GENESINI, Cristoforo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GENESINI (Canozi, Camozzi), Cristoforo (Cristoforo da Lendinara)

Francesco Mozzetti

Nacque a Lendinara, presso Rovigo, intorno al 1420 (Fiocco, 1961, p. 15) da Andrea di Iacopo, marangone (falegname) presso la corte estense, e da Ondaria (Bagatin, 1991, p. 37). Non fu dunque a Padova presso lo Squarcione (Caffi, pp. 5 s.), ma accanto al padre che il G. e il fratello Lorenzo si formarono, entro i confini di uno Stato in piena evoluzione politica e culturale, e a Lendinara, dove intorno alla metà del secolo erano attivi anche maestri lignari tedeschi.

A Ferrara i due fratelli, al di là di opere a intaglio attribuibili al primo periodo della loro attività (Bagatin, 1990, pp. 28-31), realizzarono la loro prima opera documentata, oggi perduta, su commissione di Leonello d'Este. Il coltissimo marchese di Ferrara, figlio di Niccolò III, fratello maggiore di Borso, aveva infatti deciso, in coincidenza con la sua ascesa al potere, di ristrutturare la residenza di Belfiore al cui interno lo studiolo doveva costituire un luogo privilegiato di studio e rappresentanza: furono perciò chiamati artisti di grande fama e, per l'arredo ligneo, condotto a termine nel giro di cinque anni, dal 1448 al 1453, si affidò la direzione al modenese Arduino da Baiso, celebrato maestro lignario al servizio degli Estensi ed erede di una bottega quasi centenaria. I documenti di pagamento dello studiolo menzionano il G. insieme con il fratello Lorenzo a partire dal luglio 1449 (Venturi, p. 622) fino alla metà del 1453 (Manni, pp. 28, 37). Lo studiolo di Belfiore venne realizzato negli stessi anni che videro Ferrara quale crocevia delle rotte artistiche italiane e d'Oltralpe. La città estense accolse artisti quali Antonio Pisano, detto il Pisanello, Rogier van der Weyden, Piero Della Francesca, che avrebbe influenzato in maniera decisiva gli sviluppi dell'arte tarsiaria dei fratelli lendinaresi ai quali, come attesterebbero alcuni documenti del 1456 trascritti da Cittadella, venne affidata, al termine della loro fatica di Belfiore, la messa in opera del coro della cattedrale cittadina; tale opera, presumibilmente, non fu tuttavia mai portata a termine secondo il progetto originario (Bagatin, 1991, pp. 44, 69).

Prima di tornare a Lendinara, è probabile che il G., sempre insieme con Lorenzo, eseguisse altri lavori, a loro variamente attribuiti, tra cui due pannelli prospettici per il coro dei monaci olivetani di S. Giorgio, appena fuori le mura di Ferrara, alcune parti del coro di S. Prospero a Reggio Emilia, realizzato tra il 1457 e il 1458, il pulpito del duomo di Este (Bagatin, 1990, pp. 38-41; 1991, pp. 44-47). Una volta a Lendinara, il G. e il fratello lavorarono alla realizzazione di alcuni arredi lignei (Id., 1992, pp. 341 s.); e per la chiesa dei minori conventuali di S. Francesco, ai quali la famiglia fu sempre legata, eseguirono forse il coro, con certezza il pulpito intarsiato, saldato il 20 apr. 1458 da parte di due nobili lendinaresi, Giacomo e Niccolò Brillo. Lo stemma di questa famiglia compare anche sulla grata lignea, attribuita alla bottega dei due maestri lendinaresi (Id., 1990, p. 38), oggi nel municipio, ma già nella chiesa, soppressa, di S. Maria Nuova alla Braglia, .

Con lo studiolo di Belfiore, i due artisti acquistarono una notevole fama che fu importante, insieme con il disegno presentato nel 1460 a titolo di saggio (Fiocco, 1913, p. 280), per l'affidamento dell'impresa del coro del duomo di Modena. Il contratto di allogazione è andato perduto; ma nel luglio del 1461, data del primo pagamento registrato nei libri della fabbrica, i lavori dovevano essere già avviati, per poi concludersi nel 1465 (ibid., p. 338; Benati, 1990, p. 34).

Il coro è profondamente rimaneggiato, ma si è conservata la maggior parte degli stalli. Ne facevano parte, con ogni probabilità, anche due pannelli non più in loco rappresentanti Gregorio Magno, reimpiegato in un pancone nella cripta, e S. Ambrogio, nel Museo del duomo; insieme con gli altri raffiguranti S. Girolamo e S. Agostino, posti oggi negli stalli capifila, dovevano formare un insieme iconografico raffigurante i quattro Padri della Chiesa latina, e stilistico, poiché sembrano tutti costruiti secondo moduli, se non proprio cartoni, pierfrancescani (Bagatin, 1990, pp. 45 s.). Gli stalli modenesi mostrano la messa a punto di un criterio decorativo che sarà tipico della successiva produzione della bottega. Una cornice a intaglio di matrice ancora tardogotica inquadra pannelli intarsiati che, nei sedili inferiori, presentano semplici motivi floreali; il tono di questi ultimi appare più dimesso rispetto alle tarsie dell'ordine superiore, dove alcuni oggetti sono rappresentati rigorosamente in prospettiva, visti al di là della doppia anta socchiusa, sfruttando le peculiarità cromatiche del legno.

Mentre procedevano i lavori a Modena, il G., insieme con Lorenzo, nell'aprile del 1462 sottoscrisse il contratto di allogazione per il coro della basilica del Santo a Padova (Sartori, 1961, pp. 25 s.), quasi totalmente perduto: avevano garantito per loro il concittadino Lodovico di Sambonifacio, mettendo a disposizione 2000 ducati di oro, e forse anche i francescani di Lendinara, che appartenevano alla stessa provincia dei conventuali di S. Antonio. Celebrati da Matteo Colacio nella Laus perspectivae (Bagatin, 1990, pp. 69-73), i lavori al Santo furono seguiti inizialmente dal G., a Padova già nel giugno del 1462, ben presto sostituito da Lorenzo. Questi, infatti, cittadino modenese come il G., dall'8 febbr. 1463 (Fiocco, 1913, p. 339) si trasferì definitivamente a Padova nell'ottobre successivo.

Benché continuasse in maniera sempre più sporadica a recarsi a Padova, il G. fissò a Modena la propria residenza. Il 7 maggio 1470 chiese a Borso d'Este alcune esenzioni fiscali per l'acquisto di una casa in città e, probabilmente nello stesso anno, sposò in seconde nozze una modenese, Gentile Zandori, dalla quale ebbe quattro figlie (Caffi, pp. 46 s.; Bagatin, 1990, pp. 80 s.). In questo periodo il G. fu attivo anche fuori città, in primo luogo nei lavori per il coro della cattedrale di Parma, da eseguirsi, come imponeva il capitolato del 9 maggio 1469, in maniera simile a quello di Modena e secondo il modello fornito dal disegno unito all'atto (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, Fondo Horne: Negro, 1990, n. 6). Benché nei documenti parmensi si trovino citati i "magistri da Lendinara", l'unico nome che emerge è quello del G. che firmò, lui solo, uno degli stalli a conclusione dell'opera nel 1473.

Il coro di Parma fu eseguito in due riprese. Ai ventidue stalli previsti dal contratto, si aggiunsero infatti, ma in tempi piuttosto ravvicinati, due nuove sezioni, eseguite da maestri che lavorarono sui cartoni della bottega. Rispetto alla rigida predominanza di forme geometriche che aveva caratterizzato le tarsie modenesi, a Parma si introducono nuovi elementi decorativi, almeno per ciò che riguarda le tarsie dell'ordine inferiore. Le altre, al di là di quattro figure a mezzo busto di difficile e controversa identificazione (Bagatin, 1990, p. 89), sono molto simili alle modenesi per impostazione e soggetti, ma con un numero maggiore di prospettive urbane.

Continuò a lavorare a Modena, nei momenti in cui non era impegnato a Parma, e talvolta si recò anche a Padova (Baracchi, p. 215). A partire dal 1471, e almeno fino al 1477 (ibid., p. 203), i libri della fabbrica di S. Gimignano di Modena registrano pagamenti al G. che, aiutato dal figlio Bernardino, nato dal matrimonio con la prima moglie Giovannina Schirsario de Conti (Caffi, p. 45), risulta impegnato in diverse opere: la tribuna del nuovo organo, due banchi, due porte per il presbiterio, e altri lavori, tra cui il coro della cripta e l'arredo della nuova sagrestia. Facevano forse parte della decorazione dell'organo le quattro figure degli Evangelisti firmate e datate 1477, poste sulla parete nord dell'abside sopra il bancone dei celebranti (Baracchi, p. 203). Per la sagrestia nuova i fabbricieri modenesi avevano incaricato il G. di realizzare le file di stalli laterali e, successivamente, un bancone centrale. La decorazione degli stalli venne eseguita secondo la fortunata formula iconografica e compositiva della bottega lendinarese, ma i campi riservati alle tarsie sono decisamente più vasti, caratterizzati da una predominanza floreale non consueta. Tali opere sono tuttora in loco, solo in parte rimaneggiate, e, nonostante l'aiuto del figlio Bernardino, vennero ultimate in tempi piuttosto lunghi: ancora nel 1487 il G. ne "raconzò" alcune parti (Dondi, 1896, p. 137).

Nella cattedrale di Modena il G. operò anche in qualità di pittore eseguendo gli affreschi per la cappella di S. Bernardino, voluta da Filippo Bellincini e realizzata tra il 1472 e il 1476 dai suoi eredi (Benati, 1990, p. 23). Una struttura architettonica in cotto incornicia il Giudizio universale; in basso, un finto trittico con al centro la Madonna con il Bambino e ai lati S. Girolamo e S. Bernardino. Anche se non tutti concordano sulla totale autografia degli affreschi (Negro, n. 2), essi sono ormai stabilmente attribuiti al G., sulla scorta di un confronto con la Madonna con il Bambino della Galleria Estense di Modena, unica opera firmata dal G., datata 1482.

Entrambe queste opere dimostrano un'autonoma rielaborazione, più che una stanca, pedissequa ripresa di modelli pierfrancescani, schiettamente padana e tangente le parallele esperienze, pure modenesi, della bottega degli Erri. Un'accurata gradazione chiaroscurale definisce, come nel maestro di Sansepolcro, i volumi, organizzando in maniera calcolata e limpida gli spazi della raffigurazione. Tali peculiarità hanno dato luogo a una serie di attribuzioni (Ferretti, 1993, p. 58), tra cui l'Adorazione del Bambino della Banca popolare dell'Emilia (Volpe), e il bel Crocefisso con devoto del Museo di Castelvecchio a Verona (Benati, 1988, pp. 123-125).

A partire dal 1484 il G. si trasferì in Toscana e prima di partire vendette alcuni immobili tra cui la propria casa modenese in contrada S. Iacopo (Campori, p. 231). Gli operai del duomo di Lucca gli avevano infatti commissionato gli armadi della sagrestia terminati nel 1488 (Bagatin, 1990, p. 160). Le cinque tarsie superstiti, oggi al Museo nazionale di Villa Guinigi, rappresentano prospettive urbane adeguate alla realtà locale, con torri che si inerpicano su colline e ponti da cui si affacciano mura merlate: una di esse ha l'iscrizione che attesta, se autografa e coeva, l'assunzione da parte del G. della denominazione "de Canociis".

Durante gli anni toscani il G. forse realizzò una tavola per un altare del duomo lucchese di S. Martino nel 1485, ma certamente partecipò a Pisa alla grande impresa del coro della cattedrale. Risultano, infatti, un primo pagamento il 5 febbr. 1485 e l'ultimo il 30 apr. 1488 (Tanfani Centofanti). Rappresentato a volte da Bernardino perché impegnato a Lucca, il G. non dovette trovarsi a proprio agio a Pisa e, come aveva fatto la bottega di Baccio Pontelli prima di lui, pure chiamata a lavorarvi, lasciò incompiuta l'opera, di cui non rimangono che quattro tarsie a lui riconducibili (Novello - Tongiorgi Tomasi, p. 144), e, forse, i congegni meccanici delle predelle del coro (Ferretti, 1982, p. 503). Con ogni probabilità, però, fu la prospettiva di un importante lavoro nelle sue terre a far prendere al G. la decisione di varcare nuovamente gli Appennini. Al principio del 1487, i "santesi" della cattedrale di Parma avevano indetto un concorso per gli ornamenti lignei del battistero e della sagrestia detta dei Consorziali (Bagatin, 1990, p. 165) dal quale il G. uscì vincitore. Rappresentato ancora dal figlio alla sottoscrizione del capitolato il 10 sett. 1487, di lì a poco il G. tornò dalla Toscana per dirigere personalmente i lavori, che non fece tuttavia in tempo a vedere conclusi.

Non si conosce la data di morte del G., che va collocata probabilmente poco dopo il suo rientro dalla Toscana e comunque prima del 13 nov. 1490. Da un atto notarile, redatto in tale data, nel quale i figli risultano acquisire metà della casa di proprietà degli eredi dello zio Lorenzo, il G. risulta essere già morto (ibid., p. 145).

A concludere il lavoro nel battistero parmense rimase la bottega e in tal senso va letta l'iscrizione apposta nel 1491 da uno dei discepoli, il parmense Luchino de' Bonati, sull'anta di un armadio: accanto al suo nome e a alla data compare infatti anche il nome del G., responsabile primo dell'opera.

Fonti e Bibl.: A. Ronchini, Dei lavori di scoltura in legno eseguiti in Parma, in L'Indicatore modenese, II (1852), pp. 242 s.; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, pp. 229-234; L.N. Cittadella, Notizie amministrative, storiche, artistiche relative a Ferrara ricavate da documenti, Ferrara 1868, I, p. 60; II, pp. 243 s.; M. Caffi, Dei Canozzi o Genesini lendinaresi maestri di legname del secolo XV celebratissimi, Lendinara 1878; A. Venturi, I primordi del rinascimento artistico a Ferrara, in Rivista storica italiana, I (1884), pp. 622 s.; A. Dondi, Notizie storiche ed artistiche del duomo di Modena, Modena 1896, pp. 135-137; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte da documenti pisani, Pisa 1897, p. 130; G. Fiocco, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara e la loro scuola, in L'Arte, XVI (1913), pp. 273-288, 321-340; Id., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, Leipzig 1929, pp. 48 s., s.v.Lendinara; A. Sartori, La provincia del Santo dei frati minori conventuali, Padova 1958, pp. 180 s.; A.C. Quintavalle, Cristoforo da Lendinara. Problemi di storiografia artistica, in Critica d'arte, VI (1959), pp. 335-355, 399-408; VII (1960), pp. 113-125; G. Fiocco, Lorenzo Canozio e la sua scuola, in Il Santo, I (1961), 2, pp. 13-21; A. Sartori, I cori antichi della chiesa del Santo e i Canozi-Dell'Abate, ibid., pp. 23-57; M. Ferretti, I maestri della prospettiva, in Storia dell'arte italiana, IV, Torino 1982, pp. 496-505; R.P. Novello - L. Tongiorgi Tomasi, Tarsie lignee, in Il Museo dell'Opera del duomo di Pisa, a cura di G. De Angelis D'Ossat, Pisa 1986, pp. 139-144; G. Manni, Mobili in Emilia, Modena 1986, ad indicem; O. Baracchi, La cattedrale di Modena nei documenti della fabbrica di S. Geminiano, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, IX (1987), pp. 198-222; P. Casadei, Una nuova ipotesi per le tarsie del coro di S. Marino in Rimini: due date di esecuzione, in Notizie da Palazzo Albani, XVI (1987), 2, pp. 62-70; C. Volpe, in I dipinti antichi della Banca popolare dell'Emilia, Modena 1987, pp. 22-29; D. Benati, La bottega degli Erri e la pittura del Rinascimento a Modena, Modena 1988, pp. 111-127; Id., Cristoforo da Lendinara pittore, in La cappella Bellincini nel duomo di Modena, Modena 1990, pp. 10-38; E. Negro, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara, Parma 1990; P.L. Bagatin, L'arte dei Canozi lendinaresi, Trieste 1990 (con bibl.), passim; Id., La tarsia rinascimentale a Ferrara, Firenze 1991, passim; Id., Le sculture, in Lendinara. Notizie e immagini per una storia dei beni artistici e librari, Treviso 1992, pp. 341 s.; A. Röper-Steinhauer, Untersuchungen zur illusionistischen Bildintarsie der Brüder Lorenzo und Cristoforo Canozi da Lendinara, Frankfurt am M. 1992; M. Ferretti, In cerca di Guido Aspertini, in Arte a Bologna, III (1993), pp. 38, 58; A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche, II, Ferrara 1993, ad indicem; P. Griguolo, Schede d'archivio riguardanti gli Zenesini o Canozi da Lendinara, in Il Santo, III (1993), pp. 337-345.

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