DANDOLO, Giovanni, detto Cane

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DANDOLO, Giovanni, detto Cane

Marco Pozza

Appartenente al ramo di S. Polo della celebre famiglia, nacque con ogni probabilità nel quarto o quinto decennio del sec. XIII. Primo dei suoi ad essere indicato con l'appellativo di Cane, si volse presto alla pratica politica. Ancora piuttosto giovane fu infatti eletto al Maggior Consiglio (1° ott. 1268), carica alla quale venne confermato anche nel 1270. Negli anni immediatamente successivi non ricoprì alcun incarico ufficiale, pur continuando ad interessarsi della cosa pubblica: lo si trova presente, tra l'altro, alla stipula di un trattato con la città di Mantova (17 sett. 1274).

Al 1275 risale la sua prima nomina ad un'importante carica diplomatica: quella di console generale nel Regno di Sicilia. Giunto nella tarda estate a Trani, sede del suo ufficio, si adoperò tra il settembre ed il dicembre per ottenere dalla corte angioina l'autorizzazione all'acquisto di massicci quantitativi di granaglie da inviare a Venezia, afflitta da una carestia dovuta ad un cattivo raccolto nell'Italia padana: egli stesso a metà dicembre comperava 2.000 salme di grano, esportate all'inizio dell'anno seguente dai porti pugliesi. Nell'aprile 1277 si trovava ancora presso la corte angioina, in quei giorni dimorante a Brindisi, da cui impetrava disposizioni a vantaggio dei mercanti veneziani presenti nel Regno. È assai probabile che il D. sia rimasto nell'Italia meridionale fino al termine dell'estate - la durata normale del suo mandato era infatti di un biennio - e che a lui vadano quindi ascritte altre iniziative a favore dei suoi compatrioti, come la liberazione, ai primi di giugno, dell'equipaggio di una terida sorpresa nei pressi delle isole Tremiti con a bordo un carico di frumento di contrabbando. In ogni caso all'inizio dell'autunno era di nuovo a Venezia perché il 29 settembre fu eletto per la terza volta al Maggior Consiglio.

Di lì a non molto il D. ritornò, tuttavia, nel Regno di Sicilia. Nel giugno 1279 il doge Iacopo Contarini lo inviò infatti al re Carlo, assieme con Matteo Querini e Giacomo Tiepolo. Scopo dell'ambasceria era di ricercare aiuti per la difesa di Negroponte, esposta pericolosamente alla minaccia di un attacco da parte delle forze dell'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo.

A tale fine Venezia chiedeva l'invio di una flotta veneto-angioina, la cui presenza sarebbe forse valsa a scongiurare un'invasione dell'isola. L'intesa non fu però raggiunta facilmente, poiché, mentre gli ambasciatori avevano ricevuto dei poteri molto limitati (dovevano solo trattare "super armandis galeis ad partes Romanie mittendis"), il sovrano si proponeva obiettivi più ambiziosi cercando di ottenere un più esteso e durevole impegno veneziano a sostegno della sua politica orientale. Questa però era diretta in ultima analisi alla conquista stessa di Costantinopoli ed alla conseguente creazione di una grande entità statale nel Mediterraneo centrorientale, e quindi finiva per scontrarsi proprio con gli interessi veneziani. Le proposte di Carlo I non furono pertanto accolte e il patto, stipulato a Capua il 30 marzo del 1280, prevedeva solamente l'invio in tempi brevi di sei galee veneziane e dieci angioine alla volta di Corfù, da dove la piccola squadra sarebbe dovuta salpare diretta a Negroponte, impegnandosi nella sua difesa per la durata di sei mesi.

Nel frattempo, tuttavia, la situazione militare nell'Egeo era precipitata: truppe bizantine, sbarcate già nell'autunno del 1279 a Negroponte, all'inizio della primavera successiva avevano inferto una pesante sconfitta agli alleati di Venezia, occupando in breve l'intera isola ad eccezione della sola capitale. Quanto stabilito nel patto di Capua a questo punto non era più sufficiente: Venezia non ratificò l'accordo ed il doge neoeletto, Giovanni Dandolo, si affrettò il 28 aprile a comunicare nuove istruzioni ai suoi tre rappresentanti che ancora non erano rientrati in patria, conferendo loro pieni poteri per trattare una più ampia alleanza con gli Angioini. Anche in questa occasione le discussioni fra le parti durarono a lungo, trovando la loro conclusione, grazie anche all'intervento del pontefice Martino IV, il 3 luglio 1281 ad Orvieto. I termini generali dell'accordo costituivano un autentico trionfo per Carlo I perché gli ambasciatori veneziani - ridotti solamente al D. ed al Tiepolo, mentre il Querini non compare più - accettarono completamente il suo progetto di una grande spedizione contro l'Impero bizantino, impegnandosi a garantire l'appoggio di una flotta di non meno di quaranta galee entro l'aprile del 1283, data fissata per l'inizio delle operazioni. Per iniziativa del D. e del suo collega fu tuttavia stipulato lo stesso giorno un secondo patto che prevedeva l'impiego nel maggio del 1282 di trenta galee - metà veneziane e metà angioine - e di dieci teride con trecento cavalieri imbarcati contro il Paleologo. Quest'intervento congiunto ebbe effettivamente luogo - a differenza della grande spedizione che invece fu annullata dallo scoppio della guerra del Vespro in Sicilia - e le forze impegnatevi furono dirette proprio su Negroponte, come nei desideri veneziani, anche se con scarsi risultati.

Rientrato a Venezia, dopo oltre due anni di assenza, il D. ridusse notevolmente la sua attività pubblica: fu, infatti, eletto per la quarta volta al Maggior Consiglio nel 1283, ma scaduto quest'ultimo mandato si ritirò a vita privata (non trova conferma un suo presunto secondo consolato nel Regno di Sicilia) e di lui si perde da allora ogni traccia, fino al 22 sett. 1311 quando, ormai in tarda età, è citato nel testamento della moglie Marchesina, assieme con la figlia Maria, vedova di Marco Michiel conte di Arbe, ed il figlio Francesco, a quell'epoca in missione diplomatica a Roma. Incerta la data della sua morte, avvenuta in ogni modo prima dell'elezione del figlio al dogado (1329).

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. Atti diplomatici e privati, b. 6, n. 211; b. 7, n. 227; Ibid., Sezione notarile, Testamenti, Atti Diodato Pietro, b. 36, n. 5; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr. Cod. Cicogna 2151: Mem. della famiglia Dandolo, pp. 22, 126, 233, 342 s.; Ibid., Mss. P. D., 112-c: Notizie della famiglia Dandolo, cc. 8r, 61r; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, cc. 4v, 9r; Ibid., Mss. It., cl. VII, 128a (= 8639): G. G. Caroldo, Cronaca veneta sino al 1382, c. 122; Ibid., Mss. It., cl. VII, 198 (= 8383): Reggimenti della Repubblica veneta, c. 244r; Ibid., Mss. It., cl. VII, 206 (= 7464): R. Curti, Famiglie nobili venete, III, c. 7r; Ibid., Mss. It., cl. VII, 926 (= 8595): M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, c. 47v; M. Sanuto, Vitae Ducum Venetorum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, col. 569; Andreae Danduli Chronica..., in Rer. Ital. Script., 2 ed., XII, 1, a cura di E. Pastorello, p. 322; Laurentii de Monacis Cretae cancellarii Chronicon de rebus Venetis, a cura di F. Cornelius, Venetiis 1758, p. 257; Urkunden zur älteren Handels- und Staatsgeschichte der Republik Venedig, in Fontes Rerum Austr., XIV, a cura di G. L. F. Tafel-G. M. Thomas, Wien 1857, pp. 288 s., 291 ss., 296 ss., 300, 302 s., 305 s., nn. CCCLXXIII-CCCLXXV; Antichi testamenti tratti dagli archivi della Congreg. di Carità di Venezia, a cura di J. Bernardi, VII, Venezia 1888, p. 4; Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di R. Cessi, I, Bologna 1950, pp. 288, 295, 307, 333; I Registri della Cancelleria angioina ricostruiti da R. Filangieri…, XIII, Napoli 1959, pp. 30, 188, nn. 136, 55; XIV, ibid. 1961, p. 207, n. 344; XVI, ibid. 1962, p. 48, n. 155; Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di R. Cessi-F. Bennato, Venezia 1964, pp. 185 s.; Codice diplom. sui rapporti veneto-napoletani durante il regno di Carlo I d'Angiò, in Regesta Chartarum Italiae, XXXVI, a cura di N. Nicolini, Roma 1965, pp. 118, 132, 175 s., nn. CXXXVII, CXLVII, CLXX s.; M. F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, II, Venetiis 1663, p. 568; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, II, Venezia 1854, p. 317; C. Minieri Riccio, Il regno di Carlo I d'Angiò dal 2 genn. 1273 al 31 dic. 1283, in Arch. stor. ital., s. 3, XXIV (1876), p. 398; A. Zambler-F. Carabellese, Le relazioni commerc. fra la Puglia e la Repubblica di Venezia dal sec. X al XV, II, Trani 1898, p. 119; O. Cartellieri, Peter von Aragon und die sizilianische Vesper, Heidelberg 1904, p. 69; F. Carabellese, Carlo I d'Angiò nei rapporti politici e commerciali con Venezia e l'Oriente, Bari 1911, pp. 131-134; N. Nicolini, Sui rapporti diplom. veneto-napoletani durante i regni di Carlo I e Carlo II d'Angiò, in Arch. stor. per le prov. napol., LX (1935), pp. 255, 263 s.; A. Da Mosto, I dogi di Venezia con particolare riguardo alle loro tombe, Venezia 1939, p. 76; G. Cracco, Società e Stato nel medioevo veneziano, Firenze 1967, p. 306.

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