DAL PONTE, Francesco, il Giovane, detto Bassano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DAL PONTE, Francesco, il Giovane, detto Bassano

Livia Alberton Vinco Da Sesso

Secondo figlio di Iacopo e di Elisabetta Merzari, nacque a Bassano (prov. di Vicenza) il 7 genn. 1549 e fu battezzato il 13 dello stesso mese, come annota con tutti i particolari il padre nel secondo Libro dei conti (Muraro, 1982-83, pp. 101 s.). Gli fu imposto il nome di Francesco Giambattista, che rinnovava quello dei primo figlio di Iacopo, Francesco Alessandro, nato il 15 genn. 1547 e morto nel marzo dello stesso anno (ibid., p. 101).

L. Marucini nel 1577 scrive che Iacopo ha un "figlio ammaestrato da lui che non solamente è imitatore diligentissimo dei Padre, ma tende a strada di non, solo agguagliarlo, ma superarlo, se Dio li presta vita". "Il più valoroso dei figli di Iacopo" lo definisce nel 1648 (p. 393) il Ridolfi, che può dare più ponderato giudizio restrospettivo, e aggiunge: "fu allevato con ottime istituzioni dal Padre, e negli anni ancor giovanili gli fu di sollievo di molte fatiche". Anche a noi il D. appare il più dotato dei fratelli, tutti pittori: il suo talento era riconosciuto dallo stesso Iacopo, che nel testamento giudica lui e Leandro "pratichi et pronti nelle inventioni" e la loro "arte bona e perfetta" (Alberton Vinco da Sesso-Signori. 1979, pp. 163 s.) rispetto a quella di Giambattista e Gerolamo.

Tra il 1560 e il 1570, il periodo nel quale il D. viveva la sua adolescenza, Iacopo raggiungeva una straordinaria padronanza formale e dava vita alle inconfondibili gamme fredde: dunque è in un clima già postmanieristico che il D. si formò presso quella singolare scuola-bottega che funzionava da quando Francesco il Vecchio le aveva dato inizio nei primi decenni dei secolo, come risulta dal citato Libro dei conti dei Bassano, il secondo di una serie di quattro e unico superstite (Muraro, 1982-83). Precocemente, come era consueto in quei tempi, il D. dovette applicarsi all'esercizio della pittura: il Verci (17753 p. 154) ce lo rappresenta occupato a dipingere "varj componimenti ideati sul gusto del Padre, e spezialmente di cose rurali e domestiche". Questi inizi, prima del 1570. sono documentati da qualche esempio come quella rara scena "di genere", firmata dal D., un Miracolo delle quaglie, individuata dall'Arslan (1960, p. 184) ed ora in coll. privata a Verona, nella quale i riconoscibili interventi di lacopo riportano al periodo 1565-1570.

Per un decennio (1569-1578/79) il D. lavora col padre, ma il primo dipinto in cui tale collaborazione è attestata e perciò l'arte del figlio ufficialmente riconosciuta, a pari dignità, da Iacopo, è la Predica di s. Paolo (Marostica, chiesa di S. Antonio), sottoscritta dai due nomi e datata 1574: si nota che in essa i due modi di dipingere si assimilano ma non tanto da confondersi, perché il D. nelle parti da lui dipinte "materializza la levità indefinibile della pennellata paterna" (Arslan, 1960, p. 185). Tra i quadri di tema biblico-pastorale recanti le due firme si ricordano la Partenza di Abramo per Canaan (Berlino Ovest, Staatl. Museen; Bassano, coll. privata), il Cristo in casa di Marta e Maria (già a Greenville, Bob Jones University Art Gallery, ora a.Houston, Blaffer Foundation), il Ritorno del figliol prodigo (Roma, Galleria Doria Pamphili), dove le scene sono improntate dal padre ma descritte con il fare corsivo proprio del figlio.

Nella vastissima produzione collettiva della bottega bassanesca, che intorno al 1575 conobbe il massimo fervore ed assunse proporzioni tali da richiedere un'organizzazione del lavoro, le opere non documentate spettanti individualmente al D. sono meno identificabili di quelle dei fratelli, proprio perche' egli cercava di avvicinarsi il più possibile allo stile paterno; e per questo i critici spesso non sono d'accordo sulla paternità di alcuni quadri, specialmente delle molte repliche, sparsi nei musei di tutto il mondo, dei soggetti biblici, evangelici, pastorali, delle allegorie dei Mesi, delle Stagioni, degli Elementi, delle composizioni con animali e dei "notturni", tutte creazioni inventate da lacopo, come ha chiarito la critica recente. E così non possono essere considerate definitive tutte le attribuzioni al D. proposte (dall'Arslan, dal Pallucchini, dal Rearick, dal Ballarin, dalla Fomiciova, ecc.) in questi ultimi anni. Tuttavia con buona attendibilità si pongono nel periodo di stretta collaborazione col padre: la Cacciata dei mercanti dal tempio, della coll. Borromeo all'Isola Bella (Ballarin, 1966, p. 122), vicina a quella firmata della coll. parigina Sambon, ora irreperibile (pubbl. in A. Sambon, Les Bassano... (catal.), Paris 1929, n. 9,tav. VIII; un Annunzio notturno ai pastori, del Castello Wawel a Cracovia (Ballarin, 1966, p. 135);un Miracolo dei pani e dei pesci, un Autunno e un'Estate, tutte dell'Ermitage a Leningrado (Fomiciova, 198 1, p. 90); due Storiedell'Arca, dicoll. privata milanese (Arslan, 1967, pp. 3 ss.).

Una data capitale per l'operosità del D. nell'ottavo decennio è il 1577, quando egli firma con il padre la Circoncisione del Museo civico di Bassano (proveniente dal duomo), dove la sua arte si caratterizza per i moduli tozzi piramidali delle figure, per la pennellata corposa e per i panneggi tormentati.

Sono di questo tempo importanti opere di collaborazione con Iacopo, il quale lascia largo spazio al figlio: la decorazione a fresco di una cappella nella parrocchiale di Cartigliano (1575); il gruppo di tele eseguite per la parrocchiale di Civezzano (1576 o 1577); il ciclo perduto dei soffitto della parrocchiale di Enego e degli affreschi con le Storie di Cristo sulle pareti laterali della stessa, eseguiti questi ultimi dal solo D., tutti lavori che si datano tra il 1571 e il 1577 (Bordignon Favero-Rearick, 1983, p. 222).

Tra le prime prove, sempre del periodo bassanese, che indicano il graduale allontanamento del D. dall'arte paterna, l'Arslan (1960, p. 189) pone l'Adorazione dei Magi del duomo di Padova e quella della Galleria Borghese oltre ad alcuni esemplari appartenenti a serie diverse, di Elementi (tratti da originali di Iacopo) tra i quali La Terra e Il Fuoco, firmato, della Gall. Liechtenstein di Vaduz.

Il D. si specializzerà nell'eseguire composizioni naturalistiche, come Leandro farà per il ritratto, sfruttando le invenzioni del padre e ne produrrà in grande quantità e in più redazioni per soddisfare le richieste del collezionismo, soprattutto quando aprirà la sua fortunata bottega a Venezia.

Lo stile del D. va precisandosi e le sue caratteristiche sono colte con acutezza già dai critici dei secc. XVII e XVIII: il Boschini (1674) di fronte a sue opere nota che l'occhio "non resta offeso punto dalla fierezza ne dalla rotondità rillevante del Padre"; lo Zanetti (1733, p. 38) osserva che il D. "fu nel colpeggiare caricato; perché volendo imitare il padre, e non potendosi per ben imitare trattenersi dal caricare, alle volte fu eccedentemente colpeggiatore, ed alle volte, non possedendo quella finissima intelligenza, riuscivano le cose sue, benché più delicate si dicano, direm più languenti"; anche il Verci (1775, p. 154) distingue una maniera "caricata" e una "languida".

Secondo il Gerola (1909, pp. 2 s.) il D. si trasferì a Venezia stabilmente dalla fine del 1579, ma non si conoscono documenti al riguardo: il primo dato sicuro è una sua lettera del 25 maggio 1581, mandata appunto dalla nuova residenza, al mercante fiorentino Niccolò Gaddi (Bottari-Ticozzi, 1822). Nella città lagunare sicuramente egli si era recato spesso e vi era ormai famoso quando, il 5 apr. 1578, dal Consiglio dei dieci vennero emanati in suo favore i mandati di pagamento (poi saldati il 3 agosto dello stesso anno) come caparra dei quattro dipinti per il soffitto del Maggior Consiglio (Mason Rinaldi, 1980, pp. 24, 219), eseguiti negli anni successivi e posti in situ entro l'estate del 1582 (ibid., p. 218). È difficile dare una spiegazione del trasferimento definitivo del D. a Venezia: "parendogli che poco avvanzo di fortuna far potesse nella Patria" scrive il Ridolli (1648 p. 393), guidandoci a capire che tale decisione si deve ad esigenze di mercato poiché da lì poteva facilitare meglio la circolazione delle opere e consolidare quei rapporti, che certo già intratteneva coi mercanti durante gli anni del tirocinio nella bottega paterna. Per esempio, dal contesto della ricordata lettera del maggio 1581 risulta che il D. era già da tempo in relazione col Gaddi, per il quale aveva eseguito delle Stagioni: gli esprime il desiderio di dipingere dei Mesi e si scusa del ritardo ("causa li molti travagli e l'indisposizione" del padre) con cui gli ha inviato i disegni del medesimo e altri di sua mano.

Con la sua specializzazione il D. si era conquistato uno spazio ben preciso anche al di fuori dell'ambito veneto: ce lo confermano altre due testimonianze di autori contemporanei, il Borghini (1584) secondo il quale sue opere sarebbero a Firenze, Roma e "quasi per tutte le parti del mondo"; e il Lomazzo (1584) che lo loda per le sue capacità nel raffigurare paesaggi. Una vera e propria industria artistica appare la sua bottega dalla descrizione del Ridolli (16483 pp. 397 s.): "Occupavasi ancora Francesco in far quadri aMercatanti, traendone utili di consideratione, quali venivano trasportati in varji luoghi, piacendo dovunque la di lui maniera; e molte copie sue passano ancora per originali, che si facevano da' giovani che teneva in casa...".

Il 10 febbr. 1578 (Gerola, 1905, p. 104) il D. aveva sposato a Bassano Giustina Como, "bella e prudente donna", scrive il Ridolfi (1648, p. 393), il quale più avanti ne precisa il ritratto, illuminando di riverbero la figura dei D.: "qual'hor riceveva il pagamento dei quadri, con volto allegro riportava le monete nel lembo della veste à Madonna Giustina, sua Moglie, che le annoverasse, essendo egli di così semplice natura, che non sapeva il loro valore. Ma quella riservandole, ne comperava di quando in quando poderi nel Bassanese, co' quali poi honorevolmente maritò due sue figliole dopo la morte del marito" (ibid., p. 398).

Dal matrimonio era nato anche un figlio maschio, Giacomo, battezzato a Bassano il 23 dic. 1579, ma questi evidentemente non sopravvisse alla prima infanzia perché non è nominato nel testamento del padre del 10 nov. 1587 (Gerola, 1905, pp. 103-106). In quest'ultimo documento si colgono dal vivo la fiducia e la gratitudine che il D. nutriva per la moglie: chiamandola "carissima e amorevolissima consorte... da lui sempre quanto se stesso amata" e poi "obedientissima", le lascia l'intera dote di 400 ducati, tutti i beni mobili e l'usufrutto, purché non si risposi, del podere da lui comperato il 3 febbraio dello stesso anno, "nella villa di Romano, nella contrà del Mardigion". Questo possedimento sarà assegnato, nel codicillo (ibid., pp. 106 s.) aggiunto il 25 genn. 1589, alla figlia Marina, nata nel frattempo, e ad eventuali altri figli (il 30 luglio 150 fu battezzata a Venezia Elisabetta Francesca: ibid., p. 107).

La produzione dei primi anni veneziani (intorno al 1580) risente delle suggestioni tizianesche e tintorettesche che si riscontrano nel Battesimo di s. Afra, nella chiesa omonima di Brescia; nel ciclo di nove tele con episodi della Passione di Cristo, dipinte per la chiesa di S. Antonio di Brescia, ora disperse in varie collezioni private e pubbliche (l'Innalzamento sulla croce si trova nel Museo civico di Bassano); nei due quadri con l'Orazione nell'orto e l'Adorazione dei pastori (già nella coll. Calamai a Firenze e ora al Museo civico di Bassano), nottumi nei quali il D. raggiunge esiti paralleli a quelli del Cambiaso e di Antonio Campi.

Durante il nono decennio il D. non cessò di collaborare con lacopo in opere che furono firmate da entrambi, come la Fucina di Vulcano (1584 c.) del Museo di Poznań e il Cristo sbeffato della Galleria Pitti di Firenze, databile (Ballarin, 1966, p. 130) verso il 1590. Esistono anche lavori in cui si ravvisa l'intervento paterno pur non documentato da firma: è il caso delle tele sopra ricordate (1578-1582) per il soffitto del Maggior Consiglio con quattro Vittorie della Serenissima: l'aiuto offerto al figlio in questa occasione è ricordato da lacopo nel testamento e descritto dal Ridolfi (1648, p. 396). Evidentemente il D. per dipingere soggetti di storia di così importante destinazione, trovandosi ad operare a fianco dei primi maestri veneziani, da Veronese a Tintoretto, a Palma il Giovane, aveva bisogno ancora della tutela paterna e si può arguire che suggerimenti fossero venuti da Iacopo anche nell'invenzione e nella esecuzione delle altre pitture commissionate al D. per il palazzo ducale, cioè l'ovato con La presa di Padova sul soffitto della sala dello scrutinio (degli stessi anni dei soffitto del Maggior Consiglio), la parte a lui spettante della decorazione parietale delle due sale (ciclo perduto di cui si conserva solo la tela con Alessandro III che presenta lo stocco al doge Sebastiano Ziani, nel Maggior Consiglio) e il modello (1586) del Paradiso per il Maggior Consiglio, ora all'Ermitage.

La risonanza dell'appoggio del padre nei lavori per la Serenissima si ha anche nella lite (Memmo, 17543 pp. 77-84) sorta dopo la morte del D. fra la vedova e i cognati Giambattista e Gerolamo sulla divisione dell'eredità di Iacopo, che nel testamento lasciò al D. solo la legittima, invitandolo inoltre a mettere "in fraterna tutti li beni per lui acquistati... havendoli acquistati con l'arte et industria che li ho insegnato" (Alberton Vinco da Sesso - Signori, 1979, p. 164).

Intorno alla metà del nono decennio si raccolgono, secondo l'Arslan (1960, pp. 201 s.), alcune opere concepite nello spirito di quelle di palazzo ducale: la Resurrezione della chiesa veneziana del Redentore, il Ratto delle Sabine della Gall. Sabauda di Torino, i quattro ovati con episodi della Vita della Vergine e l'Ultima cena (1586) in S. Maria Maggiore a Bergamo, l'Assunta della chiesa del Carmine ancora a Bergamo, le quattro Stagioni del Kunsthistorisches Muscum di Vienna.

Dopo questi dipinti di largo respiro e di un cromatismo festoso, verso la fine degli anni Ottanta si manifestò nell'artista una crisi che si rifletté anche nella produzione allegorica: in un progressivo avvicinamento al gusto del fratello Leandro, il colore si schiarisce perdendo di forza, le forme si dilatano e si semplificano, la composizione si fa frammentaria. Sono di questo stile l'Assunta della chiesa romana di S. Luigi dei Francesi, la Vergine e i ss. Francesco e Domenico della chiesa trevigiana di S. Nicolò, la Presentazione al tempio della Galleria nazionale di Praga, l'Adorazione dei Magi e un Mercato dei Kunsthistorisches Museum di Vienna (tranne la prima, tutte firmate). Questa forma di "decadenza", come la chiama l'Arslan, non incise sull'attività sempre redditizia (Ridolfi, 1648, p. 399) del D., a giudicare anche dall'acquisto, già ricordato, dei terreni a Romano nel 1587. Ma questo fatto testimonia pure la sua inquietudine e il suo desiderio di ritornare in patria ed è significativo che verso la fine del 1587 il D. stendesse il suo testamento: quasi sicuramente egli si trovava in cattivo stato di salute ed era già affetto da "eccesso di malinconia" causata dalla "soverchia applicatione ne gli studi", scrive il Ridolli (ibid.); spiegando che il D. aveva ereditato dalla madre "alcune leggerezze di mente, le quali col progresso del tempo si avanzarono in modo, che diede ne' deliri".

Anche l'altro suo biografò, il bassanese Verci (1775, pp. 156 s.), scrive dell'aggravarsi della "fierissima ipocondria che il faceva sovente uscir di sé" e in cui era caduto per "essersi consumati gli spiriti dell'indefessa attenzione a dipingere" ma anche per la sua fragilità psichica: "ebbe un'indole docilissima e quieta, che accompagnata dal suo naturale solitario e timido diventò nimico di ogni conversazione ed allegria... Fu di vita pura ed innocente, pietoso mai sempre, caritatevole e cortese verso gli amici ma di mente cotanto semplice e credula, che qualunque racconto favoloso, che avesse ascoltato o letto, lo poneva in timore, e in agitazione..., compassionava con singhiozzi e pianti le disavventure di quei finti personaggi".

Nell'ultimo periodo il D. ebbe commissioni di opere che solo in parte furono eseguite da lui (Arslan, 1960, pp. 203 s., 208 s.): tutto di sua mano un Ognissanti inviato alla chiesa dei Gesù a Roma dopo il gennaio 1592; interamente di Leandro, che la firmò e la datò 1594, una Moltiplicazione dei pani e dei pesci, che il D. il 3 ott. 1591 si era impegnato a dipingere per il refettorio dell'abbazia di Montecassino (distrutto nel 1944; Arslan, 1960, pp. 203, 242, fig. 309); senza seguito rimase l'accordo del gennaio 1598 per un quadro destinato al coro di S. Maria Maggiore a Bergamo; interrotta per la morte e poi completata da Leandro la tela col Congedo di Sebastiano Ziani da Alessandro III per la sala del Consiglio dei dieci nel palazzo ducale a Venezia.

Il 3 luglio 1592 (Gerola, 1905, p. 103, n. 1), a pochi mesi dalla scomparsa di Iacopo, il D. morì in seguito al tentativo di suicidio compiuto nel novembre del 1591, concludendo così tragicamente la sua difficile vita di uomo e di artista che forse non aveva mai raggiunto una completa fiducia in se stesso, condizionato dalla grandezza del padre.

A tinte drammatiche i suoi biografi (Ridolfi, 1648, p. 399, Verci, 1775, p. 157) raccontano che, colpito da mania di persecuzione, si credeva perseguitato dagli sbirri, e per questo veniva curato e protetto amorevolmente da madonna Giustina; ma un giorno, trovandosi solo e sentendo bussare alla porta, in un eccesso di sgomento si gettò da una finestra della sua casa a San Canciano (ai Birri), che era stata di Tiziano. Fu sepolto a Bassano nella chiesa di S. Francesco. Qui la vedova gli fece erigere un busto (poi trasportato al Museo civico e sostituito da una copia) scolpito dall'amico Gerolamo Campagna, sotto il quale fece murare una lapide che riflette l'ammirazione goduta dall'artista presso i contemporanei.

Fonti e Bibl.: Inedito è il secondo Libro dei conti dei Bassano, riassunto nelle sue parti principali in M. Muraro, Pittura e società: il Libro dei conti e la bottega dei Bassano, Univ. di Padova, fac. di magistero, a. a. 1982-83, dispense ciclost. Per le fonti edite e la bibliografia sino al 1909 si veda G. Gerola, Bassano F. il Giovane, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, III, Leipzig 1909, pp. 2 s., che dà un'ampia trattazione alla famiglia dei Bassano (pp. 1-8). Ma vedi in partic.: L. Marucini, Il Bassano, Venezia 1577, p. 60; R. Borghini, IlRiposo, Firenze 1584, p. 564; G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte de la pittura, libro VI, Milano 1584, p. 474; C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, Venezia 1648, I, pp. 393-400 e l'edizione a cura di D. von Hadeln, I, Berlin 1914, pp. 403 s.; M. Boschini, Le ricche minere, Venezia 1674, introd., pp. n. nn.; A. M. Zanetti, Descriz. di tutte le p ubbliche pitture... o sia Rinnovazione delle ricche minere di Marco Boschini... con un compendio delle Vite, e maniere de' principali pittori, Venezia 1731, pp. 36-40; F. Memmo, Vita e macchine di B. Ferracino, Venezia 1754, pp. 77-84 n. XXVI; G. B. Verci, Notizie intorno alla vita e alle opere de' pittori... di Bassano, Venezia 1775, pp. 153 ss.; G. Bottari-S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura..., III,Milano 1822, pp. 265 s.; G. d. B. [Gerola], I testamenti di F. il Giovane e di Gerolamo da Ponte, in Boll. d. Museo civ. di Bassano, II (1905), pp. 103-107; L. Chiarelli, Iconogr. bassanese, ibid., VI (1909), p. 85; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 4, Milano 1929, pp. 1261 ss.; W. [E] Arslan, I Bassano, Bologna 1931, pp. 201 ss.; L. Magagnato, Catal. della Mostra dei dipinti dei Bassano, Venezia 1952; M. Muraro, Gli affreschi dijacopo e F. da Ponte a Cartigliano, in Arte veneta, VI (1952), pp. 42-62; L. Magagnato, In margine alla mostra dei Bassano, ibid., VI (1952), pp. 220-229; M. Muraro, The Jacopo Bassano Exhibition, in The Burlington Mag., XCIV (1957), pp. 291-299; R. Pallucchini, Commento alla mostra di Jacopo Bassano, in Arte veneta, XI (1957), pp. 97-118; E. Anlan, I Bassano, Milano 1960, pp. 183-226 (con ulteriore bibl. a pp. 210 ss.); W. R. Rearick, J. Bassano; 1568-9, in The Burlington Mag., CIV (1962), pp. 524-33; A. Ballarin, Chirurgia bassanesca, in Arte venera, XX (1966), pp. 112-136; Id., La vecchiaia di Iacopo Bassano: le fonti e la critica, in Atti d. Ist. ven. di sc., lett. ed arti, CXXIX (1966-67), pp. 151-93 passim (con relativa bibl.); W. Wolters, Der Programmentwurf zur Dekoration des Dogenpalastes nach dem Brand von 20Dezember 1577, in Mitteil. des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, X (1966), pp. 271 ss.; E. Arslan, Due storie dell'Arca di Fr. e J. Bassano, in Antichità viva, VI (1967), 3, pp. 3-7; W. R. Rearick, Jacopo Bassano's later genre paintings, in The Burlington Magazine, CX (1968), pp. 741-49; R. e M. Wittkover, Nati sotto Saturno, Torino 1968, pp. 154 s.; A. Ballarin, Introd. ad un catalogo dei disegni di Jacopo Bassano, in Arte veneta, XXIII (1969), pp. 85-114 passim; G. Degli Avancini, Una sinopia bassanesca al castello di Cles, in Studi trentini di scienze stor., I (1972), pp. 133-39; I. A. Smimova, Jacopo Bassano, Moskva 1977; L. Magagnato-B. Passamani, Il Museo civ. di Bassano del Grappa (catal.), Venezia 1978, pp. 7-11, 30 s.; L. Alberton Vinco da Sesso-F. Signori, Il testamento di Jacopo Bassano, in Arte veneta, XXXIII (1979), pp. 161-64 passim; V. Sgarbi, Palladio e la Maniera. I pittori vicentini del Cinquecento (catal.), Venezia 1990, pp. 88-91; W. R. Rearick, The portraits of Jacopo Bassano, in Artibus et historiae, I (1980), pp. 99-114; S. Mason Rinaldi, J. Bassano e il soffitto del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale, in Arte veneta, XXXIV (1980), pp. 214-19; T. Fomiciova, I dipinti di J. Bassano e dei suoi figli F. e Leandro nella collezione dell'Ermitoge, ibid., XXXV (1991), pp. 89 ss.; R. Pallucchini, La pittura venez. del Seicento, Milano 1981, pp. 27 s.; E. Bordignon Favero-W. R. Rearick, Per la datazione delle opere di jacopo dal Ponte a Enego, in Arte veneta, XXXVII (1983), pp. 221 ss.

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