CASTIGLIONI, Cristoforo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 22 (1979)

CASTIGLIONI (Castellioneus, de Castilliono, de Castillione, de Castiglione), Cristoforo

Paolo Mari

Nacque in nobile e potente famiglia a Milano nel 1345, da Francesco e da Barbara di Guglielmo Birago. Compì gli studi giuridici quasi certamente a Pavia: con la qualifica di "scolaro di leggi" egli sarebbe stato infatti citato in un atto notarile dell'11 dicembre 1368, non più reperibile, ma di cui dà notizia il Marozzi (Pavia, Biblioteca civica, Schede mss.,n. 429, sub Castiglioni). Benché l'Argelati affermi che il C. si laureò a Parma, è senza dubbio testimoniato che egli ottenne il doctoratus a Pavia il 24 nov. 1376 (Cod. dipl. Univ. Pavia, I, n. 59, p. 45). Fu ammesso nel collegio dei dottori giuristi dell'università di Pavia il 25 genn. 1377 ed iniziò le letture universitarie dal 1378 (ibid.,I, n. 1943 p. 94) o dal 1380 (in un atto notarile del 4 maggio 1380, non più reperibile, sarebbero stati citati, secondo il Gianorini, il C., Ordinario e Signorino degli Omodei actu legentes:Pavia, Bibl. univ., ms. Tic. 529, fasc. III. A), non comunque dal 1383, come afferma il Besta (La scuola giuridica pavese, p. 259). Solo dal 1383 peraltro sappiamo con precisione che egli insegnava le parti "straordinarie" della compilazione giustinianea, l'Inforziato e il Digesto Novo, in una scuola sita in "Porta S. Petri ad murum",dove, come era consueto, si abbinava a un lettore delle parti "ordinarie",il Digesto Vecchio e il Codice, che nell'occasione era il più anziano e famoso Filippo Cassoli (Cod. dipl. Univ. Pavia, I, n. 194, p. 94). Ma che ben presto anche il C. avesse raggiunto una solida fama è testimoniato da una disposizione di Gian Galeazzo Visconti che, il 15 ott. 1384, determinando gli stipendi dei professori dell'università di Pavia, concesse a Giovanni Castiglioni, Gualterino Zazi e al C. 50 fiorini oltre il consueto salario "de intratis extraordinariis communis nostri Papie" (ibid., I, n. 200, p. 98). E quando Baldo degli Ubaldi si trasferì a Pavia nel 1390, per insegnare nell'università viscontea,il C. fu suo "cuncurrens", secondo quanto riferisce Giasone del Maino (Commentum ad l. coherediff. de vulgari et pupillari subst. [D.28.6.41], Venetiis 1622, f. 113va, n. 17).

Genericamente "deputatus ad iura civilia" come risulta dalle distinte degli stipendi del 1387,1389, 1391 e 1393 (Cod. dipl. Univ. Pavia, I, nn. 252, 305, 366,430,pp. 117, 151, 184, 220), il C. riceve uno stipendio di 300 fiorini l'anno, indubbiamente elevato, ma certo rispondente ormai alla sua fama di giurista e alla sua posizione di uomo di fiducia dei Visconti. Lo stesso Gian Galeazzo infatti gli affidò nel 1393 l'incarico di concludere un compromesso fra la contessa di Savoia, il marchese del Monferrato e i signori d'Azeglio (Galli, p. 19). Nonostante sia presente a tutte le lauree per il 1394 e nel febbraio-aprile 1395, il suo stipendio, nel frattempo salito a 400 fiorini, per l'anno accademico 1394-95 è pagato al fratello Giovanni: certo la sua assenza in quell'occasione deve essere stata casuale e di essa non è dato rendere conto. Il C. è comunque citato fra i dottori del collegio che danno il loro assenso alla promulgazione dello statuto dell'università dei giuristi nel 1395; e ancora nel novembre dello stesso anno è citato nel proemio dello statuto del collegio dei dottori allora approvato (Cod. dipl. Univ. Pavia, I, n. 471, p. 298). Il 9 maggio 1395 gli fu conferita la cittadinanza pavese con pubblica e solenne cerimonia svoltasi nel palazzo comunale (Robolini, p. 360). Nel 1397 il C. prestò la sua opera di consulente al duca Gian Galeazzo incaricato, in qualità di arbitro, di risolvere una controversia tra Teodoro del Monferrato da una parte, Amedeo d'Acaia e Ludovico di Savoia dall'altra (Gabotto, p. 180).

Insieme con la sua attività di insegnante universitario e con quella saltuaria di intervento in questioni di politica internazionale, il C. svolse a Milano quella di giudice: nel collegio dei giudici milanesi appare iscritto fin dal 1385 e ancora come giudice è citato in un provvedimento di sospensione delle cause il 18 ott. 1401 (Santoro, reg. 3 n. 61). Ma pur impegnato in queste molteplici attività, fra cui di non poco impegno doveva esser quella di consultore privato, il C. si mostrava comunque notevolmente assiduo nell'insegnamento; a questo fa forse eccezione il solo periodo fra il 1399 e il 1402 in cui lo Studio fu trasferito da Pavia a Piacenza per la minaccia della peste. Il C. risulta infatti iscritto nel rotolo dei lettori piacentini per il 1399-1400, incaricato, insieme con Baldo, della lettura ordinaria del Codice. Il Campi (p. 191) attesta una sua permanenza a Piacenza nel giugno 1399 e afferma che abitava nel vicinato di S. Dalmazzo. Peraltro egli tornava spesso a Pavia sia per il disbrigo di affari (Arch. Stato Pavia, Not. Antonino Parona, busta 18, sub 30 sett. e 7 nov. 1399) sia per prendere parte alle commissioni dottorali (Cod. dipl. Univ. Pavia, I, nn. 742, 745, 746,747, pp. 416-418): le lauree continuavano infatti a svolgersi in gran parte a Pavia poiché il vescovo rivestiva ancora la carica di cancelliere dello Studio. Il C. si trova a Pavia anche il 31 ag. 1401 per una ricognizione di debito nei suoi confronti da parte di uno studente (ibid., II, 1, n. 10, p. 5): non è escluso che egli prestasse denaro ad interesse agli studenti nonostante i numerosi divieti viscontei in merito.

Nel gennaio del 1404 il C. faceva parte del Consiglio ducale e si adoperò per il rientro a Milano di Francesco Barbavara, uomo di fiducia del defunto Gian Galeazzo, che era dovuto fuggire in seguito alla sedizione milanese del 1403. La linea politica seguita dal C. era quella legittimista: apparteneva infatti alla fazione "guelfa" che si opponeva a quella "ghibellina",guidata da Antonio e Francesco Visconti che tentavano di impadronirsi del potere approfittando della minorità di Giovanni Maria Visconti. L'Argelati (col. 356) e il Sangiorgio (p. 48) riferiscono che nel 1405 il C. "depose la toga e prese l'armi" contro Facino Cane: il conflitto avrebbe molto impoverito la sua famiglia così da indurlo a vendere la biblioteca per risanare le finanze familiari. Il Litta afferma invece che la biblioteca del C. fu distrutta per tre volte dall'incendio.

Secondo il Prelini (Memorie, I, p. 27), egli sarebbe passato nel 1405 alla lettura del Codice. Nell'aprile del 1407 venne però sostituito nella cattedra di ius civile da Pietro Besozzi (Cod. dipl. Univ. Pavia, II, 1, n. 159, p. 93). Riteniamo che l'abbandono dell'insegnamento non sia stato volontario: al principio di febbraio del 1407, infatti, Francesco e Antonio Visconti avevano marciato su Milano sostenuti da Facino Cane e avevano costretto Giovanni Maria Visconti a nominare Facino capitano generale. In una posizione quindi estremamente debole per la fazione guelfa, al C. non restò che uscire dalla scena politica e abbandonare anche l'insegnamento. Lo ritroviamo nel Consiglio ducale soltanto nel 1409 dopo la repressione antighibellina del 1408 e la stipulazione della pace fra Giovanni Maria e Facino Cane nello stesso 1409. Non appare peraltro nei rotoli degli insegnanti dell'università di Pavia per gli anni successivi: il 21 febbr. 1411 è invece indicato come giudice del podestà di Milano e risulta iscritto al collegio dei giurisperiti milanesi (Santoro, I registri d. uff. diProvvisione...,reg. 7, n. 110).

Nel 1412 iniziò per il C. un periodo di lungo peregrinare che lo porterà, durante otto anni, ad insegnare in molte università italiane. Ignoriamo i motivi di questa "fuga": non ultimo potrebbe essere però quello della sua stretta affinità con Andrea e Paolo di Baggio (di cui aveva sposato la sorella Antonia) i quali nel 1412 uccisero Giovanni Maria Visconti. Proprio nel 1412 il C. si recò a Torino, chiamato da Ludovico d'Acaia che aveva ottenuto dall'imperatore Sigismondo un diploma per l'erezione di uno Studium generale in Piemonte, a cui farà seguito il 1º ag. 1413 anche il riconoscimento pontificio da parte di Giovanni XXIII (Vallauri, pp. 49 s.). L'impulso che Ludovico d'Acaia volle dare alla nuova università non fu certo disgiunto da una serie di provvidenze economiche assai rilevanti se oltre al C., passarono aTorino i giuristi di maggior fama dell'università pavese, fra cui Pietro Besozzi e Signorino degli Omodei. Abbandonata però Torino, dopo aver ricevuto la dignità comitale dall'imperatore Sigismondo, (Arch. Stato Milano, reg. Panigarola, n. 2, pp. 558-561), il C. si recò a Parma nel 1414. Anche in questo caso si trattava di un nuovo Studio a cui dava impulso l'opera rinnovatrice del marchese Nicolò d'Este: l'apertura ufficiale dell'università avvenne il 24 nov. 1414, ma già il 31 ottobre si erano svolte lauree in cui il C. è indicato come presentatore (Mariotti, p. 78). Proprio del periodo parmense è l'unica repetitio datata del C., e cioè quella sulla l. vinum ff. sicertum petatur [D.12.1.22], che cita il solo Diplovataccio (p. 315) e che si può leggere nel ms. 179 del Collegio di Spagna a Bologna (ff. 343r-346v) con questa nota finale: "scripta fuit per me Andream Bayuerium Astensem scolarem Parmensem in iure ciuilli, anno domini 1414 die Martis 4 marcii".

Il 14 ott. 1415 Filippo Maria Visconti, che era rimasto l'unico signore del ducato e mirava a rinnovare il prestigio dell'università di Pavia, ordinò il ritorno da Parma di alcuni professori fra cui il C.; questi però non dovette rientrare a Pavia, dato che non appare nei rotoli del 1415-1416. Nell'aprile del 1417 era infatti a Siena, dove peraltro non sembra che abbia insegnato, difendendo insieme con Franceschino Castiglioni dinanzi al concistoro di Siena un "manigoldo" novarese che cercava di sfuggire il carcere a vita (Paoli, p. 305); e, sempre a Siena, espresse un parere sulla controversia fra il Comune e il signore di Foligno (Barni, p. 163). Nel 1419 decise finalmente di ritornare a Pavia, ove assunse la lettura ordinaria di diritto civile; nello stesso anno difese gli interessi degli eredi del defunto Signorino degli Omodei che reclamavano nei confronti di Amedeo VIII gli stipendi dovuti per l'insegnamento svolto da Signorino a Torino (Consilium, IV).

Ormai molto vecchio, il C. si ritirò dall'insegnamento nel 1423 (Memorie, I, p. 27) e morì a Pavia il 16 maggio 1425. Fu sepolto nella cappella di S. Caterina presso l'altar maggiore della chiesa di S. Tommaso dei domenicani. Ebbe sei figli da Antonia da Baggio: Giovanni, Caterina, Francesco, Orsina, Isabella e Baldassarre. Quest'ultimo fu capitano di ventura e capostipite dei Castiglione di Mantova: da suo figlio Cristoforo nacque il Baldassarre autore del Cortegiano.

Consilia. Assai rilevante è nel C. l'attività consigliare. Il Fontana (Bibl. legalis...,Parma 1688, I, col. 203) cita un suo volume di Consilia, stampato a Venezia nel 1558. Il solo Barni (p. 165) poi cita un'edizione veneziana del 1548. È peraltro vero che nell'edizione veneziana del 1560 - l'unica che è stato dato reperire e la sola citata dall'Argelati (col. 357), dal Litta (tav. V) e dal Kisch (Consilia. Eine Bibliographie...,Basel-Stuttgart 1970, p. 48), curata da Aloisio Antonio de Maria - è detto dei Consilia "ante hac numquam in lucem aedita" e che lo stesso editore narra nella prefazione di aver trovato il volume manoscritto dei responsi del C. "diversaque iuris civilis volumina percurrens".

Un consiglio assai interessante del C. in tema di sostituzione testamentaria è contenuto nella raccolta dello Ziletti (Respons. ad causas ultimarum volontatum...,I, Venetiis 1581, cons. 58, ff. 45vb-50rb): in esso il C., indotto ad argomentare dalla l. creditorff. de distractione pignorum [D.20.5.7], segnala una variante testuale di cui aveva già fatto cenno il glossatore, ma accetta una lezione, pur considerandola deterior, perché conforme, secondo quanto aveva già scritto Bartolo, alla litera Pisana. Lo stesso consiglio rivela poi una grande considerazione del C. per Baldo, con cui aveva avuto contatti scientifici e professionali, la cui auctoritas è per lui "non minor... auctoritate Bartoli". Ben più profonda indagine sarebbe comunque necessaria a tracciare le linee di una storia della fortuna di Baldo, del suo confluire nella più complessa esperienza del bartolismo come elemento non sempre privo di significato: fenomeno che apparirebbe certo più nitido qualora si possedessero più cospicui dati di raffronto fra i diversi ambienti culturali.

Numerosi sono anche i consigli del C. che si possono leggere nei Consilia (Venetiis 1575) di Baldo: "conscientiam qualiter debeat habere emptor rei empte de bonis ecclesiae" (I. 297, ff. 90vb-91ra); in tema di esazione dei pedaggi (II. 220, f. 63va-b); sullo ius portizandi concesso nell'investitura feudale (III. 254, f 71rb-vb); sullo statuto pisano "quod extantibus masculis femine dotate non succedant" (III. 328, ff. 91vb-92va); in materia successoria e con le subscriptiones dei più famosi dottori pavesi (III. 346, f. 97vb). Consigli del C. si trovano anche nel Baldi Ubaldi consiliorum sive responsorum vol. sextum...,Venetiis 1602: in materia tutoria (cons. 34, p. 58), di giurisdizione penale (cons. 57, p. 95, sottoscritto anche da Raffaele Fulgosio), sulla "pena dupli adiecta contractui quando in fraudem usurarum censeatur adiecta" (cons. 110, p. 205, sottoscritto anche da Giovanni Castiglioni). Un consiglio di Raffaele Cumano in materia tutoria reca fra le altre anche la "subscriptio" del C. (Consilia utriusque Raphaelis... Raph. Cumani nec non Raph. Fulgosii...,Lugduni 1548. cons. XXV., f 13rb). Un consiglio, in materia di locazioni e di garanzie reali, del Fulgosio è sottoscritto anche dal Cumano e dal C. (Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 11605, f. 146vb).

Un suo interessante consiglio, sul caso di un contratto di compravendita simulante un contratto pignoraticius, si trova in appendice al Tractatus de maleficiis di Bonifacio Vitalini (Mediolani 1499, f. 40r). Un consiglio, segnalato dal Maffei (p. 225 nota 22), in cui il C. sostiene il vizio di un atto di appello per difetto di giurisdizione dell'autorità appellata, trovasi nel cod. ms. 39 - Q'.V.21 - (ff. 49r-51v) della Bibl. Roncioniana di Prato. Due subscriptiones a consigli di Filippo Cassoli e Bartolomeo da Saliceto, rispettivamente in materia feudale e penale, si trovano nel cod. ms. 485 (II, p. 57; VII, p. 20) della Bibl. Classense di Ravenna. Una copia di un consiglio del C. si trova nello stesso ms. (X, pp. 427-429). Altri consilia si trovano nei mss. Latini 1161 e 1283 della Bibl. Estense di Modena, nel ms. Marc. lat. V.2. della Bibl. Marciana di Venezia e nel ms. Magliabechi XXIX.174 della Nazionale di Firenze. Infine un suo pregevole consiglio in materia feudale, certamente uno degli ultimi poiché è del 1424, trovasi nel cod. ms. C.VI.38.12 (ff. 8v-10v) della Öffentliche Stadt- und Universitäts Bibliothek di Basilea.

Repetitiones. Sono il frutto dell'attività scientifica e d'insegnamento del C.: alcune sono a stampa, altre manoscritte, di altre è possibile ipotizzare l'esistenza attraverso le citazioni dei giuristi successivi, soprattutto di Giasone del Maino che dovette conoscere assai bene l'opera del Castiglioni.

Nella raccolta lionese di repetitiones del 1553 (III., ff. 149va-152ra) e in quella veneziana del 1608 (In prima Infortiati..., ff. 178vb-181rb) trovasi la repetitio della l. si cum dotem. ff. soluto matrimonio [D.24-3.22]; negli stessi volumi delle stesse raccolte, rispettivamente ai ff. 227va-229va e 223vb-225vb, si può leggere la repetitio della l. si filius heres. ff. de liberis et posthumis [D.28.2.16], di particolare interesse per l'ordine della trattazione, enunciato e seguito con rigore scolastico e non dissimile da quello della più tarda e celebre trattazione di M. Grimaldi Mofa. Affronta il tema della forma solenne dell'atto la repetitio della l. sciendum. ff. de verborum obligationibus [D.45.1.30] che è nelle Repetitiones diverse excell.orum doctorum que in 2am D. novi partem reperi possunt, Venetiis 1525 (ff. 199ra-201ra). La repetitio della l. ubi ita donatur. ff. de donationibus causa mortis [D.39.6.27], nota presso alcuni eruditi e biografi del C. anche come trattatello De donationibus, è stampata nel III volume delle Repetitiones diver. doctorum in iure civili, Mediolani 1520 (ff. 114v-115v): di essa il Panzer (Annales typographici...,IX, p. 271) segnala una stampa pisana dell'anno 1434 e lo Ziletti (Index, f. 21v) e il Freimonio (f33r) accennano, senza ulteriori indicazioni, ad una presunta attribuzione a Signorino degli Omodei. La repetitio del § preterea della l. continuus. ff. de verborum obligationibus [D.45.1.137.8], di cui il Panzer (Annales typographici, II, p. 260) indica una stampa pavese del 1494,si trova sia nel già citato volume della raccolta veneziana del 1525 (In 2am D. novi partem, ff. 248ra-249va), sia nel volume VI di quella, sempre veneziana, del 1608 (ff. 439vb-441rb). Dal commento di Giasone del Maino sul titolo del Digesto de liberis et posthumis [D.28.2] si traggono numerose citazioni di opinioni del C., espresse forse in lecturae o repetitiones, sui frammenti placet [D.28.2.4], sed est quesitum [D.28.2.6], sifilius qui in potestate [D.28.2.7], si a primo [D.28.2.8], si quis posthumos [D.28.2.9], Commodissime [D.28.2.10]; anche il Freimonio (f. 30v) segnala una repetitio della l. in suis. ff. de liberis et posthumis [D.28.2.11]. Questa copiosa presenza dottrinale del C. su vari frammenti dello stesso titolo potrebbe far pensare più che a singole repetitiones ad una sua opera più vasta, forse una lectura, frutto del suo lungo insegnamento delle parti "straordinarie" della compilazione giustinianea. Èinfatti sintomatico come le repetitiones del C., direttamente conosciute o soltanto citate, siano tutte di frammenti dell'Inforziato e del Digesto Novo: unica eccezione è quella già citata della l. vinum. ff. si certum petatur [D. 12.1.22] (Bologna, Bibl. del Collegio di Spagna, ms. 179,ff. 343r-346v), repetita a Parma nel 1414, quando il C. era lettore ordinario del Digesto Vecchio. Di una repetitio della l. si is qui pro emptore. ff. de usucapionibus [D.41.3.15] è esplicito testimone Raffaele Cumano (In 1am D. Novi partem, ad loc., Lugduni 1544, f 97ra n. 11): "Dominus Chr. de Castiglione istam legem repetiit me audiente". Ancora Giasone del Maino (Comm. ad l. huius edicti. ff. de pactis [D.2.14.1], Venetiis 1622, f. 143ra n. 18) cita una famosa opinione del C. in tema di stipulazioni pure e condizionali "in l. si ita stipulatus § possum. ff. de obligationibus [D.45.1.97.1]". Due repetitiones infine cita il Freimonio (ff.31r e 32r), della l. filios preterito. ff. de iniusto et rupto testamento [D.28.3.17] e della l. licet imperator. ff. de legatis primo [D.30.74].

Il Besta (Fonti, p. 859 nota 6) cita una disputatio del C., edita a Pavia nel 1490, ma di essa non indica il titolo né la fonte da cui attinge la notizia. Una quaestio molto celebre, "Circa statutum disponens mulierem non posse alienare nisi servata certa forma",disputata dal C. a Pavia nel 1394,è stampata a Pavia nel 1494 (ed. Giovanni Andrea Bosco e Michele Garaldi): la quaestio affronta il tema dei rapporti fra statuto pavese e ius in relazione ai particolari vincoli che lo statuto pone alla donna per la vendita dei suoi beni. Si vengono anche a toccare i rapporti fra diritto civile e canonico, delineati in un'interessante distinctio che sistema organicamente la complessa materia, assorbendo ed elaborando il pensiero bartoliano, soprattutto per la teorica delle giurisdizioni, in cui la cronologia delle decisiones inerenti ad una medesima fattispecie assume, nel pensiero del C., particolare rilievo.

Non è stato dato reperire un presunto trattatello De duello, attribuito al C. dal Mantova (p. 457). Il Barni (p. 165), attribuendogli una lettura sulle Istituzioni, confonde il C. con Cristoforo Porcio, famoso lettore delle Istituzioni a Pavia nel sec. XV. L'Argelati, infine, ricorda alcune orationes del C., fra cui quella pronunciata a Milano nel 1404 per perorare il ritorno di Francesco Barbavara.

Berriat-Saint-Prix (p. 314) considera il C. come un precursore, sia pur senza successo, del metodo umanistico. Il Savigny (VI, p. 484), pur dicendo che il C. è lodato spesso per l'originalità delle sue opinioni, non lo ritiene certo un riformatore della scienza giuridica né, in evidente polemica col Berriat-Saint-Prix, un precursore del metodo umanistico. Anche uno studioso contemporaneo, quale è il Grossi, apprezza l'opera del C. per chiarezza d'esposizione, indipendenza dalla tradizione e dalla communis opinio, fiducia nella propria esperienza, sia pure nell'ambito del metodo scolastico. Le sue posizioni dottrinali sono state sempre ritenute originali: molto spesso Paolo di Castro, uno dei suoi più famosi allievi, segnala opinioni del C. contrarie a quelle cmnmunes e Giasone del Maino (Comm. ad l. admonendi. ff. de iureiurando [D.12.2.31], Venetiis 1622, f. 84va, n. 5) afferma: "...alius fuit peregrinus et multum subtilis intellectus veri subtilitatum principis domini Chr. de Castelliono...". Il Caccialupi (p. 508) spinge a tal punto il giudizio sulla sua spregiudicatezza da affermare che egli creò confusione col suo argomentare fra gli scolari meno acuti.

Originalità che è in realtà maggiore nella sua opera scientifica che non in quella consigliare e che è frutto certo della tanto lodata subtilitas del C., ma soprattutto della sua completa padronanza del metodo dialettico e scolastico. È semmai vero che il suo atteggiamento intellettuale, pur avendo alle spalle l'esperienza della glossa, di Bartolo e Baldo, è spesso coscientemente critico: soltanto in questo senso e con questi limiti assume significato il definire la sua opera come preumanistica. Il suo andare al di là della glossa e la valorizzazione del testo di cui parla Barni (p. 180) con riferimento ai Consilia non costituiscono peraltro un metodo di lavoro sempre costante, se proprio nei Consilia si legge: "...in iudicando non est recedendum ab auctoritate glose nisi in contrarium foret lex vel consuetudo ... secundunm Bartolum" (cons. III, f. 3rb, n. 6); e ancora: "...nullatenus contrarius sim glose nec eius sequacibus" (cons. XXV, f. 42ra, n. 17). È invece sintomatico - ed è stato notato dallo stesso Barni (p. 170) - che "...nei Consilia vi è sempre un personaggio invisibile, ma che esercita potentemente tutta la sua influenza: il cliente". Sotto questa luce sono da considerare alcune ardite posizioni dottrinali che egli assume nei Consilia, non correttamente inquadrabili quindi in un metodo che abbia come linea conduttrice la valorizzazione del testo. È da convenire peraltro, in relazione ali attività consigliare, sul suo modo sempre vivo di affrontare i casi reali, sulla sottigliezza del suo argomentare e al contempo sulla chiarezza della sua esposizione, sul modo, comunque e sempre sicuro, di dominare le fonti giuridiche. E in considerazione di questo suo nesso con la pratica, notevole è la preparazione che dimostra nel campo del diritto feudale (cons. IV., f. 3va; cons. XXIV, f. 39vb) e soprattutto in quello statutario: lo vediamo argomentare, secondo le occasioni, dagli statuti di Alessandria, Pavia, Casale (Barni, pp. 173-77), Pisa (in Baldo, Consilia, III. 328, f. 91vb), Milano (Ziletti, cons. 58, cit.).

Proprio dai Consilia quindi emerge più nitida la personalità del C. che, nell'ambito dell'attività pratica del diritto, si esprime con toni di un certo pregio nella generale piattezza, eccezione fatta per Baldo, della coeva giurisprudenza consigliare.

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