FARNESE, Costanza

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 45 (1995)

FARNESE, Costanza

Roberto Zapperi

Figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III, nacque a Roma in una data che non è attestata, ma che dovette cadere verso il 1500.

Il nome della madre, Silvia Ruffini, e tramandato da Rabelais, che lo comunicò al vescovo di Maillezais Geoffroy d'Estissac in una lettera da Roma del 15 febbr. 1536. Era romana e non di Bolsena, come scrisse Angelo Massarelli (cfr. Concilium Tridentinum) nel suo diario. Mentre per i tre figli maschi, Pierluigi, Paolo e Ranuccio, che il cardinale Alessandro ebbe dalla Ruffini dopo di lei, esistono gli atti autentici della legittimazione e i brevi pontifici che l'autorizzarono, per la F. manca ogni riferimento del genere. Per quanto abbia portato sempre il nome del padre, non è quindi sicuro che sia stata legittimata come i fratelli, tanto più che non è conservato neanche l'atto di matrimonio e nessun altro documento notarile che abbia valore probante.

Sposò, in una data che non è attestata, Bosio Sforza, conte di Santa Fiora, e nel novembre del 1518 ne ebbe il primo figlio, Guido Ascanio. Seguirono altri nove figli, cinque maschi (Sforza, Carlo, Mario, Alessandro, Paolo) e quattro femmine (Francesca, Giulia, Camilla, Faustina). Prima che il padre fosse elevato al pontificato, visse insieme con lui nel palazzo Farnese di Roma, mentre i primi figli venivano allevati insieme con quelli del fratello Pierluigi nei possedimenti dell'alto Lazio, tra Gradoli, Capodimonte e Santa Fiora. Questo si desume da una lettera del cardinale Alessandro alla F., in data 13 maggio 1530, nella quale si presenta in veste di nonno affettuoso, preoccupato dell'educazione di "tutti questi mammoli".

Dopo che il padre venne eletto al pontificato, andò ad abitare per conto suo in un palazzo che si fece costruire in via Giulia, "presso agli Incoronati et Torre Savella". Dal padre fu sempre amatissima e tanto più dopo che la morte gli rapì un secondo figlio nel 1528, Ranuccio (Paolo era già morto nel 1513). Quando l'amore del padre si coniugò con quello di Santa Madre Chiesa, per la F. ebbe inizio una stagione dorata, carica di preziosi frutti. Dal papa ebbe infatti subito la metà della ricca tenuta di Puzzolo, nel Perugino, che fu completata con l'altra metà nel 1545. Due anni prima, nel 1543, aveva avuto il governo di Bolsena, ma secondo il Massarelli teneva anche quelli di San Lorenzo, Montefiascone, Acquapendente "et altre molte terre et castelli della Chiesa romana". Dal padre riceveva inoltre una pensione fissa di 300 scudi d'oro al mese, almeno a partire dal 1540, oltre a una pioggia di donativi particolari nelle più svariate circostanze. Di tanta fortuna la F. era però ben lontana di contentarsi: sicura del favore paterno, non perse mai occasione per sfruttarlo oltre ogni limite a vantaggio suo e della numerosa figliolanza.

Alla prima creazione cardinalizia (18 dic. 1534), che seguì di soli due mesi l'elevazione del padre al pontificato, ottenne per il primogenito Guido Ascanio, appena sedicenne, la porpora con il consueto abbondantissimo contorno di vescovati, abbazie e benefici ecclesiastici di ogni ordine e grado. Non dimenticò gli altri figli. Sforza, il secondogenito, che succedette al padre morto nel 1535 nella contea di Santa Fiora, fu avviato alla carriera delle armi e sistemato per intervento del nonno con la ricchissima ereditiera Luisa Pallavicino, vedova di Cagnino Gonzaga e figlia unica del defunto marchese Pallavicino (gli portò in dote un immenso patrimonio con i castelli di Torchiara e Felino nel Parmigiano). Carlo, cavaliere di Malta, ebbe a dodici anni la nomina a priore di Lombardia. Mario fu abate di S. Pietro in Pavia, Alessandro e Paolo scrittori apostolici in tenerissima età, sapendo appena sillabare. Ma bisognava fare presto, perché il papa era vecchio e le fortune della famiglia riposavano ancora tutte su di lui.

Non mancò naturalmente alle figlie una sistemazione adeguata. A tutte e quattro fu trovato il marito nella migliore nobiltà: Francesca sposò Girolamo Orsini, Giulia Sforza Pallavicino, Camilla Besso marchese di Masserano, Faustina Muzio Sforza marchese di Caravaggio.

La facilità con cui la F. otteneva tanti favori per sé e per i figli la indusse presto ad allargare, e di molto, il raggio della sua influenza benefica: che patrocinasse la carriera ecclesiastica del fratello uterino Tiberio Crispi, ottenendogli anche, nel 1544, il cardinalato, non può meravigliare. Sul suo conto si debbono mettere però almeno altri tre cardinali e cioè Uberto Gambara, Ascanio Parisani e Durante Duranti.

Secondo il Massarelli, la nomina di questi candidati, tutt'altro che meritevoli di entrare nel S. Collegio, fruttò alla F. un bel mucchio di quattrini. Ma a sentir lui, questi tre erano solo i casi più noti e scandalosi, "molto più sono quelli, li quali avendo sborsati molti denari et presenti, sono ascesi quasi per forza di doni al cardinalato". Per non parlare degli innumerevoli prelati che, per suo intervento, ottennero "chiese et dignità et honori". La fama della onnipotenza della sua intercessione si diffuse rapidamente negli ambienti della Curia romana e non c'era inviato, accreditato presso la corte pontificia per trattarvi ogni sorta di affari, che non venisse a sapere subito qual era la strada migliore per trarsi d'impaccio.

Alla F., "della quale nissuna persona dicono potere più disporre di Sua Santità" (cfr. Soragna), raccomandava di rivolgersi l'agente senese Aurelio Manni Ugolini nel 1544. A lei si rivolgevano abitualmente i diplomatici urbinati, i rappresentanti di Orvieto, di Bologna, di Parma e di chi sa quante altre città e Stati d'Italia e d'Europa. Il 14 apr. 1539 l'ambasciatore imperiale a Roma marchese A. de Aguilar scrisse a Carlo V che non si poteva rifiutare alla F. il vescovato di Astorga, richiesto per il figlio Guido Ascanio. La sua devozione alla causa imperiale era nota e un rifiuto poteva costare caro. "Avarissima et molto cupida di denari" (è sempre il Massarelli che lo dice), la F. prendeva di tutto e non andava tanto per il sottile quando si trattava di incassare: ai Parmigiani che una volta le offrirono con inusitata. tirchieria solo due tazze d'argento non disse di no.

La condiscendenza del vecchio pontefice per la figlia, che ancora in età matura "di bellissimo et giovenile aspetto appareva", sembrò eccessiva e provocò accuse di incesto del tutto fantasiose. Cominciò, come sempre in questi casi, Pietro Aretino, il maestro ineguagliato di ogni velenosa maldicenza, e la maligna insinuazione passò, come oro colato, nelle pagine dello storico protestante Johannes Sleidan.

La F. morì a Roma il 23 maggio 1545. La sua morte fu un colpo durissimo per il padre che l'accettò tuttavia con grande stoicismo: "Qui è assai che dire della grandezza et fortezza d'animo che Sua Santità in questo caso ha dimostrato", scrisse al figlio Pierluigi il suo inviato Giampaolo Gherardi. Ma, come gli aveva detto lo stesso papa, "il decoro del grado suo" (cfr. Soragna) non gli permetteva altro comportamento.

Fonti e Bibl.: J. Sleidan, Commentariorum destatu religionis et reipublicae Carolo quinto Caesarelibri XXVI, Argentorati 1593, p. 668; Calendar of letters, despatches and State papers relating to the negotiations between England and Spain…, II, 1, Henry VIII (1538-1542), a cura di P. Gayangos, London 1890, ad Indicem; A. Luzio, in Giorn. stor. della letter. ital., XIX (1892), p. 102 (pubblica la pasquinata di Pietro Aretino); Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Diaria, I, Friburgi Br. 1901, ad Indicem; F. Rabelais, Le cinquième livre. Lettres et écrits divers, a cura di J. Plattard, Paris 1929, pp. 248 s.; La cour du pape Paul III d'après le registre de la Trésorerie secrète, a cura di L. Dorez, Paris 1932, ad Indicem; V. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 223 ss.; F. de Navenne, Rome, le palais Farnèse et les Farnèse, Paris 1913, ad Indicem; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1924, ad Indicem; A. di Soragna, Notizie su C. F. e sui suoi rapporti colla Comunità di Parma, in Aurea Parma, XXVI (1942), pp. 6 ss.; F. T. Fagliani Zeni Buchicchio, Il palazzo di Tiberio Crispo nelle vicende urbanistiche di Bolsena, in Palladio, XXVIII (1979), pp. 54, 56, 59, 72.

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