Dal Neolitico all'eta dei metalli. Dalle prime comunita agricole alle societa complesse: Europa

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

Dal Neolitico all'età dei metalli. Dalle prime comunità agricole alle società complesse: Europa

Mirella Cipolloni Sampò
Renato Peroni

Le prime comunità agricole

di Mirella Cipolloni Sampò

La "rivoluzione neolitica" apportò in Europa e nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, insieme all'economia produttiva, nuovi modi di vita. Sviluppi analoghi verso l'agricoltura e l'allevamento ebbero luogo dopo la fine del Pleistocene, in modo indipendente, in diverse parti del mondo, ma il punto di partenza della neolitizzazione d'Europa è riconosciuto nell'area del Levante, dove per la prima volta furono sperimentate la domesticazione di piante e di animali che solo successivamente fecero la loro comparsa sullo scenario europeo. Verso la metà dell'VIII millennio le comunità neolitiche del Vicino Oriente coltivavano un'ampia gamma di cereali (grano, orzo, segale), leguminose (fave, piselli, lenticchie, veccia, ceci) e lino, importante sia per i semi sia per le fibre che potevano essere tessute. Si ritiene, sulla base di criteri genetici, che tutte queste piante siano state domesticate in un territorio ristretto e in un arco di tempo relativamente breve, ma quando il grande esodo sia iniziato e come si siano svolte le fasi di questo cambiamento (che investì non solo l'economia e le tecnologie specifiche, ma anche l'ideologia, le dinamiche sociali, lo stile di vita) rimangono problemi aperti. Le acquisizioni del "pacchetto neolitico" e di nuovi modelli di società vennero introdotte in nuove aree, in situazioni ben diverse da quelle di origine e non sempre favorevoli alla loro completa adozione. Superata la fase di mera contrapposizione degli schemi interpretativi tradizionali (diffusionismo, migrazionismo, evoluzionismo), si tende oggi alla ricerca di chiavi di lettura concrete per i diversi processi che sono alla base, per la storia dell'Europa, di radici comuni e di grandi diversità. Il Neolitico europeo ha una durata complessiva che in alcune aree supera i 4000 anni; nel corso di questo lungo arco di tempo si verificarono cambiamenti riguardanti vari ambiti, che vanno dalle modifiche apportate all'ambiente a quelle nell'economia, nella tecnologia, ai mutamenti nei tipi di abitato, di strutture abitative, di rapporto col territorio, allo scambio, ai rituali funerari, ecc. L'applicazione dei sistemi di datazione assoluta, il recupero di dati utili alla ricostruzione delle basi economiche della sussistenza, le nuove e sempre più articolate metodologie di studio dei resti paleobotanici e archeozoologici, l'apporto delle discipline geoarcheologiche ed una più estesa e integrata interdisciplinarità, hanno contribuito ad un notevole approfondimento nella ricostruzione del quadro, sia ambientale sia economico. Per quanto riguarda la cronologia, anche se il grado attuale di risoluzione non è estremamente dettagliato, la quantità di datazioni ¹⁴C corrette mediante la calibrazione dendrocronologica è tale da permettere di seguire le tappe del processo di neolitizzazione delle varie aree con sufficiente chiarezza. Inoltre le date recentemente ottenute con la spettrometria di massa con acceleratore (AMS) offrono il duplice vantaggio di consentire l'analisi di campioni di piccola entità e di datare direttamente proprio gli indicatori più qualificanti dell'avvenuto processo di neolitizzazione: ossa di animali domestici e semi di piante coltivate, che sono anche materiali dalla vita più breve e pertanto più affidabili. Alcune date ottenute con questo metodo, come quelle per la ceramica lineare dell'area danubiana, sono risultate leggermente più tarde di quanto si pensasse; in altri casi questo metodo di datazione ha consentito di espungere definitivamente alcune date anomale, che risultavano molto più antiche rispetto all'insieme di quelle provenienti dallo stesso sito, come nel caso, ad esempio, di quelle di Nea Nikomidia in Grecia e di Coppa Nevigata in Italia. Malgrado sia stata immaginata come un'onda di avanzamento (una penetrazione demica secondo un fronte semicircolare che si espande in ragione di un chilometro all'anno), la neolitizzazione dell'Europa continentale e del Mediterraneo appare un fenomeno articolato che procede seguendo percorsi selettivi. La prima fase si registra in Grecia intorno alla metà dell'VIII millennio, subito dopo si estende al resto dei Balcani meridionali, e tra 6800 e 6400 anni fa le coste del Mediterraneo centrale e occidentale e poi la Grande Pianura centro-europea vengono popolate da coloni in possesso del bagaglio completo dell'economia agro-pastorale, in regime pienamente sedentario. In Italia, dove è presente una forte differenziazione ambientale, si rileva una situazione molto diversificata nell'espansione neolitica, che comporta dal punto di vista cronologico uno sfasamento complessivo di circa un millennio. Dovendo sintetizzare situazioni e processi tanto diversi è possibile individuare alcuni areali a rapida diffusione: Europa sudorientale, Mediterraneo, area danubiana e altri nei quali la penetrazione avviene più gradualmente: Europa settentrionale, gran parte della Penisola Iberica, Francia settentrionale e buona parte della Scandinavia, che costituisce l'ultima frontiera. Il più antico Neolitico dei Balcani, che è anche il più antico d'Europa, documenta un'economia agricola già pienamente sperimentata. Uno dei maggiori fautori di un approccio indipendente all'agricoltura, R.W. Dennell, ha ipotizzato che le popolazioni mesolitiche dell'Europa sud-orientale avessero a lungo sfruttato e, in qualche caso, coltiv ato alcune varietàlo cali di cereali e fossero quindi pronte ad accogliere le nuove tecniche per applicarle alle esotiche risorse che giungevano dal Vicino Oriente. Tuttavia i pollini di cereali menzionati da Dennell, rinvenuti nei coproliti in due siti mesolitici (Icoana in Romania e Vlasac in Serbia), non forniscono alcuna prova certa perché hanno entrambi una datazione intorno a 8000 anni fa, parallela quindi a quelle del più antico Neolitico in entrambe le zone. Appare ormai certo che gli antenati delle principali specie domestiche di cereali e leguminose non esistevano allo stato selvatico in Europa. È significativo inoltre che l'arrivo del "pacchetto neolitico" determini un rapido decremento nel numero di specie spontanee utilizzate nella dieta, come è stato documentato nella Grotta di Franchthi in Argolide, e che le piante spontanee locali, in questo caso un tipo di lenticchia, vengano sostituite dalla specie coltivata (Lens culinaris) di origine orientale. Questo atteggiamento comporta scelte precise che per la prima volta produrranno un impatto ambientale e un paesaggio fortemente antropizzato. Nei più antichi siti neolitici, sia dei Balcani sia dell'Italia meridionale, sono spesso documentati uno scarso uso delle ricche risorse spontanee e una ristretta selezione ai fini alimentari, con la quasi totale adozione a questo scopo di quanto viene direttamente prodotto, o riprodotto, dall'uomo. La caccia è irrilevante e in alcuni siti è quasi del tutto assente, il totale delle specie selvatiche presenti nei complessi faunistici oscilla per lo più tra il 3 e il 10%, mentre riacquisterà un peso maggiore nelle fasi successive del Neolitico. Lo stesso tipo di proporzione si osserva nei villaggi danubiani appartenenti alla cultura della Ceramica Lineare (Linearbandkeramik, LBK), dove l'incidenza delle specie selvatiche solitamente non supera il 10%, dato che si traduce in una percentuale di circa 1/4 o 1/5 del totale per quanto riguarda il quadro alimentare. Le aree in cui più precocemente compaiono i primi villaggi stabili di agricoltori sono la Grecia e, subito dopo, parte dell'odierna Bulgaria. In entrambe l'occupazione neolitica non investe in modo omogeneo e generalizzato tutto il territorio, dimostrando una chiara preferenza per specifiche nicchie ecologiche. Partendo da questa constatazione T.H. van Andel e C.N. Runnels hanno elaborato un modello, basato sui dati geoarcheologici e su osservazioni dirette effettuate in Tessaglia, che costituisce una variante, controllata sui dati archeologici e territoriali, di quello dell'onda di avanzamento. La loro ipotesi si basa su tre osservazioni: la concentrazione degli insediamenti, sia in Grecia sia nelle altre regioni dei Balcani meridionali, in aree non occupate in precedenza da una popolazione indigena mesolitica; la distribuzione "a macchie di leopardo" nella concentrazione degli insediamenti; la preferenza per le pianure fluviali e i bacini lacustri. Quest'ultimo elemento è determinante nella dinamica proposta, che prevede lo spostamento di piccoli gruppi secondo movimenti graduali e successivi, con traiettorie modificate dalle barriere naturali (mari, deserti, montagne) e condizionate dalla preferenza di ambienti specifici, come le ampie pianure alluvionali. Il punto di partenza viene indicato nell'Anatolia sud-occidentale, dove la catena del Tauro a settentrione costituiva una barriera probabilmente aggirata scegliendo un itinerario via mare. Le vie di penetrazione indicate dagli autori rendono plausibile la discordanza che si osserva tra le date ¹⁴C più antiche dei giacimenti della Tessaglia e quelle, più tarde di alcuni secoli, della Macedonia e della Bulgaria meridionale. La spinta a migrare sarebbe stata fornita dalla ricerca di nuovi territori specifici, nell'ambito dei quali la crescita della popolazione avveniva poi in un arco di tempo relativamente lungo. Si è calcolato che nel bacino di Larissa, una delle aree più densamente occupate, la popolazione neolitica abbia impiegato circa 1500 anni prima di raggiungere la saturazione. Questo modello, motivato da un'analisi approfondita dei dati archeologici, sembra il più plausibile anche per altre aree con alta densità di abitati durante le prime fasi del Neolitico, come l'Italia meridionale. I vari aspetti del Neolitico antico balcanico, in parte coevi e culturalmente affini, vengono designati con nomi diversi a seconda delle regioni: Karanovo I e II in Bulgaria, Starčevo in Serbia, Vashtëmi-Podgorie e in Albania, Criş in Romania, Körös in Ungheria. In Grecia l'utilizzazione di diverse terminologie e suddivisioni regionali crea non pochi problemi, semplificando molto si estendono normalmente le classificazioni valide per la Tessaglia (Ceramica Monocroma, proto-Sesklo, pre-Sesklo). La formazione di tell (mogilas in Bulgaria, magoula in Tessaglia, toumba in Macedonia), molti dei quali interamente scavati, ha preservato serie stratigrafiche imponenti come quella di Karanovo. I dati sugli abitati sono numerosi e, unico caso per il Neolitico antico, si dispone di planimetrie complete. Le singole abitazioni hanno per lo più pianta rettangolare e, in Grecia, si conserva anche la tradizione costruttiva vicino- orientale del pisé. Spesso le capanne erano decorate con intonaci dipinti e per le strutture in elevato si dispone dell'eccezionale documentazione fornita dai modellini in ceramica. All'interno di alcune abitazioni sono stati rinvenuti veri e propri forni, ma anche oggetti rituali e di valore simbolico: statuine femminili o zoomorfe, "tamburi", tavoli con offerte, "troni", riproduzioni di interni di abitazioni e di recinti, tutto eseguito in ceramica e in miniatura. Le produzioni vascolari di tutti questi gruppi sono tra le più varie, ricche ed eleganti sia nelle forme sia nelle decorazioni. Nessun altro ambito del Neolitico antico mostrerà altrettanta raffinata inventiva, capacità espressiva e ricchezza culturale. Nel bacino del Mediterraneo la localizzazione costiera delle ceramiche impresse ha avuto un ruolo importante nella genesi e nell'affermazione dei modelli diffusionisti. Ritenuta un indicatore di un processo di espansione che si scagliona nell'arco di un millennio, la ceramica impressa ha costituito il "filo di Arianna" che collega il Mediterraneo orientale, attraverso i Balcani, le coste adriatiche, le grandi isole, le aree costiere del Mediterraneo occidentale, fino alla costa atlantica del Portogallo. L. Bernabò Brea, nell'illustrare i livelli del Neolitico antico nella Caverna delle Arene Candide in Liguria, ha spiegato l'insorgere dell'economia produttiva, in Italia e nel Mediterraneo, come frutto di un fenomeno di trasformazione relativamente rapido, di una colonizzazione propagatasi da oriente a occidente attraverso la navigazione. Questo processo di colonizzazione produceva abbastanza rapidamente piccole "colonie" sparse in una vasta area, che finivano poi con l'essere isolate le une dalle altre. Tale meccanismo sarebbe alla base, secondo J. Guilaine, dell'iniziale somiglianza nelle ceramiche "cardiali" di vaste regioni, seguita da aspetti regionali più marcati e diversificati nei periodi successivi. Emblematica dello sforzo di comprendere e differenziare i processi di neolitizzazione nella loro specificità è la tesi di J. Lewthwaite che individua percorsi diversi. Mentre per la Grecia e le isole dell'Egeo, dove il popolamento mesolitico appare sparso e poco consistente, un modello non diffusionista per l'introduzione dell'economia di produzione sembrava altamente improbabile, per l'Occidente mediterraneo l'autore ha proposto un coinvolgimento ampio dei gruppi locali. L'introduzione della pecora domestica, da parte delle popolazioni mesolitiche della Francia meridionale e della Penisola Iberica, è ipotizzata come elemento di prestigio acquisito attraverso il filtro costituito dalle grandi isole, Sardegna e Corsica, nel quadro di un sistema di scambi sulle lunghe distanze. L'ipotesi si fonda su due elementi che appaiono oggi ambigui: alcune datazioni ¹⁴C, su carboni, molto antiche, in contrasto con le date non anteriori a 6800 anni fa proposte per l'inizio del Neolitico sia nella Penisola Iberica sia nella Francia meridionale e la presenza della pecora nei livelli mesolitici di alcune grotte e ripari che però in molti casi gli scavi recenti hanno dimostrato fortemente perturbati. La neolitizzazione del Mediterraneo occidentale continua ad apparire come il frutto di un fenomeno relativamente rapido e profondamente innovativo, in cui tutto il bagaglio di nozioni e tecniche che accompagnano l'economia produttiva viene introdotto contestualmente. Uno dei problemi da affrontare è piuttosto quello della reale affinità tra i vari gruppi a ceramica impressa, visto che gli aspetti culturali in cui essa è presente sono complessivamente molto vari. La ceramica, a lungo considerata uno degli indicatori più significativi del Neolitico, compare nei siti costieri del Vicino Oriente intorno ad 8000 anni fa e fin dalla sua prima apparizione questa produzione artigianale mostra una grande originalità e varianti stilistiche locali che contribuiscono a caratterizzare diversi gruppi. Da Mersin in Cilicia a Biblo la ceramica più antica è decorata con incisioni e impressioni, talvolta con cordoni di argilla applicati; queste prime ceramiche sono state ritenute il prototipo delle ceramiche cardiali, decorate con la conchiglia Cardium edule, diffuse lungo gran parte delle aree costiere dall'Adriatico alla Penisola Iberica. Nuovi dati provengono ora dall'Anatolia, dove la ceramica impressa è presente non solo nell'area sud-occidentale, ma anche in quella nord-occidentale, area di neolitizzazione secondaria ma anche principale zona di contatto con l'Europa sud-orientale. Nella Turchia settentrionale la ceramica impressa è assente nei contesti più antichi, caratterizzati da ceramiche fini brunite che sembrano affini a quelle greche. Essa compare successivamente in due momenti distinti: uno leggermente più tardo rispetto al primo Neolitico, in contesti che date le affinità con lo stile pre-Sesklo della Grecia continentale potrebbero aver avuto un ruolo nell'espansione del Neolitico verso occidente, il secondo in un momento ancora più tardo, in cui la ceramica impressa riappare nelle sequenze stratigrafiche di diversi siti, precedentemente caratterizzate da altre produzioni; in questa fase la sua presenza potrebbe invece documentare un flusso dai Balcani verso oriente. La situazione quindi è forse molto più complessa di quanto non si pensasse ipotizzando movimenti e spostamenti unidirezionali. Al polo opposto, nell'area più occidentale della Penisola Iberica, lungo la costa atlantica del Portogallo, i giacimenti più antichi con ceramica impressa sono localizzati nella zona più settentrionale dell'Estremadura e datati tra 6800 e 6200 anni fa. Nel resto della regione continua, contemporaneamente, lo sviluppo dei gruppi di cacciatori-raccoglitori che durerà fino intorno a 6000 anni fa. Si pensa quindi che l'arrivo del Neolitico a ceramica impressa in quest'area sia legato alla colonizzazione da parte di piccoli gruppi; la successiva interazione di queste comunità con le popolazioni mesolitiche locali porterà, nell'arco di circa un millennio, all'adozione dell'economia neolitica in tutto il territorio. Per l'Europa centrale l'espansione dei gruppi della cultura della Ceramica Lineare costituisce il terzo modello classico di sviluppo del Neolitico in modo relativamente rapido. Secondo ritmi di avanzamento che sono stati variamente calcolati, nella fertile pianura formata dal löss nella valle del Danubio e dei suoi affluenti i contadini neolitici si diffusero fino ad occupare un'area vastissima che va dal Mar Nero all'Atlantico. Circa i modi in cui si attuò quest'occupazione sono state formulate ipotesi diverse, nelle quali un ruolo importante hanno avuto la storia delle ricerche e la configurazione dei depositi stratigrafici, che comportano difficoltà di lettura per correlare tra loro le varie strutture, fondamentali per la comprensione dei modelli di abitato. Dopo lo scavo, effettuato negli anni Trenta, del villaggio di Köln-Lindenthal in Germania, che mise in luce una trentina di capanne rettangolari incluse in due aree recinte da fossati, la tappa più importante è costituita dalle ricerche operate da B. Soudsky nel sito di Bylany in Boemia. Esplorato in modo estensivo su una superficie di circa 7 ha, lo scavo di Bylany ha costituito un modello di ricerca molto avanzato, sia per i metodi impiegati sul campo sia per il trattamento dei dati. Furono individuate oltre 110 abitazioni, con la caratteristica pianta rettangolare allungata, e attraverso l'analisi statistica delle ceramiche si è ipotizzata una ventina di fasi successive di occupazione, separate tra loro da periodi di abbandono del sito che hanno fatto pensare ad un tipo di frequentazione ciclica, probabilmente a una distanza di 15 o 20 anni, legata a uno sviluppo mobile dell'agricoltura condizionata dal depauperamento dei suoli. Quest'ipotesi interpretativa è stata rimessa in discussione dopo l'individuazione, in altre aree, di situazioni diverse. Il sito di Elsloo, scavato anch'esso estensivamente, ha restituito, su una superficie di circa 2 ha, un centinaio di capanne rettangolari che mostrano segni di rifacimento e viene interpretato come villaggio permanente. Anche la grande esplorazione di salvataggio effettuata in Germania sull'altopiano di Aldenhoven ha ampliato le conoscenze sui modi di occupazione del territorio e di produzione agricola attraverso l'individuazione di un modello di fattorie sparse. Gli abitati, oltre a quello classico di Köln-Lindenthal, sono spesso recintati da fossati o palizzate, o entrambi. Ovunque l'economia è basata su agricoltura e allevamento con un ruolo irrilevante della caccia, a Bylany il 98% della fauna appartiene alle specie domestiche. Per quanto riguarda la cronologia le recenti datazioni AMS ¹⁴C, effettuate in Germania su materiali di più breve durata come ossa e semi, si addensano intorno a 6400-6300 anni fa e sembrano quindi rendere meno antica la datazione di molti giacimenti, il che potrebbe riflettere un avanzamento più graduale di quanto si pensasse in passato. Da questa breve sintesi sulle prime tappe del Neolitico in Europa emerge chiaramente come i cambiamenti siano diversi da regione a regione e con essi vari anche la cronologia. La prima fase occupa tre millenni, dal 7000 al 4000 a.C. circa, e non interessa, come si è visto, tutto il continente europeo e il bacino del Mediterraneo, ma soltanto alcune zone nelle quali i gruppi neolitici si affermano precocemente. Il quadro d'interazione tra questi gruppi e le popolazioni mesolitiche è complesso e condurrà a uno scenario in perenne cambiamento. Dal punto di vista cronologico e culturale non si può tracciare una scansione semplificata che non tenga conto dell'enorme diversità dei processi area per area, fino a giungere ai fenomeni più tardi e anch'essi diversificati della neolitizzazione della pianura nord-europea, delle Isole Britanniche e della Scandinavia meridionale. Il problema, che è in primo luogo climatico e ambientale, ma anche culturale, della neolitizzazione dell'Europa settentrionale è stato recentemente riesaminato per la Norvegia, ma le conclusioni raggiunte valgono anche per tutta la Scandinavia settentrionale. Nella Scandinavia meridionale il passaggio verso un'economia e una società pienamente neolitiche si identifica col problema dell'interazione e dell'integrazione fra i gruppi mesolitici Ertebølle e i neolitici appartenenti ai gruppi del Bicchiere Imbutiforme (Trichterbecher Kulturen, TRB o TRBK), il cui sviluppo nella Svezia meridionale si pone intorno al 4000 a.C. Dopo questa data c'è una lacuna nell'espansione del Neolitico verso la Svezia centrale e la Norvegia meridionale, lacuna che secondo alcuni sarebbe di circa 1500 anni e ricondurrebbe l'introduzione del Neolitico in quest'area al 2400 a.C. In realtà, l'affermazione di un'economia realmente agropastorale rimase in gran parte limitata all'area del fiordo di Oslo, mentre più a settentrione una trasformazione in questo senso avvenne molto più tardivamente ed è correlabile allo sviluppo dei gruppi della cultura del Bicchiere Campaniforme e delle Ceramiche a Cordicella della Scandinavia meridionale. Il Neolitico si è quindi affermato in parte della Norvegia solo in un momento avanzato dell'età dei metalli. Secondo la definizione di un geografo "le culture sono mappe di significati che rendono comprensibile il mondo", ma più la loro influenza si estende e più le culture dominanti si frammentano; questo meccanismo spiega perché in alcuni aspetti del Neolitico iniziale in Europa si colgano, anche in aree distanti, molte somiglianze ma nessuna identità. Le persone, i beni, le idee si muovono e le culture cambiano, e l'Europa nei 4000 anni di affermazione del Neolitico è stata un vero e proprio crogiolo di culture. Le origini dell'agricoltura e i problemi legati alla sua diffusione sono stati affrontati da molte angolazioni diverse. Un punto comune a molti dei modelli più recenti è però quello dell'analisi multifattoriale e del rifiuto delle interpretazioni monolitiche, e pertanto semplificate, per la spiegazione di un fenomeno che per la prima volta nella storia della nostra specie porterà rapidamente a una catena ininterrotta di trasformazioni imponenti quanto irreversibili. In poco più di diecimila anni, un lasso di tempo relativamente breve nella storia dell'uomo, dal momento dell'affermazione dell'economia agricola si verificheranno altre nuove importanti "rivoluzioni": quella urbana prima e quella industriale poi, nelle quali è radicata la nostra civiltà.

Bibliografia

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Lo sviluppo delle società complesse

di Renato Peroni

Tematiche, definizioni e terminologie

Lo sviluppo delle forme di organizzazione economico-sociale successivamente al consolidarsi delle società produttrici di cibo del Neolitico e fino alla nascita della società e dello Stato seguì in Europa e nel Mediterraneo un decorso che, sebbene nelle grandi linee almeno apparentemente analogo a quello avuto nel Vicino e Medio Oriente, se ne allontana significativamente sotto vari aspetti. Queste differenze concernono in primo luogo i tempi di tale sviluppo. Sia pure forzando alquanto la semplificazione, appare legittimo affermare che in Europa fenomeni quali l'emergere di società relativamente complesse e fortemente caratterizzate in senso guerriero, la comparsa di grandi luoghi di culto ("santuari") contraddistinti da pratiche di tipo votivo, lo stabilizzarsi dell'insediamento e la correlata tendenza verso comunità demograficamente più consistenti, successivamente la nascita di centri protourbani e di formazioni protostatali, si manifestarono nel complesso assai più tardi che in Oriente. Di conseguenza, è inevitabile ricorrere alla supposizione che gli sviluppi in Europa e nel Mediterraneo abbiano potuto essere influenzati da modelli esterni. Un altro fattore di differenziazione può essere riconosciuto, anche qui certo schematizzando alquanto, nell'opposizione tra continuità e discontinuità, o forse meglio tra stabilità e instabilità. Si può infatti affermare che, se in Oriente la continuità e la stabilità (insediativa, demografica, nelle strategie di sfruttamento delle risorse, nelle tradizioni culturali) costituiscono, almeno tendenzialmente, la norma per il periodo considerato (IV-I millennio a.C.), in Europa esse rappresentano viceversa, certo sempre tendenzialmente, l'eccezione. Questo oggettivo stato di cose ha generato, nell'orientamento degli studi e nella metodologia della loro conduzione, due ordini di conseguenze. Il primo è rappresentato dall'affermarsi delle teorie diffusioniste e dal loro evolversi; il secondo dall'intensificarsi e spesso dall'inasprirsi del dibattito sulle periodizzazioni e sulle seriazioni cronologiche. Per teorie diffusioniste in preistoria e protostoria e nelle scienze etno-antropologiche si intendono le dottrine che attribuiscono i mutamenti nel quadro culturale in una data regione e in una data epoca essenzialmente a influenze univoche, irradiantisi da un centro verso una periferia. Il diffusionismo ha conosciuto due fasi: durante la prima, coincidente con le concezioni unidirezionali dello sviluppo storico proprie dell'evoluzionismo ottocentesco, è la civiltà a diffondersi dagli ambiti più progrediti verso quelli più arretrati (ex Oriente lux). La seconda, che si identifica con la scuola storico-culturale che ha dominato quasi per intero il XX secolo, di matrice storicistica (ma sulla cui formazione ha potentemente influito anche un certo tipo di tradizione presente nella linguistica comparata indogermanica), tendente dunque a riconoscere più soggetti storici coesistenti ed interagenti tra loro, è stata contraddistinta dalla concezione di una pluralità di culture che si diffondono, si espandono, si accavallano, si sovrappongono e si sopraffanno a vicenda, creando centri "primari" e "secondari", secondo un concatenarsi di movimenti la cui direttrice essenziale resta tuttavia pur sempre quella che procede da oriente verso occidente e verso nord. Il concetto di "cultura" appare profondamente ambiguo. Preso a prestito dalle scienze antropologiche, nelle quali esso tende ineluttabilmente a sovrapporsi alle diverse etnie individuate dall'osservazione etnografica e linguistica, se non ad identificarvisi, in preistoria e protostoria esso risulta una costruzione o artificiosa, o completamente astratta. Le culture preistoriche e protostoriche non sono infatti altro che facies archeologiche, ossia configurazioni risultanti dall'assemblaggio in larga parte casuale di testimonianze, riconducibili per lo più a manifestazioni della cultura materiale, quali ci sono state trasmesse dalle fonti archeologiche: ad esempio, se per un dato periodo di due aree adiacenti l'una ha restituito solo reperti di abitato, l'altra corredi di sepolture, la differenza tra i due insiemi, dovuta al diverso stato di conservazione e alla diversa funzione degli oggetti, potrà risultare talmente spiccata da far parlare di facies, o addirittura di culture distinte. Coloro che tendono ad identificare cultura ed ethnos, e a ragionare pertanto in termini di espansioni, migrazioni, movimenti di popoli, saranno dunque indotti ad assegnare a determinate facies archeologiche proprietà e ruoli ad esse del tutto estranei. In questo modo alcuni decenni fa si attribuì al "popolo della Ceramica a Cordicella e delle Asce da Battaglia" la diffusione delle lingue indoeuropee in larga parte dell'Europa (secondo un certo tipo di sinergia tra preistoria e linguistica al quale si è già accennato). Analogamente, sebbene mediante un procedimento a contrario, l'odierna genetica crede di poter ricostruire un processo di progressiva "neolitizzazione" dell'Europa a partire dai centri primari del Vicino Oriente verso la periferia occidentale e settentrionale del continente, sulla base della peculiare configurazione geografica secondo cui si distribuiscono i caratteri genetici registrati nel DNA delle attuali popolazioni europee, quando è evidente che tale configurazione non può essere che la risultante della somma di tutti i più svariati processi demografici che si sono andati sovrapponendo in Europa negli ultimi 10.000 anni. Se l'equazione cultura=ethnos e il migrazionismo sono state le forme più artificiose ed estreme del diffusionismo, non va dimenticato il differente ruolo svolto dalle diverse correnti storico-culturali ‒ tra cui occorre ricordare in modo particolare quelle influenzate dallo strutturalismo e dalla teoria dei sistemi ‒ le quali, pur non accettando in blocco quell'equazione, hanno tuttavia coltivato un concetto organicistico delle culture, come di entità unitarie, internamente coerenti e conchiuse come le lingue; concetto che, continuamente contraddetto dall'evidenza delle fonti archeologiche, non poteva che scadere nell'astrazione. Oltre ad aver favorito l'affermarsi delle tendenze diffusioniste, l'oggettiva profonda diversità tra lo sviluppo storico dell'Oriente e quello del Mediterraneo e dell'Europa ha avuto, come si è accennato, un altro importantissimo ordine di conseguenze, concernente il concreto modus operandi dell'archeologia preistorica e protostorica nei due diversi ambiti geografici, soprattutto di fronte ai problemi di cronologia relativa e di periodizzazione. La complessiva stabilità e continuità demografica, insediativa, politica, culturale dell'Oriente protostorico hanno determinato la formazione per un verso di liste dinastiche comprendenti l'indicazione degli anni di regno di ciascun sovrano affidate alla tradizione scritta, per l'altro di siti archeologici ricchi di resti costruttivi (ma anche di iscrizioni con nomi di regnanti, che di quelle liste costituiscono il riscontro) e pluristratificati. Di conseguenza, la definizione nelle grandi linee delle singole fasi di civiltà, dell'ordine in cui esse si succedettero nel tempo e del modo in cui sono da correlare tra loro le diverse sequenze locali non costituisce un serio problema per l'archeologia orientale. All'opposto, per l'archeologia protostorica europea e mediterranea essa rappresenta la questione cruciale. Su di un gran numero di facies archeologiche si è in passato lungamente discusso, e talvolta a tutt'oggi si discute, se si siano succedute nel tempo, o siano state tra loro cronologicamente parallele. Le tassonomie classificatorie dei manufatti, utilmente applicabili in Oriente anche quando sommarie, devono in Europa per forza di cose farsi estremamente sofisticate, sempre con un occhio al possibile modificarsi delle forme attraverso il tempo (cronotipologia). Alle seriazioni stratigrafiche si è spesso costretti a sostituire, o a integrarvi, quelle fondate sull'analisi del ricorrere delle associazioni di tipi nell'ambito di insiemi di contesti archeologici "chiusi" (cronologicamente unitari: il termine è per lo più usato per designare tombe o ripostigli). Un'applicazione classica e assai frequente di tale metodo si ha per le necropoli (la cui conoscenza, nella protostoria europea e mediterranea, è nel complesso di gran lunga migliore di quella degli abitati), dove spesso lo studio dello sviluppo topografico dell'area funeraria ("stratigrafia orizzontale") ne rende possibile la verifica. Questo per quanto riguarda la cronologia relativa e comparata. Per la cronologia assoluta, mentre, come già visto, in Oriente essa si fonda, a partire dal III millennio, soprattutto sulle fonti scritte, in Occidente si è invece dovuto fare ricorso a metodi naturalistici: essenzialmente le datazioni radiometriche (¹⁴C, ecc.) e la dendrocronologia. L'uso massiccio di tali metodi in Europa ha avuto come esito la cosiddetta "rivoluzione radiocarbonica". Essa è consistita nella rivelazione che molte manifestazioni di civiltà (tecnologie, forme e immagini di culto, architetture, grandi complessi monumentali), ben attestate in Europa e nel Mediterraneo, ma ritenute derivazioni da modelli o emanazioni da stimoli orientali, erano in realtà spesso più antiche dei loro stessi supposti prototipi. Il dogma diffusionista ne risultava così clamorosamente "falsificato", sia pure ad un livello di riflessione storiografica alquanto superficiale. A un livello un poco più meditato, sembra legittimo affermare che l'errore diffusionista consisteva nella mancata consapevolezza della non trasmissibilità di modelli "culturali" globali tra società le cui forme di organizzazione risultano tra loro irriducibili a causa della diversità delle basi ambientali e di sussistenza. Occorre tuttavia considerare che, volendo trattare la cultura alla stregua di un sistema, dovremo pur prendere atto del suo interno articolarsi in sottosistemi e in singoli, isolabili elementi: è appunto a questi livelli subordinati che tra Oriente e Occidente possiamo e dobbiamo individuare meccanismi di diffusione, processi di trasmissione di stimoli e di modelli. Le terminologie cronologiche e culturali comunemente adottate per questo ciclo storico, e a maggior ragione quelle, ovviamente più semplificate e schematiche, qui utilizzate, rispecchiano solo in linea di massima le stesse irrinunciabili, generali definizioni concettuali su cui pure si fondano; anzi in non pochi casi le contraddicono nettamente. La contrapposizione storiograficamente fondamentale tra le età neolitica, eneolitica (o calcolitica, o del Rame: 3500-2300 a.C. ca. per la maggior parte dell'Europa), del Bronzo (2300-700 a.C. ca.) e del Ferro presuppone convenzionalmente quattro differenti gradi di complessità socioeconomica. Come neolitica si può definire un'economia di produzione di cibo (basata essenzialmente sull'agricoltura e sull'allevamento, ma in cui anche la raccolta e soprattutto la caccia e la pesca conservano un ruolo significativo) che fondamentalmente non è in grado, anche a motivo del suo carattere piuttosto estensivo che intensivo, tale da non consentire una stabilizzazione dell'insediamento e dunque una completa sedentarizzazione dei gruppi di popolazione, di superare il livello di un'economia di sussistenza, né di accantonare in misura apprezzabile, e soprattutto stabile, un surplus di beni da reinvestire in attività economiche diverse da quelle dirette alla pura sussistenza (produzioni artigianali, fabbricazione di edifici e infrastrutture, commercio). Una definizione del genere si può prestare a innumerevoli obiezioni: il Neolitico conosce anche produzioni artigianali di elevata qualità, ad altissimo investimento tecnologico, di beni accessori come ornamenti e vasellame, spesso oggetto di commerci a lunga distanza, l'edificazione di imponenti tombe collettive, quali i dolmen e le altre strutture megalitiche dell'Europa occidentale e nord-occidentale, ma soprattutto, limitatamente peraltro all'Europa sudorientale, forme di insediamento stabile, plurisecolare, come i tell e le magule (colline artificiali multistratificate, prodotte dal sovrapporsi sullo stesso luogo dei resti di molti stanziamenti successivi) della Bulgaria e della Tessaglia. Resta tuttavia vero che tutti questi caratteri innovativi si rivelano ben più frequenti con il successivo periodo eneolitico, con il quale, convenzionalmente, si apre la cosiddetta "età dei metalli", concetto questo molto fuorviante, perché colloca sotto un unico esponente le età del Rame, del Bronzo e del Ferro, quasi fossero accomunate da un unico volano tecnologico e socioeconomico, appunto la metallurgia. Ora, mentre si può positivamente affermare che la metallurgia del bronzo, e più tardi quella del ferro, finirono con il tempo per assumere un ruolo notevole nella fabbricazione di attrezzi e di utensili, spesso appartenenti a categorie funzionali prima ignote o di gran lunga più modeste quanto a grado di efficienza, stanti le limitate proprietà dei materiali in cui erano realizzati (pietra scheggiata e levigata, legno, osso, corno, ecc.), manufatti che ebbero un evidente effetto propulsivo su di un ampio spettro di innovazioni tecnologiche e di conseguenza di attività produttive e di processi sociali, non altrettanto si può dire per il rame e l'oro, con i quali, durante l'età eneolitica, ma anche già prima, soprattutto nell'area danubiano-balcanica, si realizzarono quasi esclusivamente armi e ornamenti. L'unico utensile documentato, l'ascia piatta, certamente dovette avere un ruolo assai importante negli estesi disboscamenti, legati alle nuove tecniche agricole di cui si dirà, che caratterizzarono l'età eneolitica; tuttavia, a giudicare dai contesti archeologici e dalle figurazioni in cui è attestato, sembra assolvere, con frequenza di gran lunga maggiore, la funzione di arma piuttosto che di strumento. Ben più significativa dell'introduzione della metallurgia del rame ai fini di una caratterizzazione dell'età eneolitica è la radicale trasformazione delle tecniche agricole da estensive a intensive. Essa è determinata da tre innovazioni: l'introduzione dell'aratro, documentato più che dal rinvenimento di esemplari databili a questo periodo da numerosissime tracce di campi fossili; l'introduzione del carro a quattro ruote; e l'allevamento di quadrupedi non più solo a scopi alimentari, ma anche per utilizzarli come animali da tiro. Varie sono le ricadute di questa trasformazione: in primo luogo, una consistente crescita demografica, che tra l'altro si rispecchia nelle dimensioni degli insediamenti, in molte parti dell'Europa; in secondo luogo, l'ampliarsi, grazie a estesi disboscamenti, delle zone poste a coltura in modo permanente; infine un primo processo di stabilizzazione dello stanziamento, che tuttavia non si rispecchia in una durata più lunga dei singoli insediamenti, bensì in una maggiore continuità di vita, anche plurisecolare, delle comunità umane quali si riflettono nei sepolcreti (si hanno cioè villaggi per lo più monofase, ma cimiteri plurifase). È probabilmente grazie a questa intensificazione della produzione e a questa stabilizzazione delle comunità che si afferma durante l'età eneolitica, in misura di gran lunga maggiore che in passato, la tendenza all'accantonamento di surplus di ricchezza, utilizzato per la fabbricazione e l'acquisizione attraverso i commerci di beni di prestigio, soprattutto in rame e oro, per l'edificazione di infrastrutture (l'età eneolitica conosce già qua e là imponenti cinte fortificate), di strutture funerarie (le sepolture megalitiche, già comparse durante il Neolitico, hanno ora il loro massimo sviluppo), di luoghi di culto monumentali (dagli henge della Gran Bretagna ai "templi" di Malta). Particolarmente significativo è lo sviluppo delle pratiche funerarie: molte facies eneolitiche si segnalano, oltre che per l'aspetto elaborato e l'accuratezza delle strutture tombali, per l'importanza e l'abbondanza dei corredi funebri, nei quali l'elemento guerriero appare per lo più dominante: anche questa costituisce una forma significativa di investimento di lavoro e di risorse per fini diversi da quelli della pura e semplice sussistenza. Questa particolare attenzione per il corredo funebre è un elemento fortemente caratterizzante che accomuna l'età eneolitica e quelle del Bronzo e del Ferro, non senza che tuttavia si riscontri una differenza molto significativa. Nell'età eneolitica, infatti, come in quelle successive, è possibile osservare considerevoli disparità tra un corredo funebre e l'altro, quanto a grado di complessità e di ricchezza, ma non è possibile individuare norme costanti, e in qualche modo standardizzate, che regolino la composizione dei corredi stessi, accomunando e contrapponendo tra loro gruppi di corredi corrispondenti a differenti tipi di figure sociali; è invece proprio questo fenomeno che si può constatare nelle etàdel Bronzo e del Ferro. Sembra ragionevole ritenere che la comparsa di figure sociali fisse, archeologicamente definibili, rispecchi un processo in atto di stabile differenziazione socioeconomica all'interno delle singole comunità (mentre per l'età eneolitica si è teorizzata una stabile differenziazione tra comunità e comunità). Il fatto che ciò avvenga già nell'ambito di società ancora preurbane e rurali costituisce il più significativo elemento di distinzione tra le civiltà europee e mediterranee e quelle vicinoorientali durante l'età protostorica. In altri termini, quella che in Oriente si può definire come una più o meno lunga fase di transizione evolutiva tra le cosiddette "comunità segmentarie" (in cui la popolazione è frazionata in villaggi sparpagliati sul territorio e che non conoscono, oltre alle strutture di parentela, altre forme di differenziazione sociale) e le società di classi, urbane e statuali, in Europa e nel Mediterraneo costituisce un processo ben più complesso, in alcune zone bimillenario, tutt'altro che unilineare. La stabilizzazione delle forme di differenziazione socioeconomica, che fin dagli inizi dell'età del Bronzo si coglie nell'emergere di un ceto di aristocrazia guerriera, che in molte parti dell'Europa si manifesta in forme a volte straordinariamente simili, contribuì verosimilmente a rafforzare la coesione sociale all'interno delle comunità, incoraggiando investimenti di risorse e di forza-lavoro volti alla realizzazione di infrastrutture ancora più poderose che in passato, e favorendo la tendenza al perpetuarsi e al crescere delle dimensioni degli insediamenti. Beninteso, durante le età del Bronzo e del Ferro l'Europa non conobbe mai, come si è più sopra accennato, una continuità di vita paragonabile a quella che si riscontra in Oriente, ma solo cicli regionali di stabilità insediativa, interrotti da cesure esse pure locali o anche alternati a fasi più o meno lunghe di instabilità; tuttavia la linea generale di tendenza rispetto alle età precedenti risulta innegabilmente quella di una progressiva crescita e sedentarizzazione. Si è accennato alle affinità spesso strette che durante l'età del Bronzo legano tra loro, attraverso la maggior parte dell'Europa, i diversi gruppi regionali dell'aristocrazia guerriera. Si tratta di veri e propri rapporti transculturali, che cioè oltrepassano assai spesso le barriere rappresentate dai confini tra le diverse culture locali. Tali rapporti si manifestano in modo particolarmente evidente attraverso la produzione metallurgica, più precisamente tramite un'estesissima circolazione di manufatti, di modelli e probabilmente anche di artefici. In questo senso, la grande forza propulsiva della metallurgia nell'ambito delle dinamiche socioculturali si pone come il principale elemento caratterizzante l'età del Bronzo europea e mediterranea, accentuando progressivamente l'efficacia della sua azione fino a raggiungere il suo culmine con la cosiddetta koinè metallurgica del Bronzo Recente (1350-1200 a.C. ca.), che vede gli stessi modelli di manufatti circolare dall'Atlantico al Mar Nero, dalla Scandinavia a Creta e a Cipro. Parallelamente, come si è già anticipato, la metallurgia del bronzo va progressivamente assumendo il ruolo di volano dell'economia produttiva e di scambio. Attrezzi agricoli, come la falce, e strumenti per la lavorazione del legno, come lo scalpello e la sega, e del metallo, come il martello, le pinze e la paletta da fonditore, costituiscono altrettanti indicatori dell'azione di stimolo esercitata dalla metallurgia sulle più diverse tecnologie produttive. Tipico dell'età del Bronzo europea è anche il fenomeno dei cosiddetti "ripostigli", depositi di oggetti in bronzo interi e frammentari, che rispecchia pratiche di tesaurizzazione, con caratteri anche premonetali e/o di culto, non facili da distinguere le une dalle altre e comunque da intendersi come una significativa forma di accantonamento di surplus. Poiché costituisce l'esito conclusivo di un processo che tende a frammentarsi localmente (l'avvento di società urbane e statuali, e con esso la fine della protostoria, si colloca in Grecia e nell'Italia centro-meridionale attorno al 700 a.C., in buona parte dell'Europa temperata in coincidenza con le conquiste romane, nell'Europa "barbarica" dall'età carolingia in poi), l'età del Ferro si presta con difficoltà ad una definizione complessiva. La tendenziale unità transculturale dell'età del Bronzo europea va in frantumi e questo nuovo trend centrifugo favorisce lo sviluppo delle grandi nazionalità, che rappresenta l'originale via europea verso il costituirsi di formazioni protostatali e più tardi statali. I processi di etnogenesi nell'età del Ferro europea, sebbene spesso tra loro lontani nel tempo e profondamente differenziati, presentano queste peculiarità comuni: il formarsi di unità politico-territoriali consolidate costituisce il punto di arrivo di tali processi, anziché quello di partenza, ed essi sembrano svilupparsi secondo una struttura "ad albero". Le grandi nazionalità si presentano come un insieme di piccole etnie locali, e queste a loro volta come aggregati, spesso almeno inizialmente instabili, di tribù, o meglio di entità cantonali; beninteso è solo a questo livello inferiore che si costituiranno unità territoriali stabili, mentre quello più alto non sorpasserà mai lo stadio della lega o dell'aggregazione federale a carattere fondamentalmente religioso. In tempi e luoghi diversi, ma non sempre e ovunque, questi processi vengono a intrecciarsi con quelli che portano alla formazione di centri protourbani, anche questo un fenomeno squisitamente europeo e mediterraneo. Si tratta di vastissimi insediamenti che presentano le caratteristiche topografiche, demografiche, economiche, politiche e militari peculiari dei centri urbani, non però i loro classici attributi urbanistici e monumentali, dunque verosimilmente neppure quelli giuridicoreligiosi. In un'ottica strettamente archeologica, i centri protourbani appaiono contraddistinti da indicatori (produzioni artigianali specializzate e standardizzate, in primo luogo la ceramica fabbricata al tornio e utensili in ferro anche assai specifici; mezzi di scambio premonetali e vere e proprie monete, anche coniate localmente) che denotano l'esistenza di autentiche forme di mercato. Non sembra dunque possibile dubitare che questi centri rappresentino la traduzione e l'adattamento alla struttura socio-economica di popolazioni "barbariche" del classico modello urbano mediterraneo ad esse ben noto.

Periodizzazione e facies archeologiche

Le quattro grandi età della tarda preistoria e della protostoria europea e mediterranea si articolano al proprio interno in svariate fasi e sottofasi e queste a loro volta in numerose "culture", ossia facies archeologiche, le quali, come si è anticipato, non possono qui trovare spazio se non in una forma estremamente semplificata e schematica, che non potrà che prescindere, se non in pochi casi particolarmente cruciali, dalle innumerevoli varianti terminologiche proprie di Paesi, correnti scientifiche e scuole diverse. Anche se negli ultimi decenni la tendenza verso l'adozione di una terminologia cronologica e culturale uniforme per la preistoria recente e per la protostoria di tutta l'Europa e del Mediterraneo si è fatta sempre più dominante, tale obiettivo resta tuttora ben lontano.

Neolitico - Nell'ambito dell'età neolitica possiamo distinguere: un Neolitico antico (7000-5500 a.C. ca.), un Neolitico medio (5500-4700 a.C. ca.), un Neolitico pieno (4700- 4200 a.C. ca.) e un Neolitico recente (4200-3500 a.C. ca.). Sono questi due ultimi periodi che interessano più particolarmente in questa sede.

Neolitico pieno - Mentre gran parte dell'Europa appare contraddistinta da facies che in diversa misura rappresentano la continuazione di quelle del periodo precedente (Dimini in Tessaglia, Karanovo in Bulgaria, Vinča in Serbia, Stichbandkeramik e Rössen nell'Europa centrale, Vasi a Bocca Quadrata nell'Italia settentrionale, Ertebølle in Danimarca), nel resto del continente, ossia da una parte nel bacino danubianocarpatico, dall'altra nel Mediterraneo centro-occidentale e lungo l'Atlantico, risultano più marcate le cesure rispetto a ciò che precede, più significative le innovazioni che già in qualche modo preludono all'Eneolitico e più fluida la continuità con i periodi successivi (Tripolje in Ucraina, Cucuteni e Gumelniţa in Romania, Lengyel e Tiszapolgár in Ungheria, Serra d'Alto nell'Italia meridionale, Almeria in Spagna, Chassey in Francia, Windmill Hill in Gran Bretagna).

Neolitico recente - In questo periodo cessa ovunque la continuità con la tradizione del Neolitico medio, mentre non dappertutto si perpetuano, pur estendendosi qua e là ulteriormente, i nuovi filoni affermatisi con il periodo precedente (Tripolje, Cucuteni, Karanovo nell'Europa sud-orientale, mentre in Ungheria Bodrogkeresztúr e in Slesia Jordansmühl si ricollegano a Tiszapolgár e a Lengyel; ancora Windmill Hill, Chassey e Almeria in Occidente. Emanazioni di quest'ultimo ambito verso est possono considerarsi Michelsberg nel bacino del Reno e Lagozza nell'Italia settentrionale, mentre nel Meridione Diana chiaramente rappresenta una prosecuzione di Serra d'Alto). Forti processi innovativi si innescano infatti nell'Egeo (Larissa e Rakhmani in Tessaglia) e in gran parte dell'Europa centro-settentrionale, con la straordinaria diffusione della facies dei Bicchieri Imbutiformi (Trichterbecher).

Eneolitico - Nell'ambito dell'età eneolitica è possibile distinguere i periodi iniziale (3500-3000 a.C. ca.), medio (3000- 2800 a.C. ca.), recente (2800-2500 a.C. ca.) e finale (2500- 2300 a.C. ca.).

Eneolitico iniziale - In molte regioni dell'Europa questo periodo non rappresenta che una continuazione del Neolitico recente: ciò vale sia per l'Egeo, sia per l'Occidente (ancora Windmill Hill, Almeria, Chassey e Michelsberg; anche in Italia, nella facies di Piano Conte e in quella sarda di Ozieri è evidente la continuità con Lagozza), sia per parte dell'Europa centrosettentrionale (Trichterbecher), sia per l'area a nord-ovest del Mar Nero (ancora Cucuteni e Tripolje). Fenomeni fortemente innovativi si hanno invece nel Mediterraneo centrale e nell'Europa centrale (San Cono-Piano Notaro e Conzo in Sicilia; Zebbuǵ con cui si inaugura, peraltro ancora senza costruzioni templari, la sequenza maltese; Baden, che abbraccia una vastissima area comprendente, oltre all'intero bacino danubianocarpatico, la zona balcanica nord-occidentale; Mondsee e Altheim nell'Austria Superiore e in Baviera; Horgen in Svizzera; Seine-Oise-Marne in Francia settentrionale e in Belgio).

Eneolitico medio - La svolta più significativa riguarda l'Europa occidentale e meridionale, con la comparsa delle facies di Peterborough (Gran Bretagna), Los Millares (Spagna), Fontbouisse (Francia meridionale), Remedello, Rinaldone e Gaudo (rispettivamente in Italia settentrionale, centrale e meridionale), Serraferlicchio (Sicilia); le ultime due facies hanno caratteri che denotano per la prima volta influssi egei piuttosto intensi e diretti, infine è presente la facies Mġarr, cui vanno riferiti i primi templi maltesi. Continua, con un'ulteriore espansione, la fioritura di Baden e prosegue lo sviluppo delle altre facies centro- europee formatesi nel periodo precedente.

Eneolitico recente - Caratterizzano questo periodo due fenomeni di grande importanza: l'unificazione della maggior parte dell'Europa orientale e centro-settentrionale nell'ambito della facies della Ceramica a Cordicella (Schnurkeramik) e il sorgere nell'Egeo del Minoico e del Cicladico Antico ( facies ascritte ormai all'età del Bronzo nella terminologia in uso per quell'area, alla quale si ispirano anche molte seriazioni balcanico- danubiane). Vanno inoltre ricordate per l'area balcanica nord-occidentale la facies di Vučedol, per il Mediterraneo centrale quella siciliano-eoliana di Malpasso-Piano Quartara e quella maltese di Ġgantija.

Eneolitico finale - Con la diffusione della facies del Bicchiere Campaniforme un nuovo e ben più esteso processo di osmosi culturale viene ad abbracciare i due terzi dell'Europa e del Mediterraneo. Ne restano fuori Malta (Tarxien), l'Egeo con la Grecia continentale (la facies dell'Elladico Antico I), l'area del basso corso del Danubio (Glina III), la Scandinavia, le grandi pianure della Polonia e della Russia.

Età del Bronzo - Nell'ambito dell'età del Bronzo è possibile distinguere i periodi antico (2300-1700 a.C. ca.), medio (1700-1350 a.C. ca.), recente (1350-1200 a.C. ca.) e finale (1200-725 a.C. ca.; secondo la terminologia italiana l'età del Bronzo cessa invece già intorno al 1000 a.C., secondo la cronologia egea, che non pochi studiosi estendono a molte regioni dell'area balcanico-danubiana, intorno al 1100 a.C.).

Antica età del Bronzo - Nell'Egeo si assiste alla piena fioritura del Minoico, del Cicladico e dell'Elladico Antico (fasi II e III) e successivamente, in parte, Medio. Poco dopo l'inizio del Minoico Medio (fase MM IB), attorno al 2000 a.C., si colloca l'edificazione a Creta dei Primi Palazzi, e, poco prima del suo termine (fase MM III), verso il 1700 a.C., quella dei Secondi Palazzi. Sebbene nella Grecia continentale non avvenga nulla di paragonabile a questo, va notato che il passaggio all'Elladico Medio (che la terminologia egea fa rientrare, come il Minoico Medio, già nel Bronzo Medio) è preceduto da una forte espansione demografica durante l'Elladico Antico III e risulta contraddistinto da una massiccia produzione di ceramica tornita. Nell'area del basso corso del Danubio abbiamo in un primo momento la fase terminale di Glina III, alla quale segue Monteoru; nel bacino del medio corso del Danubio e dei Carpazi è documentata una miriade di facies e di gruppi locali: dapprima Nagyrev, Periam, Kisapostag (il cui sito eponimo è una vasta necropoli a incinerazione, con la quale si inaugura nell'Europa danubiana una lunga tradizione che prelude al fenomeno dei Campi d'Urne di alcuni secoli dopo), ai quali poi succedono Wietenberg, Vattina, Otomani; ai margini di esso, verso nord, Nitra, poi Mad'arove e il gruppo "pannonico" (Slovacchia), e verso ovest (Austria Inferiore) Unterwölbling, Wieselburg, eccetera. Si sviluppa intanto la paradigmatica facies di Aunjetitz (Únětice), che si diffonde in una vasta area centro-orientale (Boemia, Moravia, Slesia; Sassonia e Turingia con il gruppo di Leubingen), dalla quale sembra esercitare una forte influenza verso meridione, nelle zone sopra ricordate, verso ovest (gruppi di Straubing, Adlerberg e Singen nella Germania meridionale; del Rodano in Svizzera e nella Francia meridionale), verso sud-ovest (facies padana di Polada e gruppi minori in Italia centrale) e verso nord (I periodo Nordico nella Germania settentrionale e in Scandinavia). In Italia meridionale si riconosce, oltre a vari gruppi minori, la facies di Laterza, in Sicilia quella di Castelluccio 1, nell'arcipelago eoliano quella di Capo Graziano 1, contraddistinta da evidenti rapporti egeo-balcanici, in quello maltese l'aspetto affine di Tarxien-necropoli (cosiddetto dal sepolcreto a incinerazione che si impianta sulle rovine del celebre tempio megalitico), in Sardegna Bonnanaro, nelle regioni atlantiche le fiorenti facies di El Argar (Spagna), armoricana (Nord-Est della Francia) e del Wessex (Gran Bretagna).

Media età del Bronzo - Il suo inizio è segnato dall'edificazione a Creta dei nuovi palazzi, la cui durata abbraccia le fasi Minoico Medio III e Minoico Tardo I (riferito ormai al Bronzo Tardo nella terminologia egea) e II e la cui distruzione segna la "miceneizzazione" dell'isola (fase TM IIIA); parallelamente sono pertinenti a questo periodo sul continente greco le fasi Elladico Medio IIIB, alla quale appartengono le principesche sepolture del circolo B di Micene, Elladico Tardo (TE, sinonimo di Miceneo), I, cui appartiene il circolo A, II e infine il TE IIIA, che vede l'edificazione dei palazzi nei diversi centri micenei e con ciò il crearsi di un incolmabile dislivello socio-politico rispetto al resto dell'Europa. Qui, mentre nell'area danubiano-balcanica si perpetua la frammentazione in gruppi locali (Cîrna, Dubovac, Tàpé, Piliny, Tumuli Carpatici), nel centro del continente (Boemia, Moravia, Austria, Germania meridionale, Svizzera, Alsazia) si espande la facies dei Tumuli (Hügelgräber). In Italia si sviluppano le terramare e le palafitte padane e, più a meridione, dapprima la facies protoappenninica, poi quella appenninica. In Sicilia e nelle Isole Eolie alle facies di Castelluccio 2 e Capo Graziano 2 fa seguito quella di Thapsos, mentre in Sardegna si assiste al primo sorgere della civiltà nuragica. In Gran Bretagna alla facies del Wessex, che sembra essere perdurata ancora per qualche tempo oltre gli inizi del Bronzo Medio, subentrano dapprima quella di Arreton Down, poi quella di Deverel Rimbury, alla quale sono da riferirsi i più antichi sistemi di recinzioni agrarie (i celebri celtic fields), mentre nella cerchia dell'Europa settentrionale si sviluppa il II periodo Nordico. Età del Bronzo Recente - Corrisponde al momento di massima diffusione della civiltà micenea e delle sue influenze (fasi TE IIIB e IIIC iniziale), fino alla distruzione dei palazzi e al sorgere, nella zona a nord delle Alpi (Boemia, Austria, Germania meridionale, Svizzera, Francia centro-orientale), della civiltà dei Campi d'Urne nelle sue fasi iniziali, che nel gergo archeologico mitteleuropeo vengono chiamate età del Bronzo D ed età di Hallstatt, fase A1 (quest'ultima peraltro si colloca a cavallo tra Bronzo Recente e Finale), assieme all'affine e parallela facies di Lausitz (diffusa in Moravia, Sassonia e Slesia). Molto legata ai Campi d'Urne risulta anche la facies padana occidentale di Canegrate, mentre più a est sono in piena fioritura le terramare e le palafitte e nell'Italia centro-meridionale è in forte espansione la facies subappenninica. Mantiene invece la sua tradizionale configurazione a mosaico l'area danubiano- balcanica (facies e gruppi di Uriu, Suciu de sus, Noua, Belegis, Csorva, Velatice 1, Caka). In Sardegna, con la facies di Antigori, la civiltà nuragica raggiunge il suo culmine. Sintomatiche di questo momento di straordinaria osmosi culturale, specialmente nella sfera metallurgica, sono le strette connessioni tra il III periodo Nordico e le più diverse regioni europee, in particolare l'Italia e l'area danubiana.

Età del Bronzo Finale - Per comodità di esposizione conviene trattare distintamente le fasi più antiche e quelle più avanzate in cui si articola questo lunghissimo periodo. Le fasi più antiche (1200-1000 a.C. ca.) comprendono per l'Egeo il TE IIIC avanzato e il Submiceneo, ai quali segue il Protogeometrico, che la terminologia egea assegna peraltro ormai all'età del Ferro; per l'area balcanico-danubiana le facies di Kisapàti-Suseni, Vàl (Ungheria occidentale), Gavà (Ungheria settentrionale), Chotìn (Slovacchia), Velatice 2 (Moravia), Milavče-Knovice (Boemia); per l'Europa centrale il proseguimento dei Campi d'Urne e di Lausitz (fasi Hallstatt A1 in parte, A2, B1); per l'Italia il cosiddetto Protovillanoviano, diffuso dalla cerchia alpina alle coste settentrionali della Sicilia; per quest'ultima la facies di Pantalica Nord, alla quale segue quella di Cassibile 1; per la Francia meridionale e la Spagna settentrionale la facies dei Campi d'Urne di Linguadoca e di Catalogna (fasi più antiche); per l'Europa settentrionale il IV periodo Nordico. Le fasi più avanzate (1000-725 a.C. ca.) corrispondono alle seguenti periodizzazioni: Geometrico greco; fasi Hallstatt B2 e B3 dei Campi d'Urne e di Lausitz; primo Ferro 1 e 2 in Italia, comprendente le facies di Este I e II e di Golasecca IA e B, quella cosiddetta "villanoviana" (denominazione appropriata solo per il Bolognese e la Romagna; per le aree più a sud è più corretta quella di facies medio-tirrenica), quella, utilizzando un termine altrettanto convenzionale, delle "tombe a fossa" meridionali; fase di Pantalica Sud in Sicilia; seguito dei Campi d'Urne di Linguadoca e Catalogna; V periodo Nordico.

Età del Ferro - È possibile distinguere una prima (725- 475 a.C. ca.) e una seconda età del Ferro (dal 475 a.C. ca. ai decenni a cavallo dell'inizio dell'era volgare, durante i quali hanno luogo le più consistenti conquiste romane).

Prima età del Ferro - Parallelamente ai periodi orientalizzante e arcaico in Grecia e nell'Italia centro-meridionale si svolge in Europa centrale, su di una vastissima estensione di territorio, la civiltà di Hallstatt. Geograficamente, questa si articola in una cerchia orientale, comprendente Ungheria occidentale, Croazia, Austria Inferiore, Boemia, Moravia, in un'area alpina sud-orientale, che include in Slovenia la Carniola Inferiore e in Austria la Stiria e la Carinzia, in un'area alpina nord-orientale, localizzata in Austria Superiore e in cui è ubicata la necropoli eponima, e in una cerchia occidentale, che interessa la Baviera, il Baden-Württemberg, l'Assia, la Svizzera e la Francia centroorientale. Dal punto di vista cronologico, l'età del Ferro si articola nelle due grandi fasi di Hallstatt C (725-625 a.C. ca.) e di Hallstatt D (625-475 a.C. ca.), ciascuna divisa nelle sottofasi 1 e 2; la singolare discrasia terminologica, che assegna all'età dei Campi d'Urne le fasi Hallstatt A e B e fa invece paradossalmente incominciare l'età di Hallstatt propriamente detta con la fase C, risale al gergo archeologico mitteleuropeo ottocentesco, quando non era ancora stato elaborato il concetto di Campi d'Urne. Questa fondamentale ripartizione cronologica funge da schema di riferimento anche per molte zone circostanti, a rigore esterne all'area di diffusione della civiltà di Hallstatt. Per quella danubiano-balcanica si ricordano le facies e i gruppi di Glasinac (Bosnia meridionale), Donja Dolina (Bosnia settentrionale), Basarabi coeva di Hallstatt C (Romania, Serbia;), ai quali fanno seguito la facies di Ferigile e quella detta "della Ceramica Scanalata" il cosiddetto "orizzonte prescitico" (Ungheria orientale), al quale poi subentra il gruppo di Szentes-Vekerzug (coevo di Hallstatt D2 e attribuito ad una popolazione mista traco-scitica, in cui sono forse da riconoscere i Siginni allevatori di tarpani ricordati da Erodoto), i gruppi liburnico (Dalmazia centrale), japodico (Carnaro) e istriano. Per l'area dell'Europa centro-orientale, in cui durante il Bronzo Finale era diffusa la facies di Lausitz, si ricorda quella di Billendorf (Bialowice) che ne perpetua la tradizione; in Ucraina l'orizzonte cimmerio, seguito da quello protoscitico (anch'esso coevo di Hallstatt D2). In Italia settentrionale sono da considerare parallele a Hallstatt C le facies di Golasecca IC, Este IIIA e B1, Bologna 3A e B1, a Hallstatt D quelle di Golasecca 2A e B, Este IIIB2 e C, Bologna 3B2 e C. Nelle attuali Francia meridionale e Spagna settentrionale si prolungano ulteriormente i Campi d'Urne di Linguadoca e Catalogna; nella Francia settentrionale troviamo la facies di Les Jogasses, in Gran Bretagna quella di All-Cannings-Cross, in Scandinavia il VI periodo Nordico (ma già prima che si concluda la fase Hallstatt D ha qui inizio l'età del Ferro preromana), alla periferia meridionale della cerchia nordica (Germania e Polonia settentrionali) le facies delle Urne a Volto Umano e delle Urne a Capanna. Seconda età del Ferro - Fin dall'inizio di questo periodo entrano in qualche modo a far parte del mondo classico, e restano pertanto estranee al contesto dell'Europa protostorica, la Tracia (in buona parte equivalente all'attuale Bulgaria), in seguito alla conquista persiana prima e alla fondazione del regno degli Odrisi poi, e l'Italia settentrionale, in seguito all'espansione etrusca; successivamente, nel corso di questo periodo, in tempi e modi diversi, anche l'Illirico, la Penisola Iberica e la Gallia meridionale confluiscono in ambito classico. Come e più della prima età del Ferro, improntata da quella di Hallstatt, la seconda età del Ferro europea risulta improntata dalla civiltà di La Tène, che si estende su Boemia, Moravia, Polonia sud-occidentale, Ungheria occidentale, Slovenia, Croazia, Serbia, Austria, Germania meridionale e renana, Svizzera, Francia centro-settentrionale, Isole Britanniche e si articola nelle fasi A (475-375 a.C. ca.), B (375-275 a.C. ca.), C (275-125 a.C. ca.), D (dal 125 a.C. ca. in poi). Restano più o meno estranee a questo ambito la facies di Glasinac V (Bosnia meridionale), il gruppo japodico, fasi 5-7 (Carnaro), le facies scitiche (poi in parte sarmatiche) dell'Europa orientale (Polonia orientale, Slovacchia, Ungheria orientale, Romania, Ucraina, Russia), la facies celto-ligure della Gallia meridionale e, nella Penisola Iberica, quelle pirenaica, della Meseta e iberica. Nella Scandinavia si sviluppa l'età del Ferro preromana, mentre più a meridione, nella Germania settentrionale, in una zona a tradizione culturale mista, si susseguono le facies di Jastorf (coeva di La Tène A e B), Ripdorf (La Tène C) e Seedorf (La Tène D); in Germania orientale e Polonia occidentale perdura la facies di tradizione lusaziana di Billendorf.

Evidenze archeologiche e processi storici

Al di là delle definizioni concettuali, per loro natura astratte e opinabili, formulate inizialmente, si ritiene utile seguire anche un livello di lettura almeno apparentemente più immediato: quello che, prendendo lo spunto dagli aspetti più diffusi e consistenti della documentazione archeologica, tenta di servirsene allo scopo di individuare nell'ambito dei processi evolutivi i fenomeni di maggiore durata e significato, certo con la piena consapevolezza dei rischi di ogni generalizzazione, tanto più se operata, come nel caso presente, su scala addirittura continentale e su un periodo di migliaia di anni. Prendiamo ad esempio la produzione che fornisce la massa di gran lunga più frequente e abbondante di reperti, quella del vasellame ceramico. Il fatto che nel periodo che va dal pieno Neolitico all'età del Bronzo si assista, considerando il fenomeno complessivamente e nelle grandi linee, ad un progressivo scadimento qualitativo, sia tecnico sia estetico, di tale produzione, in una misura che quasi indica una correlazione inversa rispetto allo sviluppo e all'incremento della metallurgia, suggerisce profondi mutamenti nell'evoluzione della mentalità, come pure nelle forme di organizzazione sociale del lavoro nell'ambito delle comunità. Livelli qualitativi e tecnici paragonabili a quelli rilevabili presso numerose facies del Neolitico pieno non compariranno nuovamente se non proprio con l'età del Bronzo, ma solo in ambiti particolarmente evoluti nei loro aspetti socioculturali, come quello egeo, e associati con l'introduzione di tecnologie, come il tornio da vasaio, rivolte verso forme più standardizzate di manifattura, paragonabili a quelle che vanno sempre più prendendo piede nella sfera metallurgica. Sembrerebbe dunque che nel corso di quei millenni si siano andate via via affermando forme sempre più rigorose di razionalizzazione di certe attività economiche, anche domestiche, e siano andati riducendosi gli spazi disponibili per scelte più spontanee e disinteressate. Un altro caso sintomatico è quello delle sepolture collettive, sia ipogeiche sia megalitiche, che incominciano a diffondersi soprattutto nelle regioni mediterranee, atlantiche e nordiche dell'Europa proprio a partire dal pieno Neolitico. È importante rilevare che le due forme, quella ipogeica e quella edificata al di sopra del suolo, ma di norma coperta e racchiusa in un tumulo, spesso molto imponente, si possono considerare come espressione di una stessa concezione funeraria. Sebbene le dimensioni di queste strutture siano le più varie (non sono affatto rare tombe racchiudenti uno spazio esiguo, adatto alla deposizione di un piccolo numero di individui, per il quale non è impossibile pensare a famiglie cellulari), si è naturalmente indotti ad attribuire particolare importanza e significato alle costruzioni più imponenti e con un elevato numero di seppellimenti e a ritenere che esse fossero destinate a ospitare i defunti di un segmento di lignaggio o di un'intera comunità di villaggio. In molti casi, anzi, la stima dell'enorme investimento di lavoro necessario per la loro realizzazione ha addirittura fatto ipotizzare che esse potessero essere il risultato della cooperazione di più comunità associatesi nell'impresa. Questa impressione di un tessuto socio-politico diffuso sul territorio in modo molto più esteso, continuo e fitto di quanto non sia altrimenti possibile cogliere archeologicamente, viene poi ad essere ancora più rafforzata dai grandi santuari megalitici di età eneolitica (henge britannici, templi maltesi). Si è già parlato per l'età eneolitica di una tendenza alla stabilizzazione e alla crescita demografica delle comunità, rispecchiata quest'ultima nell'aumentata dimensione dei siti. Occorre ora precisare che ciò è vero per la maggior parte dell'Europa, dove gli insediamenti del Neolitico antico e medio consistono solitamente in fattorie, singole o in piccoli gruppi; non per i Balcani e certe regioni mediterranee, come l'Italia meridionale. Qui, al contrario, ci si trova molto presto di fronte ad abitati fortemente strutturati, recintati e con planimetrie complesse e di dimensioni anche molto considerevoli, che fanno pensare a grosse aggregazioni demografiche; è semmai in seguito, dal pieno Neolitico in poi, sino all'Eneolitico, che sembra di assistere a un progressivo assottigliarsi della consistenza delle singole comunità. In altre parole, non sembra possibile proporre per questi periodi quella lettura relativamente uniforme e unilineare dei processi socioeconomici e socioculturali in Europa e nel Mediterraneo che pare invece consentita per le epoche successive. Nel corso dell'età eneolitica prende però piede anche un altro filone di costumanze funerarie, rappresentato da sepolcreti, non di rado piuttosto estesi, di tombe individuali a inumazione rannicchiata, contraddistinte per lo più da regole fisse di orientamento, peraltro diverse per i due sessi e variabili da una popolazione all'altra, e di norma accompagnate da corredi, nei quali spicca sovente la presenza di armi: per la prima volta si manifesta nel rituale funebre in misura massiccia la figura sociale del guerriero. Questo fenomeno, assieme alla già ricordata comparsa di vere e proprie cinte fortificate, sembrerebbe effettivamente indicativo di un accentuarsi e diffondersi di forme violente di competizione fra una comunità e l'altra, certo soprattutto per il controllo di aree agricole e di pascoli. Sviluppatasi dapprima nelle più interne regioni centro-orientali del continente, quelle rimaste estranee a megalitismo e ipogeismo, questa tradizione funeraria si diffonde progressivamente quasi ovunque, sostituendo via via quella dei seppellimenti collettivi. Su questa tradizione all'inizio dell'età del Bronzo si innesta il fenomeno, al quale si è già accennato, dell'emergere per la prima volta nel rituale funebre, in più parti dell'Europa, di un'aristocrazia guerriera come ceto stabilmente differenziato in termini socioeconomici. Sintomatica appare in questo senso, accanto al carattere spesso monumentale della struttura tombale, la composizione del corredo funebre secondo regole fisse, standardizzate, che includono la presenza di un'ampia panoplia di armi accanto a prestigiosi oggetti di ornamento, che spesso corrispondono a quelli altrimenti normalmente presenti nelle sepolture femminili, non di rado in oro o altri materiali pregiati. Parallelamente, tende adesso a generalizzarsi il modello dell'insediamento permanente su altura fortificata, sede di regola di stabili officine metallurgiche; per inciso, conviene ricordare come proprio ora si manifesti per la prima volta in forma diffusa il fenomeno dei cosiddetti "ripostigli" di oggetti in bronzo, sia che essi documentino forme di tesaurizzazione, sia che si tratti di offerte rituali (le cd. "deposizioni cultuali"). Poco più tardi, verso la fine del Bronzo Antico, incomincia ad affacciarsi, soprattutto in una zona circoscritta dell'area danubiano-balcanica (tra i siti meglio documentati sono da ricordare quelli di Barca in Slovacchia e di Feudvar in Serbia), ma anche in altri luoghi, un più specifico modello insediativo. In esso, l'interno dell'area naturalmente delimitata (sia che si tratti di un'altura, sia di uno stanziamento lacustre a carattere insulare) e cinta da fortificazioni risulta gremito di abitazioni, disposte in modo ordinato e regolare secondo una planimetria ortogonale pianificata in modo rigorosamente uniforme, che almeno apparentemente suggerisce un'organizzazione sociale formalmente egualitaria. Sebbene i tre fenomeni non risultino puntualmente concomitanti tra loro, può essere interessante rilevare come, proprio in questa zona e in questo periodo, si registrino da una parte grandi sepolcreti a incinerazione, anch'essi contraddistinti da apparente relativa uniformità del rito e dei corredi che anticipano i caratteri dei Campi d'Urne di qualche secolo dopo, dall'altra la particolare concentrazione locale di uno specifico gruppo di ripostigli. In Europa centrale, durante la successiva età del Bronzo Medio, tutto questo insieme di caratteri sembra essere scomparso senza lasciare traccia. Nei sepolcreti sotto tumulo di questo periodo, ai quali fa riferimento lo stesso nome della facies più importante e diffusa, tornano ad essere determinanti segni di differenziazione sociale la monumentalità delle strutture tombali e l'importanza dei corredi funebri, mentre, per quanto riguarda lo stanziamento, sembrano perdere importanza gli abitati permanenti su altura fortificata, sostituiti da forme più disperse e instabili di insediamento, e si fa più sporadica la deposizione di ripostigli di bronzi. Si è addirittura pensato a una correlazione inversa della rispettiva frequenza e ricchezza di ripostigli e corredi funebri, spiegata supponendo che le risorse non più investite in offerte alla divinità siano state invece destinate al culto dei morti. A sud delle Alpi invece, soprattutto nelle palafitte e nelle terramare della Valle Padana, il modello dell'abitato fortificato (peraltro per lo più non su altura), a tessuto insediativo fitto e planimetria ortogonale, ricompare e si perpetua, si moltiplica, si perfeziona; parallelamente si generalizza il costume dell'incinerazione entro urne, in sepolcreti di tombe prive di strutture protettive individuali, con corredi modesti e uniformi. Questo, che potrebbe sembrare un fenomeno di accantonamento marginale, costituisce in realtà la premessa di quella che può essere definita come una vera e propria esplosione, che investe, per contraddistinguerla in modo indelebile, la maggior parte dell'Europa durante il Bronzo Recente e Finale, la cosiddetta "età dei Campi d'Urne"; un termine quanto mai idoneo ad essere preso come esponente di tale processo. La grandiosità del fenomeno è tale che non a caso per molto tempo gli studiosi non furono in grado di spiegarlo, se non immaginandolo come un'antichissima "età delle migrazioni". Per secoli e secoli, su di un territorio immenso, permane, mantenendo sostanzialmente costanti le sue caratteristiche di fondo, il rito funebre della cremazione in sepolcreti, anche vastissimi, contraddistinti da una notevolissima uniformità. Il mondo dei Campi d'Urne conosce, beninteso, anche corredi tombali assai complessi e sepolture straordinariamente emergenti rispetto alle altre: ma è proprio questo carattere di eccezionalità a far meglio risaltare, per contrasto, ciò che costituisce la norma. Quasi altrettanto impressionante è il generalizzarsi, nell'ambito di una grande stabilità dello stanziamento e nelle forme insediative più varie, del tipo del grande abitato a scacchiera, con una tessitura planimetrica all'interno della quale l'abitazione del "capo", seppure risulta individuabile, appare piuttosto come quella di un primus inter pares. Esponenziale rispetto ai secoli precedenti risulta poi la crescita del fenomeno dei ripostigli di bronzi: per il numero e la densità geografica dei depositi, per la quantità di pezzi in essi accumulati, per la varietà della gamma di categorie di oggetti che vi sono rappresentati, per il loro differenziarsi nella composizione, nella quale tali categorie si associano tra loro a formare le più diverse combinazioni. In primo luogo, ovviamente, tale fenomeno rispecchia la grandiosa realtà dello sviluppo della metallurgia in Europa durante la tarda età del Bronzo: come si è detto, solo ora essa assume il ruolo di volano dell'economia produttiva considerata nel suo insieme. È del resto senz'altro molto significativa la concomitanza tra l'avvio di tale processo di sviluppo e il manifestarsi di quella koinè metallurgica che, come si è anticipato, interessa gran parte dell'Europa durante il Bronzo Recente: si tratta certo della manifestazione tangibile di una più complessa circolazione di manufatti, di persone, di informazioni e di idee che può aver contribuito a veicolare e a diffondere anche determinate concezioni socioculturali, religiose, ecc., che si intuiscono dietro quei peculiari assetti di abitati e sepolcreti. Gli ulteriori sviluppi si differenziano per tempi, modi e luoghi: in Italia, e in qualche misura anche in altre regioni dei Balcani e del Mediterraneo, il tipo di formazione economicosociale che abbiamo visto prendere piena forma nei Campi d'Urne centro-europei era comparso molto più precocemente, almeno fin dagli inizi del Bronzo Medio, e molto più precocemente si dissolve, certo messo in crisi dalle intense influenze micenee nel Sud della penisola e in Sicilia. In effetti, queste influenze hanno stimolato, beninteso interagendo con le già notevoli potenzialità locali, profondi mutamenti socioculturali e socioeconomici (non solo importazione, ma anche fabbricazione sul posto di ceramiche, che seguono tanto strettamente modelli egei e le relative tecnologie, a cominciare dall'uso del tornio, da doversi attribuire ad artefici venuti dal Mediterraneo orientale; imponenti rocche con magioni e sepolture principesche, forme sia pure embrionali d'immagazzinamento di derrate alimentari), che si sono poi almeno in parte diffusi anche in Italia centrale. Tutto ciò ha quindi dato l'avvio a un nuovo processo di marcata differenziazione socioeconomica, con la formazione di aristocrazie gentilizie locali, particolarmente evidente nei sepolcreti dell'area mediotirrenica, nei quali il rito dell'incinerazione risulta praticato in forme singolarmente elaborate che si manifestano soprattutto attraverso la complessità dei corredi funebri. Nonostante questo articolato ciclo evolutivo sia stato qua e là contraddistinto dall'emergere di singoli caratteri protourbani, un organico modello socioeconomico protourbano, del quale si è più sopra tentato di dare una sintetica definizione, si afferma nell'Italia centro-meridionale solo a partire dal 1000 a.C. (alquanto più tardi in Italia settentrionale). La forma più tipica appare quella in cui esso si realizza, evidentemente sulla base di un preciso disegno sociopolitico consapevolmente perseguito da determinati gruppi, nell'Etruria meridionale: qui l'impianto dei grandi centri protourbani e delle future città etrusche di Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci su vasti altipiani di oltre 100 ha ben difesi dalla natura coincide con l'abbandono simultaneo di decine e decine di rocche, anch'esse su pianori, ma di non più di 5 ha. Nei sepolcreti cosiddetti "villanoviani" di questi grandi centri, le cui planimetrie appaiono articolate per famiglie cellulari, non è più possibile riconoscere alcuna traccia dei gruppi gentilizi fioriti durante le fasi precedenti. L'impressione è di nuovo quella di un rituale austero e uniforme, espressione di una comunità a tendenza almeno formalmente egualitaria. Questa condizione di cose non durerà a lungo: ben presto si assiste all'innescarsi e al manifestarsi via via nella composizione dei corredi tombali di un nuovo processo di progressiva differenziazione socioeconomica, che al suo culmine, con la fase detta dell'Orientalizzante antico, raggiungerà forme estreme di concentrazione in poche mani della ricchezza, mai prima toccate nel corso della protostoria dell'Europa: si è infatti ormai al di fuori di essa, nel contesto di una società di classi, pienamente urbana e statuale. È comunque di fondamentale importanza tenere presente che, poiché la formazione dei primi centri protourbani in Etruria ha preceduto di almeno due secoli gli inizi della colonizzazione greca in Italia meridionale, questa non può avere influito se non sulle ultime fasi del processo descritto. Nell'Europa centrale, e in forme meno tipiche in altre regioni del continente, il percorso storico appare in qualche misura analogo, ma notevolmente differito nel tempo, poiché in termini cronologici coincide con l'età del Ferro. La tradizione dei Campi d'Urne cessa del tutto, tranne che nell'area centro- orientale, dove durante la tarda età del Bronzo era fiorita la facies di Lausitz e dove perdurano sia il modello dell'insediamento a planimetria ortogonale rigorosamente serrata (ad es., Biskupin in Polonia è l'espressione più estrema), sia quello funerario del "campo d'urne". S'interrompe in primo luogo la plurisecolare continuità dello stanziamento, che diviene nuovamente sparso e instabile: con la fase Hallstatt C scompaiono i grossi, popolosi centri con pianta a scacchiera, sostituiti in alcune regioni da abitati minori su altura che ospitano le sedi di rustici signorotti locali, autentiche fattorie fortificate; solo con Hallstatt D, e più tardi con La Tène A e B, si riformeranno, attorno alle nuove "rocche principesche", aggregati più consistenti. Nella civiltà di Hallstatt e agli inizi di quella di La Tène la forma di gran lunga più comune di sepoltura è di nuovo quella dei tumuli, sparsi a gruppi sul territorio, delle dimensioni più diverse, a volte decisamente monumentali. Solitamente essi ospitano una deposizione centrale e altre attorno a essa, in numero assai variabile, tanto da giustificare ipotesi interpretative molto differenziate: da quella, di gran lunga più frequente, che contempla una sola generazione di una famiglia cellulare, a quella che fa riferimento ad un gruppo gentilizio con il proprio seguito di clientes. In molti casi la deposizione centrale, anziché in una semplice fossa come le altre, era racchiusa entro una camera funeraria lignea, che non di rado conteneva tra l'altro un carro (a quattro ruote nell'età hallstattiana, poi a due ruote). Nei corredi di queste tombe, che evidentemente sono da riferire alle élites dominanti, più particolarmente quelle cosiddette "principesche", che dalla fase Hallstatt D in poi fanno la loro comparsa attorno alle rocche di cui s'è detto, sono frequenti oggetti di pregio e di prestigio, relativi soprattutto al banchetto, importati dai paesi mediterranei. Nell'insieme, si può ritenere che il rituale funerario tardohallstattiano e del La Tène iniziale si sia largamente ispirato a modelli etruschi, con tutte le implicazioni ideologiche e sociopolitiche che ciò doveva comportare. Sembra dunque riprodursi una situazione storica del tutto simile a quella rilevata per l'Italia meridionale durante il periodo dei traffici micenei. Ancora una volta, inoltre, si evidenzia una correlazione inversa tra la ricchezza dei corredi funebri e quella dei ripostigli, che anzi con l'età di Hallstatt sembrano scomparire praticamente del tutto. Analogamente a quanto era accaduto verso il 1000 a.C. nell'Italia centro-meridionale, questo processo di accumulazione, e di progressivo accentuarsi dei fattori di articolazione e differenziazione interna, avrà nell'Europa centro- occidentale del III, II e I sec. a.C. il suo esito nella nascita dei centri protourbani, rappresentati qui dai cosiddetti oppida, aggregati estesi per decine e decine di ettari.

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