Creazione

Dizionario di filosofia (2009)

creazione


Concetto caratterizzato dalla nota dell’assoluta novità che quanto si presenta come ‘creato’ manifesta rispetto alla situazione in cui esso ancora non sussisteva. Il semplice fare presuppone infatti un dato, rispetto al quale esso opera con la sua attività elaboratrice e trasformatrice: il creare non presuppone invece alcun dato, ogni suo prodotto derivando in tutto il suo essere unicamente dalla sua stessa azione.

Il pensiero cristiano

C. è quindi essenzialmente «c. dal nulla» (creatio ex nihilo): si comprende perciò come il pensiero greco, che considerava impossibile che l’essere potesse nascere dal non-essere (e che, in cosmologia, indicava comunque come primario il problema del κόσμος, dell’ordine, rispetto a quello del cominciamento assoluto), sostenesse il principio dell’ex nihilo nihil, escludendo il concetto di c. (lo stesso termine di κτίσις, che poi la designò, entrò nel linguaggio filosofico greco soltanto tardi, attraverso la tradizione cristiana). Il pensiero cristiano, che concepiva la divinità in primo luogo come azione e potenza (e si contrapponeva in ciò recisamente a quello greco, che dalla considerazione dell’agire come eterna insoddisfazione e imperfezione desumeva la concezione di Dio come pura intelligenza, scevra di ogni potenza e amore e azione), pose invece in primo piano il concetto della c. del mondo, che esso derivava dalla stessa tradizione ebraica (che si appoggiava al Genesi, dove peraltro non v’è un concetto di c. dal nulla, ma un discorso sulle origini legato a primitive cosmogonie che presuppongono un qualcosa di materiale preesistente all’intervento di Dio; di creazione dal nulla nella Bibbia si parla per la prima volta in II Maccabei, 7, 28). La c. appariva quale massima enunciazione dell’idea dell’infinita potenza divina, soverchiante ogni limite naturalmente posto all’attività umana. La dottrina della Chiesa cattolica è espressa nelle formule dei simboli apostolico e niceno-costantinopolitano («Credo in un solo Dio fattore di tutte le cose visibili e invisibili») e nel cap. 1° del quarto Concilio lateranense (1216), dove si dichiara che «uno solo è il principio dell’universo, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e corporali, che, per sua onnipotente virtù, insieme dall’inizio del tempo, fece dal nulla entrambe le creature, la spirituale e la corporale».

Da Cartesio a Bergson

Il concetto di c. si ritrova anche in indirizzi della filosofia moderna e contemporanea. A quello della tradizione cristiana rimane ancora aderente, sotto un certo rispetto, Cartesio, quando pone la conservazione degli esseri identica alla creazione; ma non Spinoza, in quanto teorizza un processo di derivazione razionale, anzi geometrica, del mondo dall’unica e infinita sostanza, allo stesso modo che «dalla natura del triangolo deriva che la somma dei suoi angoli è uguale a due retti». Così l’esse in se della sostanza si risolve eternamente nell’esse in alio: infatti, come eterna attività autogenerantesi la sostanza è natura naturans che dà luogo alle determinazioni finite e particolari della natura naturata; sì che l’effetto, cioè il mondo, non ha un essere proprio e realmente distinto dalla causa. Il concetto di c. è richiamato nell’idealismo postkantiano. Fichte trasforma la «coscienza in genere» di Kant in Io assoluto che crea la coscienza empirica e il suo mondo; Schelling, contro la concezione fichtiana della natura come posta dall’Io, teorizza un principio comune della natura e dello spirito, l’Assoluto Uno, «indifferenza o identità di contrari», cioè dell’oggettivo e del soggettivo, della natura e dello spirito, il cui divenire parallelo, governato da un’identica legge chiamata da alcuni destino da altri provvidenza, è la storia. Contro la concezione schellinghiana dell’Assoluto come indifferenza o identità immediata di oggettivo e soggettivo, Hegel teorizzò l’Assoluto o Ragione come unità che differenziandosi dialetticamente torna alla propria unità, in modo tale che tutto il reale deriva attraverso il divenire dialettico della Ragione, anzi è questo stesso divenire che è la storia. Questo Dio che è la Ragione quindi ‘non è’, ma ‘diviene’, dialetticamente, uscendo da sé, cioè dalla sua immediata astratta essenza logica, e alienandosi nella natura, mondo dell’esistenza inconsapevole, per tornare a sé come spirito, come autocoscienza assoluta, in cui la Ragione si riconosce e possiede come divina infinita libertà creatrice di sé stessa, e in Sé di tutto il reale. Affiancandosi a questa concezione hegeliana, si affermò, con il positivismo, nella seconda metà del 19° sec., la teoria dell’evoluzione o sviluppo naturale. Ambedue queste teorie, la hegeliana e l’evoluzionistica, respingono come mito la concezione teistica di un Dio trascendente e del fiat creatore. Nell’attualismo di Gentile, il concetto di c. è stato riaffermato come proprio dell’atto di pensiero, o processo con cui l’Io (autocoscienza umana e divina insieme) pone sé stesso e in sé stesso il mondo. D’altra parte, il concetto di c. si è ripresentato con ogni concezione teistica o deistica del mondo, o, comunque, ogni qual volta si è voluto sottolineare nell’evoluzione i caratteri di libertà, novità, imprevedibilità, come nel caso dell’«evoluzione creatrice» di Bergson o in quello dell’«evoluzione emergente» di C. Lloyd Morgan. Per la storia delle religioni, e i miti della creazione, ➔ cosmogonia.

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