Cremazione

Universo del Corpo (1999)

Cremazione

Franco Cardini

Il termine cremazione, che deriva dal latino cremare, "ardere, bruciare, ridurre in cenere mediante il fuoco", e il suo sinonimo incinerazione indicano l'usanza funeraria di ardere un cadavere. Questo tipo di trattamento del corpo del defunto fu conosciuto fin dalla preistoria e fu ampiamente praticato da greci e romani. Attualmente è il rito funebre dominante presso numerose popolazioni dei diversi continenti e in modo particolare in India. Nel mondo occidentale, per motivi di carattere igienico, la cremazione è compiuta con particolari accorgimenti tecnici in appositi forni a riverbero, che sono realizzati cioè in modo che i residui del combustibile non si mescolino ai resti del corpo. Le ceneri vengono raccolte in un'urna e sono conservate in un colombaio predisposto nel cimitero o anche in colombai privati. In Italia la cremazione è ancora considerata una pratica straordinaria, per la quale occorrono un certificato di morte che escluda il sospetto di reato e un documento dimostrante la volontà del defunto di essere cremato. Dopo un lungo periodo di opposizione, la Chiesa cattolica, con un'istruzione del Sant'Offizio del 1963 successivamente recepita nel Codice di diritto canonico del 1983, ammette oggi la cremazione come compatibile con la fede cristiana.

Il rito della cremazione è, insieme all'inumazione, una delle due forme fondamentali di trattamento del cadavere rilevate nel corso della storia a livello degli usi funebri (v. funerale). Alla cremazione si può avvicinare, in un certo senso, un modo di trattare il corpo vivente di un condannato per alcuni generi di delitto, considerati particolarmente gravi nel mondo romano e in quello europeo occidentale medievale e protomoderno: il rogo. Tale punizione dei criminali era riservata in Roma ai colpevoli di lesa maestà, vale a dire a quanti si erano macchiati del delitto di profanazione della sacra persona del sovrano. Successivamente la cristianità medievale se ne servì - applicando il principio di analogia, con riguardo al carattere regale della divinità - per punire gli eretici. La pena di morte mediante arsione era di solito accompagnata dalla dispersione delle ceneri, affinché del reo si perdesse la memoria e venisse a mancare qualunque traccia del suo passato essere (damnatio memoriae), anche per impedire a eventuali seguaci o ammiratori di rendere omaggio ai resti del condannato. Tale pratica getta in un certo senso una luce chiarificatrice sugli stessi meccanismi antropologici che presiedono alla cremazione dei cadaveri: vale a dire, da una parte, sul sentimento del cadavere come un'entità in sé malvagia e pericolosa, dall'altra parte sulla funzione purificatrice e al tempo stesso distruttrice del fuoco.

Naturalmente, questa linea interpretativa non è la sola sostenibile a spiegare i riti di cremazione, che, sostanzialmente simili fra loro nelle forme, si rivelano a un attento esame molto differenti quanto a funzioni e a contesti. In effetti, non vi sono prove paleoetnologiche e archeologiche sicure che possano indurci a ritenere la cremazione di uso più antico rispetto all'inumazione, o viceversa; né prove che ci consentano di dichiarare l'incinerazione tipica di popoli o gruppi etnici specifici e l'inumazione propria di altri. Anche i tentativi volti ad accostare sistematicamente la cremazione ai popoli nomadi (collegati alla struttura eroico-solare delle loro culture mitico-religiose) e l'inumazione ai popoli sedentari (collegati alla struttura ctonia delle culture mitico-religiose, connessa con il ciclo vegetale e tellurico della morte e della rinascita) si sono rivelati svianti: se, infatti, a livello fenomenologico essi hanno potuto condurre a qualche risultato, il loro assunto globale non appare convincente.

Ancor meno sicure le proposte di collegare l'inumazione alle genti semite e camite e la cremazione a quelle indoeuropee. In tale ambito, infatti, le eccezioni sono tanto complesse da inficiare l'ipotesi stessa di una qualche regola; inoltre, le distinzioni fra indoeuropeicità e semiticità, pur valide a livello linguistico, sono state indebitamente estese a quello biologico-genetico; infine, tanto la cremazione quanto l'inumazione hanno comunque un forte statuto storico-culturale, che dipende, tra l'altro, da fattori ambientali e da precise scelte concettuali. Per es., il tradizionale rifiuto della cremazione da parte degli aderenti alle religioni di ceppo abramitico, a struttura storica anziché mitica, e trascendente anziché immanente, sono ben radicate in una parte del messaggio della Rivelazione divina che riguarda il principio della resurrezione dei morti. In area ellenica la cremazione appare con l'avanzata di genti indoeuropee (tradizionalmente indicate come achei), avviata attorno al 1850 a.C. circa, a obliterare precedenti riti di inumatori 'pelasgici', laddove l'inumazione ricompare solamente due-tre secoli più tardi con la prima età micenea. La cremazione è il rito che trionfa nell'Iliade (1200 a.C. circa). Ciò costituisce una prova in più - peraltro verificabile anche in area megaloellenica, italica, etrusco-romana - che la scelta fra cremazione e inumazione, sovente in apparente alternanza, non si spiega al di fuori della storia, riletta dall'interno, delle singole culture crematrici e inumatrici.

Naturalmente, la cremazione presenta fasi, momenti e procedimenti diversi: insieme con il defunto possono essere bruciati anche oggetti, suppellettili, doni votivi di vario genere e, come nel rito induistico del sati, anche esseri umani, come la consorte del morto o, in differenti aree, schiavi o animali che gli furono cari. Nei due casi storici delle pire funebri di Alessandro Magno nel 323 a.C. (il cui rogo funebre comprende e coinvolge l'intera metropoli di Babilonia) e di Giulio Cesare nel 44 a.C., la dimensione del rogo acquista il carattere dell'olocausto e sembra alludere a una conflagrazione cosmica, che accompagna la morte e l'apoteosi dell'eroe. Il rogo funebre eroico - da quello di Ettore alla fine dell'Iliade a quello di Attila descritto da varie fonti - comprende sacrifici, che possono essere anche umani, giochi funebri e tutto un apparato divinizzatore che collega con ogni evidenza la sostanza aerea del cadavere ridotto in fumo e polveri (le quali possono poi venire raccolte e conservate oppure disperse al vento o nelle acque, secondo i differenti riti), il cielo, al cui centro sta il sole, e il fuoco come elemento sottile, ascendente purificatore e spiritualizzante. In questo senso, in ultima analisi, i riti di cremazione vanno considerati in rapporto costante con i culti uranico-solari e il ruolo che, al loro interno, è svolto dal fuoco, il quale può essere mezzo e tramite di divinizzazione, oppure (con riferimento concettuale alla pena del rogo per rei di delitti macchiati di blasfemia) di purificazione. A quest'ultima visione si collega evidentemente l'immagine delle pene dell'aldilà come caratterizzate da un fuoco che, prima e piuttosto che punitore, è anzitutto purificatore (così lo intende Dante, sulla scorta, del resto, di una tradizione al suo tempo consolidata, quando immagina la 'siepe di fiamme' che separa il Purgatorio dal Paradiso terrestre).

Talvolta, tuttavia, la sacralità del fuoco è tale da impedire lo sviluppo di un rito basato sulla cremazione: in questo caso il valore sacrale dell'elemento fuoco entra in contatto con il carattere contaminante del cadavere; e l'impurità di quest'ultimo, che in certi contesti è appunto purificata dalle fiamme, in altri si giudica tale da profanare la somma purezza del fuoco stesso. Ciò accade nel caso del mazdaismo persiano, religione caratterizzata dal culto del fuoco. Questo viene inteso come principio divino presente in cielo come in terra, origine del seme umano e della vita, simbolo terrestre del Sole ed elemento fondamentale del sacrificio: esso va preservato puro, e pertanto il culto di Zarathustra vieta formalmente la cremazione dei cadaveri.

Nella storia dei popoli europei, il passaggio dal paganesimo al cristianesimo segnò, in area celtica e germanica, anche quello dalla cremazione all'inumazione, non senza resistenze. Il viaggiatore arabo Ibn Fadlan, nel 10° secolo, vide sulle rive del Volga il funerale di un capo variago, con l'uccisione della schiava che aveva scelto di seguire il suo signore, il rogo funebre dei corpi sulla nave in riva al fiume e la partecipazione di una vecchia che impersonava l'Angelo della Morte. E i variaghi - già cristianizzati, e nondimeno fedeli alla cerimonia della cremazione - apostrofavano così il musulmano: "Voi arabi siete folli! Gettate sotto terra chi avete amato e onorato, dove il suolo e gli animali lo consumano; noi al contrario lo bruciamo in fretta, ed egli ascende direttamente al Paradiso". Nell'Occidente postcristiano si assiste a un'ascesa della cremazione come costume funebre e negli ultimi anni anche varie Chiese cristiane si sono pronunciate nei confronti di tale uso in modo più flessibile di quanto in passato era accaduto, forse anche per considerazioni legate alle problematiche ambientaliste.

Bibliografia

g. durand, Les structures anthropologiques de l'imaginaire, Paris, PUF, 1963 (trad. it. Bari, Dedalo, 1972).

m. éliade, Traité d'histoire des religions, Paris, Payot, 19642 (trad. it. Torino, Boringhieri, 1976).

j.g. frazer, The golden bough, London, Macmillan, 1890 (trad. it. ridotta Torino, Boringhieri, 1965).

d. ligou, La crémation, in Ph. Ariés et al., La mort aujourd'hui, Paris, Payot, 1977.

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