BUSETTI, Cristoforo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUSETTI, Cristoforo

Claudio Mutini

Nacque a Rallo, in Val di Non, intorno al 1540 da Matteo, notaio, che, morendo nel 1569, nominava suoi eredi universali un Michele Busetti e il B., ricordato come dottore in legge. La professione notarile era del resto tradizionale in famiglia, e anche la vantata benemerenza presso la corte imperiale, come risulta dal titolo di "publicus imperiali auctoritate Notarius ac Iudex ordinarius" di cui si fregiava Cristoforo, padre di Matteo, e dal "privilegium nobilitatis" concesso ai Busetti da Massimiliano II e successivamente confermato.

Compì gli studi di grammatica probabilmente nel paese natale per trasferirsi poi a Padova ove si addottorò in giurisprudenza nel 1563. In questo anno, secondo il Niccolini, il B. sarebbe già stato al servizio dell'arciduca Carlo in qualità di consigliere aulico. La data - come fa giustamente notare il Mattalia - "ha l'inconveniente di coincidere con quella del conseguimento del dottorato; ma in linea assoluta non si può escludere che conseguimento del dottorato ed entrata al servizio arciducale siano avvenuti nello stesso anno". In tal caso - sempre secondo l'ipotesi del Mattalia - si renderebbe anche più plausibile la presa di posizione del B. nell'avvenimento più importante della sua biografia poetica: l'avventuroso matrimonio con Dorotea, figlia di un feudatario del luogo: Cristoforo, signore di Arsio.

Dell'amore tra la giovane castellana, appartenente ad un casato comitale di antica nobiltà, e il poeta è intessuto il canzoniere del B.: brevi incontri vissuti attraverso il diaframma della differenza sociale ("A piè d'un colle, ov'è un castello forte"), istanti di desiderio appagato e poi l'amarezza della rinuncia e della solitudine ("Passato è un mese a punto che i miei affanni" e "Dal dì che piacque al mio crudel destino"), repentini abbandoni per timore che la maldicenza potesse giungere fino al padre di Dorotea (un sonetto descrive niente di meno che l'incontro del poeta con l'anima di un giovane che, innamoratosi di Dorotea e recatosi al castello per chiederla in sposa, fu spinto al suicidio dal rifiuto di Cristoforo; in un altro il poeta confessa apertamente di rivolgere altrove il suo amore: "Invida Parcha, perché ormai non tronchi", ma il sapore tutto letterario della didascalia lascia perplessi sull'effettivo intricarsi della vicenda sentimentale: "È cosa chiara che 'l tempo consuma il tutto, né è uopo di molte autorità per provarlo, havendolo il felice Petrarca dato a divedere ne gli Trionfi suoi; maraviglia adunque non è se l'autore, essendo stato per il spatio di cinque anni senza veder mai colei che prima amava, s'accese poi d'un'altra... la quale per gran lunga eccedeva la prima sì di bellezza come di nobiltà ricchezze virtù ingegno e sapere"). Fino al matrimonio celebrato di nascosto e contro il volere del castellano il 16 nov. 1564 (da una nota autografa del codice del canzoniere): che sembra interpretazione più verosimile di quella che suggerisce una intricata storia d'amore e morte - divulgata da Carlo Rosmini, e cara ancora alla sensibilità romantica di Agostino Perini (C. B., racconto storico, in Racconti e novelle, Rovereto 1875, pp. 254ss.) - secondo la quale proprio il feudatario avrebbe costretto i due giovani al matrimonio, dopo averli convocati da un notaio, sotto la minaccia di farli perire nella casa data alle fiamme. E il fatto più incredibile è che il B. avrebbe resistito fino all'ultima intimidazione alla autorità paterna, pretendendo anche a nome dell'amata, il diritto alla dote.

Comunque sia andata la vicenda, il feudatario d'Arsio privò effettivamente la figlia della dote per avere contratto un matrimonio non conforme alla dignità dell'autorevole famiglia, e i dissidi col B. si protrassero a lungo, forse fino, al 1570, quando per l'intervento di autorevoli personalità (probabilmente dello stesso arciduca) e a seguito della convalidata posizione sociale del poeta, si addivenne a un accordo. Dorotea morì presumibilmente intorno al 1580, dopo che il matrimonio col poeta era entrato forse da tempo in crisi di cui rimane qualche traccia nelle rime del canzoniere (certamente non accompagnò il marito alla corte arciducale e forse tornò a vivere negli ultimi anni nel castello paterno).

Saltuarie e scarse sono le rimanenti notizie biografiche del Busetti. A lungo dové risiedere presso la corte arciducale, ma non sappiamo quando abbia lasciato il servizio rimpatriando definitivamente. Il Mattalla riassume varie testimonianze, già raccolte dal Niccolini, che si riferiscono al periodo 1582-1602. Un documento del 1582 riguarda l'intervento legale del B. a seguito di una controversia tra i comuni di Cles e di Cavriana; un altro, del 14 febbr. 1589, testimonia dell'acquisto da parte del poeta di un livello in località Revò in Val di Non. Un terzo documento del 14 dic. 1590 riguarda un contratto di vendita di un terreno e il B. vi rappresenta ufficiamente gli eredi di Cristoforo d'Arsio. Sembra infine che si possa attestare nel 1602 l'acquisto da parte del B. di una casa a Trento in contrada Santa Maria, come già testimoniava il Rosmini richiamandosi a un documento di quell'anno. Non si conosce la data della sua morte.

Delle rime del B. la più ampia raccolta edita è quella curata da G. B. Carrara Spinelli (Canzoniere inedito di C. B. poeta trentino del sec. XVI, Milano 1836), cui deve aggiungersi il Saggio diRime pubblicato dal Mattalla in appendice al suo lavoro sul letterato trentino, che ragguaglia esaurientemente sulle varie edizioni parziali del canzoniere busettiano.

Si tratta di un'esperienza poetica vissuta per molti aspetti al margine della maggiore produzione lirica del Cinquecento. Non che il B. si ponga al di fuori del grande modello del secolo (il Petrarca rappresenta anzi un ideale di stile presente in tutto l'arco del canzoniere), ma si direbbe che l'imitazione proceda per linee che implicano solo sporadicamente il ricorso a elementi mediatori peraltro determinanti, come la riforma del Bembo e la produzione della scuola veneta che a lui fa capo. Le ragioni di questa caratteristica saranno da ricercare nella fisionomia generale della cultura locale (più latina che volgare, e inserita nel vivo della produzione in volgare in piena epoca tridentina, quando il poeta era fuori d'Italia): ciò che in parte spiega la difficoltà di aggancio della poesia del B. allo sviluppo della contemporanea poesia lirica. E si intende anche in questa prospettiva da un lato l'importanza che ebbe per lui il modello dell'Alciato durante gli anni del soggiorno padovano (un modello che contemperava le esigenze letterarie sulla base di una preparazione essenzialmente giuridica), e dall'altro il coesistere tra le fonti del canzoniere di autori come il Casa insieme con esempi già divenuti rari come il Boiardo o peregrini come Giusto de' Conti. Del resto le rime del B. conservano uno spiccato sentore quattrocentesco, non fosse altro che per la precisa determinazione autobiografica che motiva il tema poetico e condiziona l'espressione letteraria, dietro la quale - è giudizio molto fine del Mattalla - "si percepisce la presenza di un'altra e più immediata espressione che poi il poeta ha rinnegata, ma di cui non è riuscito a liberarsi completamente".

In questa fedeltà a una sostanza umana realmente vissuta, nell'accettazione di un Petrarca considerato sempre come modello di stile e non di vita, è da ravvisare il tratto più originale della poesia del B., ove, ad esempio, lo scrittore forza una suggestione petrarchesca entro limiti realistici assolutamente inconsueti, o dove l'uniformità dell'imitazione si infrange all'approssimarsi di uno spunto affettivo, di un ricordo particolarmente vivo nella calda fantasia del poeta.

Accanto alle rime d'amore che costituiscono la trama del canzoniere, alcune liriche d'ispirazione religiosa offrono lo spunto per una scrittura eloquente e a tratti commossa. Meno interessanti le poesie d'encomio, che sottolineano ancora una volta, nella scarsa rilevanza dei rapporti letterari, una posizione di isolamento e di ritardo.

Bibl.: Sul B. si possiede un moderno ed esauriente lavoro critico: quello di D. Mattalìa, Un petrarchista trentino del Cinquecento: C. B., in Filologia romanza, IV (1957), pp. 267 ss.La primaindagine dedicata al poeta trentino si deve a C. Rosmini nel Ragionamento per servire d'introd. all'opera da lui meditata dagli scrittori trentini, Pavia 1792. Atitolo d'informazione, e per sottolineare il ritardo della fortuna criticadel B., si citanoancora le scarse notiziecontenute in opere che risalgono all'Ottocento: F. B. Barbacovi, Mem. stor. della città e del territorio di Trento, I, Trento 1821, p. 131;l'introduzione del Carrara Spinelli all'edizione del Canzoniere; C.Perini, Biografie di alcuni trentini distinti, nell'Almanacco trentino (1843), Trento 1843, pp. 43 ss.;F. Ambrosi, Profili di una storia degli scrittori e artisti trentini, Borgo Valsugana 1879, pp. 8 ss., e Scrittori e artisti trentini, Trento 1894, pp. 19 ss. Di qualche utilità sono ancora lo studio biografico di L. Niccolini,Notizie su C. B. poeta trentino del sec. XVI, Trento 1905; e quello, fondato sulla ricercadelle fonti letterarie, di A. Goio, Materiali per un giudizio su C. B. poeta, Trento 1913.

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