COSTANTE II, Imperatore d'Oriente

Enciclopedia Italiana (1931)

COSTANTE II (Flavius Heraclius Constans), Imperatore d'Oriente

Angelo Pernice

Nacque nel 630 da Costantino III, primogenito di Eraclio. Alla morte del padre si trovò escluso dalla successione, essendo il trono occupato da Eracleona, figlio di secondo letto di Eraclio, da questo dato a collega e designato come successore di Costantino II. Una rivolta militare, capitanata da Valentino, spianò la via al giovane principe: Eracleona fu deposto e C. fu proclamato solo imperatore (novembre 641). In quell'occasione, C., in memoria del padre, assunse il nome di Costantino III, nome che fu poi sempre usato negli atti ufficiali, ma che non entrò nella tradizione storica.

Fino al 648 fu sotto la tutela del senato. Furono anni difficili per l'impero. Gli Arabi, padroni ormai della Siria e dell'Egitto, si gettarono da un lato verso l'Anatolia e l'Armenia, dall'altro verso la Libia. A questa pressione nemica si vennero ad aggiungere rivolte interne. Nel 643 si ribellò il generale Valentino. Domata questa rivolta, nel 647 insorse l'esarca d'Africa Gregorio, proclamandosi indipendente. Uscito di minorità, C. affrontò con risolutezza la situazione. I suoi primi provvedimenti furono volti a restaurare l'ordine interno e a riordinare l'esercito. A questo scopo, poiché una delle cause principali delle agitazioni era la controversia suscitata dal monotelismo, nel 648, d'accordo col patriarca Paolo, pubblicò un editto (Tipo) col quale, senza entrare in merito alla dottrina, proibiva severamente che si continuasse a discutere intorno al problema se in Gesù, dopo l'incarnazione, ci fossero state una o due volontà, una o due energie umana e la divina. Contemporaneamente egli venne estendendo il regime dei temi che era già apparso negli ultimi anni del regno di Eraclio, ciò che comportava un rimaneggiamento negli alti gradi dell'esercito e dell'amministrazione civile.

Questi suoi provvedimenti dapprima susci. tarono opposizione. ll Tipo fu condannato dal clero armeno (concilio di Dovin, 648), dal papa Martino (concilio del Laterano, 649) e dall'abate Massimo, uno dei più attivi avversarî del monotelismo, e di ciò approfittarono l'esarca di Ravenna, Olimpio, che si ribellò, i principi armeni che passarono ai musulmani, e gli scontenti colpiti dalla riforma militare, che ordirono una congiura contro C. Questi però procedette con fermezza. L'Italia fu ricondotta all'obbedienza, il papa Martino fu catturato, e, condotto a Costantinopoli, fu, sotto l'accusa di alto tradimento, condannato all'esilio in Crimea, dove morì (655); l'abate Massimo e molti suoi fautori furono confinati nel Caucaso; mentre i cospiratori politici furono mandati a morte.

Contro i nemici esterni l'azione di C. non fu così fortunata. Egli iniziò grandi imprese; ma non le compì mai con mezzi tali che gli assicurassero il successo. La sua opera però non fu vana. Gli Arabi non furono certo contenuti nella Siria e nell'Egitto e fecero progressi nell'Africa e nell'Armenia; ma i loro progressi furono senza tregua ostacolati, sì che fu rotto il loro impeto espansivo e i centri vitali dell'impero furono salvati. Nel 651 C., per far fronte alla situazione interna, conchiuse col governatore arabo della Siria (poi califfo) Mu‛āwiyah una tregua, sottomettendosi al pagamento di un tributo annuo. Ma nel 654, mentre l'imperatore si trovava in Armenia per pacificarla, Mu‛āwiyah intraprese una grande offensiva puntando per terra contro Cesarea di Cappadocia, per mare contro Rodi. C. rientrò rapidamente in Costantinopoli e affrontò per mare il nemico presso Fenice, sulla costa della Licia; ma fu sconfitto e ferito. Anche per terra i Bizantini ebbero dei rovesci. La situazione non migliorò se non nel 656, quando C., profittando delle lotte civili scoppiate fra gli Arabi, costrinse Mu‛āwiyah a firmare la pace (659).

Sospesa la guerra in Oriente, C. si volse all'occidente. Nel 659 intraprese una spedizione contro gli Slavi, che si erano stanziati nella Macedonia e nella Tessaglia minacciando Salonicco. I nuclei più pericolosi furono dispersi e molte tribù furono trapiantate in Asia per essere adoperate contro musulmani. Nel 662, dopo avere regolato la successione al trono, associando al potere i suoi tre figli Costantino, Eraclio e Tiberio e mandando a morte, sotto l'accusa di cospirazione, il proprio fratello Teodosio, partì per l'Italia. Scopo dell'impresa era la riconquista della penisola. Egli forse sperava che al suo apparire gl'Italiani si sarebbero schierati sotto le sue insegne, come avevano fatto con Belisario. Ma i tempi erano mutati. Gl'Italiani si erano disaffezionati da Bisanzio e lo stesso imperatore era odiato per il trattamento inflitto al papa Martino. La spedizione pertanto fallì miseramente. Sbarcato a Taranto nella primavera del 663, C. venne a porre l'assedio a Benevento. In difesa della città accorse il re Grimoaldo; ma l'imperatore non ne aspettò l'arrivo e, conchiuso un accordo col duca Romualdo, si ritirò prima a Napoli, poi a Roma, dove fu accolto con deferenza dal papa Vitaliano, e finalmente a Siracusa, dove stabilì provvisoriamente la sua sede. Fallito ormai il disegno di riconquistare l'Italia, C. si diede a organizzare la guerra contro gli Arabi. A questo scopo ordinò che gli fossero inviati soccorsi da Costantinopoli. I suoi ordini non poterono essere eseguiti perché, a partire dal 663, l'esercito bizantino d'Oriente si trovò seriamente impegnato contro gli Arabi, avendo Mu‛āwiyah, diventato ormai califfo, rotto la pace e invaso l'impero. C. si ostinò nei suoi propositi, rendendosi impopolare e odiato tanto a Costantinopoli, dove lo si accusò di voler trasferire la sede dell'impero in Occidente, quanto in Sicilia, in Calabria e in Sardegna, dove aveva imposto forti tasse. Dopo quattro anni di una lotta sfibrante, alcuni capi dell'esercito e della corte imperiale, stanchi della guerra e della lontananza dalla capitale, ordirono una congiura per togliere di mezzo il sovrano. E il 15 luglio 668, mentre questi prendeva un bagno, il ciambellano che l'assisteva, Andrea figlio di Troilo, gli fece cadere sulla testa un pesante vaso di metallo che conteneva il sapone. Al colpo C. tramortì e cadde riverso nella vasca, dove morì per soffocazione.

Bibl.: J. Kaestner, De imp. Const. III (641-668), Lipsia 1907.

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