GIRARDENGO, Costantino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIRARDENGO, Costantino (Costante)

Lauro Rossi

Nacque il 18 marzo 1893 in una cascina presso Novi Ligure, dove il padre Carlo e la madre Gaetana Fasciolo avevano in affitto una piccola tenuta. Quarto di sette figli (altri tre maschi e tre femmine), frequentò la scuola fino alla sesta elementare, poi aiutò i genitori, nel frattempo trasferitisi a Bettole di Scrivia, dove avevano aperto una rivendita di sale e tabacchi con annessa una piccola osteria. Si cimentava, intanto, su una vecchia bicicletta del padre, lanciandosi nelle prime volate su strade sconnesse e polverose.

Poco dopo si trasferì a Lecco per lavorare come garzone presso una conceria. Di qui passò a Sestri Levante, trovando dapprima una sistemazione come aiutante in una ferriera, poi presso un piccolo armatore originario di Novi. Frequentava, nel frattempo, la coetanea Agostina Priano che nel 1914 sarebbe diventata sua moglie. Da Sestri si trasferì a Tortona avendo trovato impiego presso le officine Alfa; per recarsi al lavoro compiva allora una quarantina di chilometri al giorno con la vecchia bicicletta del padre.

Tra il 1909 e il 1910, procuratosi un nuovo mezzo (per 160 lire a rate), iniziò a partecipare alle prime corse nel Novese.

Arrivò quasi sempre secondo dietro B. Cavanna, che in seguito divenne insostituibile massaggiatore prima dello stesso G., poi di F. Coppi. Meglio fece l'anno seguente: allenandosi con G. Cuniolo, corridore già affermato, e con E. Bailo, suo futuro cognato, disputò 29 gare, vincendone ben 22 e ottenendo 5 secondi posti.

Nel 1912, quasi per caso, si ritrovò professionista, anticipando i tempi della sua carriera: un regolamento da poco entrato in vigore vietava ai dilettanti di pubblicizzare la propria immagine, ma la casa per cui il G. correva contravvenne a tale obbligo e quindi scattò per lui l'immediato provvedimento di squalifica. Gli venne, tuttavia, in soccorso l'industriale A. Maino, che gestiva ad Alessandria una delle più importanti squadre professionistiche, offrendogli immediata possibilità d'ingaggio. Quell'anno non fu però molto felice per il G. perché, vinta la coppa Bagni di Casciana, conobbe poi solo una lunga serie di incidenti e ritiri.

Assai meglio le cose andarono nel 1913, allorché, ritiratosi dalla sua prima Milano-San Remo, corsa che in seguito avrebbe vinto ben sei volte, ottenne il primo posto in una tappa del Giro d'Italia, giungendo poi sesto nella graduatoria finale, e riportò pure successi nella Seicento km e nella XX Settembre (infliggendo nella seconda tappa ben 41 minuti ai più grandi campioni di allora, L. Ganna, C. Galetti e G. Rossignoli). Ma, fatto ancor più rilevante, vinse il campionato italiano, che si disputava quell'anno lungo il percorso Alessandria-Spinetta.

Da allora avrebbe indossato ininterrottamente la maglia tricolore per nove stagioni, stabilendo un record difficilmente eguagliabile. Il suo nome cominciava ormai a circolare e il grande pubblico guardava con simpatia a quel piccolo, giovane corridore, forte nelle salite ma anche abile passista e ottimo sprinter, etichettandolo ora come "Gira", ora come "Giribaldengo", ora come "omino di Novi".

Meno fortunato fu il 1914; il G. vinse la Milano-Torino, ma si piazzò solo diciassettesimo alla Milano-San Remo e si ritirò alla quinta giornata del Giro d'Italia, dopo aver vinto la Lucca-Roma di 430 km. Né ebbe maggior fortuna alla sua prima apparizione al Tour de France che, per inesperienza e difficoltà ambientali, abbandonò dopo poche tappe.

Nel 1915, passato alla Bianchi, trionfò alla Milano-San Remo, ma una piccola infrazione commessa a Porto Maurizio (percorse un tratto di strada sbagliato) gli procurò la squalifica. Si rifece poco dopo alla Milano-Torino, dando prova di aver raggiunto una condizione psicofisica davvero ragguardevole. L'entrata in guerra dell'Italia ne frenò tuttavia lo slancio, poiché venne richiamato nel 5° reggimento bersaglieri e inviato dapprima a Cairo Montenotte, poi a Savona. Nel 1916, anno nel quale non si disputarono corse, venne impiegato come operaio calibrista in una fabbrica di Sestri. Nel 1917 ricominciò ad allenarsi; poco fortunato nelle gare su strada, riuscì però a stabilire il 17 agosto, al velodromo del Sempione di Milano, il record italiano dell'ora percorrendo 41,032 km.

L'anno seguente si aprì sotto i migliori auspici: riuscì finalmente a vincere la sua prima Milano-San Remo, infliggendo un ritardo di 13 minuti al secondo arrivato, T. Belloni, dopo una fuga solitaria di 200 km. Vinse pure il Giro dell'Emilia (primo di cinque successi) ma in autunno, investito dalla terribile spagnola, rimase a letto per diverse settimane con grave preoccupazione per la sua stessa sopravvivenza.

Superato il difficile momento e passato dalla Bianchi alla Stucchi, corse un 1919 davvero eccezionale, forse il migliore della sua carriera, al punto che E. Colombo, direttore de La Gazzetta dello sport, coniò per lui il termine di "campionissimo": su 22 gare disputate ne vinse 17, di cui 6 per distacco.

Secondo alla Milano-San Remo, dietro il compagno di squadra A. Gremo (per aver riportato una foratura nel finale), trionfò alla Milano-Torino, alla Roma-Trento-Trieste - che si correva in tre tappe per festeggiare l'annessione al Regno d'Italia delle due città -, al Giro del Piemonte, ma, soprattutto, al Giro d'Italia, dove il G. dominò la corsa aggiudicandosi sette tappe su dieci e infliggendo al secondo arrivato, Belloni, un ritardo finale di quasi un'ora. La sua impresa fu preziosa anche per decretare, dopo la parentesi della guerra, il definitivo rilancio del Giro, corsa peraltro già entrata nei cuori degli Italiani. La straordinaria stagione dell'"omino di Novi", atleta ormai in grado di sfidare qualunque avversario su qualunque terreno, proseguì con i successi al Giro dell'Emilia, a quello della Lombardia e alla XX Settembre. A fine anno, raggiunta una popolarità senza precedenti - il G. può essere considerato il primo eroe sportivo dell'Italia moderna -, si recò a New York per disputare la Sei giorni in coppia con G. Olivieri.

Il 1920 fu un'annata meno felice, iniziando con uno sfortunato terzo posto, dietro Belloni e H. Pélissier, alla Milano-San Remo e con il ritiro dalla Parigi-Roubaix in seguito alla rottura della forcella della bicicletta. Si trovò pure a mal partito nella Parigi-Tours, ma vinse la Milano-Torino e il Giro del Piemonte. Al Giro d'Italia una grave caduta nella prima frazione ne compromise l'efficienza fisica, ma si rifece poi alla Torino-Genova e alla Milano-Modena. Finì ancora la stagione con la Sei giorni di New York.

Nel 1921 trionfò alla Milano-San Remo battendo in volata G. Brunero, ma al Giro d'Italia, dopo aver fatto proprie le prime quattro tappe, fu costretto al ritiro per una caduta. Si rifece al Giro dell'Emilia, alla XX Settembre e al Giro della Lombardia, riportando quell'anno dodici vittorie. L'anno seguente, tornato alla Bianchi, disputò un'altra buona stagione, conquistando dieci primi posti su diciassette gare disputate.

Sfortunato alla Milano-San Remo, che perse per un incidente provocato da un addetto al servizio d'ordine, ritiratosi ancora una volta dalla Parigi-Roubaix e uscito di scena anche al Giro d'Italia (terza tappa), per una decisione presa dalla sua squadra che intendeva protestare contro gli organizzatori, si rifece al Giro dell'Emilia, alla XX Settembre, al Giro della Lombardia e al Giro del lago Lemano, dove, all'arrivo a Ginevra, ebbe la meglio sui maggiori assi europei del momento.

Nel 1923, anno in cui si affacciarono alla ribalta atleti come A. Binda e O. Bottecchia, il G. ebbe ancora grandi soddisfazioni, vincendo in volata la Milano-San Remo e trionfando al Giro d'Italia, dove ottenne otto vittorie di tappa su dieci. Riportò successi anche al Giro del Veneto, alla XX Settembre e alla prima edizione del Giro della Toscana. Anche perché pungolato dalle critiche dell'organizzatore del Tour de France, H. Desgrange, il giorno di Natale volle sfidare, al velodromo d'inverno di Parigi, H. Pélissier, ottenendo successi in ogni specialità disputata: velocità, inseguimento e tandem.

Nel 1924, terzo alla Milano-San Remo e ancora in difficoltà alla Parigi-Roubaix, non partecipò al Giro d'Italia a causa della defezione delle grandi marche per conflitti economici con gli organizzatori, vincendo, però, nei giri del Piemonte, della Toscana e del Veneto. Ma il suo successo più prestigioso (e, in assoluto, tra i più significativi della sua carriera) lo riportò al gran premio Wolber.

Si trattava di una sorta di campionato del mondo su strada, disputato in Francia, che lo vide trionfare in volata con netto margine di vantaggio su H. Pélissier e F. Sellier. Il G., che non ebbe mai grande fortuna nelle corse disputate fuori d'Italia, trovò grandi riconoscimenti su tutta la stampa europea.

L'anno seguente tornò a vincere alla Milano-San Remo, ma fu solo settimo alla Parigi-Roubaix, gravemente danneggiato in volata dalle scorrettezze commesse nei suoi riguardi dai fratelli Pélissier. Al Giro d'Italia fu secondo, dopo aver vinto sei tappe su dodici e aver riportato due secondi posti e un terzo, dietro all'astro emergente Binda, che proprio il G. aveva convinto a rientrare in Italia dalla Costa Azzurra, dove aveva fatto le sue prime prove. Nel 1925 vinse ancora al Giro del Veneto e a quello dell'Emilia e alla XX Settembre, riportando anche il suo nono, e ultimo, titolo italiano.

Nel 1926, ingaggiato con Binda dalla Legnano-Wolsit, ottenne un nuovo grande successo alla Milano-San Remo, allorché inflisse quasi 7 minuti al secondo arrivato N. Ciaccheri, mostrandosi "insuperabile esempio per tutti i giovani" (Fermi, 1997, p. 153). Ritiratosi alla settima frazione del Giro d'Italia, dopo averne vinte due, fece suoi il Giro della Romagna e quello del Veneto ma, ai primi di settembre, una brutta caduta riportata in una riunione su pista a Firenze gli procurò un grave infortunio al polso sinistro, che lo tenne lontano dalle gare per circa un anno. Il suo rientro ufficiale avvenne infatti solo il 21 sett. 1927, quando fu prescelto per disputare ad Adenau il primo campionato mondiale su strada.

Nonostante il lungo periodo di inattività, si classificò secondo a 7 minuti da un eccezionale Binda, contribuendo così a rendere memorabile il successo per i colori italiani. A dicembre disputò, vincendola, la prima Sei giorni di Milano, in coppia con lo stesso Binda.

L'anno seguente, tornato alla Maino che lo aveva lanciato giovanissimo, conquistò di nuovo l'ambito traguardo della Milano-San Remo davanti all'amico-rivale Binda, e vinse pure la prima edizione del Criterium degli assi. Meno brillante fu la sua partecipazione al secondo campionato del mondo su strada, disputato a Budapest, dove compromise la gara per l'accesa rivalità con Binda. Il suo ritiro, così come quello del campione varesino, fu stigmatizzato dalla Federazione ciclistica con sei mesi di squalifica. Al rientro alle gare, nel 1929, ormai direttore sportivo della Maino, si limitò a disputare con successo diverse Sei giorni in Italia e all'estero. Frattanto propose l'ingaggio di un giovane promettente, L. Guerra, che di lì a poco lo avrebbe sostituito, almeno in parte, nel cuore degli Italiani.

Nonostante i 37 anni compiuti, volle ancora essere presente alla Milano-San Remo del 1930, giungendo quinto in volata. L'anno seguente si limitò a disputare gare su pista (la sua presenza in questa specialità costituiva un enorme richiamo per gli spettatori), ma nel 1932 si cimentò ancora alla Milano-Sanremo e volle essere presente al Giro d'Italia, dove arrivò secondo alla prima frazione, dietro Guerra. Nel corso dell'anno, divenne anche campione d'Italia di tiro a volo, altra sua grande passione. Quarantenne, nel 1933, disputò la sua ultima Milano-San Remo, la gara da lui preferita, riportando un dignitoso undicesimo posto. A novembre partecipò a una serie di corse in Argentina infiammando il pubblico con la sua presenza, segno di una popolarità non ancora scalfita. Nel 1934, nominato commissario tecnico dalla Federazione ciclistica, continuò a esibirsi con successo in molte prove su pista.

Indomito, l'anno dopo volle partecipare al Giro d'Italia, dove giunse secondo nella settima tappa Asti-Ceriale. Ma fu al Giro delle province che ebbe modo di togliersi quella soddisfazione che caparbiamente andava inseguendo: tagliare ancora una volta un traguardo da vincitore; vi riuscì nella tappa Arsoli-Roma.

Nel 1936 una brutta caduta al Giro d'Italia lo convinse ad abbandonare definitivamente le corse: quell'edizione sarebbe stata vinta da G. Bartali, che aveva ventun'anni meno di lui.

Si chiudeva così la carriera di un atleta eccezionale, assolutamente fuori dall'ordinario, difficile da imitare, e non solo in campo nazionale. Aveva coperto in corsa "circa 950 mila chilometri, pari a 25 volte il giro della terra" (Fossati, p. 101), vincendo 131 gare su strada su 289 e ottenendo su pista 965 successi.

Il G. non si allontanò, comunque, dal mondo delle due ruote distinguendosi come abile tecnico e non meno valido scopritore di talenti. Nel 1938, commissario tecnico della Nazionale, pilotò Bartali alla con-quista del Tour de France, nel 1939 riuscì a strappare un anno di contratto a Coppi e, in seguito, lanciò R. Van Steenbergen, M. Poblet e F.M. Bahamontes. Al principio degli anni Quaranta, ad Alessandria, aveva dato vita a una fabbrica di biciclette con i figli Luciano ed Ettore, conquistando in breve tempo posizioni di tutto rispetto sul mercato e riuscendo ad allestire importanti squadre professionistiche. Nel 1951 la sua azienda produsse anche motoleggere da 125 e 175 cc con motori a due tempi, che rimasero sul mercato fino al 1954.

A metà degli anni Sessanta la Girardengo si trasferì all'interno del penitenziario di Alessandria, impiegando detenuti nel lavoro di montaggio. Con la scomparsa del G. i figli lasciarono l'attività, ma il marchio Girardengo, da altri rilevato, continua ad avere una sua visibilità.

Il G. morì in età avanzata ad Alessandria il 9 febbr. 1978, in seguito a complicazioni circolatorie sopraggiunte alla rottura del femore; è sepolto a Cassano Spinola (Novi Ligure).

Fonti e Bibl.: Per ricostruire la carriera del G. è indispensabile la consultazione dei principali quotidiani e riviste dell'epoca, in particolare di quelli di carattere sportivo: La Gazzetta dello sport, Il Littoriale (dal 1943 Corriere dello sport), L'Auto (poi Équipe). Cfr., inoltre: V. Varale, G., Milano 1934; A. Binda, Le mie vittorie e le mie sconfitte, Varese 1931, passim; V. Cottarelli, G. il "campionissimo", Milano 1934; A. Ghiglione, G. il vero campionissimo, Novi Ligure 1952; G. Bartali, Tutto sbagliato, tutto da rifare, a cura di P. Ricci, Milano 1979, pp. 25, 29, 44, 266 s.; G. Brera, Addio bicicletta, Milano 1980, passim; G.P. Ormezzano, Storia del ciclismo, Milano 1980, pp. 64-77, 173; G. Brera, Coppi e il diavolo, Milano 1981, pp. 35, 44 s., 52-55, 58; N. Fermi, Viva G., Alessandria 1983; M. Fossati, I giganti della strada, in L'uomo a due ruote. Avventure, storia e passione, a cura di G. Vergani, Milano 1987, pp. 98-101; Uomini nella leggenda. Dal ciclismo eroico al primo volo di Coppi, 1869-1942, Firenze 1988, pp. 142-154; Coroginnica. Saggi sulla ginnastica, lo sport e la cultura del corpo, 1861-1991, a cura di A. Noto - L. Rossi, Roma 1992, p. 269; S. Picchi, Il Giro d'Italia. Storia illustrata, I, Firenze 1992, pp. 41-48; N. Fermi, In punta di pedali, Arquate Scrivia 1994, pp. 24-30, 83 s.; D. Marchesini, L'Italia del Giro d'Italia, Bologna 1996, ad indicem; N. Fermi, C'era una volta il "Gira", Arquate Scrivia 1997; D. Marchesini, Coppi e Bartali, Bologna 1998, ad indicem; Enc. della moto, VI, Novara 1987, p. 1298; La testa e i garun. A. Binda si confessa a D. Chiaradia, Portogruaro 1998, ad indicem.

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