RUFFO, Covella

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUFFO, Covella

Luigi Tufano

– Figlia secondogenita di Carlo Ruffo e di Ceccarella Sanseverino, figlia di Ugo conte di Potenza, nacque verosimilmente negli anni a cavallo tra il XIV e il XV secolo.

Apparteneva al ramo dei Ruffo di Montalto (i cui vasti possedimenti familiari erano dislocati, a diverse latitudini, su entrambi i versanti – ionico e tirrenico – della Calabria, con nucleo originario nella contea di Montalto Uffugo, a nord di Cosenza). Nella seconda metà del Trecento, la famiglia attuò una lungimirante strategia di alleanze matrimoniali, in particolare con i Sanseverino, atta a rafforzare il proprio peso politico e a incrementare il patrimonio feudale. Altrettanto importanti, per comprendere il ruolo di primo piano che Ruffo ebbe alla corte durazzesca, furono anche i suoi rapporti di parentela con la casa regnante; era infatti nipote della regina Giovanna II per i matrimoni delle sorelle Margherita Sanseverino con Luigi di Durazzo, padre di Carlo III, e Giovanna Sanseverino con Carlo Ruffo di Montalto, bisnonno di Covella.

Tra il 1417 e il 1420 Ruffo sposò Giovanni Antonio Marzano, al quale erano stati confermati, nel maggio 1416, il ducato di Sessa in Terra di Lavoro, le baronie di Novi, Gioj, Rocca d’Aspide e Torre Magna in Principato Citra e la contea di Squillace in Calabria, che, prima della loro confisca da parte di re Ladislao, erano appartenute al padre Giacomo e allo zio Goffredo, conte di Alife. Da questo matrimonio, che la tradizione storiografica ha sempre presentato come un’unione conflittuale, nacque un solo figlio, Giovanni Francesco Marino Marzano. Nel 1420 Ruffo successe nei beni feudali della famiglia alla sorella maggiore Polissena (moglie nel 1417, in prime nozze, del nobile provenzale Giacomo Mailly, castellano di Rossano, e l’anno successivo, rimasta vedova, di Francesco Sforza conte di Tricarico). Il 20 luglio la regina Giovanna II riconobbe a Ruffo il mero e misto imperio su un ampio complesso feudale distribuito nel Cosentino tirrenico (a Montalto), nel Cosentino ionico, nel Crotonese e nel territorio di Vibo.

Nel corso degli anni Venti Covella, che di fatto era divenuta, insieme a Niccolò Ruffo di Catanzaro, la figura di riferimento per l’intera gens Ruffo, acquisì progressivamente sempre più potere a corte, tanto da riuscire a influenzare le decisioni politiche della regina nell’ultimo quinquennio del suo regno. Il 1° luglio 1423 Giovanna II revocò l’adozione di Alfonso d’Aragona e designò Luigi III d’Angiò suo erede e duca di Calabria. I Ruffo si adeguarono immediatamente alla politica filoangioina della corte e ottennero diverse concessioni e conferme dal nuovo duca, desideroso di garantirsi il sostegno e la fedeltà della famiglia feudale più importante del suo ducato e una tra le più ricche e potenti del Regno. Infatti il 10 dicembre 1423 e il 18 maggio 1425 Luigi III confermò a Ruffo l’intero patrimonio, nel tempo incrementato con nuove donazioni e acquisizioni.

Per esempio, il 25 maggio 1425 lo stesso duca le assegnò la capitania e la castellania di Nicotera in cambio di Seminara, che un paio di mesi prima si era opposta alla propria infeudazione; ancora, donò a lei e al figlio Marino prima (2 settembre 1433) le collette imposte sui suoi beni calabri e la terra di Francica (confermatale da Giovanna II il 6 maggio 1434) e poi le collette della terra di Motta Calimera, pervenutale invece per la morte di Giordano Ruffo.

Nell’estate 1432 Ruffo, che nel frattempo (1428) era stata iscritta, insieme al marito, alla Confraternita napoletana di S. Marta, fu tra i promotori della congiura che, nella notte tra il 18 e il 19 agosto, eliminò Sergianni Caracciolo, il potente gran siniscalco, e ridimensionò il suo gruppo con arresti e confische. I congiurati, durante i festeggiamenti per il matrimonio di Troiano, figlio di Sergianni, e Maria Caldora, sorella di Antonio conte di Trivento, penetrarono nelle stanze del gran siniscalco in Castel Capuano, lo uccisero e, temendo le possibili reazioni, convocarono lì, con uno stratagemma, anche i suoi parenti, subito tratti in arresto. La mattina seguente, al cospetto del cadavere di Sergianni, Ruffo ne sottolineò le umili origini, l’ambizione e la presunzione. Il suo coinvolgimento nella congiura, oltre a essere espressione della rivalità personale, pure esistente, tra due dei più influenti nobili del Regno, fu anche l’esito naturale del confronto tra diversi gruppi per il consolidamento del proprio ruolo egemone a corte. Infatti Sergianni, insieme a Giovanni Antonio del Balzo-Orsini principe di Taranto, aveva avviato già dal 1430 trattative con Alfonso d’Aragona per favorirne e incoraggiarne il ritorno nel Regno e contemporaneamente aveva aumentato la propria rilevanza politica con un’oculata strategia matrimoniale. Con l’omicidio si ridefinirono invece gli equilibri a corte e Ruffo acquisì un enorme potere, divenendo interlocutrice obbligata per chiunque; le sue azioni, sviluppate con una grande abilità manovriera, erano finalizzate a prolungare e consolidare la propria influenza su Giovanna II e a sostenere le rivendicazioni al trono di chi le potesse garantire il mantenimento e l’accrescimento del suo status. Infatti, nei giorni immediatamente successivi alla congiura, persuase la regina a non richiamare a Napoli Luigi III, ancora relegato in Calabria, e allacciò dei contatti con lo stesso Alfonso, che ricorse anche alla sua mediazione per ottenere una nuova adozione da Giovanna II.

Il compilatore dei Diurnali riporta la nota che Ruffo, quando il marito Giovanni Antonio Marzano, «lo quale havea per gran nemico» (I Diurnali..., a cura di M. Manfredi, 1960, p. 125), si schierò con Alfonso, abbandonò la parte aragonese e indusse il Consiglio della regina a inviare una guarnigione nel ducato di Sessa contro il consorte. Al termine di una lunga, articolata e controversa trattativa (J. Zurita, Anales..., a cura di A. Canellas Lόpez, 1980, p. 48), che si protraeva dal settembre 1432, si giunse nella primavera successiva a un’intesa tra Giovanna II e Alfonso, il quale fu nuovamente designato erede al trono (4 aprile) e, come tale, ebbe il ducato di Calabria che, per gli accordi segreti stipulati tra le parti, sarebbe però stato temporaneamente governato da Ruffo e da Gil Çacirera, uomo fidato dell’aragonese, fino alla morte della regina. Tuttavia la situazione mutò rapidamente e già il 16 giugno Giovanna II ordinò alle città e ai baroni della Calabria di sostenere Luigi III, suo figlio ed erede, nel caso di un attacco aragonese. Dopo la morte dell’angioino (novembre 1434) Ruffo convinse la regina a nominare viceré di Calabria Giovanni Cossa.

Nella guerra tra Renato di Lorena e Alfonso la duchessa di Sessa sostenne – insieme a Carlo conte di Sinopoli, Enrichetta Ruffo di Catanzaro e ad altri esponenti della famiglia – l’aragonese, dal quale fu poi ampiamente beneficiata.

Tale sostegno venne formalmente sancito con un trattato stipulato nel 1438 tra Carlo Ruffo e il viceré aragonese di Calabria Antonio Centelles, i cui termini erano stati grosso modo già concordati con il precedente viceré Pietro d’Aragona; il conte di Sinopoli dichiarò, infatti, che la neutralità di Covella ed Enrichetta era solo apparente e, in realtà, sarebbe potuta servire agli interessi generali della gens in caso di vittoria di Renato.

Durante la campagna calabra (agosto 1436-giugno 1438) della compagnia di Micheletto degli Attendoli, che militava al soldo di Renato, i possedimenti di Ruffo, come per esempio Cariati tra il 27 marzo e il 16 aprile 1437, furono oggetto di attacchi da parte delle forze angioine. La stessa Cariati, su richiesta della duchessa al papa Eugenio IV, fu in quell’anno (27 novembre) eretta in diocesi scorporandola da Rossano; primo vescovo fu il francescano Bernardo Faiardi.

Il 5 gennaio 1440 Alfonso confermò a Ruffo – indicata nel documento come duchessa di Sessa e contessa di Montalto, Squillace e Alife – il suo vasto patrimonio, quasi interamente localizzato nelle province di Val di Crati, Terra Giordana e Calabria, e le riconobbe anche la donazione, fattale dalla zia Covella Ruffo contessa di Altomonte, di metà dell’eredità del conte di Mileto. Un’ulteriore conferma dei beni, secondo Ferrante della Marra, si ebbe nel 1442. Il 7 luglio 1443 Ruffo comprò sia la città di Rossano, il cui acquisto potrebbe essere inteso come il perfezionamento formale della successione alla sorella Polissena, sia la terra di Longobucco per 4000 ducati, ottenendo dal Magnanimo il titolo di principessa.

Il legame tra i Marzano-Ruffo e la Corona fu rafforzato, nel maggio 1444, con il matrimonio fra Eleonora, figlia naturale di Alfonso, e Marino Marzano, che ricevette, per l’occasione, dalla madre il principato di Rossano e la contea di Montalto e dal padre la contea di Squillace, divenendo così il più potente e importante barone della Calabria.

Covella morì nell’ottobre 1445 e con lei si estinse il ramo dei Ruffo di Montalto; il 2 novembre Alfonso confermò a Marino l’intero patrimonio feudale.

Sebbene su Ruffo pesi il giudizio negativo di gran parte della tradizione storiografica, che l’ha descritta «donna terribilissima [...] quasi patrona della Regina Giovanna, ma di natura sì maligna, ch’ella niuna amava, e da niuno ella era amata» (Della Marra, 1641, p. 335), è indubbio che – agendo «con animo virile» – Covella non solo sia stata una grande artefice della potenza dei Ruffo, ma anche una figura attiva e partecipe nella gestione del potere, secondo la prospettiva di un’autonoma affermazione personale.

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F. della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere e non..., Napoli 1641, pp. 335 s.; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, II, Firenze 1651, pp. 348 s.; N.F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d’Angiò, Lanciano 1904, pp. 393 s., 399, 404, 406, 408; E. Pontieri, La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, pp. 120 s.; G. Caridi, La spada, la seta, la croce. I Ruffo di Calabria dal XIII al XIX secolo, Torino 1995, pp. 26 s., 30, 32, 39, 44, 48, 50, 60; P. Corsi, Dalle origini alla fine del Quattrocento, in Rossano: storia, cultura, economia, a cura di F. Mazza, Soveria Mannelli 1996, p. 68; S. Pollastri, Les Ruffo di Calabria sous les Angevins: le contrôle lignager (1268-1435), in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge, CXIII (2001), pp. 543-577; R. Di Meglio, La disciplina di S. Marta: mito e realtà di una confraternita «popolare», in G. Vitolo - R. Di Meglio, Napoli angioino-aragonese. Confraternite, ospedali, dinamiche politico-sociali, Salerno 2003, p. 205; F. Campennì, La patria e il sangue: città, patriziati e potere nella Calabria moderna, Manduria 2004, pp. 388 s.; E. Vittozzi, Micheletto degli Attendoli e la sua condotta nel Regno di Napoli (1435-1439), in Archivio storico per le province napoletane, 2006, n. 124, pp. 21-111; P. Mainoni, Premessa a «Con animo virile». Donne e potere nel Mezzogiorno medievale (secoli XI-XV), a cura di P. Mainoni, Roma 2010, pp. 11-17.

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