ORIMINA, Cristoforo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORIMINA, Cristoforo

Alessandra Perriccioli Saggese

ORIMINA, Cristoforo (Cristophoro). – Non si conoscono le date di nascita e di morte di questo miniatore napoletano attivo intorno alla metà del XIV secolo, il cui nome è noto grazie all’iscrizione «… illuminavit de pincello Xrōphorus Orimina de Neapoli», apposta alla c. 308r della Bibbia angioina (Lovanio, Universiteits-bibliotheek, Maurits Sabbebibliotheek, ms. 1), nella cornice tripartita del colophon figurato. Qui verosimilmente si ritrasse, nel riquadro centrale, in atto di reggere il volume aperto ai piedi del sovrano e con la spada al fianco ad attestare il suo rango di cavaliere (Perriccioli Saggese, in corso di stampa).

Altri Orimina, milites della nobiltà napoletana del seggio di Capuana, godettero della familiaritas regia e della qualifica di consiliarius (Vitale, 2007, p. 340), mentre un Pietro, nel 1328, compare nei registri angioini per il pagamento di alcune pitture da lui eseguite nella cappella del giardino di Castelnuovo (Forcellini, 1910).

L’esordio di Orimina è stato individuato in alcuni fogli dell’Histoire ancienne jusq’à César (Londra, British Library, Royal 20 D I; Bologna, 1969, pp. 139 s.), il più antico testimone della seconda redazione del romanzo, destinata a un membro della famiglia angioina.

Nel manoscritto, databile intorno al 1335 eillustrato nel margine inferiore dei fogli da più di 300 scene prive di cornice, gli vengono riferite quattro miniature a piena pagina con le varie fasi dell’assedio e della presa di Troia (cc. 26v, 67r, 154r 169r e la parte superiore della c. 172r), tutte di grande impatto visivo grazie alle imponenti architetture di ascendenza cavalliniana. Nello stesso manoscritto, le iniziali delle cc. 246r e 251r, opera di un miniatore francese a lungo attivo per Roberto d’Angiò (Avril, 1986), testimoniano l’inserimento di Orimina fra gli artisti di corte fin dalla prima attività.

Entro i primi anni Quaranta del XIV secolo fu incaricato della decorazione della lussuosa Bibbia angioina di Lovanio – fino al 1969 conservata nella Biblioteca del Seminario di Malines – aperta da un bifoglio con Roberto assiso in trono e circondato dalle virtù che schiacciano i vizi a esse contrari, cui si affianca, nel foglio successivo, la Genealogia dei re angioini volta a legittimare Giovanna I d’Angiò come erede al trono (Avril, 1969, p. 325; Bologna, 1969, pp. 276-278).

L’iscrizione in lettere d’oro attestante l’appartenenza della Bibbia a Niccolò Alunno d’Alife («Hec est Blibia [sic] Magistri Nicolai de Alifio doctor») dignitario alla corte di Roberto e poi di Giovanna, il cui stemma, sovrapposto a uno più antico, compare in numerosi fogli, ha portato gli studiosi a formulare varie ipotesi sul committente del codice e sui tempi di realizzazione. Lo stemma più antico è stato identificato prima con quello di Roberto di Capua (Dykmans, 1970), e poi con quello di Andrea d’Ungheria, marito di Giovanna I (Csapodi-Gàrdonyi, 1972; Padoan - Klein - de Bruin et al., 2010, p. 180 ). Negli ultimi anni è prevalsa l’ipotesi che vede in Roberto il committente, nella giovane coppia i destinatari, in Niccolò Alunno il supervisore dell’allestimento del codice, del quale sarebbe entrato in possesso solo in un secondo momento.

La patente adesione di Orimina alla cultura giottesca e l’occorrenza, nella Bibbia angioina e in altre, di un’iconografia vicina agli affreschi con le Storie veterotestamentarie di Roberto di Oderisio nella chiesa napoletana dell’Incoronata hanno offerto un appiglio per datare i dipinti stessi ai primi anni Quaranta del Trecento (Bologna, 1969, pp. 275-280, 293-298) e per dichiarare la dipendenza stilistica del miniatore dal pittore. Lo spostamento in avanti della costruzione della chiesa e, di conseguenza, la datazione degli affreschi agli anni Settanta (Vitolo, 2008), spingono invece a ritenere le miniature e gli affreschi esiti di un unico modello, che tutto concorre a identificare con quello lasciato da Giotto nella cappella Palatina di Castelnuovo. Attivo fin dal 1335 circa, dunque, Orimina può a giusta ragione essere considerato fra i primi artisti napoletani che trassero ispirazione dalle opere realizzate dal pittore toscano per Roberto d’Angiò.

Compiuta la decorazione della Bibbia angioina, che insieme con il codice di Londra passò poi nelle collezioni di Jean di Valois duca di Berry (Avril, 1969, pp. 309-318), l’attività di Orimina per la corte continuò anche durante il regno di Giovanna I e Ludovico di Taranto. A lui, infatti, fu affidato il compito di illustrare la Bibbiadi Berlino (Staatliche Museen, Kupferstichkabinett, 78 E 3) che, grazie alla presenza dello stemma dei Beaufort, viene unanimemente ritenuta un dono di Giovanna I al papa Clemente VI, Pierre Roger de Beaufort, morto nel 1352, o a un membro di quella famiglia.

Un sicuro aggancio del codice berlinese con il perduto ciclo giottesco della cappella Palatina è suggerito dalla puntuale riproposizione, nella miniatura dei Paralipomena a c. 141v, delle teste incorniciate da compassi circondati da tralci di acanto, opera della bottega di Giotto, che sono riemerse, nel corso dei restauri della cappella stessa, nell’imbotte dei finestroni (Perriccioli Saggese, 2010, pp. 118 s.). Nelle miniature raffiguranti l’Apocalisse alle cc. 455v-464v della stessa Bibbia è stata inoltre ravvisata una derivazione dalle preziose Tavolette della Staatsgalerie di Stoccarda (Erbach von Fürstenau, 1937, passim), di stretta pertinenza giottesca.

Il recente restauro della Bibbia angioina di Lovanio ha messo in luce l’uso di raffinate tecniche proprie della pittura su tavola (Watteeuw - Van Bos, 2010, pp. 148 s.) e ha confermato i rapporti del miniatore con la pittura, già da tempo supposti a proposito di una perduta opera su seta, un tempo nel castello di Beaubois, presso Lezoux, raffigurante la Trinità adorata da Giovanna e Ludovico (ripr. in Martin, 1943), molto vicina al frontespizio degli Statuts de l’Ordre du Saint-Esprit (Parigi, Bibliothèque nationale de France, fr. 4274) eseguito da Orimina tra il 1354 e il 55 (ibid.) .

Nel codice parigino,unico esemplare miniato che si conosca di statuti di un Ordine cavalleresco, di una preziosità inusitata per la grande profusione dell’oro e del blu, il miniatore che, come ricordato, apparteneva probabilmente alla piccola nobiltà di seggio, coglie l’occasione per descrivere in maniera compiaciuta la vita di corte e il suo sfarzo.

A Orimina e alla sua bottega sono concordemente riferiti un Breviario ora all’Escorial (Real Biblioteca del Monasterio de S. Lorenzo, ms. A III 12), una Bibbia miniata per il vescovo Giovan Gaetano Orsini (Torino, Biblioteca reale, Varia 175), un’altra Bibbia appartenuta a Roberto di Taranto, i Libri sententiarum di Pietro Lombardo, il De Vita Caesarum di Svetonio e un Salterio (Biblioteca apostolica Vaticana, rispettivamente Vat. lat. 14430, 681, 1860, 8183). In altri codici, invece, i limitati interventi del miniatore si alternano a quelli eseguiti dai collaboratori, che si discostano dal suo stile asciutto ed energico, come nel caso della Bibbia di Vienna (Österreichische Nationalbibliothek, ms. 1191), del Breviario di Madrid (Biblioteca nacional de España, Vit. 21-6), del Salterio di Ginevra (Bibliothèque publique et universitaire, Comites latentes 15), del Roman du roy Meliadus di Londra (British Library, Add. Ms. 12228).

L’opera più tarda riferita a Orimina è la Bibbia in tre volumi della Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 3550) la cui datazione è ancora controversa in quanto il colophon dell’ultimo volume testimonia che essa fu trascritta a Napoli nel 1362 per l’abate dei celestini Matteo de Planisio, mentre il linguaggio figurativo delle miniature riconduce a un punto di stile non lontano dalla Bibbia di Berlino (Bologna, 1969; Perriccioli Saggese, 1984 e 1997). Le ampie parti non finite del codice celestiniano offrono preziose informazioni sulla tecnica miniatoria e testimoniano la divisione del lavoro nella ben organizzata bottega di Orimina, che affidava ai collaboratori le fasi intermedie fra il disegno a penna e la rifinitura, riservando quest’ultima operazione per sé, come sembra dichiarare il «miniavit de pincello» della sottoscrizione nella Bibbia di Lovanio.

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