PISA, da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PISA, da

Alessandra Veronese

PISA, da. – I da Pisa traggono origine da due banchieri perugini, Matassia di Sabato e suo figlio Vitale, attivi con certezza almeno dal 1393 nella città toscana (dove a partire dalla fine del XIV secolo iniziarono a gestire un banco di prestito) e capostipiti del casato per via femminile.

Un fratello di Vitale, Dattilo, aprì un banco a San Miniato, dando così origine a un’altra importante famiglia di banchieri toscani, quella appunto dei da San Miniato, mentre un terzo fratello, Sabbatuccio, fu il capostipite dei da Pescia-da Pistoia; tutte e tre le denominazioni cognominali derivano dalle località nelle quali i tre fratelli tennero banco. Attorno alla metà del Quattrocento i discendenti dei tre fratelli erano attivi come banchieri a Firenze.

A Pisa Vitale di Matassia gestiva un banco feneratizio sito a Tramontana, nella cappella di S. Margherita. Dopo la conquista fiorentina (autunno 1406), l’attività di prestito fu sospesa per circa due anni. Alla fine di una complessa fase di transizione, il banco di Vitale restò l’unico attivo in città e Vitale ottenne dal governo fiorentino l’esclusiva del prestito a Pisa. Grazie anche alla presenza dei fratelli nei centri sopra menzionati, ed essendo titolare dei banchi di Piombino e di San Gimignano, e socio dei banchi di Colle Val d’Elsa, San Miniato, Pescia e Prato, Vitale arrivò presto a ricoprire un’importante funzione di attivatore dell’economia pisana, che all’epoca attraversava un momento di crisi profonda.

Vitale fu una personalità di un certo livello culturale: fece parte del gruppo di maggiorenti ebrei che organizzò un’importante assemblea di ebrei italiani tenutasi a Forlì nel 1418. Attorno a lui si raccolse a Pisa un certo numero di correligionari, alcuni dei quali provenienti dalla penisola iberica e dalla Provenza.

Vitale di Matassia riuscì a trasmettere sia i suoi beni sia il suo ruolo per via femminile, evento abbastanza eccezionale nel mondo cristiano e in quello ebraico dell’epoca. Alla sua morte (1423), i due figli maschi, Dattilo e Daniele, erano già morti: il primo senza eredi, il secondo aveva lasciato solo figlie femmine. Anziché privilegiare (come voleva la prassi) i parenti maschi, Vitale compì una scelta controcorrente, e nominò eredi universali tre donne: la figlia Giusta e le giovanissime nipoti Brunetta e Dolce, figlie di Daniele. Le tre donne si trovarono dunque a essere titolari di due banchi molto importanti: quello di Pisa e quello di San Gimignano. Fu il marito di Giusta, Isacco di Emanuele da Rimini, a beneficiare maggiormente di questo stato di cose. Dimorava a Pisa già da alcuni anni, dopo aver fatto esperienza come prestatore in altre località: forse a Bologna e certamente a Città di Castello. Collaborando inizialmente con Vitale, e dopo la sua morte, con l’aiuto della moglie Giusta, diede impulso alle attività in cui i membri della famiglia – ormai cognominata ‘da Pisa’ – erano coinvolti, consolidò il patrimonio e portò i da Pisa a ricoprire un ruolo di primissimo piano nel panorama ebraico italiano; ruolo che essi mantennero per almeno un secolo e mezzo, tra il XV e il XVI secolo.

Facendo leva sul banco pisano, al quale si rivolgevano significativi gruppi di popolazione, laica ed ecclesiastica, Isacco riuscì a estendere la sua influenza su molte altre piazze creditizie e commerciali, in prima persona o attraverso la collaborazione dei parenti, comprese le donne. Fu infatti un instancabile viaggiatore e affiancò costantemente l’attività commerciale a quella creditizia: si hanno notizie sufficientemente fededegne che parlano di suoi viaggi in varie regioni italiane, a Roma e nel Vicino Oriente, a Gerusalemme. I da Pisa svolsero un ruolo significativo in varie città, investendo nei banchi di Lucca, San Gimignano, Firenze, Siena, Monte San Savino e in Romagna (regione di provenienza di Isacco, inizialmente detto ‘da Rimini’). Il centro – anche abitativo – restò comunque Pisa. La famiglia dimorava nella parrocchia di Santa Margherita, in una casa dell’Opera del Duomo, venduta successivamente a Vitale di Isacco nel 1466, per 300 ducati; era anche sede del banco e sinagoga. Isacco possedeva in città e nel suburbio alcuni poderi e terreni (acquisiti in parte a compenso di mutui non risarciti), tra i quali un appezzamento verso Barbaricina, adibito a cimitero. Vitale acquisì anche un ‘palazzo’ ad Asciano, non lontano dalla città.

Negli ultimi anni della sua vita, Isacco dovette abbandonare Pisa per questioni giudiziarie, e si stabilì a Lucca, dove morì nel 1457. Erede dell’intero patrimonio fu Vitale, che operò insieme con la madre Giusta (morta dopo il 1470). L’ascesa dei Medici, e in particolare i rapporti con Lorenzo il Magnifico, rafforzarono ulteriormente il gruppo parentale, che risulta impegnato in svariate operazioni finanziarie e imprenditoriali (assicurazioni, armamenti navali) oltre che a Pisa, a Siena, a Lucca, a Firenze, in Romagna, a Cremona, a Gaeta, a Napoli, Cosenza. Significativa del ruolo di primo piano giocato da Vitale è la qualifica (in alcuni documenti notarili) di «nobilis vir», che attesta un anoblissement in linea teorica non ammissibile per un ebreo; interessante anche il fatto inconsueto che egli possedesse schiavi.

Testimonianza di questa profonda integrazione sociale è anche la romanzesca vicenda di Clemenza, figlia di Vitale. Sposata a un da Montalcino (membro di un’importante famiglia di banchieri ebrei toscani), si innamorò del conte Brancaleone di Piandimeleto (appartenente a un’aristocratica, ancorché squattrinata, casata toscana), e decise di abbandonare il marito, di compiere atto di apostasia e – una volta battezzata – di sposare il nobile cristiano. L’evento creò non pochi problemi a Vitale, soprattutto per quanto atteneva alla spinosa vicenda della restituzione della dote, assai cospicua e reclamata – con diverse motivazioni – da entrambi i mariti.

Vitale ebbe almeno due figli maschi, Isacco e Simone, che alla fine del Quattrocento presero in mano gran parte degli affari paterni, spostando il baricentro delle attività a Firenze, donde era più agevole gestire l’estesa rete di relazioni finanziarie, commerciali e culturali. I da Pisa continuarono infatti a essere presenti e influenti in molte città (anche grazie a un’accorta rete matrimoniale: Isacco sposò una Sforno di Bologna, Simone una donna ebrea napoletana di madre lucchese, le loro sorelle contrassero matrimonio con esponenti dei da Tivoli, da Volterra, Finzi e Ventura).

Tra il 1509 e il 1517 Simone ottenne anche la licenza per un banco di prestito nel Veronese, detto «non inutile fisco et camere nostrae» nella corrispondenza tra l’imperatore Massimiliano d’Asburgo e il suo luogotenente a Verona. Isacco è menzionato in alcuni privilegi di papa Leone X e di papa Clemente VII, redatti tra il 1518 e il 1531. Suo figlio Daniele viene definito ‘familiare’ di Clemente VII e faceva parte del suo seguito. I privilegi furono confermati da Paolo III all’altro figlio di Isacco, Salomone. Un terzo figlio di Isacco, Abramo, era a Bologna tra il 1509 e il 1555; i suoi discendenti si trasferirono dopo il 1555 a Mantova, e sembra che questo ramo della famiglia si sia estinto agli inizi del Seicento.

Questa generazione dei da Pisa si distinse per il vivace mecenatismo: furono committenti di preziosi codici e protettori di insigni studiosi (come Yohanan Alemanno, maestro di ebraico di Giovanni Pico della Mirandola); ebbero relazioni con intellettuali cristiani (come il giurista Bartolomeo Sozzini, docente presso lo Studio pisano). L’importanza dei da Pisa si vide anche in occasione della cacciata degli ebrei dalla penisola iberica (1492), quando accolsero e soccorsero i numerosi profughi che passavano per Pisa. Dopo la ribellione di Pisa a Firenze (1494), il banco venne chiuso e i prestatori ebrei furono espulsi dalla città. Lasciata Pisa, i membri della famiglia ripararono prima a Firenze e poi a Bologna; i legami già da tempo stabiliti con altre famiglie dell’Italia settentrionale consentirono loro di mantenere la florida condizione finanziaria sino a quando, con la restaurazione del potere mediceo nel 1509, poterono rientrare a Pisa e ottenere la restituzione dei beni sequestrati all’epoca dell’espulsione.

La famiglia da Pisa si divise, in quel periodo, in due rami: quello con a capo Isacco spostò la propria residenza geografica fuori dalla Toscana, quello di Vitale Nissim, figlio di Simone, continuò invece a vivere a Pisa e a gestirvi un banco.

Del modus vivendi del gruppo parentale informa il diario di viaggio dell’avventuriero ebreo David Reubeni, ospite di Vitale per parecchi mesi nel 1524. Uomini e donne della famiglia risiedevano, a seconda dei periodi, nella villa di Asciano o nella casa in città, gli uomini andavano a cavallo, studiavano, pregavano e tutti si intrattenevano piacevolmente ascoltando musica, danzando e scambiandosi visite di cortesia con i concittadini cristiani. Dopo il 1527, del resto, Vitale Nissim smise di gestire il banco: lui e la sua famiglia vivevano con i redditi derivanti dalle loro proprietà terriere e dagli investimenti di capitale liquido in varie attività di carattere commerciale e finanziario.

Con l’istituzione da parte del granduca Cosimo I dei ghetti di Firenze e Siena (1570-71), Vitale Nissim si risolse a trasferirsi a Ferrara, dove morì attorno al 1574. La sua discendenza (il figlio Simone, medico nel Senese; le figlie Violante, che sposò un Colorni di Mantova, e Ricca, che sposò Leone di maestro Vitale ‘Allatrino’ da Spoleto e poi dimorò a Pesaro) si sparse in varie località della penisola, e Pisa non fu più il baricentro della vita familiare. Ferrara diventò per qualche decennio un punto di riferimento (il 22 aprile 1561, ad esempio, vi si era laureato in medicina Emanuele di Salomone di Isacco da Pisa), ma all’inizio del Seicento il clima religioso mutò e fu creato il ghetto. Tra il XVII e il XVIII secolo alcuni rami della famiglia dimoranti nel Ducato estense si estinsero, e rimase solo quello dei mi-Beth-El da Pisa. È in questo periodo che si passa dalla forma cognominale ‘da Pisa’ a quella di ‘Pisa’.

Poco note sono le vicende dei Pisa ferraresi nel Settecento; verso fine secolo emergono due distinti rami, i Pisa ‘di Voghiera’ (località presso Ferrara) e i Pisa ‘di Monterosa’, cui appartenne Elia Pisa (Ferrara, 1735-1808), figlio di Abramo e di Bona di Zaccaria Pisa di Voghiera, molto attivo nel Ducato di Modena. Elia sposò Giuditta Lampronti; i figli Beniamino (1775-1833), Mosè Aronne (1781-1848) e Zaccaria (1788-1833) furono banchieri e commercianti di un certo livello socioeconomico, con qualche possedimento terriero nella zona di Rovigo. Estinto il ramo di Beniamino, sopravvissero gli altri due a Milano (1852), Firenze (1865), e a Roma (1870).

Mosè Aronne sposò Rachele di Elia Sinigaglia. Suo figlio Abramo Pisa (Ferrara, 1817-1900) fu attivo in campo mercantile e bancario; insieme con il fratello Elia Salomone donò un palazzo alla comunità ebraica di Ferrara (1858). I suoi figli, Arturo e Luigi, furono imprenditori. Elia Salomone Pisa (Ferrara, 1831 - Firenze, 1905) fondò a Firenze la ditta ‘S. Pisa’ (1865) e operò in campo commerciale e agricolo (produzione vinicola) e nel settore della compravendita di titoli mobiliari; partecipò alla vita politica fiorentina da posizioni vicine al socialismo riformista.

Più significative le vicende dei discendenti di Zaccaria Pisa (sposato a Venturina Finzi), Luigi Israele e Giuseppe: due figure esemplari dell’ebraismo italiano ottocentesco, inseriti in modo profondo e vitale nelle vicende dell’Italia risorgimentale e postunitaria. Luigi Israele (Ferrara, 1813 - Milano, 1895) fu titolare della casa bancaria Zaccaria Pisa, fondata nel 1831, nonché amico e finanziatore di Edoardo Sonzogno (editore del quotidiano Il secolo, fondato nel 1866); inoltre, fu membro del Consiglio di reggenza della Banca nazionale del Regno d’Italia, e del consiglio di amministrazione delle Strade ferrate meridionali. Importanti investimenti immobiliari lo portarono ad acquisire alcuni prestigiosi edifici nel centro di Milano, nonché il castello di Bereguardo fuori città. Giuseppe (Ferrara, 1827 - Milano, 1904), contitolare della banca, combattente a ventun anni con Giuseppe Garibaldi, fu membro del consiglio di amministrazione della società Edison, oltre ad avere alcune compartecipazioni con la casa bancaria Feltrinelli e la Banca commerciale italiana.

Luigi Israele Pisa ebbe dalla moglie Vittoria Vitali due eredi maschi, Ugo e Giulio, che si distaccarono abbastanza rapidamente dalla gestione della banca di famiglia. Ugo (Ferrara, 1845 - Milano, 1910) seguì Garibaldi nel 1866, fu attaché nel Regno Unito e in Cina, presidente della Camera di commercio di Milano, socio del quotidiano Il Tempo di Milano, diretto da Claudio Treves, nonché senatore del Regno d’Italia dal 1898 fino alla morte. Giulio (1851-1905), laureato in ingegneria, si dedicò con passione all’attività politica; fu anche esperto d’arte e collezionista. Un nipote di Luigi, figlio di una sua figlia premortagli, Jenny Pisa, fu Luigi Della Torre (Alessandria, 1861 - Casciago, 1937) che, sposato con Teresa Mombelli, fu socio di minoranza dello zio, presidente della Società umanitaria e consigliere di amministrazione di numerose società milanesi. Fu anche il primo presidente dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana), fondata nel 1919, e senatore del Regno per l’area democratico-radicale.

Altri esponenti di un certo rilievo della famiglia Pisa furono il pittore Alberto Pisa (Ferrara, 1864 - Firenze, 1930); Bruno Pisa (Ferrara, 1897 - fronte dell’Isonzo, 1917), decorato al valor militare con una medaglia d’argento; Umberto R. Giuseppe Pisa (Roma, 1871-1954), imprenditore; Franco Pisa di Monterosa, tra i fondatori e i finanziatori della rivista scientifica Zakhor. Rivista di storia degli ebrei d’Italia.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 18819 (già S 387), 1416, cc. 77r-78v; n. 18824 (già S 392), 1416, cc. 62v-63r (21 agosto 1415); Archivio di Stato di Pisa, Comune di Pisa, Divisione A., 188, cc. 63v-64r; Opera del Duomo, 527, cc. 47v-48v; Fiumi e Fossi, 1566, c. 71v; Archivio di Stato di Lucca, Notari, I, voll. 607, c. 367r-v (8 aprile 1456); 597, c. 210r (17 giugno 1456); 766, c. 38r-v (codicillo testamentario del 20 giugno 1457); 574, c. 39r (1° luglio 1457); 661, c. 57r (4 agosto 1457); 899, c. 15r-v (1479); Offizio sopra la giurisdizione, n. 57; Archivio di Stato di Verona, Antico archivio del Comune, Ducali, reg. 16, c. 14v.

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