Costantinopoli

Enciclopedia Costantiniana (2013)

Costantinopoli

Claudia Barsanti

La fondazione di Costantinopoli, la città cui Costantino dona il proprio nome, può essere motivatamente considerata un evento epocale, l’esito di una decisione di portata eccezionale, densa di implicazioni e significati1 che è presa all’indomani della sconfitta del rivale Licinio, a Crisopoli, il 18 settembre 324.

Nelle intenzioni di Costantino, ormai unico sovrano dell’Impero, la nuova città, che vuole assimilare ed equiparare in forma istituzionale all’antica Roma, oltre a rappresentare un nuovo centro politico nella pars orientalis dell’Impero e una capitale dinastica, deve configurarsi come il monumentale riflesso della gloria del basileus, e come tale è concepita e pianificata, dando forma a un fenomeno urbanistico di eccezionale ampiezza2. Poche altre fondazioni di città hanno uguale importanza storica: con Costantinopoli, infatti, si dischiuse la splendida vicenda del ‘millennio bizantino’3.

῾Η βασιλέως πόλις

Già da tempo Costantino aveva maturato la decisione di spostare a Oriente il centro del potere imperiale: dapprima aveva pensato a Serdica e a Tessalonica, poi aveva accarezzato l’idea di legare le sorti della nuova capitale alla mitica Ilio, nella Troade, quindi aveva preso in considerazione Crisopoli, per orientare infine la sua scelta su Bisanzio, là dove aveva posto l’accampamento alla vigilia dello scontro con Licinio.

Il sito prescelto è senz’altro il più favorevole: il promontorio occupato dall’antica colonia di fondazione megarese, proteso verso l’Asia Minore e in prossimità dell’ingresso al canale del Bosforo, si trova in una posizione geografica davvero invidiabile, da cui si possono controllare agevolmente sia i transiti marittimi dall’Egeo al Mar Nero sia i commerci tra Europa e Asia.

L’ambizioso progetto comincia a prendere forma già poche settimane dopo la definitiva vittoria di Crisopoli. Come lascia intendere una frase di Temistio4, la nascita della città coincise con l’elevazione al rango di Cesare di Costanzo. Con ogni probabilità, in quello stesso giorno, il 18 novembre, nel rispetto dell’antica prassi giuridica romana e quale presupposto irrinunciabile della fondazione, si svolse la cerimonia della limitatio, con cui è attribuito alla città un nuovo spazio urbano. Fu quasi certamente lo stesso imperatore a tracciarne il peribolo, guidato, come racconta Filostorgio5, da una presenza sovrannaturale6. Il sincronismo di quegli eventi trova, fra l’altro, un significativo riscontro in alcune monete con l’effigie di Costanzo, che fin dal loro primo apparire, cioè fin dal momento della sua nomina a Cesare, recano il marchio (CONS) della zecca di Costantinopoli7.

Nel 328 ha quindi luogo la cerimonia dell’inauguratio, che dà probabilmente avvio alla costruzione della nuova cinta muraria. L’11 maggio 330 si svolsero infine le cerimonie per l’inaugurazione (l’ἐγκαίνια) della città, con riti in parte cristiani o in seguito cristianizzati8. In tale occasione, Costantinopoli riceve, assieme al nome dell’imperatore, quelli di Nuova Roma e di ᾿΄Ανθουσα, la Florida.

In prosieguo di tempo, la trama narrativa di queste tradizioni è arricchita dalla storiografia bizantina, che unisce il ricordo di alcuni fatti, il meraviglioso di talune leggende e la diversità delle interpretazioni, volte comunque a sviluppare e amplificare il mito dell’imperatore cristiano9: Costantinopoli si trasforma così nella πόλις cristiana per eccellenza10.

Il carattere cristiano o pagano dei riti, che scandiscono nel tempo i momenti salienti della fondazione di Costantinopoli e adombrano al contempo la facies religiosa della sua dedicazione, è stato e continua a essere ampiamente dibattuto con interpretazioni variamente declinate11, sebbene risulti evidente che il protagonista carismatico e l’interprete di quelle cerimonie, in cui interagiscono riti di diversa origine religiosa, è Costantino, che unisce nella propria persona le virtù protettrici della religione pagana e le garanzie trionfalistiche di quella cristiana. Anzi, è proprio lui l’autocrate, colui al quale è dedicata la nuova città, che porta appunto il suo nome, ed è sempre lui, che rappresenta, in prospettiva, il nuovo Impero: romano, orientale e, ben presto, cristiano.

Il progetto

Nell’autunno del 324, ma ancor più l’anno seguente, dopo il concilio di Nicea e i vicennalia che Costantino celebrò a Nicomedia, il promontorio occupato dalla città greco-romana di Bisanzio si trasformò in un immenso cantiere. Gli ingenti lavori furono potenziati dall’imperatore con una straordinaria mobilitazione di maestranze, architetti e imprenditori, sollecitata mediante incentivi, privilegi e anche pressioni. L’oneroso impegno finanziario richiesto dall’ampiezza del progetto fu in larga misura sostenuto con il tesoro accumulato da Licinio, con i beni confiscati ai templi pagani e anche con i proventi di nuove tassazioni introdotte dal sovrano12.

Alla nascente città fu parallelamente concessa una serie di privilegi giuridici, che era destinata a farne un’altra Roma, e tale promozione istituzionale si realizzò ricalcando programmaticamente più d’un aspetto del modello romano. L’organizzazione della struttura amministrativa, mediante la suddivisione in quattordici regioni, fu appunto esemplata sullo schema romano d’età augustea13. Malgrado una notevole diversità nella morfologia del terreno, anche la nuova capitale poteva vantare sette colli, stabilendo un significativo legame con l’antica. Il profilo del promontorio costantinopolitano è infatti modulato da due gruppi di rilievi articolati in sette alture, che non superano comunque l’altezza di cinquanta metri, separate dal fiume Lycus, l’unico modesto corso d’acqua che si getta nella Propontide, il Mar di Marmara.

L’idea guida del progetto messo a punto dagli ingegneri e dagli architetti al servizio di Costantino era quella di riqualificare, sfruttando le infrastrutture già esistenti, la città greco-romana e di amplificarne lo schema topografico nel nuovo spazio urbano14. L’attività dei cantieri si sviluppò, pertanto, attraverso due linee d’intervento, distinte ma complementari: da un lato, la trasformazione e il potenziamento del nucleo urbano di Bisanzio; dall’altro, la pianificazione dell’assetto urbanistico dell’area delimitata dal nuovo peribolo murario che sorse, con un percorso che tagliava grosso modo a metà la dorsale irregolare del promontorio, a una distanza di circa tre chilometri a occidente di quello di Bisanzio, includendo tra l’altro gran parte delle aree sepolcrali che si erano estese all’esterno del recinto murario greco-romano. Il nuovo spazio urbano, aggregato al nucleo di Bisanzio, ne triplicò, se non addirittura quadruplicò, la superficie, fino ad allora circoscritta all’ambito della punta del promontorio. Rispetto ai duecento ettari grosso modo occupati dalla città romana, la superficie dell’area urbana raggiunse complessivamente un’estensione di settecento ettari, tanto da poter accogliere, in prospettiva, una popolazione di oltre centomila abitanti.

L’organigramma progettuale diede la precedenza alle opere edilizie da realizzare all’interno dell’antica Bisanzio, che in tempi rapidi potevano essere funzionalmente integrate al già esistente, in larga misura riconducibile agli interventi avviati al tempo di Settimio Severo15. Procedettero, invece, in modo assai più lento sia l’urbanizzazione sia la monumentalizzazione dei nuovi quartieri, no;nostante le misure legislative promosse dall’imperatore, non solo per garantire il successo dell’impresa ma pure in vista di un auspicato incremento demografico.

Molti quesiti al riguardo, restano tuttavia senza risposta, anche perché non si dispone di alcuna fonte contemporanea che fornisca informazioni precise sui lavori e sul loro sviluppo. Eusebio, che soggiornò qualche tempo a Costantinopoli tra il 335 e il 336, è l’unico testimone oculare di cui si abbia notizia, ma poco egli s’interessa del contesto urbano, mostrandosi preoccupato piuttosto, come sottolinea appunto Cyril Mango, delle ‘manifestazioni’ della pietà cristiana del suo ‘eroe’ Costantino, che presenta, fra l’altro, in modo assai poco obiettivo16.

Comunque sia, sette anni dopo la solenne ἐγκαίνια τῆς πόλεως, (‘inaugurazione della città’), vale a dire al tempo della morte di Costantino, che avvenne appunto nel 337, la Nuova Roma sul Bosforo era ben lungi dall’essere completata. Essa appariva una grande incompiuta, ed era, come lamentava Temistio, una città ‘assetata’, ancor priva di un adeguato approvvigionamento idrico17. Il nuovo spazio urbano si presentava in larga parte disabitato, e tale rimase per vari decenni, almeno fino all’avvento di Teodosio I (379-395). Pur tuttavia, una prima tappa importante può essere già individuata nel 360, quando fu istituita la prefettura urbana, fu inaugurata la μεγάλη ἐκκλεσία (la ‘grande chiesa’) e fu anche incrementato l’afflusso di acqua potabile. Le fabbriche monumentali progettate dagli architetti di Costantino erano state portate a compimento in tempi assai lunghi, rallentate fors’anche da svariati aggiustamenti in corso d’opera, mentre molti complessi, per la fretta con cui erano stati costruiti, necessitarono ben presto di restauri18. Questa situazione si deve anche al fatto che i successori di Costantino sembrano quasi evitare la capitale, preferendo risiedere altrove19, ma, sebbene le mura avessero preceduto le case e le case gli abitanti, Costantinopoli, la Nuova Roma sul Bosforo, era ormai una realtà.

La riqualificazione urbana dell’antica Bisanzio

Nella plurisecolare stratificazione dell’insediamento urbano di Istanbul20, le trame del tessuto archeologico del IV secolo sono estremamente rarefatte e le vestigia sinora scoperte soltanto poche, molto spesso incoerenti e di problematica interpretazione21. Ciò nonostante, esse possono talora offrire insperati riscontri oggettivi. Non sorprende, dunque, che gli studiosi, nel tentativo di ricostruire, almeno nei tratti generali, l’impianto topografico della città costantiniana, abbiano quasi sempre privilegiato la testimonianza delle fonti narrative, peraltro di controversa interpretazione. Si tratta per lo più di documentazione relativamente tarda, ma anche quella il cui nucleo originario risale a epoche più antiche è stata sovente rimaneggiata e interpolata. Gli autori di storie, i cronisti e i compilatori delle raccolte patriografiche22 riferiscono, inoltre, gli avvenimenti secondo ottiche particolari, raccogliendo leggende e alterando a modo loro notizie in larga misura non più comprese. Ciò traspare anche e soprattutto dalle descrizioni dei monumenti della città, in cui ogni complesso antico oppure degno di venerazione si trasforma miticamente in una fondazione costantiniana. Va peraltro ricordato che i bizantini non si sono minimamente preoccupati di lasciare una descrizione dettagliata e sistematica della loro capitale e che il solo documento ‘ufficiale’ di cui si dispone è la Notitia Urbis Constantinopolitanae, redatta intorno al 425, che fornisce, se pure in forma sintetica, la prima e anche unica descrizione della città alla luce della suddivisione amministrativa in sedici regioni urbane, mediante un censimento di strade, piazze, case, chiese, complessi termali e ogni altra infrastruttura municipale da cui emerge, nei tratti essenziali, il contesto monumentale di Costantinopoli23.

Molto spesso, inoltre, le informazioni offerte delle fonti non aiutano a distinguere le fondazioni ex novo dalle ristrutturazioni e dagli adeguamenti di preesistenti complessi monumentali di Bisanzio, che nella quasi totalità sono attribuiti a Settimio Severo, presentato come una sorta di proto Costantino24.

Valutando l’entità e le caratteristiche degli interventi, non sembra che le opere edilizie attuate da Costantino abbiano comportato sostanziali modifiche o lo spostamento dell’antico centro urbano, che gravitava, da un lato, in prossimità dell’agorà commerciale (lo Στρατήγιον) e degli scali portuali posti sulla riva della stretta lingua di mare che s’incunea profondamente a nord del promontorio (il ἠ Χρυσῆ ϰεῖρ, il Corno d’Oro)25, mentre, dall’altro, si era sviluppato a sud dell’acropoli, nell’area circostante l’agorà civile, il Τετράστοον severiano26. L’antico nucleo urbano acquistò, tuttavia, nuova ampiezza, in coerenza con le mutate esigenze di una neocapitale.

Il Palazzo imperiale e l’Ippodromo

Gli interventi più consistenti si concentrarono sul versante sud-orientale del promontorio, che, all’epoca, era con ogni probabilità scarsamente edificato. In quest’area sorse il complesso del Palazzo imperiale, affiancato all’Ippodromo, che fu provvisto, sul modello del Circo Massimo di Roma – modello per eccellenza –, di una tribuna imperiale, cui si accedeva direttamente dal Palazzo27, stabilendo così, in analogia con le altre residenze imperiali tetrarchiche, un ideale legame, denso di simbolismi e significati, fra le istituzioni imperiali e le istituzioni demiche. Il circo/ippodromo era infatti occasione d’incontro e di confronto fra le diverse componenti sociali della città e l’imperatore. Era lo ‘spazio’ dove il sovrano si mostrava, nella magnificenza dell’apparato cerimoniale, al suo popolo, ne accoglieva le petizioni e ne riceveva l’acclamazione28. Un’idea della forte teatralità che caratterizzava quella epifania imperiale è splendidamente evocata dal gruppo imperiale posto nel Κάθισμα, la loggia imperiale, e ritratto nei rilievi scolpiti sul basamento dell’obelisco eretto sulla spina dell’Ippodromo costantinopolitano nel 390, al tempo dell’imperatore Teodosio I, che costituiscono, fra l’altro, uno dei rari e preziosi documenti superstiti della prima arte costantinopolitana29.

Pur senza alcuna certezza al riguardo, è opinione largamente condivisa che la costruzione dell’Ippodromo fosse stata iniziata da Settimio Severo, per essere poi completata da Costantino in tempo per ospitare la cerimonia inaugurale della sua città, che si concluse con una solenne pompa circense30.

La conformazione del terreno, in forte pendio, richiese più d’un intervento di carattere ingegneristico per le fabbriche di questi grandi complessi, specie per l’Ippodromo, che nella sua forma conclusiva raggiunse circa 123 metri di larghezza per oltre 450 metri di lunghezza (misura, quest’ultima, ipotetica, dato che non sono state ancora individuate le fondazioni dei carceres); per sorreggere l’espansione del lato breve curvilineo (la σφενδώνη) si realizzarono opportunamente imponenti sostruzioni, che sviluppano oltre 20 metri d’altezza, destinate appunto a colmare il notevole dislivello31.

A sud dell’Ippodromo e dell’Αὐγουσταίων sorse la residenza imperiale, che nel tempo si estese sulle pendici digradanti verso le rive della Propontide, sfruttando le possibilità logistiche di un ampio sistema di terrazzamenti. Non era un edificio unitario, bensì un insieme architettonico organizzato per nuclei comunicanti, disposti attorno a corti porticate concepite come elementi di collegamento e disimpegno tra i diversi settori destinati a funzioni differenti, sia pubbliche sia private. Il complesso palatino era delimitato e protetto da un recinto murario, che lo isolava dalla città32.

Il carattere estremamente limitato, e quasi sempre occasionale, delle indagini archeologiche finora condotte nell’area del Palazzo, come pure la problematicità delle emergenze strutturali superstiti, non consentono, se non in via del tutto ipotetica, di ricostruire la topografia e la planimetria delle diverse componenti architettoniche33. Ci si deve, dunque, affidare alle scarne descrizioni delle fonti più antiche oppure lasciare coinvolgere dalle più tarde ed estremamente fascinose descrizioni tramandate dal De caerimoniis aulae byzantinae di Costantino VII Porfirogenito (942-959)34, che mettono bene in evidenza una netta divisione tra area pubblica e settore privato.

L’area pubblica era occupata dalle Σχολαί, gli alloggiamenti del corpo di guardia (scholarii, excubitores, candidati), e s’incentrava nel Τριβουνάλιον, una grande corte cinta da portici, in cui si svolgevano le udienze e le cerimonie d’investitura dei dignitari. Vi erano anche svariate sale d’apparato (il Κονσιστώριον e l’Αὐγουστεύς), collegate a uno o più triclini, come quello dei Diciannove Letti. La zona residenziale, rappresentata dal Palazzo, la Δαφνή, riservato alla famiglia imperiale, comunicava con la tribuna imperiale dell’Ippodromo tramite una scala a chiocciola. La denominazione del Palazzo derivava forse da una statua portata da Roma o piuttosto dall’offerta di una corona d’alloro ai senatori il primo giorno dell’anno.

Era un vasto e articolato insieme, che lascia intravedere più di un richiamo al complesso del Palatino romano e, soprattutto, più di un’analogia con le residenze tetrarchiche di Antiochia, Nicomedia, Tessalonica e Spalato, proponendo al contempo attendibili elementi di confronto, individuabili nelle complesse planimetrie di alcune grandi dimore del IV secolo, come le magniloquenti residenze suburbane di Roma, le ville siciliane di Piazza Armerina e di Patti, oppure quelle di Montmaurin e di Cordova35.

Dava accesso al Palazzo un protiro monumentale, più tardi chiamato Χαλκή, le cui vestigia sono state di recente riconosciute nell’ampio varco messo in luce dagli scavi condotti sul lato orientale dell’antico Αὐγουσταίων36.

Non si conosce quale fosse la struttura architettonica del vestibolo del IV secolo, ma dalla Vita Constantini di Eusebio37 si apprende che all’ingresso del Palazzo l’imperatore aveva collocato, in alto, esposto alla vista di tutti, un pannello a encausto, in cui egli, sovrastato dal ‘segno salvifico’, forse un labaro, e accompagnato dai figli, Costantino e Costanzo, era rappresentato nell’atto di trafiggere e scaraventare negli abissi del mare un serpente in forma di drago, forse Licinio, con una emblematica rivisitazione in chiave cristiana del tradizionale tema iconografico della calcatio38.

La presenza del simbolo cristiano, che in forma ancor più appariscente decorava, come scrive sempre Eusebio, il soffitto della «sala che è fra tutte la più splendida»39 all’interno del Palazzo, rientra coerentemente nel quadro della teologia politica di Costantino: i ‘simboli’, la croce e il chrismon, che gli avevano garantito la vittoria, erano diventati i filatteri della regalità e anche i talismani della dinastia dei secondi Flavi.

Sotto tale prospettiva, non sorprende dunque la presenza, accanto al pannello a encausto, di un simulacro della Τύχη, paradigma del felice destino della città40, un’altra immagine di pregnante valenza profilattica, ma pagana, onnipresente nell’arredo urbano della neocapitale, alla quale, in analogia con Flora romana, Costantino aveva attribuito il nome ieratico di ᾿΄Ανθουσα, Florida.

Τύχη divenne una componente fondamentale del tessuto concettuale dell’arredo monumentale della città costantiniana: i suoi simulacri furono, infatti, ‘strategicamente’ collocati nei più punti più ‘sensibili’ della nuova capitale41, stabilendo in termini visivi una linea di continuità con le tradizioni di Roma e traslandone implicitamente i valori simbolici in Costantinopoli. La figura della Τύχη è del resto largamente presente anche nei coni delle contemporanee emissioni monetarie, tra cui un multiplo d’argento, coniato proprio dalla zecca della città nel 33042, che reca sul dritto il profilo di Costantino con il diadema gemmato, cinto la prima volta già nel 324, in occasione delle cerimonie di fondazione della neocapitale, mentre, sul rovescio, si staglia l’immagine della Τύχη ᾿΄Ανθουσα, rappresentata secondo lo schema tradizionale, con il capo velato coperto dal modius, seduta su un trono provvisto di alto schienale, con la cornucopia e con il piede posato sulla prua di una nave, a significare la vocazione marinara della città43.

Nell’ambito del Τετράστοον severiano, che dalla colonna di porfido eretta da Costantino in onore della madre Elena prese la denominazione di Αὐγουσταίων, le fonti ricordano pure una colonna onoraria con la statua di Costantino, intorno al cui basamento era disposto un emblematico gruppo dinastico44, assieme a due sacelli, una sorta di Τύχαιον, per i simulacri di Rea/Cibele e di Τύχη45.

Sul lato orientale dell’Αὐγουσταίων prospettava il Senato46: al pari di Roma, Costantinopoli doveva averne uno proprio, anche se questa nobile assemblea svolgeva ormai solo una funzione puramente simbolica. Era un grande edificio basilicale adorno di marmi e con una ricca collezione di statue che ne fecero una sorta di museo, custode dei capolavori della classicità, tra i quali le fonti ricordano lo Zeus di Dodona, in Epiro; l’Atena di Lindos, nell’isola di Rodi; infine, il gruppo delle Muse proveniente dal Μουσεῖον del Monte Elicona, in Beozia47.

Per desiderio di Costantino, nella nuova capitale furono portate numerosissime opere d’arte, spogliando, come stigmatizzava Girolamo48, quasi tutte le città dell’Impero. Erano capolavori dell’arte classica, che, integrandosi nell’arredo architettonico di piazze, strade ed edifici della neocapitale, le conferivano una nobile patina di antichità, attribuendole al contempo quel ruolo di erede e depositaria della cultura e delle tradizioni proprie dell’ellenismo e della romanità che voleva appunto affidarle il suo stesso fondatore.

A sud-ovest dell’Αὐγουσταίων, tra il Palazzo e l’Ippodromo, vi era il vasto complesso delle terme di Zeuxippo (Ζεύξιππος) che, assieme al Τετράστοον e all’Ippodromo, rientrava nelle iniziative edilizie promosse da Settimio Severo. Fu in seguito ampliato e arricchito con un’importante collezione di statue da Costantino, che lo inaugurò l’11 maggio 330, lo stesso giorno scelto per la nuova capitale49. Durante le indagini archeologiche del 1928, furono ritrovati anche tre piedistalli cilindrici, due dei quali recano, rispettivamente incisi, i nomi di EKABE e AICKENEC50. Su questi due piedistalli erano collocate le statue dei personaggi ora ricordati, la cui presenza alle terme di Zeuxippo è del resto attestata dal poema composto da Cristodoro di Copto al tempo dell’imperatore Anastasio (491-518) e dedicato appunto a quella straordinaria collezione di opere d’arte, che andò perduta nel devastante incendio divampato durante i disordini della rivolta di Nika del 53251.

Un consistente numero di statue e gruppi statuari di ogni genere e di varia provenienza fu collocato anche e soprattutto nell’Ippodromo52. Con studiata strategia decorativa, questa eterogenea collezione di statue fu sistemata sui carceres, nei portici al sommo delle gradinate, nella tribuna imperiale e, in special modo, sulla spina o euripe, là dove esse si sarebbero rispecchiate con ricercato effetto coreografico nei suoi bacini d’acqua53.

Gran parte di quella multiforme popolazione di statue raffiguranti imperatori, eroi, personaggi mitologici, animali esotici e mostri, cui erano stati attribuiti dal folklore popolare anche singolari significati, valori apotropaici e poteri taumaturgici54, è andata perduta. Durante il saccheggio latino del 1204, pressoché tutte le statue di bronzo furono purtroppo distrutte, come narra Niceta Coniate, testimone di quei tragici momenti: «Quei barbari, che non amano il bello, non risparmiarono neppure le statue nell’Ippodromo, e anche quelle hanno fuse, per battere moneta»55.

Da quel ‘massacro’ scamparono i quattro cavalli di bronzo dorato che dominavano il circo dalla torre dei carceres: furono portati a Venezia, per essere esibiti, a guisa di trofei, sulla fronte della basilica di San Marco56. Si è salvata pure un’oca di bronzo, recuperata, intorno alla metà del XIX secolo, durante i lavori per la costruzione di una casa, proprio nell’area dell’Ippodromo57.

Nel grande circo costantinopolitano rimasero solo gli spogli supporti delle statue, come mostra un’incisione della fine del XVI secolo (tratta, tuttavia, da un disegno del XV secolo) che è riprodotta nel De ludis circensibus di Onofrio Panvinio e illustra appunto l’aspetto fatiscente dello storico complesso58.

Tra i documenti grafici che hanno, se pure in modo diverso, conservato memoria del perduto arredo statuario dell’Ippodromo costantinopolitano, rivestono particolare interesse i disegni della scomparsa colonna coclide istoriata di Arcadio, eseguiti nel 1574 da Lambert de Vos59. Grazie all’acuto spirito d’osservazione dell’artista, è infatti possibile riconoscere l’Ippodromo nel contesto di una sorprendente sintesi topografica del centro urbano di Costantinopoli, che, nelle prime sequenze del fregio, fa da sfondo al racconto della cacciata dalla città dei goti guidati da Gainas. Il non facile problema della rappresentazione del contesto monumentale del centro urbano fu risolto dall’ideatore del fregio con una scelta delle opere d’arte e degli elementi topografici più significativi, caratteristici e popolari, quasi a simbolo di quegli stessi edifici, accostandoli in una successione che corrispondesse, nelle linee generali, a quella reale e inquadrandoli sullo sfondo dei lunghi portici che dovevano costituire l’elemento più appariscente di quel settore urbano.

Ben riconoscibile è appunto il complesso dell’Ippodromo, individuato dalle schematiche silhouettes di alcuni tra i gruppi plastici più appariscenti e rappresentativi, come quello bronzeo raffigurante le mostruose fattezze di Scilla e Cariddi, la cui sistemazione sulla spina (o euripe) così strettamente collegata all’acqua evocava in modo estremamente pittoresco l’ambiente stesso del mito60.

In tempi e in modi diversi erano stati adattati a fontane anche i tre monumenti ancor oggi allineati sull’asse mediano dell’At Meydanı, la vasta piazza che ricalca l’ambito circense: essi sono ritratti in un altro disegno di Lambert de Vos, che mostra appunto la deserta spianata dell’Ippodromo e, nello sfondo, la Santa Sofia61.

Il primo monumento, un obelisco di muratura alto 32,51 metri, in origine rivestito di lastre di bronzo62 che ne simulavano la facies granitica, è il Κολοσσός, eretto forse al tempo di Costantino come sostituto del previsto obelisco egiziano che non sarebbe arrivato in tempo per l’inaugurazione della città63. Nello scenario della teatrale pompa circense con cui si concluse la solenne ἐγκαίνια della nuova capitale 64, non poteva mancare un obelisco, elemento decisamente ineludibile, che, nel complesso simbolismo cosmico tradizionalmente attribuito al circo, configurava il Sole, nume tutelare di Costantino65.

A circa settantadue metri a nord del Κολοσσός, vi è l’obelisco proveniente dal tempio del dio Amon, situato a Karnak ed eretto al tempo di Teodosio I. Il monolito di granito di Siene è collocato su un duplice basamento di marmo proconnesio, decorato con la rappresentazione delle cerimonie e dei giochi che si svolgevano, presieduti dalla corte imperiale, nell’ambito dello stesso Ippodromo66. Con l’erezione dell’obelisco era in tal modo completato il programmatico richiamo al modello romano del Circo Massimo, l’unico, fino a quel momento, che potesse vantare due obelischi, quello donato da Augusto e quello eretto, nel 357, da Costanzo II67.

Tra i due obelischi, vi è infine il terzo monumento superstite: il frammento del supporto anguiforme di un grande tripode bronzeo: un superbo trofeo che era stato dedicato dalle trentuno città greche confederate al santuario di Apollo a Delfi, nel 479 a.C., come voto per la vittoria di Platea sui persiani guidati da Serse68.

Pressoché integro fino al XVIII secolo, come testimoniano numerosi documenti grafici, del sostegno del tripode (in origine alto circa otto metri) resta attualmente solo la parte inferiore del supporto, formato dalle spire attorte di tre serpenti, le cui teste, che avevano sovente suscitato fantasiose credenze e molte superstizioni popolari, furono progressivamente mutilate dai turchi69. Si è tuttavia conservato pure il frammento della mascella superiore di una delle teste, fortuitamente recuperato nel XIX secolo durante i lavori di costruzione della vicina Università Ottomana70.

L’area dell’antica acropoli

Spostandosi nell’area dell’acropoli di Bisanzio, a nord dell’Αὐγουσταίων, in prossimità della punta del promontorio, si erge, tra gli alberi del giardino del Serraglio, l’enigmatica colonna, detta dei goti, in genere attribuita a Claudio il Gotico (268-270), ma talora anche a Costantino.

L’iscrizione latina sul piedistallo, «Fortunae reduci ob devictos Gothos», fu incisa sopra un’altra, ugualmente in caratteri latini, suggerendo implicitamente il reimpiego del monumento, che sarebbe stato opportunatamente modificato per commemorare, forse, la vittoria riportata da Costantino sui goti, celebrata con un trionfo proprio a Costantinopoli nel 332. La colonna, alta 18,50 metri, era sormontata da una statua della Τύχη, tant’è vero che ancora nel X secolo era denominata Τύχη τῆς πόλεως71.

Non sembra che l’assetto dell’acropoli, in cui v’erano luoghi ed edifici consacrati allo spettacolo (stadio, anfiteatro – κυνήγιον – e teatro) nonché taluni luoghi di culto, sia stato in qualche modo alterato dagli interventi di riqualificazione promossi da Costantino, poiché i templi pagani non furono chiusi, ma solo privati delle loro risorse e dei loro tesori72.

Il Μίλιον e la Basilica

Uscendo dal lato occidentale dell’Αὐγουσταίων, si entrava nella stoá romana diretta verso la porta di Tracia. Nella tradizione testuale bizantina, sembra quasi perdersi la cognizione della preesistenza di questa monumentale strada, fiancheggiata da portici colonnati su due piani, ornati di marmi e statue, che nel tempo aveva preso il nome di Ρηγία: la sua costruzione e il suo prolungamento fino al vestibolo del Palazzo imperiale, coincidente con il portico meridionale dell’Αὐγουσταίων, sono infatti entrambi attribuiti a Costantino73.

In quella stessa area sboccava anche la strada che saliva sia dai porti sul Corno d’Oro, sia dallo Στρατήγιον, la cui ubicazione dovrebbe grosso modo coincidere con quella della moderna stazione ferroviaria di Sirkeci74. In questa piazza, l’antica agorà commerciale di Bisanzio, cinta da portici, Costantino pose con intento apologetico, come propria immagine, una statua equestre di Alessandro proveniente da Crisopoli, per celebrare la sua vittoria su Licinio. Nello Στρατήγιον era pure una stele in cui erano stati inscritti i privilegi concessi dall’imperatore alla Nuova Roma75.

Nel punto in cui convergevano la stoá romana e la strada che saliva dai porti, si ergeva il Μίλιον, il miliarium aureum di Costantinopoli76. Da quanto si ricava dalle fonti, lo si può immaginare come un tetrapilo sul cui attico era collocato un simbolico gruppo statuario comprendente Costantino ed Elena ai lati di una croce, assieme al simulacro della Τύχη della città77. Nessuna fonte attribuisce in modo esplicito a Costantino il Μίλιον, la cui ubicazione appare del resto perfettamente congrua all’impianto topografico della città romana. Presso il Μίλιον si trovava infatti «fin dai tempi antichi un carro di Zeus-Helios tirato da quattro cavalli di fuoco e sorretto da due colonne», che, in occasione delle cerimonie d’inaugurazione della città, era trasportato nell’Ippodromo scortato da guardie e con l’aggiunta di una nuova piccola statua della Τύχη, appositamente confezionata da Costantino78.

Risale con ogni probabilità all’epoca romana anche il vicino complesso della Basilica, un’ampia corte discoperta circondata da portici79, mentre potrebbe essere del tempo di Costantino, come vorrebbe la tradizione patriografica80, o di epoca da esso non troppo lontana una grande cisterna sotterranea allestita in quest’area, la cui esistenza è segnalata in termini visivi, nell’ambito del già menzionato disegno cinquecentesco della colonna di Arcadio. Dopo le statue dell’Ippodromo, si notano, infatti, le sagome di alcuni personaggi intenti ad attingere acqua, forse proprio dalla cisterna in questione: la loro presenza sarebbe peraltro suggerita da quel singolare elemento con copertura conica, a destra delle figure, che è forse, come pensava Giovanni Becatti, una delle aperture destinate ad aerare il deposito idrico e utilizzate anche per attingere acqua.

La pur sintetica scena pone in evidenza l’importanza che l’approvvigionamento dell’acqua rivestiva a Costantinopoli, priva di sorgenti, e dunque le provvidenze prese per potenziare la città di acquedotti e cisterne sotterranee81. Non deve, quindi, meravigliare di vedere richiamata, nel fregio della colonna di Arcadio, una struttura che aveva una parte così importante nella vita urbana della capitale82.

La monumentalizzazione del nuovo spazio urbano

Il piano regolatore ideato dagli architetti al servizio di Costantino per lo sviluppo della nuova area urbana appare in sostanza un’amplificazione, una proiezione su più vasta scala dell’impianto topografico e monumentale dell’antica Bisanzio. Nel progetto, modulato sui medesimi canoni urbanistici di matrice ellenistico-orientale, furono privilegiate le dorsali mediane del promontorio, sulle quali si tracciarono i principali assi viari pausati lungo il percorso da slarghi monumentali.

La particolare configurazione del promontorio costantinopolitano, caratterizzato da dislivelli più o meno accidentati, fu regolarizzata con varie opere di terrazzamento, tra loro raccordate con articolati sistemi di rampe e scalinate, che conferirono un aspetto assai vario e movimentato al paesaggio urbano83.

Il reticolo viario fu incardinato sul percorso della Μέση, l’asse portante dell’intero sistema stradale che attraversava l’area urbana e che, dopo una biforcazione, si divideva in due segmenti, di cui quello meridionale si ricongiungeva alla via Egnazia, mentre quello settentrionale, attraverso un percorso prevalentemente rettilineo sulla cresta delle colline che si succedono lungo il Corno d’Oro, si riuniva alla strada, senz’altro più importante, di Tracia84.

La Μέση era fiancheggiata lungo tutto il suo percorso da portici colonnati (con una larghezza complessiva di 25 metri), così come era provvista di portici gran parte delle principali strade costantinopolitane85, che, irradiandosi, creavano monumentali scenografie nel paesaggio urbano, sul modello delle metropoli dell’Asia Minore e del Levante mediterraneo, tra cui, per richiamare solo gli esempi più significativi, Efeso, Perge, Antiochia, Gerasa e Palmira86: strade e piazze che nel prosieguo del tempo divennero teatro privilegiato per le spettacolari processioni della corte imperiale.

Il Foro di Costantino

Il primo grande ambito monumentale, il Foro (ὀ ϕόρος) che porta il nome del fondatore, sorse immediatamente all’esterno del peribolo murario romano, dinanzi all’antica porta di Tracia, a guisa d’emblematico anello di congiunzione tra l’antica e la nuova città87.

Devastato nel corso dei secoli da incendi e terremoti, del Foro di Costantino oggi non resta altro che la monumentale colonna di porfido, dedicata con ogni probabilità già nel 328, in occasione della cerimonia dell’inauguratio88, e su cui Costantino stesso, il giorno della solenne fondazione della città, celebrata l’11 maggio 330, fece porre come propria effigie una colossale statua di Apollo-Helios.

Tranne la colonna porfiretica, null’altro resta di quello scenografico complesso architettonico, che, stando alla testimonianza delle fonti, aveva una vasta platea con pavimentazione marmorea delimitata da due portici semicircolari colonnati, forse trabeati, a due piani, raccordati a est e a ovest da due monumentali archi di marmo proconnesio, che ne segnavano gli accessi; quello orientale si ergeva dinnanzi all’antica porta di Tracia, mentre l’altro si apriva sulla Μέση89.

A differenza delle agorà greche e dei fori italici, veri e propri ambiti chiusi e isolati dalle vie di traffico, il Foro di Costantino appariva come uno slargo monumentale, ispirato a soluzioni urbanistiche già adottate nelle città microasiatiche e mediorientali, come le piazze ad andamento curvilineo di Gerasa, Gerusalemme e Palmira, dove impianti architettonici grosso modo simili erano stati appunto ideati per analoghe situazioni topografiche90.

Come si ricava dalle descrizioni delle fonti, la colonna porfiretica doveva occupare una posizione eccentrica, mentre nel mezzo del Foro vi era una fontana con un gruppo statuario raffigurante con ogni probabilità Orfeo tra gli animali, piuttosto che il profeta Daniele tra i leoni o il Buon Pastore, soggetti ricordati invece da Eusebio di Cesarea che, tuttavia, narrando del Foro, non menziona la colonna di Costantino91. Un altro ninfeo era stato allestito sul lato meridionale, con una scelta decorativa in piena sintonia con il gusto, largamente diffuso in epoca tardoimperiale, d’abbellire piazze e vie delle città con fontane e ninfei, per lo più concepiti come elaborate mostre d’acqua92.

Il maestoso contesto architettonico del Foro: realizzato nel luminoso marmo proconnesio, offriva molteplici scenografie, arricchite da svariate prospettive e anche da effetti cromatici creati dal contrasto delle calde tonalità del porfido e dei corruschi bagliori della statuaria bronzea. Di porfido erano anche le quattro colonne che conferivano particolare risalto al prospetto architettonico dell’altro Senato costantinopolitano, che sorgeva sul lato nord del Foro, un edificio splendido, probabilmente cupolato, dinanzi al quale erano collocate due grandi statue di bronzo raffiguranti Anfitrite e Atena, forse la Promachos di Fidia93.

Nel Foro sono ricordate, come altrove, numerose altre statue, tra cui un simbolico gruppo sistemato sull’arco orientale, comprendente Costantino ed Elena ai lati di una croce, due corridori alati e, ancora una volta, la Τύχη di Costantinopoli94.

Tutte quelle mirabilia che nel tempo avevano suscitato ammirazione, fantasiose interpretazioni e anche singolari superstizioni, soprattutto nell’immaginario medievale, sono ormai scomparse, distrutte dagli incendi, dai vandalismi degli iconoclasti e dai latini durante il saccheggio del 1204. Di alcune di esse resta, tuttavia, una pur pallida memoria nei documenti grafici, in particolare nei già ricordati disegni di Lambert de Vos del 157495.

Nella sorprendente sintesi topografica dispiegata nei primi tratti del fregio della colonna di Arcadio, risalta infatti la convenzionale rappresentazione a volo d’uccello del Foro di Costantino, le cui forme architettoniche appaiono riassunte da una schematica struttura circolare a raggiera, evidentemente i portici colonnati proiettati sul piano. All’interno di questa struttura si distingue una serie di silhouettes che, con tratti essenziali, riproducono alcuni gruppi statuari, tra cui si riconoscono quello che decorava il ninfeo, le statue dei corridori alati e anche la colonna di Costantino.

Assai scarse e, soprattutto, disomogenee sono le sopravvivenze archeologiche delle strutture forensi. Tranne le indagini condotte fra il 1929 e il 1930, mirate alla ricerca di quel più tardo sacello o cappella di S. Costantino, custode di molte venerate reliquie, che doveva essere addossato al basamento della colonna porfiretica96, non sono mai stati intrapresi scavi sistematici nell’area del Foro. Ma, se pure quelle indagini fallirono l’obiettivo, esse permisero almeno di accertare la situazione del sottosuolo, in cui si ritrovarono resti delle necropoli romane sconvolte al momento della creazione del Foro. Fu possibile rilevare anche il sistema delle sostruzioni della colonna, comprendente un’ampia piattaforma su cui poggiava l’alto basamento sopraelevato da cinque gradini: la piattaforma era provvista d’incassi sia per i pilastrini di una recinzione perimetrale sia per una serie di archivolti.

Altre scoperte nell’area forense sono per lo più occorse durante i lavori di manutenzione urbana del 1925-1936, di cui ha fortunosamente conservato memoria Eugène Mamboury, che ha annotato i vari ritrovamenti riproducendoli su una carta archeologica97, in cui sono posizionati ampi tratti della pavimentazione a grandi lastre di marmo proconnesio, disposte con andamento est-ovest, rinvenute a circa due metri e mezzo sotto il moderno livello stradale, dalle quali il Foro aveva derivato la denominazione Πλακωτόν, e sono inoltre segnalati i resti delle necropoli romane e gli avanzi di un portico. A nord della colonna, perpendicolari al tracciato della stoá romana/῾Ρηγία, sono poi delineate le fondazioni di quattro piloni di un arco a tre fornici, che sviluppava un’ampiezza di circa tredici metri, in cui si potrebbe forse riconoscere l’antica porta di Tracia, oppure l’arco orientale del Foro, offrendoci in entrambi i casi un importante punto di riferimento per misurare, in rapporto alla colonna, l’ampiezza dell’ambito forense, il cui diametro è grosso modo valutabile intorno ai centocinquanta metri98.

Dall’arco della porta di Tracia, oppure da uno degli archi del Foro, proviene forse una colossale chiave di volta in marmo proconnesio, decorata con protomi di Medusa, che fu casualmente recuperata nel 1869 dalle fondazioni di una casa di legno situata a sud della colonna99.

È avvenuto in circostanze del tutto accidentali anche il ritrovamento, nel cantiere di un immobile situato a circa 30/40 metri a sud della colonna porfiretica, di un ritratto di Tiberio rilavorato e adattato, secondo una pratica piuttosto frequente nel corso del IV secolo, alle fattezze di Costantino o di uno dei suoi figli100, che costituisce un’isolata, rara sopravvivenza di tante statue ritraenti il sovrano e altri personaggi della dinastia imperiale ricordate dalle fonti.

La colonna porfiretica

L’11 maggio 330, giorno della solenne inaugurazione della nuova capitale, la colossale statua di bronzo dorato raffigurante Costantino nella veste divinizzata di Helios, superba esaltazione paradigmatica della maestà del fondatore ‘rilucente come il sole’, fu trasportata nel Foro sotto la scorta di dignitari che portavano bianche clamidi e candele. Tra canti, litanie e acclamazioni, si procedette alla sua elevazione sulla colonna porfiretica, siglando in tal modo la nascita della città, cui fu dato il nome di Costantinopoli101. Le cerimonie si protrassero l’indomani, con una pompa circense nell’Ippodromo, che, per volere dell’imperatore, doveva essere replicata ogni anno per festeggiare il dies natalis della sua città102.

La grande statua di bronzo, proveniente forse dalla Frigia, oppure dall’antica Ilio, che aveva il capo cinto da un diadema raggiato e sosteneva con la sinistra un globo mentre con la destra impugnava una lancia, rovinò al suolo insieme con il sottostante capitello nel 1106, durante una tempesta di vento103. Di essa, oltre alle descrizioni delle fonti, è conservata memoria in una vignetta della Tabula Peutingeriana, che è la grande carta stradale dell’Impero romano allestita tra la fine del IV secolo e i primi anni di quello seguente e pervenuta solo in una copia medievale del XII secolo. L’immagine mostra, all’interno del profilo geografico del promontorio costantinopolitano, la personificazione della città che indica con la destra una colonna coronata da una statua eroica, in cui si può appunto riconoscere la colonna di porfido e la statua di Costantino che la sormontava104.

Si è voluto ravvisare un pur vago riflesso della statua anche in una figurina clamidata di bronzo ritrovata nello Jutland, oggi a Copenaghen105, e in un cammeo già nella cattedrale di Cammin, in Pomerania, su cui era intagliata una figura con il capo cinto dal diadema raggiato, lo scettro nella destra, il Palladio nella sinistra106, verosimilmente allusivo al sacro Palladio che Costantino aveva portato da Roma per deporlo, insieme con altre venerate reliquie, pagane e cristiane, nel basamento del monumento e anche all’interno del simulacro di bronzo107.

Malgrado sia stata vittima delle ingiurie di incendi e terremoti, l’emblematica colonna di Costantino, alta in origine circa trentasette metri, si staglia ancor oggi nel moderno paesaggio urbano108, dominando con dignità il caotico traffico della città, quasi a guardia della fermata della metropolitana di superficie che appunto da lei prende il nome di Çemberlitaş ossia ‘Colonna cerchiata’: essa mostra, infatti, il fusto interamente cerchiato da anelli metallici, che nel corso del tempo ne hanno contenuto le fenditure. L’aspetto originario del monumento, la cui parte inferiore fu avvolta fin dal 1779 in una deturpante struttura di rinforzo, è riprodotto in un altro splendido disegno realizzato nel 1574 da de Vos109, che mostra bene come esso avesse uno slanciato basamento, alto circa cinque metri, elevato su di una piattaforma gradinata, completamente liscio, eccettuata una fascia decorativa nella parte inferiore. Su tale basamento s’impostava il fusto della colonna, formato da sette tamburi sovrapposti, di cui, allo stato attuale, sei in vista e uno racchiuso nella muratura ottomana110: essi sono scanditi orizzontalmente da plastici festoni d’alloro gemmati (forse un tempo ricoperti da sfoglie auree) che, oltre a mascherare funzionalmente la struttura composita con notevole effetto decorativo, sottolineano la semantica trionfalistica e apologetica del monumento più importante del fondatore della Nuova Roma111.

La struttura di completamento, con conci irregolari di marmo e pietra, risale, come testimonia l’iscrizione che vi si legge112, al restauro realizzato dall’imperatore Manuele I Comneno (1143-1180) dopo che, nel 1105, una violenta tempesta di vento aveva fatto crollare al suolo la statua di bronzo dorato e il sottostante capitello. Fu allora messa in opera, sopra tale struttura litica, una croce, come mostra appunto la celebre veduta panoramica dei primi decenni del XV secolo tramandata dal Liber insularum archipelagi di Cristoforo Buondelmonti113.

Ancora di recente è stata riconsiderata la testimonianza di alcune tarde fonti bizantine che dicono romana la provenienza del porfido della colonna di Costantino, forse destinato a un monumento in onore di Diocleziano mai realizzato114: ipotesi non condivisa da Mango, per cui è probabile che sarebbe stato lo stesso Costantino a farne direttamente richiesta agli opifici del Mons Porphyrites, all’epoca in piena attività, senza riuscire a ottenere che l’ordine imperiale fosse soddisfatto. Non poche difficoltà avrebbe certo incontrato l’estrazione e, soprattutto, il trasporto di un fusto monolitico di oltre venti metri di altezza e del peso di circa 440 tonnellate. Ragion per cui la scelta si sarebbe opportunamente orientata verso una struttura composita, formata da sette rocchi, ognuno dei quali del peso comunque di circa 63 tonnellate115.

Di particolare interesse è infine un disegno realizzato nel 1561 da Melchior Lorichs, che riproduce il solo basamento della colonna, con il medesimo punto di osservazione, ma che, a differenza del disegno di de Vos, mostra una pregnante scena allegorica: l’omaggio dei barbari, introdotti da due vittorie al cospetto di una figura femminile assisa in trono, forse Τύχη; e, al di sopra di essa, un clipeo con il busto di un imperatore con il capo cinto dal diadema raggiato116.

Entrambi i disegni sono stati largamente discussi con ipotesi interpretative che, tuttavia, non sono riuscite né a spiegare in modo convincente le discordanze né a sostanziare l’attribuzione alla colonna di Costantino o ad altra colonna costantinopolitana del rilievo riprodotto nel disegno del Lorichs, che è stato considerato, con un certo scetticismo, come un pastiche o una fantasia antiquaria. Ciò che lascia perplessi è che nessun viaggiatore occidentale, neppure Pierre Gilles, che ebbe fra l’altro modo di misurare il basamento della colonna alcuni anni prima del 1560, abbia fatto menzione di questo rilievo, ma non va nemmeno trascurato che assai spesso uno o più lati del basamento erano nascosti da manufatti117.

La soluzione del problema si avrà forse nel momento in cui un auspicabile restauro potrà liberare il basamento dall’involucro della muratura ottomana. Fino ad allora la testimonianza del Lorichs dovrà essere accolta con molte riserve e grande prudenza, sebbene sia quanto mai seducente poterla acquisire come rara testimonianza delle tematiche imperiali elaborate nella Nuova Roma118.

Il Καπιτώλιον e il Φιλαδέλφιον

Lungo il percorso della Μέση, a poca distanza dal Foro di Costantino, le fonti segnalano il Χαλκούν Τετράπουλον, che marcava un importante incrocio stradale119. Rivestito di placche di bronzo, il tetrapilo era sormontato da una statua di Costantino ed era decorato da una serie di pannelli con la rappresentazione delle gesta del fondatore «sino al terzo terremoto»120: tutte descrizioni che, pur sommarie, lascerebbero quasi immaginare un monumento simile all’arco di Galerio a Tessalonica.

Proseguendo, a una distanza di circa un chilometro e mezzo dal Foro di Costantino, vi era il Φιλαδέλφιον, lo slargo coincidente con la biforcazione della Μέση la cui localizzazione, a lungo dibattuta, è stata ormai concordemente individuata nell’area di Aksaray, nelle vicinanze della moschea di Laleli121. A ovest del Φιλαδέλφιον e in prossimità della Μέση, sorgeva il Καπιτώλιον, con ogni probabilità un tempio dedicato a Giove capitolino e alla Triade capitolina, numi tutelari di Roma, definito motivatamente «simbolo essenziale della romanità che Costantino volle attribuire alla sua città»122. Ma ben presto il Καπιτώλιον fu ‘cristianizzato’, come lascerebbe appunto intendere la notizia secondo cui una tempesta, accompagnata da un sisma, provocò nel 407 la caduta di quello che le fonti definivano «τό συγνόχριστων τοῦ Καπιτώλιου»123. Vero e proprio epicentro della nuova area urbana, il Καπιτώλιον era un edifico di aspetto imponente, con tre ampie esedre e con copertura di tegole di bronzo dorato, in cui, dal 425, venne ospitata l’Università costantinopolitana124.

Assai vaghe sono le descrizioni del Φιλαδέλφιον, soprattutto per ciò che concerne l’icnografia di questo importante topos urbano, mentre sono più sostanziose le notizie relative al suo arredo scultoreo125, comprendente il gruppo dei figli di Costantino che si abbracciano, dai quali derivò appunto il nome e nei quali Paolo Verzone ebbe a suo tempo il merito di riconoscere i tetrarchi veneziani126. L’ipotesi ha avuto, infatti, una sorprendente conferma dal ritrovamento del piede mancante di uno di questi tetrarchi durante le indagini archeologiche condotte intorno alla grande rotonda presso il Μυρέλαιον (Bodrum Camii), situata a sud del probabile tracciato della Μέση e non troppo lontana dalla presunta area del Φιλαδέλφιον127.

I due gruppi di porfido veneziani sono tra le opere più note e discusse: molteplici le identificazioni proposte per i quattro personaggi, discordanti le datazioni suggerite, sub iudice il luogo di manifattura e quindi la loro originaria provenienza128. Risulterebbe comunque condivisibile una datazione ai primi anni del IV secolo, implicante il loro reimpiego in ambito costantinopolitano, e parrebbe sufficientemente verosimile la loro provenienza egiziana, che non escluderebbe d’altronde una prima destinazione a Nicomedia, la residenza scelta da Diocleziano, oppure una provenienza romana, nel corso del secolare peregrinare di queste sculture.

Ognuna delle due coppie imperiali, poste su mensole, era addossata al fusto di una colonna129, e un’idea di come esse si presentassero è offerta dai tetrarchi vaticani addossati a due colonne porfiretiche, di assai minori dimensioni, provenienti dal tempio romano del Sole, ma anche e soprattutto dalla monumentale via colonnata della città di Palmira, in Siria, dove mensole analoghe sorreggevano statue addossate ai loro fusti, le cosiddette columnae celatae.

Unite a due a due nel simbolico gesto dell’abbraccio, le figure veneziane, come quelle vaticane, celebravano la monolitica unità della tetrarchia, evidenziando la concordia dei detentori del potere. Prescindendo da una caratterizzazione individuale, il ritratto dei tetrarchi assurge a valore di simbolo rituale, che riassume e significa la carismatica autorità dei detentori del potere, la cui assoluta e infallibile volontà è prepotentemente comunicata e imposta ai soggetti da quei grandi occhi inquieti e minacciosi che si fissano con grande intensità sullo spettatore, al pari di quelli che caratterizzano i monumentali ritratti romani di Costantino.

Nel Φιλαδέλφιον sono ricordate altre sculture di porfido, opere celebrative di Costantino e della sua famiglia: un pilastro, o piuttosto un obelisco di porfido, con rilievi scolpiti e con un’iscrizione latina, sovrastato da una croce gemmata, associata alla visione di Costantino. Vi erano inoltre le statue di Elena, di Giuliano e della moglie, un gruppo raffigurante due figli di Costantino seduti in trono130, significanti lo stesso concetto di perpetua felicità garantita dall’unione dei detentori dell’Impero espresso dai tetrarchi: il medesimo significato espresso anche da un singolare simulacro, ugualmente di porfido, con tre teste, identificate come ritratti di Costantino, Costante e Costanzo, che era invece collocato nel Senato del Foro131.

È assai probabile che tutte queste sculture di porfido rientrassero nell’arredo costantiniano del Φιλαδέλφιον: quasi certamente anche l’obelisco di porfido, sebbene la testimonianza di tre epigrammi dell’Antologia Palatina, di recente riconosciuti da Denis Feissel nelle frammentarie iscrizioni di una base di marmo conservata nell’Ayasofya Müzesi, lascino intendere che esso facesse piuttosto parte di un monumento dedicato all’imperatore Teodosio II da un certo Mouselius132, che, tuttavia, potrebbe anche essersi limitato a trasformare un monumento già esistente, attribuendogli quella connotazione marcatamente cristiana, come appunto la croce gemmata, evocata dai patriografi. Denis Feissel ha tra l’altro proposto, e forse non a torto, di riconoscere l’obelisco del Φιλαδέλφιον in un frammentario obelisco di porfido che si trova oggi nel giardino del Museo Archeologico di Istanbul133.

Le sculture del Φιλαδέλφιον, come del resto quelle di molti altri ambiti monumentali della città, lasciano intravedere le trame di un’attenta strategia, volta a esaltare il fondatore e la sua progenie nei punti focali della neocapitale, che, va ricordato, era stata anche concepita come capitale dinastica, anzi, per meglio dire,  come espressione monumentale della legittimità dinastica dei secondi Flavi. E, nell’ambito di questa meditata propaganda imperiale, risalta il ruolo da protagonista svolto dal porfido134, il purpureo marmo estratto dalle montagne del deserto egiziano, che, in virtù della sua associazione cromatica con la porpora, ben rappresentava la dignità regale.

Il porfido era stato, infatti, prescelto per la colonna forense del fondatore e fu utilizzato per molti altri monumenti celebrativi del potere e della dignità imperiale: di porfido erano gli emblematici gruppi dinastici del Φιλαδέλφιον, di porfido era la colonna dedicata all’Augusta Elena nell’Augustaion, di porfido era anche gran parte dell’arredo architettonico del Senato del Foro, edificio-simbolo del legame istituzionale tra la nuova e l’antica Roma; di porfido erano i gradini che davano accesso al Τριβουνάλιον del Palazzo imperiale e anche le rotae del fastoso apparato decorativo della residenza palatina; di porfido, infine, erano i monumentali sarcofagi destinati ad accogliere le spoglie mortali di Costantino e dei suoi immediati successori135.

I nuovi quartieri urbani

L’urbanizzazione dei nuovi quartieri parrebbe in larga parte legata alla crescita demografica e allo sviluppo dell’edilizia residenziale promossa dallo stesso Costantino, che, stando alle fonti, avrebbe fatto costruire anche diverse case destinate ad accogliere facoltosi cittadini e pure vaste dimore per i membri della famiglia imperiale che lentamente divennero i nuclei e gli epicentri dello sviluppo del tessuto edilizio dell’abitato. L’imperatore aveva infatti sollecitato il trasferimento da Roma di senatori e famiglie patrizie, incentivandolo con vari privilegi e con grandi residenze, che aveva fatto appositamente costruire, dotandole inoltre di redditi provenienti dalle proprietà demaniali, per lo più dell’Asia Minore. E più di uno accolse l’invito, nella speranza di trarre vantaggio partecipando alla vita politica in via di formazione della nuova capitale.

Le fonti tendono a enfatizzare l’attribuzione a Costantino di queste dimore, che, al di là del tono palesemente leggendario, lasciano comunque trasparire le intenzioni dell’imperatore, desideroso di trasferire e di costituire una classe dirigente nella nuova capitale136. La persistenza di alcuni toponimi nel contesto della Notitia Urbis Constantinopolitanae, derivati appunto dai nomi dei proprietari di quelle case, otto patrizi e quattro magistrati, ne può offrire una significativa conferma, consentendone tra l’altro la localizzazione137. Proprio da una residenza extraurbana dell’imperatrice Elena derivò, ad esempio, il proprio nome il quartiere αἱ ῾Ελενιαναί, che si estendeva sulle pendici meridionali della settima collina138.

La nuova area urbana era delimitata dalla cinta muraria, che era stata costruita a una distanza di circa tre chilometri da quella che correva attorno a Bisanzio139. Malgrado alcune incertezze, se ne può ricostruire con buona approssimazione il tracciato, tenendo conto della configurazione del terreno e delle indicazioni degli autori bizantini140. Non si possiedono molte notizie relative alle porte del recinto costantiniano, di cui sembra perdersi cognizione dopo il terremoto dell’860, ma è nondimeno possibile localizzare la porta Melantia o Melandesia sul tracciato della strada che conduceva a Adrianopoli, mentre la grande porta ‘cerimoniale’, la Χρυσῆ Πύλη, che si apriva sull’antica via Egnazia, al termine del tratto sud-occidentale della Μέση141, può essere situata in prossimità della piccola chiesa bizantina, inglobata nella Isakapı Mescidi142.

Di essa conserva memoria il ricordato panorama del Buondelmonti, in cui, poco oltre il Foro di Arcadio, una leggenda identifica come antiquissima porta pulchra un piccolo edificio, che, nel panorama del Liber, ora conservato nell’Universitätsbibliothek di Düsseldorf, si trasforma in una struttura architettonica più imponente, senz’altro più aderente alla descrizione che ne fa, nei primi anni del XV secolo, Manuele Crisolora, che sottolineava appunto la grandiosità della porta, costruita con grandi blocchi di marmo e coronata da un loggiato, nel cui varco poteva addirittura passare una nave a velatura dispiegata143.

Fuori della porta, che fu atterrata nel 1509, s’innalzava una monumentale colonna con una statua di Costantino, detta ᾿Εξακιώνιον144, simbolo di presenza, protezione e dominio sulla città. Il fusto ormai spezzato di quella colonna è forse ancora riconoscibile nel più tardo panorama di Costantinopoli inciso da Giovanni Andrea Vavassore nel XVI secolo145.

Le fondazioni cristiane

Nella Vita Constantini di Eusebio si legge che l’imperatore volle «celebrare con onori superbi la città che prendeva il nome da lui e la rese splendida con molte cappelle (εὐκτηρίοις), con grandissimi martyria e con altre costruzioni stupende (περιφανεστάτοις οἴκος), alcune nelle zone periferiche (πρὸ τοῦ ἄστεος), altre all’interno della città: con esse intendeva onorare la memoria dei martiri e al contempo consacrare al dio di quei martiri la propria città»146. Come ha suggerito Mango, le parole di Eusebio farebbero quasi pensare a una ‘situazione’ in qualche modo paragonabile a quella di Roma, in cui Costantino aveva costruito una grande basilica episcopale – S. Giovanni in Laterano – e un gruppo di chiese martiriali extra moenia, tanto da far pensare a un progetto analogo anche per Costantinopoli.

Diversamente da Gilbert Dagron, che ha messo in discussione quasi tutte le fondazioni cristiane attribuite dalle fonti all’evergetismo di Costantino, con la sola eccezione dell’Apostoleion, che, a suo parere, fu sin dall’origine concepito come chiesa147, Mango ritiene possibile attribuire a Costantino almeno i martyria dedicati ai due soli martiri locali, Mocio e Acacio. L’esistenza di una chiesa intitolata a Mocio, situata in un’area cimiteriale all’esterno della cinta muraria costantiniana, è già attestata nel 402, mentre risale addirittura al 357 la prima attestazione di una chiesa dedicata ad Acacio, localizzabile invece all’interno delle mura costantiniane, in prossimità del Corno d’Oro148. Altrettanto plausibile, a parere di Mango, è l’attribuzione a Costantino della prima chiesa episcopale costantinopolitana, l’ecclesia antiqua della Notitia Urbis Constantinopolitanae, dedicata alla Pace Divina. Ragion per cui, fa notare lo studioso, Eusebio non avrebbe ‘mentito’ ma solo esagerato, usando il plurale, ed evidentemente le tre fondazioni cristiane di Costantino, se pure di grandi dimensioni (non è detto, tuttavia, che la prima Santa Irene lo fosse), non sono comunque sufficienti a conferire a Costantinopoli una connotazione marcatamente cristiana, in quanto le divinità olimpiche, Τύϰη, Sole e Cibele, «étaient plus en vue que le Christ et ses martyrs»149.

L’attuale Santa Irene risale all’età giustinianea, ma con sostanziali modifiche realizzate nell’VIII secolo e nuovamente in età ottomana (figg. VI 38, 39): non sembra, dunque, che l’edificio del VI secolo abbia conservato tracce di una fase costruttiva del IV secolo, epoca cui è tradizionalmente attribuito. La testimonianza delle fonti è al riguardo piuttosto chiara, in particolare quella dello storico Socrate, che scrive intorno al 425 e per il quale Costantino non l’avrebbe costruita ex novo, bensì si sarebbe piuttosto limitato ad ampliare e ad abbellire un edificio già esistente, dedicandolo alla Pace Divina. Questo preciso intervento è stato, invece, attribuito a Costanzo II dalla Vita di san Paolo il confes;sore che, nel 337, fu tra l’altro consacrato vescovo di Costantinopoli proprio nella Santa Irene150. Socrate pone inoltre l’accento sul fatto che la Santa Irene e la vicina Santa Sofia, consacrata il 15 febbraio 360, facevano parte di uno stesso insieme, lasciando quasi intravedere un unico progetto costantiniano per quell’area151, e, al riguardo, non si possono del tutto trascurare le fonti che rivendicano a Costantino anche la costruzione, o quanto meno la progettazione, della Santa Sofia152.

L’assenza di documentazione archeologica rende ambigua e problematica la testimonianza di tali fonti, specie per le fasi più antiche di entrambi i monumenti, la cui vicenda architettonica è ancora tutta da decifrare, anche se appare condivisibile l’ipotesi di attribuire a entrambi gli edifici un semplice impianto basilicale153. È stata purtroppo scarsamente documentata la pur importante indagine condotta negli anni 1949-1950 all’interno della Santa Irene, che portò alla scoperta, a soli 30 centimetri al di sotto del pavimento della navata centrale, di un pavimento musivo del II secolo d.C., forse di una casa privata154. Assai sommarie sono anche le notizie relative all’indagine, condotta nel 1946, nel sottosuolo della Santa Sofia155.

Il mausoleo di Costantino

Quasi tutte le fonti assegnano a Costantino la fondazione dell’Apostoleion, il ‘tempio’ da lui dedicato alla memoria dei Dodici Apostoli, in cui, conformemente ai suoi desideri, furono deposte le sue spoglie mortali.

Purtroppo, nulla sopravvive di quello storico complesso, pantheon degli imperatori bizantini fino al 1028, che dominava in posizione eminente il panorama urbano dalla sommità della V collina. All’indomani della conquista ottomana, l’Apostoleion fu infatti atterrato nel 1462, per lasciare posto alla moschea di Maometto II. Ciò che fu distrutto era comunque il grandioso edificio cruciforme di età giustinianea con i relativi mausolei imperiali, dai quali proviene la superba serie di sarcofagi imperiali di porfido e di altri marmi pregiati156. Deludenti e del tutto irrilevanti sono stati finora i ritrovamenti all’interno e all’esterno del recinto della moschea, che si sarebbero potuti altrimenti rivelare in qualche modo utili ai fini di una migliore comprensione del problematico complesso bizantino157, che pone invece molteplici quesiti, ieri come oggi oggetto di scontro e di confronto di opinioni, dando origine a una copiosa letteratura e a un ampio dibattito su cronologia, forme architettoniche e primitiva funzione dell’Apostoleion158. Ancora una volta si tratta di una quaestio densa d’implicazioni, poiché, comunque fosse stato concepito – mausoleo, mausoleo/chiesa o chiesa –, l’Apostoleion si configurava come un monumentale paradigma ideologico del cristianesimo imperiale159.

Non potendo fare riferimento a concreti dati oggettivi, restano ancora molti dubbi e incertezze; tuttavia quel che oggi si conosce presenta più di un aspetto interessante: varrà dunque la pena richiamare ancora una volta alla memoria la descrizione tramandata da Eusebio, che, se pur sommaria, può offrire alcuni spunti di riflessione sull’aspetto dell’edificio costruito da Costantino160.

Eretto anteriormente al 337 al centro di un vasto peribolo porticato che accoglieva le residenze imperiali, i bagni, gli ospizi e anche gli alloggiamenti per i custodi, l’Apostoleion era verosimilmente un edificio circolare o poligonale di notevole altezza, rivestito internamente di lastre di marmo, con soffitto dorato ripartito in eleganti cassettoni. Il tetto era coperto di bronzo rilucente d’oro e tutt’intorno parapetti di bronzo dorato recingevano la costruzione. All’interno del tempio (νεών), l’imperatore fece sistemare un altare al centro e dodici teche in onore e memoria degli apostoli; sempre al centro del perimetro dell’edificio doveva essere collocata la sua tomba, ai cui lati si disponevano, sei per parte, i monumenti commemorativi degli apostoli sopra ricordati.

Quasi un heroon-martyrion del fondatore, ambiguamente ‘santificato’ come tredicesimo apostolo, nel quale, scrive Eusebio, Costantino, anche dopo la sua morte, avrebbe potuto trarre giovamento dalle preghiere che lì sarebbero state pronunciate in onore degli apostoli. Già nel 337 vi erano state traslate le reliquie di Andrea e Luca, alle quali si aggiunsero nel 357 quelle di Timoteo161.

Per quanto si ricava dalla criptica descrizione eusebiana, lasciando da parte le molte ipotesi che sono state suggerite al riguardo, si ritengono plausibili e verosimili le argomentazioni di Mango, per cui l’Apostoleion è stato concepito non come chiesa, bensì come mausoleo, il cui impianto architettonico era infatti analogo a quello dei mausolei imperiali tardoromani, caratterizzati da pianta centrale, copertura cupolata, e provvisti per lo più di otto nicchie, semicircolari o rettangolari, disposte radialmente all’interno: la medesima disposizione doveva forse caratterizzare anche il mausoleo costantiniano, la cui nicchia centrale, di fronte all’ingresso, ospitava con ogni probabilità il sarcofago di porfido di Costantino. I confronti al riguardo sono molteplici: basterà rammentare i mausolei romani di Romolo Augusto, di Tor de’ Schiavi, di Elena, di Costanza, e inoltre quello di Diocleziano a Spalato e la Rotonda di Tessalonica. Ma è soprattutto il monumentale complesso massenziano sull’Appia, dove il mausoleo circolare sorgeva al centro di un ampio temenos quadrangolare porticato, che, meglio degli altri, può offrire un’idea di quale fosse l’aspetto del mausoleo costantinopolitano.

Solo in un secondo momento accanto al mausoleo fu costruita una chiesa cruciforme. Tale intervento, attribuito da Filostorgio a Costanzo II, comportò una radicale trasformazione dell’intero complesso architettonico, separando in particolare le funzioni del mausoleo da quelle della chiesa, nella quale furono da allora custodite le reliquie apostoliche. Quasi certamente ciò avvenne in concomitanza dei lavori di restauro al mausoleo, gravemente danneggiato dal sisma dell’agosto 358, tant’è vero che si dovette rimuovere il sarcofago con le spoglie di Costantino e trasportarlo nella chiesa di S. Acacio162.

I sarcofagi di porfido

Dopo la conquista ottomana, i grandi sarcofagi di porfido, come quelli di altri preziosi marmi custoditi nei mausolei imperiali dell’Apostoleion che nel tempo si erano aggiunti al mausoleo del fondatore, furono dispersi, utilizzati come ornamento di moschee e del palazzo del sultano, adattati a fontana oppure segati per ricavarne lastre163.

Dalle descrizioni delle fonti, in primo luogo dal De caerimoniis aulae Byzantinae, si ricava che i sarcofagi imperiali di porfido erano quelli di Costantino, Costanzo, Giuliano, Gioviano, Teodosio I, Arcadio, la moglie Eudossia, Teodosio II, Pulcheria e Marciano, l’ultimo sovrano a essere onorato con una sepoltura porfiretica. Allo stato attuale, sono in tutto dieci i sarcofagi di porfido esistenti a Istanbul, interi o frammentari164.

Malgrado talune differenze tra loro, quasi tutti sono di aspetto severo e rientrano nella medesima categoria, caratterizzata da una cassa quadrangolare dotata di coperchio a doppio spiovente provvisto di acroteri angolari, con pochi elementi decorativi, individuabili nello zoccolo modanato e nella croce con alfa e omega, anche racchiusa in un serto o nell’ankh, scolpiti sui timpani dei coperchi. Se pure risulta difficile attribuire a ciascuno il nome di un imperatore, in quanto non si è conservata alcuna epigrafe che indichi il personaggio colà sepolto, la tentazione di assegnare a ciascun sarcofago il nome di un defunto è stata comprensibilmente sempre grande.

Nel recente studio di Neslihan Asutay-Effenberger e Arne Effenberger sono state, per esempio, proposte nuove identificazioni, e a Costantino è attribuito l’esemplare più grande e completo, in passato ritenuto di Giuliano, caratterizzato da una singolare struttura cilindrica, che lo apparenta ai sarcofagi faraonico-tolemaici165. Apparterrebbe, invece, al sarcofago di Costanzo II il frammento decorato con girali e putti vendemmianti166, in tutto e per tutto simile a quello romano della sorella Costantina, nel quale più di uno studioso aveva in precedenza riconosciuto quello di Costantino167.

Di altro avviso è Jonathan Bardill, che ha riconsiderato in termini favorevoli la tesi, a suo tempo suggerita da Richard Delbrück, il quale attribuiva al fondatore il sarcofago, completo di coperchio, che si trova oggi nell’atrio di Santa Irene168. A sostegno di tale ipotesi, il Bardill fa osservare che la serie di fori presente su uno dei lati lunghi della cassa, evidentemente predisposta per un’applicazione metallica, forse di forma stellare o solare, suggerisce un tipo di decoro di cui sembrerebbero fare menzione alcune più tarde fonti che descrivono appunto il sarcofago di Costantino. D’altronde, soggiunge il Bardill, nessun altro sarcofago, se non quello di Costantino, poteva essere in effetti decorato con il motivo della croce nell’ankh egizio, simbolo cristiano e pagano allo stesso tempo, che vediamo scolpito sul coperchio del sarcofago in questione169.

Oltre ai sarcofagi imperiali, si sono sorprendentemente conservate anche due splendide colonne (in rara breccia verde egiziana, nota anche come hekatonlithos, ammirata e ricercata per la sua bellezza) che, stando alla testimonianza del poema composto nella prima metà del X secolo da Costantino Rodio, dovevano inquadrare proprio la porta che dava accesso al mausoleo di Costantino. Così il poeta ne descrive la preziosa cromia: «Ognuna d’esse, quasi estranio prato tutto fiori, mostra specie infinite di germogli. E quando tu le miri diresti che la pompa di tutte piante in esse alberghi e pulluli o una commista torna d’astri fulgidi in giro, quali la Galassia svela, tanto son belle e di sì strano aspetto»170.

1 Fondamentale al riguardo G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1974 (trad. it., Torino 1991).

2 Cfr. G. Becatti, s.v. Costantinopoli, in Enciclopedia dell’Arte Antica, II, Roma 1959, pp. 886-914; R. Janin, Constantinople byzantine. Développement urbain et répertoire topographique, Paris 1964²; W. Müller-Wiener, Bildlexikon zur Topographie Istanbuls, Tübingen 1977; E. Meyer, Rom ist dort, wo der Kaiser ist. Untersuchungen zu den Staatsdenkmälern des dezentralisierten Reiches von Diocletian bis zu Theodosius II, Mainz 2002, pp. 91-174; C. Mango, Le développement urbain de Constantinople (IVe-VIIe siècles), Paris 2004³; per sintesi più recenti, si vedano V. Franchetti Pardo, Da Bisanzio a Costantinopoli. Profilo storico-urbanistico della capitale imperiale: dalle origini a Giustiniano, in Metamorfosi della città, a cura di L. Benevolo, Milano 1995, pp. 3-72 (ora, aggiornato, in Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul, a cura di T. Velmans, Milano 2008, pp. 13-38); P. Schreiner, Costantinopoli. Metropoli dai mille volti, Roma 2009; A. Berger, Konstantinopel. Geschichte Topographie Religion, Stuttgart 2011.

3 Per un’ampia prospettiva storica, cfr. G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino 1967; H.-G. Beck, Das byzantinische Jahrtausend, München 1994; R.-J. Lilie, Byzanz. Das zweite Rom, Berlin 2003.

4 Them., Or. IV 58: «Il padre avvolse nello stesso tempo la città nella cerchia di mura e il figlio nella porpora».

5 Philost., h.e. II 3.

6 Cfr. M.G. Varvounis, Une tradition populaire sur la fondation de Constantinople, in Byzantion, 66 (1996), pp. 454-460.

7 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 26-27, 32.

8 Cfr. E. La Rocca, La fondazione di Costantinopoli, in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1993, II, pp. 553-583.

9 Per lo sviluppo di questo mito, cfr. A. Kazhdan, “Constantin Imaginaire”: Byzantine Legends of the Ninth Century about Constantine the Great, in Byzantion, 57 (1987), pp. 196-250.

10 A tale riguardo, cfr. R. Krautheimer, Tre capitali cristiane, Torino 1987, pp. 61-105, nonché i saggi contenuti in Costantino il Grande: la civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, a cura di A. Donati, G. Gentili, Cinisello Balsamo 2005; Konstantin der Große, Austellungskatalog Trier, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Mainz 2007; si vedano anche più recenti riflessioni, come quelle di T.D. Barnes, Constantine: Dinasty, Religion, and Power in the Later Roman Empire, Chichester 2011, e di J. Bardill, Constantine, Divine Emperor of the Christian Golden Age, Cambridge 2012.

11 Per un riepilogo, cfr. E. Follieri, La fondazione di Costantinopoli: riti pagani e cristiani, in Roma Costantinopoli Mosca, Atti del I Seminario internazionale di studi storici «Da Roma alla terza Roma» (Roma 21-23 aprile 1981), Napoli 1983, pp. 217-231.

12 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 34-36; C. Mango, Le développement, cit., p. 37; T.D. Barnes, Constantine. Dinasty cit., p. 130.

13 Cfr. A. Berger, Regionen und Straßen im frühen Konstantinopel, in Istanbuler Mitteilungen, 47 (1997), pp. 349-414. Circa la controversa localizzazione della XIV regione, cfr. A. Paribeni, Il quartiere delle Blacherne a Costantinopoli, in Atti della giornata di studio del gruppo di coordinamento C.N.R. «Storia dell’Arte e della Cultura Artistica Bizantina» (Roma 4 dicembre 1986), a cura di C. Barsanti, A. Guiglia Guidobaldi, A. Iacobini, Roma 1988, pp. 215-224; C. Mango, Le mystère de la XIVe région de Constantinople, in Mélanges Gilbert Dagron, Travaux et Mémoires, 14 (2002), pp. 449-545.

14 Il progetto fu affidato a un non altrimenti noto Euphratas, ricordato solo dai patriografi. Su questo personaggio, cfr. G. Dagron, Constantinople imaginaire. Études sur le recueil des «Patria», Parigi 1984, p. 86 nota 89; T.M. Schmidt, Konstantinoupolis. Zum städtebaulichen Programm des ‘zweiten Rom’, in Wissenschaftliche Zeitschrift. Friedrich-Schiller-Universität Jena, 30 (1981), pp. 431-439.

15 Cfr. C. Mango, Le développement, cit., pp. 13-21; C. Barsanti, Note archeologiche su Bisanzio romana, in Costantinopoli e l’arte delle province orientali, a cura di F. de’ Maffei, C. Barsanti, A. Guiglia Guidobaldi, Roma 1990, pp. 11-72.

16 Cfr. C. Mango, Le développement, cit., p. 27; T.D. Barnes, Constantin and Eusebius, Cambridge (MA)-London 1981.

17 Cfr. Them., Or. XIII. Il problema, già affrontato da Costanzo II, fu poi risolto dall’imperatore Valente con il potenziamento dell’antico acquedotto di Adriano: cfr. C. Mango, The Water Supply of Constantinople, in Constantinople and its Hinterland, Papers from the Twenty-seventh Spring Symposium of Byzantine Studies (Oxford April 1993), ed. by C. Mango, G. Greatrex, Aldershot 1995, pp. 9-18; J. Crow, J. Bardill, R. Bayliss, The Water Supply of Byzantine Constantinople, London 2008, pp. 9-23; J. Crow, Water and Late Antique Constantinople: “It Would Be Abominable for the Inhabitants of this Beautiful City to Be Compelled to Purchase Water”, in Two Romes. Rome and Constantinople in Late Antiquity, ed. by L. Grig, G. Kelly, Oxford 2012, pp. 387-404; J. Matthews, The Notitia Urbis Constantinopolitanae, in Two Romes, cit., pp. 116-135.

18 Vanno messi in bilancio anche gli eventuali danni arrecati dal devastante sisma dell’agosto 358.

19 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 77-92. Costanzo II tornò a Costantinopoli solo nel 359-360, Giuliano vi trascorse solo pochi mesi, Gioviano non vi arrivò mai e Valente, dopo esservi stato eletto nel 364, vi ritornò unicamente nel 378, alla vigilia della sua tragica sconfitta ad Adrianopoli. Per una breve rassegna delle attività edilizie attribuite a questi imperatori, si veda C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze archeologiche di età costantiniana, in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, cit., I, pp. 115-150, in partic. 117 nota 6.

20 L’evoluzione e le trasformazioni dell’insediamento urbano dall’età greca arcaica all’epoca ottomana sono state illustrate dalla recente mostra parigina De Byzance à Istanbul. Un port pour deux continents, catal. Paris 2009, riproposta con alcune modifiche a Istanbul From Byzantium to Istanbul. 800 Years of a Capital, catal. Istanbul, Sakıp Sabancı Museum, June 5-September 4 2010, Istanbul 2010. Circa le recenti scoperte in area urbana si veda il catalogo della mostra ospitata dal 25 giugno 2007 nel Museo Archeologico di Istanbul (Gün Işığında İstanbul’un 8000 Yılı: Marmaray, Metro, Sultanahmet Kazıları, Istanbul 2007).

21 Cfr. C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit.

22 Le raccolte patriografiche comprendono le Παραστάσεις σύντομοι χρονικαί e i Πάτρια Κονσταντινουπόλεως compilati, rispettivamente, nell’VIII secolo (A. Cameron, J. Herrin, Παραστάσεις σύντομοι χρονικαί. Constantinople in the Early Eighth Century, Leiden 1984), e nel X-XI secolo (A. Berger, Untersuchungen zu den Patria Konstantinupoleos, Bonn 1988); G. Dagron, Constantinople imaginaire, cit.

23 Cfr. A. Berger, Regionen und Straßen, cit.; J. Matthews, The Notitia Urbis, cit., pp. 116-135.

24 Per un bilancio delle opere attribuite a Settimio Severo, cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 15; C. Mango, Le développement, cit., p. 19; Id., Septime Sévère et Byzance, in Comptes-rendus des séances de l’Académie des inscriptions et belles-lettres, 147,2 (2003), pp. 593-608; A.-V. Pont, Septime Sévère à Byzance. L’invention d’un fondateur, in Antiquité tardive, 18 (2010), pp. 191-198.

25 Agli antichi porti di Neorion e Bosphorion si aggiunse un nuovo scalo, impostato sull’opposta riva della Propontide, per le navi che trasportavano il grano egiziano, poi immagazzinato nei vicini horrea Alexandrina: cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 57-59; C. Mango, Le développement, cit., pp. 33, 37.

26 Cfr. C. Mango, The Brazen House. A Study of the Vestibule of the Imperial Palace of Constantinople, Copenhagen 1959, pp. 42-47; R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 16-17.

27 Cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 64-71; F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal in der Spätantike: Untersuchungen zur Ausstattung des öffentlichen Raums in den spätantiken Städten Rom, Konstantinopel und Ephesos, Mainz 1996, pp. 247-254; cfr. J. Bardill, The Architecture and Archaeology of the Hippodrome in Constantinople, in Hippodrome/ Atmeydanı. A Stage for Istanbul’s History, I, ed. by B. Pittarakis, Istanbul 2010, pp. 91-148, in partic. 149-145, figg. 8.48 e 8.49.

28 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 320-347; Id., L’hippodrome de Constantinople: jeux, peuple et politique, Paris 2011; F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal, cit., pp. 247-254; G. Vespignani, ΙΠΠΟΔΡΟΜΟΣ. Il circo di Costantinopoli Nuova Roma dalla realtà alla storiografia, Spoleto 2010.

29 Cfr. B. Kiilerich, The Obelisk Base in Constantinople: Court Art and Imperial Ideology, Roma 1998.

30 Dubbi non del tutto immotivati sono stati espressi da: C. Mango, Septime Sévère et Byzance, cit., pp. 606-607; J. Bardill, Brickstamps of Constan;tinople, Oxford 2004, p. 128; Id., The Architecture, cit., pp. 93-94.

31 Cfr. J.C. Golvin, F. Fauquet, L’hippodrome de Constantinople. Essais de restitution architecturale du dernier état du monument, in Antiquité tardive, 15 (2007), pp. 181-197; J. Bardill, The Architecture, cit., pp. 99-102, 109-115, 129-135.

32 Dopo gli incendi del 1912 e del 1913 fu possibile rilevare i resti di quelle opere di terrazzamento e di contenimento: cfr. E. Mamboury, T. Wiegand, Die Kaiserpaläste von Konstantinopel zwischen Hippodrom und Marmara-Meer, Berlin-Leipzig 1934. Circa la topografia del complesso palatino e il suo articolato sistema di terrazzamenti, si veda E. Bolognesi, “Il Gran Palazzo”, in Bizantinistica. Rivista di Studi Bizantini e Slavi, 2 (2000), pp. 197-243; J. Bardill, The Great Palace of the Byzantine Emperors and the Walker Trust Excavations, in Journal of Roman Archaeology, 12 (1999), pp. 216-230; Id., Visualizing the Great Palace of the Byzantine Emperors at Constantinople. Archaeology, Text, and Topography, in Visualisierungen von Herrschaft. Frühmittelalterliche Residenzen – Gestalt und Zeremoniell, Internationales Kolloquium (Istanbul 3.-4. Juni 2004), hrsg. von F.A. Bauer, Istanbul 2006, pp. 5-45; J. Kostenec, Walking thru Byzantium. Great Palace Region, Istanbul 2007.

33 Cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 228-237.

34 Cfr. soprattutto J. Ebersolt, Le Grand palais de Constantinople et le Livre des cérémonies, Paris 1910.

35 Sullo sviluppo di un presunto ‘sistema palaziale’, caratterizzante le residenze tetrarchiche, cfr. S. Ćurčić, Late-Antique Palaces: The Meaning of Urban Context, in Ars Orientalis, 23 (1993), pp. 67-90; I. Baldini Lippolis, Case e palazzi a Costantinopoli tra IV e VI secolo, in LXI Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina, 41 (1994), pp. 279-311; J. Kostenec, Studies on the Great Palace in Constantinople, 1. The Palace of Constantine the Great, in Byzantinoslavica, 59 (1998), pp. 279-295; Id., The Head of the Empire. The Great Palace of the Byzantine Emperors Reconsidered, in Secular Buildings and the Archaeology of Everyday Life in the Byzantine Empire, ed. by K. Dark, Oxford 2004, pp. 4-36; J. Bardill, The Great Palace, cit., pp. 216-230; I. Baldini Lippolis, La domus tardoantica. Forme e rappresentazioni dello spazio domestico nelle città del Mediterraneo, Bologna 2001, pp. 95-98, 179-188.

36 Cfr. Ç. Girgin, La parte monumentale trouvée dans les fouilles près de l’ancienne prison de Sultanahmet, in Anatolia Antiqua, XVI (2008), pp. 259-290, in A. Denker, G. Yağci, A. Başak Akay, Büyük Saray Kazısı, in Gün Işığında, cit., pp. 126-141 e fig. 11.

37 Eus., v.C. III 3.

38 Sul significato dell’immagine, cfr. C. Mango, The Brazen House, cit., pp. 23-24; G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 390-391; R. Krautheimer, Tre capitali cristiane, cit., pp. 76-77; F. de’ Maffei, Bisanzio e l’ideologia delle immagini, a cura di C. Barsanti, A. Guiglia, A. Iacobini et al., Napoli 2011, pp. 191-228, in partic. 223.

39 Eus., v.C. III 49.

40 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 131.

41 Per il ruolo attribuito alla Τύχη nella mistica costantiniana e per le sue effigi, cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 40-47, 373-374; Id., Constantinople imaginaire, cit., pp. 45, 47, 68, 90, 131, 185.

42 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 33; J. Bardill, Constantine, cit., pp. 13-15. Per alcune riflessioni sulle emissioni della zecca di Costantinopoli e i coni di Costantino, si veda sempre G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 49-51.

43 Cfr. G. Bühl, Constantinopolis und Roma. Stadtpersonifikationen der Spätantike, Zürich 1995.

44 Le dimensioni dell’Augustaîon (metri 95 × 190 circa) sono state in parte chiarite dal ritrovamento di alcuni tratti dei muri perimetrali: cfr. C. Mango, The Brazen House, cit., pp. 42-47; G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 138-139; W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 248-249; M. Jordan-Ruwe, Das Säulenmonument. Zur Geschichte des erhöhten Aufstellung antiker Porträtstatuen, Bonn 1995, pp. 158-161; F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal, cit., pp. 148-151.

45 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 44.

46 Resti di sostruzioni, attribuiti all’edificio del Senato, sono stati rilevati negli anni 1914-1918 e nel 1937: cfr. E. Mamboury, T. Wiegand, Die Kaiserpaläste von Konstantinopel, cit., pp. 35-38, tavv. 90-95; E. Mamboury, Les fouilles Byzantines à Istanbul et dans sa banlieue immédiate aux XIXe et XXe siècles, in Byzantion, 11 (1936), pp. 229-283; C. Mango, The Brazen House, cit., pp. 59-60.

47 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 119-146; A. Berger, Die Senate von Konstantinopel, in Boreas, 18 (1995), pp. 131-142. Per l’arredo statuario, si veda S. Guberti Bassett, The Urban Image of Late Antique Constantinople, Cambridge 2004, pp. 73-74, 148-152. Sull’afflusso e la ricezione delle opere d’arte a Costantinopoli, cfr. soprattutto C. Mango, Antique Statuary and Byzantine Beholder, in Dumbarton Oaks Papers, 17 (1963), pp. 55-75; H. Saradi-Mendelovici, Christian Attitudes toward Pagan Monuments in Late Antiquity and Their Legacy in Later Byzantine Centuries, in Dumbarton Oaks Papers, 44 (1990), pp. 47-61; C. Lepelley, Le musée des statues divines. La volonté de sauvegarder le patrimoine artistique païen à l’époque théodosienne, in Cahiers Archéologiques, 42 (1994), pp. 5-15; P. Stewart, The Destruction of Statues in Late Antiquity, in Constructing Identities in Late Antiquity, ed. by R. Miles, London-New York 1999, pp. 159-189; Statuen in der Spätantike, hrsg. von F.A. Bauer, C. Witschel, Wiesbaden 2007: F.A. Bauer, Virtuelle Statuensammlungen, ivi, pp. 79-109; S. Guberti Bassett, Ancient Statuary in Fourth-Century Constantinople: Subject, Style, and Function, ivi, pp. 189-201.

48 Hier., chron. a. Abr. 330: «Dedicatur Constan;tinopolis omnium paene urbium nuditate».

49 Cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., p. 11; C. Mango, Septime Sévère et Byzance, cit., pp. 599-602, figg. 2-4; J. Bardill, Brickstamps of Constantinople, cit., pp. 67-69.

50 Cfr. C. Barsanti, Note archeologiche, cit., pp. 25-26, tav. 5, figg. 8-9; S. Guberti Bassett, Historiae custos: Sculpture and Tradition in the Baths of Zeuxippos, in American Journal of Archaeology, 100 (1996), pp. 491-506; Id., The Urban Image, cit., pp. 51-58, 160-185, piante 8, 10, 17-18. Per il piedistallo ora conservato nell’Ayasofya Müzesi, cfr. A. Taddei, Monuments and Epigraphic Evidence from the City and Suburbs, in The Sculptures of the Ayasofya Müzesi in Istanbul. A Short Guide, ed. by C. Barsanti, A. Guiglia Guidobaldi, Istanbul 2010, pp. 35-48, in partic. 43, fig. 37.

51 Cfr. R. Stupperich, Das Statuenprogramm in den Zeuxippos-Thermen. Überlegungen zur Beschreibung durch Christodorus von Koptos, in Istanbuler Mitteilungen, 32 (1982), pp. 210-235; A. Kaldellis, Christodoros on the Statues of the Zeuxippos Baths: A New Reading of the Ekphrasis, in Greek, Roman, and Byzantine Studies, 47 (2007), pp. 361-383. Per alcune riflessioni al riguardo, si veda anche A. Ricci, Ut sculptura poesis: statuaria classica nelle dimore costantinopolitane di età tardoantica e bizantina (IV-X secolo), in Medioevo: il tempo degli antichi, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma 24-28 settembre 2003), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2006, pp. 188-196.

52 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 321-330; Id., Constantinople imaginaire, cit., p. 113; S. Guberti Bassett, The Antiquities in the Hippodrome of Constantinople, in Dumbarton Oaks Papers, 45 (1991), pp. 87-96; Id., The Urban Image, cit., pp. 58-67, 212-232; J. Bardill, The Monuments and Decoration of the Hippodrome in Constantinople, in Hippodrome/Atmeydanı, cit., pp. 149-184; A. Berger, The Hippodrome of Constantinople in Folklore and Legend, in Hippodrome/Atmeydanı, cit., pp. 194-205.

53 Cfr. C. Mango, L’Euripe de l’hippodrome de Constantinople, in Revue des études byzantines, 7 (1950), pp. 180-193; J. Bardill, The Architecture, cit., pp. 135-139.

54 In proposito si veda anche H. Saradi-Mendelovici, Christian Attitude, cit., pp. 56-58.

55 Cfr. Niceta Coniate, La conquista di Costantinopoli durante la IV Crociata, traduzione di F. Conca, Milano 1981, p. 20.

56 Circa la provenienza e la controversa datazione dei cavalli veneziani, cfr. S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 222-223; G. Bodon, I cavalli di San Marco, in Il Museo di San Marco, a cura di I. Favaretto, M. Da Villa Urbani, Venezia 2003, pp. 188-189 (con ampia rassegna bibliografica).

57 Ora conservata al British Museum di Londra: cfr. S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., p. 216, tav. 25.

58 Cfr. O. Panvinio, De ludis circensibus, Venezia 1600, p. 61, tav. R. Dall’Ippodromo provengono anche le due basi delle statue dell’auriga Porfirio, che sul volgere del V secolo fu grande protagonista degli agoni circensi (Istanbul, Museo Archeologico, inv. 2995 T e 5560 T); Al. Cameron, Porphyrius the Charioteer, Oxford 1973; N. Firatli, La sculpture byzantine figurée au Musée Archéologique d’Istanbul, éd. par C. Metzger, A. Pralong, J.-P. Sodini, Paris 1990, pp. 30-34, note 63-64, piante 23-24; J. Bardill, The Monuments and Decoration, cit., pp. 171-179, figg. 9.21, 9.23-9.30.

59 Cambridge, Trinity College Library, MS O.17.2 (‘Freshfield Album’), fol. 11: cfr. la breve notizia che del monumento fornisce L. Faedo (p. 610, n. 311) in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana (catal.), a cura di S. Ensoli, E. La Rocca, Roma 2000. I ventuno disegni raccolti nell’Album Freshfield sono stati attribuiti al pittore belga Lambert de Vos (a Costantinopoli nel 1574 al seguito dell’ambasciatore imperiale Karel Rijm) da R.H.W. Stichel, Zum Postament der Porphyrsäule Konstantins des Großen in Konstantinopel, in Istanbuler Mitteilungen, 44 (1994), pp. 317-327. Un ampio quadro diacronico del monumento, demolito nel 1751, è stato di recente tratteggiato da A. Taddei, La colonna di Arcadio a Costantinopoli. Profilo storico di un monumento attraverso le fonti documentarie dalle origini all’età moderna, in Νέα Ρώμη / Nea Rhome. Rivista di ricerche bizantinistiche, 6 (2009), pp. 37-102.

60 Cfr. G. Becatti, La colonna coclide istoriata, Roma 1960, pp. 200-209; G. Dagron, Constantinople imaginaire, cit., pp. 147-150; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 227-230, tav. 31; A. Berger, The Hippodrome of Constantinople in Folklore, cit., pp. 197-198.

61 Cambridge, Trinity College Library, MS O.17.2 (‘Freshfield Album’), folios 11 e 20: cfr. J. Bardill, The Architecture, cit.

62 L’iscrizione sulla base ricorda il restauro realizzato dall’imperatore Costantino VII Porfirogenito (942-959): cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., p. 65; S. Guberti Bassett, The Antiquities in the Hippodrome, cit., p. 94; J. Bardill, The Monuments and Decoration, cit., pp. 149-154, figg. 9.1-9.4.

63 Cfr. G. Fowden, Nicagoras of Athens and the Lateran Obelisk, in Journal of Hellenic Studies, 107 (1987), pp. 51-57; J.-C. Golvin, Les obelisques dressés sur la spina des grands cirques, in Cirques et courses de chars: Rome et Byzance, éd. par C. Landes (catal.), Lattes 1990, pp. 49-54; C. Mango, The Column of Justinian and His Successors, Appendix, The Bronze Colossus of the Hippodrome, in Id., Studies on Constantinople, X, Aldershot 1993, pp. 1-20, in partic. 17-20; J. Bardill, The Monuments and Decoration, cit., p. 153, fig. 9.5.

64 J. Bardill, Constantine, cit., pp. 151-158.

65 Per il culto solare di Costantino, cfr. M. Bergmann, Konstantin und der Sonnengott. Die Aussagen der Bildzeugnisse, in Konstantin der Große, cit., pp. 143-161.

66 Cfr. J. Bardill, The Monuments and Decoration, cit., pp. 155-164.

67 L’obelisco faceva parte di una coppia prelevata per volere di Costantino dal tempio del dio Ammone presso Tebe e trasportata ad Alessandria, dove rimase per vent’anni, finché Costanzo II non decise d’imbarcarlo alla volta di Roma per adornare il Circo Massimo: cfr. N. Henck, Constantius ὁ Φιλοκτίστης?, in Dumbarton Oaks Papers, 55 (2001), pp. 279-304, in partic. 281-282; J.-C. Golvin, Le transfert de l’obélisque unique de Karnak à Rome. Essai de restitution d’après un texte d’Ammien Marcellin, in Mélanges d’Antiquité tardive. Studiola in honorem Natalis Duval, éd. par C. Balmelle, P. Chevalier, G. Ripoll, Turnhout 2004, pp. 17-25.

68 Cfr. J. Bardill, The Monuments and Decoration, cit., pp. 164-167.

69 Cfr. R.W.H. Stichel, Die «Schlangensäule» im Hippodrom von Istanbul. Zum spät und nachantiken Schicksal des Delphischen Votivs der Schlacht von Plataiai, in Istanbuler Mitteilungen, 47 (1997), pp. 315-348.

70 Istanbul, Museo Archeologico, inv. 18: cfr. S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 224-227; J. Bardill, The Monuments and Decoration, cit., p. 165, fig. 9.17.

71 Cfr. C. Barsanti, Note archeologiche, cit., pp. 45-49; U. Peschlow, Betrachtungen zur Gotensäule in Istanbul, in Tesserae. Festschrift für Josef Engemann, Münster 1991, pp. 215-228; C. Mango, The Column of Justinian, cit, pp. 1-2; Id., The Triumphal Way of Constantinople and the Golden Gate, in Dumbarton Oaks Papers, 54 (2000), pp. 173-188, in partic. 177-178.

72 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 397-399.

73 Cfr. R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 91-92.

74 Cfr. F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal, cit., pp. 224-228; C. Mango, Le développement, cit., pp. 19, 32; Id., The Triumphal Way, cit., p. 178.

75 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 45; Id., Constantinople imaginaire, cit., pp. 129, 151; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 71, 242-243.

76 Cfr. R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 103-104; W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 216-218; C. Mango, Le développement, cit., pp. 27, 33.

77 Per il significato attribuito a questo gruppo, cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 37; C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., p. 128, fig. 7.

78 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 45; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 238-241.

79 Cfr. G. Dagron, Constantinople imaginaire, cit., pp. 42-43; C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., pp. 128-129; F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal, cit., pp. 218-224; C. Mango, Le développement, cit., p. 26; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 71-73, 152-156.

80 Cfr. R. Janin, Constantinople byzantine, cit., p. 208.

81 Cfr. infra.

82 Cfr. G. Becatti, La colonna, cit., p. 209.

83 Cfr. E. Mamboury, Contribution à la topographie générale de Constantinople, in Actes du VIe Congrès International d’Études Byzantines (Paris 27 juillet-2 août 1948), II, Paris 1951, pp. 243-253.

84 Cfr. R. Janin, Constantinople byzantine, cit., p. 80; W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 269-270; C. Mango, Le développement, cit., pp. 27-28; A. Berger, Streets and Public Spaces in Constantinople, in Dumbarton Oaks Papers, 54 (2000), pp. 161-172.

85 La Notitia Urbis Constantinopolitanae segnala ben 50 portici.

86 Cfr. M. Mundell Mango, The Porticoed Street at Constantinople, in Byzantine Constantinople. Monuments, Topography, and Everyday Life, ed. by N. Necipoğlu, Leiden-Boston-Köln 2001, pp. 29-51; ma anche K.R. Dark, Houses, Streets and Shops in Byzantine Constantinople from the Fifth to the Twelfth Centuries, in Journal of Medieval History, 30 (2004), pp. 83-107.

87 Cfr. R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 62-64; F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal, cit., pp. 167-187.

88 Cfr. C. Mango, Le développement, cit., p. 25.

89 Esplicita, al riguardo, la testimonianza di Zos., II 30-31. Sull’arco occidentale si leggeva l’epigrafe «Menas ha fatto quest’opera aurea per tutti i passanti, glorificando la città degli imperatori ricchi d’oro», tramandata da un epigramma dell’Antologia Palatina (IX 785).

90 Cfr. G. Becatti, s.v. Costantinopoli, cit., p. 888; E. La Rocca, La fondazione di Costantinopoli, cit., pp. 574-575. Per l’interpretazione ‘allegorica’ dell’ambito forense proposta dai patriografi, che equiparano la sua ampiezza a quella dell’accampamento di Costantino che fu colà posto, oppure lo assimilano alla forma dell’oceano, cfr. G. Dagron, Constantinople imaginaire, cit., pp. 85 segg.

91 Cfr. G. Becatti, La colonna, cit., pp. 210-212.

92 Cfr. M. Mundell Mango, The Porticoed Street, cit., pp. 39-40.

93 Cfr. R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 154-155; C. Mango, Le développement, cit., p. 26. Per l’arredo statuario, cfr. S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 68-71, 188-192, 227-228.

94 Si ha notizia di dodici colonne di porfido che sorreggevano sirene dorate (dette popolarmente cavalli marini), di varie statue di animali, tra cui quella di un elefante, e quelle attribuite ad Apollo di Thiane. L’elenco comprende inoltre un orologio di bronzo da Cizico, una statua bronzea di Era, il gruppo di Paride che porge il pomo ad Afrodite, le statue dorate dei figli di Costantino e quelle di eminenti cittadini, nonché una serie di bassorilievi con la rappresentazione degli eventi futuri della città; vi erano anche le icone dei vescovi di Costantinopoli dipinte al tempo di Costantino.

95 Cfr. G. Becatti, La colonna, cit., p. 210, tav. 75c; C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., pp. 135-136, fig. 10; F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal, cit., pp. 179-182.

96 Cfr. C. Mango, Constantine’s Porphyry Column and the Chapel of St. Constantine, in Δελτίον Χριστιανικῆς ᾿Αρχαιλογικῆς τῆς ῾Εταιρείας, 10 (1980-1981), pp. 103-110.

97 La planimetria, con scala 1/250, è conservata presso l’Istituto Archeologico Germanico di Istanbul. È stata ‘laconicamente’ riprodotta da J. Bardill, The Palace of Lausus and Nearby Monuments in Constantinople. A Topographical Study, in American Journal of Archaeology, 101 (1997), pp. 67-95, in partic. 71, fig. 2. Per un più ampio commento al riguardo, cfr. C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., pp. 138-139.

98 Per un riepilogo circa le scoperte e le occasionali indagini archeologiche nell’area del Foro di Costantino, cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 255-256; C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., pp. 137-138.

99 Ora conservata nel giardino del Museo Archeologico di Istanbul inv. 3214, cfr. N. Firatli, La sculpture byzantine, cit., p. 132, tav. 32; C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., p. 138. Un analogo elemento architettonico, riesumato più recentemente dai depositi di limo che avevano invaso la Cisterna Basilica (Yerebatan Sarayı), potrebbe essere invece una spoglia dell’arco che dava accesso alla vicina stoá romana, cfr. C. Barsanti, Note archeologiche, cit., pp. 37-39, tav. 14, fig. 31; tav. 15, figg. 32-33.

100 Cfr. C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., p. 139, fig. 13; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., p. 208, pianta 24. Sulla diffusa pratica di riadoperare ritratti più antichi, cfr. C. Parisi Presicce, Costantino e i suoi figli. Il nuovo volto dei potenti, in Costantino 313 d.C. L’editto di Milano e il tempo della tolleranza, catalogo della mostra a cura di G. Sena Chiesa, Milano 2012, pp. 109-119.

101 Cfr. M. Bergmann, Die Strahlen der Herrscher. Theomorphes Herrscherbild und politische Symbolik in Hellenismus und in der römischen Kaiserzeit, Mainz 1998, pp. 284-287; M. Jordan-Ruwe, Das Säulenmonument, cit., pp. 124-140; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 192-204; J. Bardill, Con;stantine, cit., pp. 28-42.

102 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 37-42.

103 Da ultima, S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 192-204.

104 La Tabula Peutingeriana è conservata a Vienna, nella Österreichische Nationalbibliothek, come Cod. Vindobonensis 324: cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 51-52; R. Krautheimer, Tre capitali cristiane, cit., p. 86, fig. 53; C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., p. 131; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., p. 199, tav. 19.

105 Cfr. S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., p. 200, tav. 21; F.A. Bauer, Konstantinopel Kaiserresidenz und künftige Hauptstadt, in Konstantin der Große, cit., pp. 165-172, fig. 1.

106 Cfr. S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 200, 205, tav. 22.

107 Cfr. D. Lathoud, La consécration et la dédicace de Constantinople, in Echos d’Orient, 23 (1924), pp. 289-314, in partic. 299-303; A. Frolow, La dédicace de Constantinople dans la tradition byzantine, in Revue de l’histoire des religions, 64 (1944), pp. 61-127, in partic. 77 e note 1-2; G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 39-40; Id., Constantinople imaginaire, cit., pp. 131, 144; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., pp. 205-206; S. Bralewski, The Porphyry Column in Constantinople and the Relics of the True Cross, in Studia Ceranea. Journal of the Waldemar Ceran Research Centre for the History and Culture of the Mediterranean Area and South-East Europe, 1 (2011), pp. 87-100.

108 Cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 253-257; M. Jordan-Ruwe, Das Säulenmonument, cit., pp. 127-128.

109 Cambridge, Trinity College Library, MS O.17.2 (‘Freshfield Album’), fol. 1: cfr. R.H.W. Stichel, Zum Postament, cit.

110 Come ha chiaramente dimostrato Cyril Mango, il fusto non ebbe mai più di sette rocchi: cfr. C. Mango, Constantinopolitana, in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 80 (1965), pp. 305-336, in partic. 311-312; Id., Constantine’s Porphyry Column and the Chapel, cit., p. 104; Id., Constantine’s Column, in Id., Studies on Constantinople, III, Aldershot 1993, pp. 1-6.

111 Cfr. G. Becatti, La colonna, cit., pp. 84-88. Grazie al ponteggio che racchiudeva la colonna, per un restauro conservativo di notevole impegno completato nel 2009, è stato possibile avere un’emozionante visione ravvicinata del fusto, cui è stata restituita la primitiva cromia purpurea del porfido. Vi è stata così la possibilità di esaminare il sistema degli incastri dei tamburi di porfido e, soprattutto, la fattura dei serti d’alloro, che appaiono scolpiti con maggiore accuratezza nei tamburi inferiori, mentre, salendo, il modellato risulta via via più sommario. Al riguardo, cfr. C. Barsanti, ‘Marmora byzantina’ II. Costantinopoli nel IV-VI secolo: i colori del marmo, in Medioevo: le officine, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma 22-27 settembre 2009), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2010, pp. 58-79, in partic. figg. 1-2.

112 «Manuele, il pio imperatore, ha restaurato questa opera divina rovinata dal tempo».

113 Cfr. C. Barsanti, Costantinopoli e l’Egeo nei primi decenni del XV secolo: la testimonianza di Cristoforo Buondelmonti, in Rivista dell’Istituto nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, 56 (2001), pp. 209-219, in partic. 211, 213, figg. 59, 61, 62, 77-79, 82-84.

114 Cfr. G. Fowden, Constantine’s Porphyry Column: The Earliest Literary Allusion, in Journal of Roman Studies, 81 (1991), pp. 119-131.

115 Cfr. C. Mango, Constantine’s Column, cit., pp. 5-6. La peculiare struttura decorativa della colonna di Costantino, che non sembra avere precedenti né tanto meno trova confronti nella sua epoca, divenne tuttavia, in prosieguo di tempo, modello per altre colonne onorarie costantinopolitane, come testimoniano gli elementi di marmo proconnesio, con tutta probabilità appartenenti alla colonna, caratterizzata ugualmente da un fusto non monolitico e fatta erigere in onore dell’imperatore Leone I (457-474) dalla sorella Eufemia ai Pittakia, e, soprattutto, l’imponente colonna di Giustiniano che si ergeva nell’Augustaion, straordinario monumento, simbolo della grandeur imperiale bizantina, sopravvissuto fino ai primi anni del XVI secolo (cfr. C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze, cit., pp. 149-150, fig. 20; Id., Costantinopoli e l’Egeo, cit., pp. 215-219, figg. 89-92).

116 Copenhagen, The Royal Collection of Graphic Art, inv. KKSgb 5473, 8 cm 33 × 43: cfr. J.-P. Sodini, Images sculptées et propagande impériale du IVe au VIe siècle: recherches récentes sur les colonnes honorifiques et les reliefs politiques à Byzance, in Byzance et les images, éd. par A. Guillou, J. Durand, Paris 1994, pp. 41-94, in partic. 45, fig. 3; M. Jordan-Ruwe, Das Säulenmonument, cit., pp. 126-135.

117 Cfr. C. Mango, Constantinopolitana, cit., pp. 307-308.

118 Le nostre conoscenze sono, infatti, assai lacunose, poiché finora il sottosuolo d’Istanbul ha restituito ben pochi reperti scultorei riconducibili all’età costantiniana, tra cui un frammento di testa maschile con corona civica, sommariamente lavorata, ora a Berlino ma di provenienza costantinopolitana, forse parte di un più ampio contesto figurato, per la quale è stata suggerita anche un’identificazione con Crispo, il primogenito di Costantino: cfr. A. Effenberger, H.-G. Severin, Das Museum für spätantike und byzantinische Kunst, Berlin-Mainz 1992, p. 89; M. Cadario, Testa di un figlio di Costantino (Crispo?), in Costantino 313 d.C., cit., cat. 152, p. 248.

119 Ancora oggi, a circa 250 metri dalla colonna di Costantino, c’è uno svincolo stradale di una certa importanza, in cui converge la Uzuncarsi Caddesi, che attraversa il bazar e discende in linea retta verso il Corno d’Oro.

120 Cfr. A. Berger, Das Chalkun Tetrapylon und Parastaseis, Kapitel 57, in Byzantinische Zeitschrift, 90 (1997), pp. 7-12.

121 Cfr. C. Mango, The Triumphal Way, cit., p. 177.

122 Cfr. E. La Rocca, La fondazione di Costantinopoli, cit., pp. 569-571; C. Mango, Le développement, cit., p. 30; Id., The Triumphal Way, cit., p. 177.

123 Cfr. D. Feissell, Le Philadelphion de Constantinople: inscriptions et écrits patriographiques, in Comptes-rendus des séances de l’Académie des inscriptions et belles-lettres, 147,1 (2003), pp. 495-521, in partic. 510. Una connotazione marcatamente cristiana del Kapitólion e stata invece suggerita da P. Speck, Urbs, quam Deo donavimus. Konstantins des Großen Konzept für Konstantinopel, in Boreas, 18 (1995), pp. 143-173.

124 Cfr. D. Feissell, Le Philadelphion, cit., pp. 510-514.

125 Sul Philadélphion e i suoi monumenti, cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., p. 267; C. Mango, Le développement, cit., pp. 28-30; A. Berger, Untersuchungen zu den Patria Konstantinupoleos, cit., pp. 330-337; F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal, cit., pp. 228-233; S. Guberti Bassett, The Urban Image, cit., p. 242.

126 Cfr. P. Verzone, I due gruppi in porfido di San Marco in Venezia e il Philadelphion di Costantinopoli, in Palladio, 8 (1958), pp. 8-14.

127 Cfr. N. Firatli, La sculpture byzantine, cit., pp. 4-5, tav. 1.

128 Cfr. G. Tigler, Tetrarchi, in Le sculture esterne di San Marco, a cura di L. Lazzarini, M. Piana, O. Demus, Milano 1995, pp. 222-226; H.P. Laubscher, Beobachtungen zu tetrarchischen Kaiserbildnissen aus Porphyr, in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 114 (1999), pp. 207-252. Si vedano inoltre gli Atti della Giornata di studi L’enigma dei Tetrarchi (Venezia 28 ottobre 2010), in corso di stampa.

129 Cfr. L. Faedo, I porfidi: imagines di potere, in Aurea Roma, cit., pp. 61-65.

130 Tali statue erano ancora esistenti sul volgere del Medioevo: cfr. C. Mango, Le développement, cit., p. 29; E. Concina, Le arti di Bisanzio. Secoli VI-XV, Milano 2002, p. 10.

131 Cfr. G. Dagron, Constantinople imaginaire, cit., pp. 140, 144 e nota 80.

132 Cfr. D. Feissell, Le Philadelphion, cit; A. Taddei, Monuments and Epigraphic, cit., pp. 42-43, figg. 34-36.

133 Sulle travagliate vicende di questo obelisco, cfr. E. Iversen, Obelisks in Exile, II, The Obelisks of Istanbul and England, Copenhagen 1972, pp. 39-50.

134 Cfr. C. Barsanti, ‘Marmora byzantina’, cit., pp. 58-59.

135 In particolare, cfr. R. Delbrück, Antike Porphyrwerke, Berlin-Leipzig 1932, pp. 116-118, 148-149.

136 Secondo Zos., XXXI 3, Costantino avrebbe fatto costruire le case a imitazione di quelle possedute a Roma dagli stessi personaggi rimasti meravigliati di trovare a Costantinopoli edifici in tutto e per tutto simili agli originali: cfr. I. Baldini Lippolis, Case e palazzi, cit., pp. 293-294. In proposito si veda anche R. Van Dam, Rome and Constantinople. Rewriting Roman History During Late Antiquity, Waco 2010, pp. 54-56.

137 Cfr. I. Baldini Lippolis, La domus tardoantica, cit., pp. 180-188.

138 Cfr. V. Tiftixoglu, Die Helenianai nebst einigen anderen Besitzungen im Vorfeld des frühen Konstantinopel, in Studien zur Frühgeschichte Konstan;tinopels, hrsg. von H.-G. Beck, München 1973, pp. 49-120. Il complesso, che non doveva essere troppo lontano dal monastero armeno di Sulumanastir, includeva forse un portico semicircolare denominato Sigma: cfr. A. Berger, Tauros e Sigma: due piazze di Costan;tinopoli, in Bisanzio e l’Occidente: arte, archeologia, storia. Studi in onore di Fernanda de’ Maffei, a cura di M. Bonfioli, R. Farioli Companati, A. Garzya, Roma 1996, pp. 19-24.

139 La costruzione delle mura, iniziata da Costantino, fu completata dai suoi successori: cfr. Iul., Or. I 33.

140 Cfr. R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 263-265; C. Mango, Le développement, cit., pp. 24-25.

141 Questo segmento della Mése, fiancheggiato dai cosiddetti portici troadensi, corrisponderebbe a quello dalla moderna Cerrahpaşa Caddesi: cfr. C. Mango, The Triumphal Way, cit.

142 Cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 118-119; C. Mango, Le développement, cit., p. 25.

143 Cfr. C. Mango, Le développement, cit., p. 25; Id., The Triumphal Way, cit., pp. 175-176; C. Barsanti, Costantinopoli e l’Egeo, cit., p. 208, fig. 59.

144 Cfr. F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal, cit., pp. 243-245.

145 Cfr. R. Janin, Constantinople byzantine, cit., pp. 351-352; C. Mango, Le développement, cit., p. 47.

146 Eus., v.C. III 48,1.

147 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 388-409.

148 Cfr. C. Mango, Le développement, cit., pp. 34-36.

149 Cfr. ivi, p. 35.

150 Cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 112-117; G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 392-393.

151 Ipotesi cautamente suggerita da A.M. Schneider, Die vorjustinianische Sophienkirche, in Byzantinische Zeitschrift, 36 (1936), pp. 77-85.

152 Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 397-399; R.J. Mainstone, Hagia Sophia. Architecture, Structure and Liturgy of Justinian’s Great Church, London 1988, pp. 131-132.

153 Cfr. R.J. Mainstone, Hagia Sophia, cit., p. 134. Per la prima Santa Sofia è stato anche ipotizzato un impianto tetraconco da M. della Valle, La Santa Sofia, le Sante Sofie e la “cattedrale” nel mondo bizantino, in Medioevo: l’Europa delle cattedrali, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma 19-23 settembre 2006), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2007, pp. 155-169.

154 Cfr. C. Barsanti, Note archeologiche, cit., p. 27; Ö. Dalgıç, Pre-Constantinian Mosaic Floors in Istanbul, in Ἀ᾿Αναθήματα ἑορτικά. Studies in honor of Thomas F. Mathews, ed. by J.D. Alchermes, H.C. Evans, T.K. Thomas, Mainz 2009, pp. 124-130, figg. 1-3.

155 Cfr. M. Ramazanoğlu, Sentıren ve Ayasofyalar Manzumesi, İstanbul 1946. Non sembra peraltro possibile riferire alla fabbrica della prima Santa Sofia lo Skeuphylakion: le sommarie indagini archeologiche finora condotte all’interno dell’edificio, caratterizzato da un singolare impianto dodecagonale, sviluppato su tre piani, non ne hanno, infatti, del tutto chiarita la cronologia, al di là di un generico inquadramento nell’ambito del V secolo: cfr. T.F. Mathews, The Early Churches of Constantinople: Architecture and Liturgy, London 1971, pp. 16-17; S. Türkoğlu, Ayasofya Skevophilakionu kazıst, in Ayasofya Müzesi Yılliğı, 9 (1983), pp. 25-35; R.J. Mainstone, Hagia Sophia, cit., p. 137, figg. 161-162.

156 Cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 405-411; C. Mango, Le développement, cit., p. 27.

157 Al riguardo si segnala una recente indagine, volta a individuare eventuali resti ‘bizantini’ inglobati nella moschea, condotta da K. Dark, F. Özgümüş, New Evidence for the Byzantine Church of the Holy Apostles from Fatih Camii, Istanbul, in Oxford Journal of Archaeology, 21 (2002), pp. 393-413.

158 In particolare, cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 401-409; C. Mango, Constantine’s Mausoleum and the Translation of Relics, in Byzantinische Zeitschrift, 83 (1990), pp. 51-61; M.J. Johnson, The Roman Imperial Mausoleum in Late Antiquity, Cambridge 2009, pp. 119-129; J. Bardill, Constantine, cit., pp. 367-376.

159 Per alcune riflessioni sull’aspetto ideologico del complesso, cfr. G. Dagron, Empereur et prêtre, Paris 1996, pp. 151-155, 209-214.

160 Cfr. N. Asutay-Effenberger, A. Effenberger, Die Porphyrsarkophage der oströmischen Kaiser. Versuch einer Bestandserfassung, Zeitbestimmung und Zuordnung, Wiesbaden 2006, pp. 99-104.

161 Cfr. D. Woods, The Date of the Translation of the Relics of SS. Luke and Andrew to Constantinople, in Vigiliae Christianae, 45 (1991), pp. 286-292.

162 Cfr. D. Woods, The Church of “St.” Acacius at Constantinople, in Vigiliae Christianae, 55 (2001), pp. 201-207.

163 Tutti i sarcofagi erano stati in precedenza già violati. Niceta Coniate racconta che nel 1204 i latini aprirono, a colpi di mazza e con leve, le tombe degli imperatori per depredarle di ogni oggetto prezioso. Infatti quasi tutti i sarcofagi mostrano oggi ampie fratture: cfr. J. Ebersolt, Mission archéologique de Constantinople, Paris 1921, pp. 6-14.

164 Cfr. N. Asutay-Effenberger, A. Effen;berger, Die Porphyrsarkophage, cit., pp. 17-19.

165 Cfr. R. Delbrück, Antike Porphyrwerke, cit, p. 214, tav. 107.

166 Apparterrebbe al medesimo sarcofago anche una piccola testa di putto oggi a Berlino: cfr. N. Asutay-Effenberger, A. Effenberger, Die Porphyrsarkophage, cit., p. 17, fig. 2.

167 Ivi, pp. 72-76.

168 Cfr. R. Delbrück, Antike Porphyrwerke, cit., pp. 222-224, 227, figg. 115-116.

169 Cfr. J. Bardill, Constantine, cit., pp. 181-190.

170 Cfr. R. Gnoli, Marmora romana, Roma 1988², pp. 118-119; C. Barsanti, ‘Marmora byzantina’, cit., p. 58. Le due colonne, alte 3,60 metri ciascuna, sono state di recente riutilizzate, assai più prosaicamente, ai lati della nuova cancellata d’ingresso al Museo Archeologico di Istanbul. Entrambe mostrano sul fusto piccoli fori destinati all’applicazione di croci metalliche.

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