PRESTINARI, Cristoforo Giovanni e Marco Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PRESTINARI, Cristoforo Giovanni e Marco Antonio

Alessandra Casati

PRESTINARI, Cristoforo Giovanni e Marco Antonio. – Scultori originari di Claino, sul lago di Lugano, figli di Michele, anch’egli scultore attivo presso la bottega di Leone e Pompeo Leoni, e fratelli di Gian Domenico.

Cristoforo nacque nel 1573 a Claino o a Milano (Verdina, 1968). La sua formazione avvenne presumibilmente presso la bottega paterna e la sua attività cominciò a Milano presso la Fabbrica del duomo, dove sia il padre sia il fratello erano impiegati (la presenza del primo è documentata negli Annali del Duomo dal 1593 sino al 1597). Il suo nome fu registrato per la prima volta presso il cantiere della cattedrale il 29 dicembre 1597. Le prime opere che realizzò furono due sculture su modello di Francesco Brambilla: il S. Placido per l’altare del Crocifisso, terminato entro il 1598 e saldato nel 1599, e il S. Timoteo per l’altare di S. Prassede, completato tra il 1599 e il 1603 (per queste e per tutte le notizie seguenti si rimanda, ad annum, agli Annali del Duomo). Il 29 maggio 1604 venne inoltre saldato per una statua di S. Mirocle vescovo, mentre nel 1609-11 eseguì una statua di S. Calimero. Stando alla sua stessa testimonianza, rilasciata alle autorità della Fabbrica milanese (Annali, Appendici, II, 1885, p. 121), a partire dal 1606 lavorò contemporaneamente a Novara, presso il Sacro Monte d’Orta, e a Milano per il Duomo. Proprio per le ripetute e prolungate assenze dal cantiere della cattedrale, nel 1616 fu costretto dalla Fabbrica a lasciare la sua bottega in camposanto allo scultore Teodoro Lucino; al suo ritorno dalle commissioni piemontesi nel 1618 dovette condividere per un periodo la bottega con il fratello Marco Antonio.

Nel 1616-18 ricevette un acconto per la statua del Profeta Isaia. Nel 1618 ebbe un anticipo per la statua di S. Matteo Evangelista (ultimata nel 1621), incarico che lo coinvolse suo malgrado in un dissidio tra i fabbricieri del Duomo. Non avendo lo spazio necessario per ultimare la statua di S. Matteo all’interno della bottega del fratello, Cristoforo Prestinari aveva chiesto ai deputati della Fabbrica la concessione di un nuovo spazio; ciò fece scaturire due distinte fazioni, una favorevole e l’altra contraria alla richiesta. Su incoraggiamento della prima fazione, Cristoforo prese possesso di una nuova bottega e continuò la scultura; a seguito di ciò fu incarcerato con l’accusa di aver lavorato senza autorizzazione un marmo appartenente alla Fabbrica. La vicenda pose un problema più ampio che riguardava le competenze di giurisdizione sulla Fabbrica, coinvolgendo in prima persona il governatore spagnolo Pedro da Toledo, il quale obbligò l’autorità arcivescovile a scarcerare lo scultore. Dopo questa disavventura, nel 1619 Cristoforo Prestinari comparve nella lista degli scultori impegnati nella Fabbrica del duomo da licenziare; nella lista figuravano anche Giuseppe Vismara, il citato Lucino e Francesco Castello. Furono invece confermati il fratello di Cristoforo, Marco Antonio, Pietro Antonio Daverio, Gaspare Vismara, Giovanni Bellanda e Giovan Pietro Lasagna.

L’attività di Cristoforo presso i Sacri Monti si svolse, come detto, negli stessi anni delle commissioni per la Fabbrica del duomo di Milano. A Orta fu attivo per il vescovo di Novara Carlo Bascapè (dai primi anni del Seicento sino alla morte di questi, nel 1615), lavorando con la sua bottega alle cappelle I, III, IV, V, XI, XII e XV. Le cappelle II e VI furono iniziate da Cristoforo e ultimate da Dionigi Bussola. Il suo coinvolgimento nel cantiere del Sacro Monte di Varese data invece al 1610; qui realizzò le sculture della prima cappella, dedicata all’Annunciazione, dove la figura dell’Angelo è autografa.

Una nota del 22 giugno 1621 è l’ultima testimonianza della sua precedente attività alla Fabbrica del duomo di Milano: da essa risulta che furono saldati gli «eredi» (più probabilmente parenti) di Cristoforo per la statua di S. Matteo e l’Angelo (ricoverata nei depositi del Museo del duomo), dal momento che lo scultore aveva definitivamente spostato la sua residenza a Orta, nello specifico a Legro, dove morì nell’agosto del 1623 (Verdina, 1968).

Come altri scultori della sua generazione Cristoforo Prestinari fu valente esecutore di modelli altrui, tanto che, almeno per le opere del Duomo di Milano, si fatica a riconoscere una precisa autonomia stilistica, leggibile invece nella sua opera di plastificatore presso i Sacri Monti di Varese e di Orta, che furono il suo vero campo di prova. A Orta e a Varese fece emergere la sua personalità artistica, la quale coniugava la cultura figurativa milanese di fine Cinquecento tra Pellegrino Tibaldi e Francesco Brambilla con le istanze del naturalismo tipico degli scultori lombardi. In queste composizioni incantate e fuori dal tempo, dalle figure tenere e concentrate e dalle fisionomie dolci ma definite, Cristoforo manifestò una delicatezza particolare che portò Roberto Longhi (1991) a definirlo «l’incantevole scultore Prestinari» (p. 75). Fu inoltre efficace ritrattista: è possibile constatarlo, per esempio, nella III cappella di Orta, dove eseguì in terracotta la vivida effigie del vescovo Bascapè e dove tutte le statue sembrano riprendere specifiche fisionomie. A Orta le sue opere furono successivamente affiancate da quelle di Dionigi Bussola, scultore della generazione successiva che affrontò un apprendistato a Roma presso lo studio di Ercole Ferrata sulle opere di Bernini e Algardi. Tale accostamento ha consentito di istituire direttamente sul campo un confronto tra due diverse generazioni e di verificare come le opere di Prestinari appaiano ancora legate al classicismo della Milano borromaica.

Marco Antonio nacque nel 1570 circa a Claino (Zanuso, 1998, p. 85). Sposò in prime nozze Fiorbelina de Comanedi, da cui ebbe tre figli: Giulia Lucia, Michelangelo (1608) e Gerolamo (1610); in seconde nozze si unì a Caterina Mangone, figlia dell’intagliatore Giovan Battista. Iniziò la sua autonoma attività a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta del Cinquecento, quando ebbe un ruolo di rilievo nella realizzazione plastica dell’arredo dei giardini della villa di Pirro Visconti a Lainate, alla quale si riconducono l’Adone del Louvre (firmato, databile intorno al 1602) e alcuni disegni al Civico Gabinetto dei disegni di Milano (inv. 5096); altri addenda, tra cui due sculture nella villa d’Este di Cernobbio, sono segnalati da Susanna Zanuso (1998, pp. 92-96). Nel settembre del 1604 eseguì i due telamoni della porta maggiore del santuario mariano di Saronno e in quell’occasione probabilmente entrò in contatto con il cardinale arcivescovo di Milano Federico Borromeo. A partire dal 1697, se non prima, Marco Antonio Prestinari risiedette nell’arcivescovado come familiare del cardinale.

Il primo pagamento registrato dalla Fabbrica del duomo di Milano è del 1605, anno in cui scolpì, secondo modello, la statua di S. Ambrogio destinata al pilone interno 74 (oggi ricoverata nel Museo del duomo). Nel 1606 la Fabbrica lo inviò a Valle Strona per sbozzare i marmi già scavati per l’altare di S. Prassede che si stava compiendo nel Duomo. L’anno successivo venne deliberato il pagamento per la statua di S. Agapito (Museo del duomo). Tra il 1608 e il 1612 fu impegnato nella realizzazione dell’ancona marmorea istoriata dell’altare di S. Prassede. Contemporaneamente realizzò, tra il 1609 e il 1610, anche la statua di S. Carlo e «le istorie» per l’omonimo altare (Bossaglia, 1973, p. 158). Nel 1610 divenne protostatuario del Duomo insieme a Giovan Andrea Biffi. Al 1611 risale il pagamento per la statua di S. Mamete da collocarsi nel fianco esterno del Duomo.

Nel 1613 fu saldato per la statua dell’Assunta nella chiesa di S. Maria di Loreto a Novara, su commissione di Federico Borromeo. In essa Marco Antonio riprende il celebre modello di Annibale Fontana per il fastigio di S. Maria presso S. Celso a Milano. Più classicheggiante è invece la Vergine acquistata dallo stesso Borromeo per l’Ambrosiana, dove si conservano anche tre Profeti e quattro Sibille ricondotti al catalogo dell’artista da Zanuso (2009), che ha rintracciato i pagamenti, del 1615, per i basamenti.

A partire dal 1614 Marco Antonio realizzò le formelle del tornacoro del Duomo di Milano raffiguranti la Natività di Maria (1614-16), forse su disegno di Camillo Procaccini, lo Sposalizio della Vergine (1616-18), il Sogno di S. Giuseppe (1618-19) e la Natività (1621, completata nel 1623 da Giovanni Bellanda). Nel 1616 lavorò a un Profeta per la cappella della Madonna dell’Albero nel Duomo di Milano.

Morì a Milano nel 1621 (Zanuso, 1998, p. 85). Le opere lasciate incompiute nella bottega furono affidate a Bellanda e a Giovan Pietro Lasagna, il quale terminò la Gloria degli angeli per l’arco della cappella della Madonna dell’Albero.

Nel 1625 Federico Borromeo nel Musaeum, ovvero un catalogo delle collezioni artistiche della Biblioteca Ambrosiana, inserì un elogio post mortem dedicato a Marco Antonio, affermando che «la sua dottrina e perizia derivava dall’aver egli fecondata […] l’anima con la contemplazione degli antichi artefici» (p. 38). Dal punto di vista stilistico fu scultore di forte impronta classicista e michelangiolesca, vicino all’ambiente di Annibale Fontana, cui si aggiunse un certo leonardismo che andava incontro alle istanze di gusto del Borromeo. Nel quadro complessivo della sua produzione si avverte tuttavia un progressivo allontanamento da uno stile morbido e naturale, ancora evidente nel S. Agapito (1607), verso uno stile più calligrafico adottato negli ultimi anni della sua attività, per esempio nei più tardi rilievi del tornacoro del Duomo.

Fonti e Bibl.: F. Borromeo, Musaeum, Milano 1625; Annali della Fabbrica del duomo di Milano, dall’origine fino al presente, IV, Milano 1881, pp. 321-323, V, 1883, pp. 16, 30 s., 35, 52, 63, 75, 78-81, 88, 106, 113-115, Appendici, II, 1885, pp. 119-128, 246; Prestinari, Cristoforo, Gian Domenico, Marco Antonio, Michelangelo, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Leipzig 1933, p. 383; R. Verdina, L’atto di morte di Cristoforo P., statuario del S. Monte d’Orta, in Bollettino storico per la provincia di Novara, LIX (1968), pp. 132 s.; R. Bossaglia, La scultura, in Il duomo di Milano, II, Milano 1973, pp. 114-118, 158; G. Melzi d’Eril, Sacro Monte d’Orta, in Isola San Giulio e Sacro Monte d’Orta, a cura di G.A. Dell’Acqua, Torino 1977, pp. 128-165; R. Bossaglia - M. Cinotti, Tesoro e Museo del duomo, II, Le collezioni del Museo, Milano 1978, pp. 9, 26 s.; S. Colombo, Descrizione della Fabbrica delle cappelle del S. Rosario a Santa Maria del Monte sopra Varese, in Il Sacro Monte sopra Varese, Milano 1981, pp. 268, 270; R. Longhi, Piaceri e vantaggi di una mostra, in Id., Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, XII, Studi e ricerche sul Sei e Settecento (1929-1970), Firenze 1991, pp. 69-76; S. Gavazzi, P., famiglia, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, V, Milano 1992, pp. 2947-2949; S. Zanuso, M.A. P. scultore di Federico Borromeo, in Nuovi studi, III (1998), 5, pp. 85-109; Ead., in Pinacoteca Ambrosiana, V, Raccolte archeologiche, sculture, Milano 2009, schede, pp. 173-181.

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