ARIANITI, Costantino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ARIANITI, Costantino (detto Cominato e Comneno)

Franz Babinger

Nacque verso il 1456 probabilmente a Durazzo, da Giorgio, feudatario albanese noto per le sue lotte contro gli invasori ottomani in Albania, e da Pietrina Francone, pugli ese, figlia primogenita del barone di 'faurisano, Oliviero Francone, luogotenente aragonese in Lecce. Giorgio Arianiti, dopo una vita dedicata quasi interamente alla lotta contro il pericolo turco, concluse i suoi sotto la protezione della Serenissim babilmente a Durazzo (certament dopo il 1461), come risulta da fonti ziane nell'Archivio di Stato di Venezia, Senato Mar, vol. VII, c. 23

Il 3 sett. 1463 la sua vedova si presentò davanti al Senato veneziano, invocando protezione e sostentamento per i suoi figli. A Paolo Quirini, bailo e capitano di Durazzo, fu ordinato di interessarsi attivamente della questione tanto che il 13 maggio 1464 i tre figli di Giorgio, Toma, Costantino e Arianiti, furono riconosciuti patrizi veneziani. Di lì a poco sembra che Pietrina abbandonasse Durazzo, fino ad allora suo rifugio, per ritornare nella sua patria salentina (a Lecce la famiglia possedeva sicuramente dei beni), ma poco dopo essa dové trasferirsi a Roma, dove ottenne dalla Curia pontificia la concessione di un aiuto finanziario per sé e per i suoi figli.Costantino entrò al servizio pontificio con una posizione di rwevo, arrivando alla carica di protonotario apostolico. Nel 1483 gli fu confermato il privilegio del patriziato veneto (Arch. di Stato di Venezia, Misti del Cons. dei X, vol. XXI, c. 117 v., vol. XXXI, c. 229 v., vol. XXXII, cc. 2, 29).

L'11 luglio 1489 l'imperatore Federico III, in una lettera indirizzata da Pordenone al papa, Innocenzo VIII, interpose i suoi buoni uffici in favore di Pietrina, menzionando anche l'A., il quale però in quel tempo aveva già abbandonato o forse rinunciato alla sua carica in Curia (senza dubbio subito dopo la morte di Sisto IV nel 1484), poiché sin dalla fine del 1486 entrò al servizio di sua nipote Maria, nata Branković e moglie del marchese di Monferrato Bonifacio IV Paleologo.

Nel Monferrato l'A. dovette conoscere Francesca, probabilmente una figlia illegittima del marchese Bonifacio, che egli sposò intorno al 1489 ricevendone in dote castelli e ricche terre, che gli assicurarono una solida base finanziaria.

Alla morte di Bonifacio nel 1494, seguita subito dopo da quella della moglie Maria (27 ag. 1495), l'A. assunse, contro, l'opposizione di una considerevole parte dellajiobiltà del Monferrato, la carica di governatore del marchesato e di tutoredei due figli minorenni della coppia defunta, Guglielmo Giovanni e Giorgio Sebastiano. In questo periodo l'esistenza dei marchesato fu minacciata dall'invasione di Carlo VIII e fu necessaria tutta l'incontestabile abilità diplomatica dell'A. per stabilire buoni rapporti con i Francesi e mantenere ai Paleologi la sovranità sul Monferrato. Egli andò incontro al sovrano ben due volte, sollecitando la sua protezione e la sua benevolenza per il marchese rninorenne e il suo piccolo stato, che l'A., il quale nel frattempo cominciò ad intitolarsi principe di Macedonia e duca di Acaia, amministrava anche nel proprio interesse.

Come dimostrano non pochi documenti originali ora conservati a Vienna, gli stretti rapporti dell'A. con la corte imperiale datano a partire dal 16 nov. 1495, allorché l'imperatore Massimiliano I confermò il suo "consanguineo"quale tutore dei due giovani marchesi del Monferrato. Tali rapporti si saldarono in varie missioni diplomatiche, nelle quali l'A. poté eliminare almeno in un primo momento la sfiducia di Massimiliano I insorta assai presto nei suoi riguardi, cosicché il 12 giugno 1496 l'imperatore manifestò il proposito di nominare da Augusta l'avventuriero suo vicario generale in quelle parti d'Italia sottoposte direttamente all'Impero. Tale progetto non fu però mai realizzato, cosicché il principe di Macedonia e duca, di Acaia si decise ad avvicinarsi a Carlo VIII incoraggiando il più possibile i suoi grandiosi progetti orientali. Egli stesso pensava di trarre dall'impresa grandi vantaggi, e Filippo de Commynes progettò di nominare l'A. niente meno che re di Macedonia. Senonché l'avventuroso progetto di invadere con una flotta che salpasse da Venezia l'Albania, per sollevarla contro i Turchi, fallì per il saggio comportamento dei Veneziani (marzo 1495). A Venezia l'A. fu anche arrestato, ma, liberato poco dopo in quanto nobile veneziano, poté rifugiarsi in Puglia e Carlo VIII premiò i suoi equivoci servizi con la concessione del grado più alto dell'ordine di S. Michele, il cui emblema l'A. usò poi portare con molta fierezza. Dopo l'inattesa morte del re, l'A. perse tuttavia ogni appoggio presso la corte di Francia: dal successore di Carlo VIII, Luigi XII, fu revocato dalla sua carica di govegatore del Monferrato e relegato nella rocca di Novara, dalla quale tuttavia poté evadere, rifugiandosi a Pisa, donde, dopo una breve sosta a Venezia, si diresse alla volta di Roma per offrire i suoi servigi al papa.

Nel gennaio del 1501 si presentò di nuovo davanti al Senato di Venezia in pompa magna, secondo la plastica descrizione dei Sanuto (Diarii, III, col. 1381), ma non riscosse molto successo, sicché si vide costretto a giocare un'altra volta la carta di Vienna, nella speranza di ottenere un incarico dalla corte imperiale. Alla fine dei novembre 1501 valicò le Alpi e riuscì effettivamente a riguadagnarsi il favore di Massimiliano I, che lo nominò suo ambasciatore presso la Curia pontificia. Nel febbraio del 1504 l'A. iniziò a Roma la sua nuova attività diplomatica per la quale poté giovarsi dei suoi stretti rapporti con la Signoria di Venezia, come pure della circostanza che Giulio II, appartenente come Sisto IV alla famiglia Della Rovere, gli concesse la sua particolare fiducia. Una sorella dell'A., Maria, aveva infatti sposato uno stretto parente della famiglia ligure, e l'A. non mancò di sfruttare ampiamente questa situazione sotto entrambi i papi, in particolar modo dopo la sua espulsione dal Monferrato.

A Roma l'A. s'interessò subito dei conflitti tra la Curia e Venezia per i possedimenti di Romagna, dove si svolsero le ultime vicende della sua avventurosa carriera. La sua efficienza come ambasciatore imperiale fu scarsa: intraprese numerosi viaggi tra Roma e la corte imperiale, ma senza riuscire ad ottenere sensibili successi, il che ebbe come conseguenza la perdita del favore imperiale, dovuta anche al fatto che l'A. aveva sempre manifestato una certa ambiguità nelle trattative diplomatiche con Venezia. Passò allora al servizio di Giulio II, dal quale fu impiegato negli anni seguenti in avventurosi affari presso la Serenissima, mentre l'imperatore, su sollecitazione dei Francesi che vedevano in lui un nemico irriducibile, rifiutava qualsiasi rapporto con l'A. riducendo ulteriormente la sua sfera d'azione diplomatica. Tale limite nell'attività politica dell'A. si rese evidente nel 1509 quando fallì nel tentativo di imporre alla corte imperiale la sua opera di mediazione tra il papa e Massimiliano.

Poco prima di morire, Giulio II nominò l'A., che aveva rinunciato ormai completamente alla carriera diplomatica per seguire la sua vera vocazione di condottiero, capitano generale delle truppe del Concilio lateranense (1512-1517), nella qual carica fu confermato da Leone X.

Il 6 marzo 1515 Leone X lo infeudò della città e castello di Fano, in quella Romagna ritornata di nuovo sotto il dominio pontificio.

Le alteme vicende della sua attività di feudatario romagnolo, subito immerso nel clima di lotte sanguinose con le popolazioni che gli si erano ribellate, si possono seguire minutamente e con estrema facilità sui documenti del tempo. Costantino Comneno, come con-ünciò a farsi chiamare l'A. esclusivamente, a partire da questi anni, preferì spostare la sua residenza dalla rocca di Fano al castello, molto più solidamente fortificato e pressoché imprendibile, di Montefiore Conca, un borgo di montagna nei dintorni di Rimini, concessogli insieme a Mondaino con un breve papale del 21 giugno 1524.

Montefiore restò la sua abituale dimora, dopo aver perduto o venduto l'un dopo l'altro i suoi possedimenti nel Monferrato, finché la morte non lo liberò dal "corpo languido et infermo" l'8 maggio 1530.

Fu sepolto nella basilica dei Santi Apostoli o, secondo altre indicazioni (cfr. V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e di altri edificii di Roma, III, Roma 1874, p. 40, nr. 117), nella chiesa di Sant'Agostino, ma il sepolcro, la cui iscrizione latina è conservata, resta introvabile.

Il suo testamento del 29 apr. 1530 si conserva, in minuta del notaio Lorenzo Leardini di Montefiore, nella Biblioteca comunale Gambalunga di Rimini (cfr. Monumenti riminesi autografi raccolti e conservati da Michelangelo Zanotti notaio collegiato di Rimini, XIV, c. 23).

La vedova visse con il suo unico figlio Arianit (Arianitto) ancora per qualche tempo a Montefiore. Sembra poi che si sia trasferita a Roma, dove il figlio occupò un posto di capitano (prefetto) delle truppe pontificie, finché morì il 16 nov. 1551 a Torchiara presso Parma, nel corso della guerra tra Giulio III e Ottavio Famese. Con lui si estinse la linea maschile della famiglia Arianiti in Italia.

Le figlie dell'A. sposarono membri di importanti famiglie nobili italiane, tanto che si potrebbe parlare quasi di una dinastia degli Arianiti. La maggiore, Andronica, sposò Carlo III Tocco, figlio del deposto despota di Zante e Arta Leonardo Tocco; la seconda, Pentesilea, si unì con l'albanese Lek Ducagjin; la terza, Ippolita, con Zanobio de' Medici, poi (nel 1532) con Lionello Pio di Carpi; la quarta, Polissena, con Rinaldo degli Ottoni di Matelica; la quinta, Deianira, con Gaspare Trivulzio, quindi in seconde nozze con il conte Giorgio Trivulzio. L'ultima, Elena, sposò il conte spagnolo Juan de Luna, castellano di Milano. Anche Arianit era sposato, ma il nome della sposa è rimasto fino ad ora sconosciuto. Sua figlia Andronica si unì nel 1568 ancora con un Trivulzio, Orazio, e in seconde nozze con un certo Giorgio Secco, nobile milanese. Il cognato dell'A., come marito, della sorella Andronica, figlia di Giorgio A., era il famoso Giorgio Castriota, detto Scander-Beg (m. 17 genn. 1468).

Bibl.: F. Babinger, Das Ende der Arianiten, in Sitzungsberichte der bayerischen Akademie der Wissenschaften, philol.-hist. Klasse, annata 1960, 4. fasc. Una medaglia di "Constantinus Cominatus" si trova riprodotta in G. F. Hill, Corpus of Italian Medals of the Renaissance, II, London 1930, tav. 186, n. 1124.

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