luoghi? Come spiegare la sua 'funzione' in termini sistemici? Come analizzarne le cause e gli effetti? Come spiegare teoricamente in che modo e perché nasce, in che modo e perché si sviluppa?Semplificando al massimo il dibattito scientifico si può dire che le diverse teorie si attestano sulle seguenti posizioni: a) la corruzione è in ogni caso sintomo di malesseri e disfunzioni. I sostenitori di questa tesi sono stati definiti 'moralisti' dai sostenitori di altre tesi, in quanto legati a una visione morale o etica dei rapporti sociali e politici. Per fare qualche nome possiamo citare fra i 'moralisti' Gunnar Myrdal (v., 1968) e George C. S. Benson (v. Benson e altri, 1978); b) la corruzione non è sintomo di malesseri, ma dipende da variabili di tipo economico, sociale o politico e può avere, e in genere ha, effetti positivi sul funzionamento di un dato sistema sociale e/o politico. Attestate su questa seconda posizione troviamo una pluralità di scuole, ciascuna delle quali pone l'accento su determinate variabili, tutte accomunate, però, dalla considerazione che tanto le cause quanto le finalità della corruzione non possono essere giudicate in base a valori, ma devono essere analizzate 'scientificamente' (il che in realtà significa ben poco).

È ovvio che ritenere un male la corruzione implica una particolare visione dell'agire sociale e politico (che vi siano alcuni valori che non possono essere messi in discussione, che sia necessaria l'esistenza di una 'morale' o di un''etica' pubblica), implica cioè un giudizio di valore. Ma ci si trova nella stessa situazione quando si vuole sostenere che la corruzione è un fattore positivo per la modernizzazione, o per lo sviluppo economico o per l'integrazione di culture minoritarie in una cultura dominante; quando si vuole cioè proporre (in modo surrettizio) un giudizio di valore del tipo: è un bene in sé la modernizzazione, lo sviluppo economico, l'integrazione. Come vedremo più avanti, su questa seconda posizione troviamo approcci riconducibili a tre tipi di scuole, portatori di tre teorie differenti tra loro: quella che comunemente viene chiamata 'integrazionista' (il cui caposcuola è ancora oggi R. K. Merton, v., 1972; e poi J. V. Abueva, v., 1966; C. Leys, v., 1978); quella 'istituzionalista' (S. P. Huntington, v., 1968; A. O. Heidenheimer, v., 1978; J. C. Scott, v., 1972); quella infine, più recente, che potremmo forse definire 'economicista' (J. S. Nye, v., 1967 e soprattutto Rose-Ackerman, v., 1978).

Prendiamo in considerazione, innanzitutto, i 'moralisti'. Costoro non sono così sprovveduti come i loro avversari 'scientifici' hanno voluto farli apparire; per essi, origine della corruzione non è solo la natura umana, ma tutta una serie di 'azioni', o decisioni, o elementi strutturali di ogni singola società o sistema politico: in primo luogo il tipo di 'cultura politica', l'attaccamento popolare al regime (o la sua mancanza), le tradizioni culturali (come per esempio la 'parentela') che impongono norme e obblighi contrari alle regole ufficiali, le caratteristiche del processo politico (inclusa la sua celerità, i suoi ritardi, i modelli di accesso o di esclusione), le leggi contro la corruzione e la loro effettiva applicazione, i caratteri del sistema economico, quali fra gli altri il livello e l'ampiezza del settore pubblico, le caratteristiche del sistema politico, ecc.In ogni modo gli effetti non sono altro che caos politico e stagnazione economica (nel complesso del sistema): "dove la corruzione è diffusa, l'inerzia e l'inefficienza, così come l'irrazionalità, impediscono il processo di formazione delle scelte politiche e di pianificazione" (v. Myrdal, 1968, p. 293). E ancora: "quando il popolo si è convinto, a torto o a ragione, che la corruzione è ovunque, l'incorruttibilità di un funzionario sarà indebolita. E se questi dovesse resistere alla corruzione, si troverebbe poi in difficoltà nell'assolvimento dei propri doveri.

Consideriamo, ad esempio, il capo della polizia del distretto di Nuova Delhi [...]. Una volta ci lamentavamo con lui dell'abitudine dei guidatori di taxi di ignorare tutte le regole del traffico. 'Perché non ordina ai suoi agenti di far rispettare queste regole?' abbiamo chiesto. 'E come potrei?' ha risposto, 'se un poliziotto dovesse contestare al guidatore di taxi qualche infrazione, l'autista potrebbe dire: 'Vattene via, altrimenti dirò alla gente che mi hai chiesto dieci rupie'. E se il poliziotto gli replicasse che ciò non è vero, la risposta dell'autista potrebbe essere: 'E chi ti crederebbe?"' (ibid., p. 294). Chiunque abbia una minima esperienza di vita pubblica penserà che si sarebbero potuti fare esempi molto più vicini a noi nel tempo e nello spazio.

Di tutt'altro segno è l'impostazione degli 'integrazionisti', cioè di quegli studiosi che, a partire da R. K. Merton e sotto l'influsso dello struttural-funzionalismo sociologico e antropologico, hanno teorizzato che la corruzione collegata con la 'macchina politica' ha svolto nelle città americane importanti funzioni trascurate di fatto dalle strutture ufficiali e che quindi essa non poteva essere repressa, pena conseguenze disastrose per la stabilità del sistema. Si è nella sostanza ritenuto, da parte di questi teorici, che essendo la società contemporanea estremamente impersonale e spersonalizzante, la corruzione permetteva di umanizzare gli interventi dello Stato, suppliva cioè alle carenze funzionali delle strutture ufficiali. Da questo quadro deriva che la corruzione favorisce l'integrazione in un dato sistema sociale e politico di gruppi che, se esclusi, avrebbero comportamenti dirompenti per la sopravvivenza del sistema stesso. In questa prospettiva, la corruzione appare come una conseguenza dell'esistenza di tensioni sociali (di carattere etnico, religioso o economico) e come un fattore di stabilizzazione di un dato assetto di potere.In parte derivante dall'impostazione mertoniana è il cosiddetto approccio 'economico' ai fattori e alle conseguenze della corruzione, in base al quale il ricorso a pratiche corrotte costituisce una risposta razionale alle domande di efficienza nella distribuzione dei beni e delle risorse pubbliche, efficienza resa impossibile dalle pastoie e dalle lentezze dell'apparato burocratico. Secondo alcuni appartenenti a questa scuola, la corruzione avrebbe persino la funzione di favorire gli investimenti e limitare i consumi, in quanto l'imprenditore troverebbe in queste pratiche illegali e clandestine il modo migliore per svolgere e sviluppare il suo ruolo. In mancanza di questi canali, le risorse monetarie di quell'imprenditore verrebbero buttate tutte sul mercato dei consumi con effetti inflazionistici e di stagnazione.

Nella stessa scia si pongono coloro che vedono la corruzione "come un mercato allocativo di risorse in periodo di scarsità. Secondo questa scuola, le funzioni positive della corruzione sono in relazione al loro contributo al mantenimento dell'equilibrio tra risorse scarse e una domanda di beni e servizi in eccesso. Questo potrebbe persino incoraggiare una sana competizione tra imprenditori" (v. Ben Dor, 1974, p. 66). In breve, secondo questo filone di analisi, tra le cause della corruzione dobbiamo indicare la scarsità (l'insufficienza) dei servizi posti a disposizione del settore pubblico (per inefficienza o per carenze oggettive), e tra gli effetti una sana competizione, lo sviluppo economico, la stabilità economico-finanziaria. L'impostazione, infine, degli 'istituzionalisti', è strettamente legata ai lavori degli studiosi dello sviluppo politico o della modernizzazione istituzionale. La grande maggioranza parte dall'analisi dei paesi emergenti, dei nuovi Stati indipendenti dell'Asia e dell'Africa negli anni sessanta e settanta, e dalla considerazione che molti di questi anziché procedere 'linearmente' verso stadi avanzati di sviluppo rischiano collassi e decadimento politico. La causa di tale fenomeno viene individuata nell'enorme crescita della partecipazione di massa senza un corrispondente impegno delle istituzioni politiche, il che comporta disordine politico e 'militarismo'. In questo quadro l'incapacità delle istituzioni di elaborare le risposte alle domande sempre crescenti dei nuovi partecipanti al sistema politico conduce a due modi alternativi di 'presentare' le stesse domande: attraverso la violenza o la corruzione. Il massimo teorico di questa scuola, S. P. Huntington (v., 1968, pp. 70-82), giudica più pericolosa la prima della seconda, sia perché nel processo di corruzione tra corrotto e corruttore si viene a stabilire un rapporto di 'identificazione' che manca del tutto nel rapporto violento tra distruttore (attaccante) e distrutto (attaccato), sia perché la corruzione scioglie in modo 'indolore' (sempre secondo l'autore) nodi che la violenza semplicisticamente taglierebbe, sia infine perché la corruzione costituisce una modalità di costruzione e di rafforzamento dei partiti politici, in presenza di debolezze istituzionali.

Il problema dello studio empirico della corruzione

Come fare a individuare quei comportamenti che violano qualcosa per raggiungere qualcos'altro? Poiché si tratta di comportamenti contra legem è ovvio che essi tendono a essere 'nascosti', segreti, costituendo "transazioni che hanno luogo in un mercato politico occulto" (v. Belligni, 1987, p. 69); non si può cioè pensare di trovare dati e indicazioni sul peso e sul valore della corruzione politica come se si trattasse di una transazione borsistica, con tanto di grida e di avvisi pubblici. Il fatto 'corruzione' deve allora trovare qualcosa o qualcuno che lo disveli, lo porti alla luce del sole. Ogni cittadino può svolgere questa funzione maieutica, di far nascere pubblicamente ciò che è già nato segretamente, ma perché ne rimanga traccia è necessario che qualcun altro registri, memorizzi ciò che il cittadino ha rivelato.Queste considerazioni conducono evidentemente al problema delle fonti e a quello del progressivo restringersi del fiume (visibile, studiabile) chiamato 'corruzione', che in continuazione si divide in una parte che scorre in superficie e una parte che penetra sottoterra. Tentiamo di chiarire con un esempio: il pubblico funzionario Tizio 'vende' le sue prestazioni pubbliche in cambio di denaro al signor Caio; questo atto può essere scoperto o no; se non viene scoperto il fatto per il ricercatore non esiste, se viene scoperto 'può' esistere a condizione che ne esista una registrazione (ad esempio presso le istituzioni preposte al controllo del rispetto della legalità); la registrazione può essere consultabile oppure no; se non lo è per una qualunque ragione (perché è un segreto di Stato, in quanto la sua conoscenza potrebbe costituire un danno per il regime politico in vigore; perché la sua registrazione è nascosta sotto enormi mucchi di carta; perché per trovarla dovrebbero lavorare in luoghi diversi migliaia di persone per un numero x di anni, ecc. ecc.), il fatto di nuovo è come se non esistesse; se è possibile invece rendere di dominio pubblico la registrazione, la corruzione esiste.

È chiaro a questo punto che il fiume si è ridotto di non poco (o almeno può essersi ridotto); sono infatti almeno quattro i momenti-soglia-selezione: il reato è commesso e viene o non viene scoperto; viene o non viene denunciato alla magistratura; dà o non dà vita a un procedimento penale; viene o non viene ripreso dalla stampa.La scoperta di un reato è strettamente collegata al grado di 'controllo sociale' o di 'controllo istituzionale' esistente in un dato sistema politico in un dato momento. Se le istituzioni di controllo non funzionano (non importa qui soffermarsi sul perché non funzionano), se ogni cittadino si preoccupa solo di quello che succede a lui, il primo livello di selezione (la prima soglia) costituirà già da solo un potentissimo canale di occultamento della corruzione. È un quantum, ad ogni modo, assolutamente non calcolabile. La denuncia agli organi competenti di un reato dipende da due insiemi di variabili: dalla volontà del cittadino di esporsi a un rapporto con le istituzioni di controllo e di repressione (quindi da come il cittadino 'vede' il suo rapporto con lo Stato), ma anche da come il cittadino realmente giudica il fatto che ha scoperto: reato o no? atto illegale e illegittimo oppure atto sì illegale, ma legittimo secondo la communis opinio?La decisione di dar vita a un procedimento penale dipende anch'essa da una serie di valutazioni da parte del soggetto: a prescindere da quella puramente tecnica ('si è trattato veramente di un reato?'), vi sono quelle ideologiche 'di valore': ammettendo che si tratti di un reato, è bene o male procedere contro certi attori/rei? è possibile imputare reati 'politici' ai politici? il reato è un male, ma la delegittimazione del politico non può essere un male peggiore? La selezione dipende quindi non solo da fattori tecnici, ma anche dal grado di omogeneità tra classe politica e magistratura. Anche qui è possibile avanzare ipotesi a seconda del tipo di rapporti che intercorrono tra i diversi attori chiamati in causa, e quindi delle diverse logiche che regolano il loro comportamento. Se tra magistratura e classe politica abbiamo un rapporto di subordinazione della prima alla seconda, i 'politici' possono incorrere in tutti i reati che vogliono senza alcun reale rischio di essere incriminati. Se la magistratura è psicologicamente o strutturalmente timorosa o 'succube' della politica, non interverrà mai, neppure (forse) in flagranza di reato. Oppure, se è strumento di parte della classe politica, interverrà solo quando il reo appartiene alla parte avversa. È però anche ipotizzabile un caso completamente opposto, cioè una magistratura non solo autonoma dalla classe politica, ma che si sente anche investita di ruoli di supplenza: poiché il 'politico' non svolge il suo ruolo, la magistratura ne prende il posto, occupa lo spazio lasciato vuoto dai governanti, per dare un indirizzo 'giusto' alla società. Nel primo caso possiamo parlare di 'politicizzazione' o di 'partitizzazione' della magistratura, nel secondo di 'via giudiziaria alla politica'.

L'ultimo passaggio è ancora più 'soggettivo': il dare o non dare la notizia di un fatto non presenta aspetti tecnico-legali (come è invece per il magistrato), ma esclusivamente di tipo etico-professionale oppure di opportunità e di schieramento politico. La corruzione di un assessore costituisce una notizia? È opportuno per la strategia 'politica' del giornale informare sull'arresto di ministri, di sindaci o di parlamentari di questo o di quel partito?

Da quanto appena detto appare evidente che lo studio della corruzione, in politica o della politica, non può non partire dalla considerazione che questa muta al mutare delle forme e delle strutture statali, in conseguenza delle grandi sfide alla politica (estensione della cittadinanza, costituzione e consolidamento dello Stato, ecc.; v. Binder, 1971), che muta soprattutto il suo emergere nelle varie sedi di cui ho fatto cenno (nella concezione dei cittadini, nell'operato della magistratura, nell'informazione). Di conseguenza è opportuno cercare di analizzare il fenomeno nei diversi periodi storici, così come è necessario approfondirne i vari elementi costitutivi: gli attori e i luoghi (ruolo nelle varie sedi amministrative, politiche, appartenenza partitica); i beni scambiati (moneta, voti, sostegno, favori, simboli di status, ecc.); i fini politici della corruzione (finanziamenti, consenso, o entrambi); le sue dimensioni sociali ed economiche (quanto denaro, quante persone, quante strutture risultano coinvolte); i suoi possibili effetti politici, esito delle coalizioni coinvolte, mutamenti nelle forme del sostegno, regole generali della politica.

A prescindere da questi ultimi, abbiamo quindi due gruppi di variabili da esaminare in generale e poi da controllare rispetto alle dinamiche dei vari periodi storici. Il primo gruppo è costituito dal luogo dove si realizza il processo di corruzione: nella fase di aggregazione e articolazione delle domande politiche; in quella dell'elaborazione legislativa delle norme e della loro attuazione amministrativa/governativa; nei luoghi di controllo della loro attuazione e della loro osservanza; al centro del sistema politico o in periferia. Il secondo gruppo è invece costituito dal contenuto del processo di corruzione: quale 'merce' viene scambiata (denaro o altro, ovvero un'azione da compiere o da non compiere: 'fare/non fare'), quanta merce, con quanti 'complici' (uno, più, molti), che mettono in gioco un singolo 'settore'/ufficio pubblico o una pluralità di essi (e quindi rapporti diadici o multipli).In linea di ipotesi, sono possibili piccoli/medi/grandi 'scambi', con rapporti diadici o multipli, per ottenere un 'fare' o un 'non fare'. Inoltre essi possono verificarsi, in centro o in periferia, nei processi di articolazione della domanda politica, di elaborazione legislativa, di attuazione delle norme, di controllo sulla loro attuazione, o infine, nei processi di comunicazione relativi alle norme e ai loro effetti. Teoricamente, quindi, combinando i diversi elementi, ci possiamo trovare di fronte a 120 ipotetiche forme di corruzione operanti nel sistema politico.

Fin da una prima riflessione, ci si rende conto che l'esistenza di molte di queste forme dipende dalla struttura del sistema politico: un sistema politico che non contempla 'periferie' o decentramento politico e/o istituzionale non può ovviamente conoscere forme di corruzione periferica; così come non può conoscerne altre quel sistema che non preveda un libero sottosistema di articolazione o aggregazione delle domande politiche, ecc.A questo punto occorre prendere in considerazione le diverse fasi di costruzione (i momenti di sfida o di crisi) dei sistemi politici. Senza avere, ovviamente, la presunzione di elaborare alcunché di definitivo o di paradigmatico, vorrei semplicemente avanzare alcune primissime ipotesi relative alla possibilità di presenza di forme di corruzione nelle varie fasi dello sviluppo politico.Per questo conviene richiamare le variabili prima considerate: entità dello scambio; complessità dei rapporti di scambio; fare/non fare; centro/periferia; fasi del processo politico.Ricordiamo ora brevemente le sfide fondamentali, o crisi sistemiche, che diversi autori hanno concordemente individuato come caratterizzanti le varie fasi storiche dei sistemi politici: crisi di consolidamento, di integrazione, di identità, di legittimità, di partecipazione, di distribuzione.

Le prime due sono caratterizzate dall'espansione e moltiplicazione delle strutture statali (dal centro verso le periferie); nella terza e nella quarta prevalgono gli elementi culturali, simbolici, di comunicazione, nonché, per taluni aspetti, la politica come insieme di procedure; nella quinta vengono sfidati i confini del sistema politico, emergono cioè le nuove domande di cittadinanza, di diritti, nuovi bisogni, nuovi interessi che cercano di entrare in rapporto con la sfera politico-istituzionale; l'ultima crisi, infine, riguarda modalità e ampiezza dei trasferimenti di ricchezze (beni, servizi, ecc.) dai cittadini al potere legittimo e da questo ai cittadini.

Tali sfide possono anch'esse, come avviene per gli altri elementi, essere combinate con le variabili sopra accennate: entità dello e rapporti nello scambio, fare/non fare, centro/periferia e fasi del processo, dando luogo a un'ampia casistica.

A questo proposito appare ovvio che nella crisi sistemica di tipo distributivo si abbia (in astratto) la massima espansione delle forme di corruzione (il che non vuol dire che esse si debbano concretizzare, ma significa semplicemente che ci sono alcune precondizioni che, in mancanza di altri elementi, favoriscono l'espandersi della corruzione). Appare altrettanto evidente che nelle crisi di identità e di legittimazione possano apparire forme di corruzione prevalentemente in alcune fasi del processo politico, con entità e rapporti di non grande complessità. Nella crisi di partecipazione le forme di corruzione possono presentarsi in quasi tutte le fasi del processo politico al fine di 'fare' (riconoscimento della cittadinanza, diritti, interessi, ecc.) o di 'non fare' (disconoscimento di diritti, interessi, ecc.). In merito infine alle prime due crisi (prime non necessariamente in senso cronologico) i processi di corruzione possono estendersi, man mano che si 'costruisce' lo Stato, dal centro alla periferia (appena costituita istituzionalmente) essenzialmente per 'non fare' cioè per non 'pagare' la costruzione stessa dello Stato.Come tutto questo poi si sia realmente e storicamente verificato non dipende, com'è ovvio, soltanto da un ragionamento logico astratto, più o meno corretto: è dipeso e dipende dai valori e dai comportamenti dei cittadini e degli Stati.

Bibliografia

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