Costanza d'Altavilla

Enciclopedia Dantesca (1970)

Costanza d'Altavilla

Ovidio Capitani

Figlia di Ruggero II di Sicilia e della sua terza moglie Beatrice di Rethel, nacque nel 1154, postuma, essendo il padre morto il 27 febbraio 1154; il 27 gennaio 1186 sposò il figlio di Federico I di Svevia, Enrico (poi Enrico VI), quando era ormai evidente che il nipote Guglielmo II il Buono, re di Sicilia dal 1166 al 1189, sarebbe rimasto senza eredi diretti.

Al compimento di queste nozze non fu certamente estranea la volontà dell'arcivescovo di Palermo Gualtieri Offamil, anche se non sembra credibile che solo motivi di rivalità personale dello stesso Gualtieri nei riguardi dell'altro protetto di Guglielmo, Matteo d'Ajello, abbiano consigliato le nozze che portavano a maturazione un ambizioso disegno politico di Barbarossa. Morto Guglielmo II nel 1189, C. e il marito si trovarono a dover fronteggiare la rivolta dei nobili normanni che avevano eletto re Tancredi, conte di Lecce e cugino di Guglielmo II; dopo alterne vicende, che videro la prigionia di C. a Salerno, la sua fuga e la definitiva vittoria di Enrico VI, il 26 dicembre 1194 dava alla luce a Iesi Federico (il futuro Federico Il), destinato a essere l'ultimo grande imperatore non solo della casa di Soave, ma della maggiore tradizione medievale. Mortole il marito (1197), rimase a reggere da sola il regno in un momento di crisi per le risorgenti velleità autonomistiche dei nobili locali, per il profondo dissidio tra l'elemento normanno e quello germanico imposto dal marito nei posti chiave dello stato, per la stessa giovanissima età del figlio Federico, cui la scomparsa di Enrico VI lasciava anche il compito di tentare di mantenere nell'ambito della dinastia di Svevia la corona imperiale. Appoggiatasi ai nobili normanni contro il siniscalco Marcualdo di Anweiler fece proclamare re di Sicilia il figlio Federico (1198) guadagnandosi la simpatia del papa Innocenzo III, interessato per altro al riconoscimento dell'alta sovranità pontificia sul regno. In punto di morte (spirava in Palermo il 27 novembre 1198) nominò tutore del figlio lo stesso Innocenzo III, affidando il governo al cancelliere Gualtieri di Palearia.

C. appare a D. nel cielo della Luna (Pd III 105-120), additata da Piccarda che ne illustra la personalità e narra del suo forzato abbandono del chiostro; menzionata anche in Pg III 113 in una perifrasi che designa Manfredi. Il personaggio peraltro non parla a D., non stabilendo quindi un rapporto diretto col poeta. L'immagine che D. ne fissa, certamente in luce favorevole, è costruita sul ricordo della sua importanza come personaggio politico (Manfredi si connota come nepote di Costanza imperadrice [Pg III 113] e, d'altro canto, in Pd III 118-120, viene dato particolare risalto al suo matrimonio con Enrico VI e alla sua prole, Federico II, ultima possanza della casa sveva) e sul motivo della sua femminilità offesa nei sentimenti più intimi (Pd III 115-117 Ma poi che pur al mondo fu rivolta / contra suo grado e contra buona usanza, / non fu dal vel del cor già mai disciolta), in una prospettiva che, accogliendo un dato tradizionale, quello della monacazione cui C. sarebbe stata sottratta con forza per le nozze, pare peraltro miri a contrastare alquanto con la figurazione trasmessa dalla storiografia di parte guelfa o comunque antimperiale.

Per quanto, infatti, una tradizione storiografica pur non molto tarda (tipico il caso di Bartolomeo di Neocastro, Historia Sicula, ediz. G. Paladino, in Rer. Ital. Script. XIII2 3, 1-2) abbia intessuto intorno al personaggio tutta una serie di fatti leggendari ed errati - C. figlia di Guglielmo I, monaca sottratta al monastero per ordine del papa e mediante l'intervento di Gualtieri di Offamil, dopo che s'era resa palese la disubbidienza del nuovo re di Sicilia Tancredi ai voleri della Chiesa romana, sposata sessantenne o cinquantenne a Enrico VI, causa di rovina per il suo regno (già nel cosiddetto Falcando Epistola ad Petrum Panormitanae ecclesiae thesaurarium, in Fonti Istit. Stor. Ital. XXII, Roma 1897, a c. di G.B. Siragusa, 174; ma v. E. Jamison, Admiral Eugenius of Sicily, Londra 1957, 177-297) - fatti confluiti in parte anche in alcuni commentatori (v. Enrico VI), D. si mostra propenso a difendere C. soprattutto dai due maggiori rilievi, di aver rotto fede al voto di verginità e di aver provocato la rovina del regno meridionale. È infatti singolare che, ponendola nel Paradiso, D. insista nel dichiarare che l'inadempienza del voto non fu voluta da C., ma a lei imposta, in evidente contrasto con quella che sarà la presentazione di G. Villani (Cron. IV 20): " Costanzia serocchia del re Guglielmo [ !] era, già forse d'età di cinquant'anni, del corpo non della mente monaca ". Questa può essere considerazione di maggior o più concreto rilievo che il discettare se le parole di Piccarda Donati, che introduce C. (Pd III 110-111), relative al maggior splendore del suo spirito, possano indicare un'eminenza di dignità regale; o anche dell'inquisire se e perché C. non abbia esercitato la virtù in grado eroico (v. ad es. Filomusi Guelfi, Nuovi studii su D., città di Castello 1911; e Nuovissimi studii su D., ibid. 1912; inoltre la notizia di G. Busnelli, in " Bull. " XX [1913] 28, 41-42).

Certo D. non può, per la rappresentazione che egli fornisce di C., venir indicato schematicamente come esponente di una corrente storiografica di ghibellinismo consapevole: come è stato puntualizzato recentemente dal Löwe, D., non ghibellino, vuole soprattutto prospettare in una luce favorevole la situazione della monarchia siciliana (Manfredi nipote di C. e padre di colei che sarà genitrice / de l'onor di Cicilia e d'Aragona, Pg III 115-116) che ha in C. d'A. la sua vera ragione d'essere (Enrico VI non è forse un vento, se si deve accettare il significato tradizionale della parola?). Così, D. non raccoglie nemmeno la leggenda presente nell'Anonimo Vaticano (Historia Sicula, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script. VIII, 778 ss.) di una supposta profezia di Gioachino da Fiore circa la nascita ‛ mostruosa ' di Federico II da una donna ormai vecchia e disfatta, costretta, anche per volontà del papa, a mostrare a tutti le mammelle turgide di latte per convincere gli increduli dell'avvenuta nascita del figlio di Enrico VI. E rispetto alla troppo facile accusa dell'inadempienza del voto di castità, D. distingue con Tommaso (Sum. theol. II 6 4-6) tra una volontà ‛ semplice ' e una volontà secundum quid, che sostanzialmente spiega in termini umani e però ancora eticamente cristiani - nella dimensione della morale tomistica - l'atteggiamento di C., sposa pur essendo veritieramente dal vel del cor già mai disciolta.

Bibl. - Oltre alle opere citate nel corso della voce, si ricordi F. Schneider, D. und die Staufer, in Arch. stor. pugliese XIII (1960) 97-113, e, soprattutto, per equilibrio d'indagine e ricchezza di riferimenti bibliografici, H. Lówe, D. und die Staufer, in Speculum Historiale, Monaco 1965, 316-333, che dispensa da ogni ulteriore indicazione.

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