DAVIA

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DAVIA

Gianpaolo Brizzi

Famiglia di condizione borghese originaria di Domodossola, si stabilì nel 1640 a Bologna, ove PietroAntonio, impiegatosi dapprima come garzone in un forno, cumulò un ingente patrimonio con il commercio dei tessuti e grazie a una lucrosa attività finanziaria di un banco da lui stesso fondato. Egli seppe impiegare con lungimiranza le fortune cumulate, favorendo una rapida promozione sociale dei familiari, grazie anche a una accorta politica matrimoniale.

Il figlio GiovanniBattista sposò Porzia Ghislieri, ultima discendente della sua famiglia, imparentandosi in tal modo con le più cospicue famiglie senatorie cittadine e ottenendo da Giovanni III, re di Polonia, un titolo nobiliare. Coi figli Giovanni Antonio, cardinale, e Virgilio, (1649-1703) si inserì a pieno titolo nella classe dirigente cittadina: Virgilio ottenne un seggio senatorio nel 1672 e, sposando Vittoria Montecuccoli, sancì in maniera definitiva il nuovo status sociale della famiglia. Grazie alla moglie che, quale dama di compagnia della regina d'Inghilterra Maria Beatrice d'Este, contribuì all'espatrio clandestino del figlio di Giacomo II, la famiglia ebbe lunghe relazioni con la corte dell'ex sovrano inglese il quale, in segno di riconoscenza, nominò Virgilio pari di Scozia. concedendogli inoltre vari riconoscimenti.

GiovanniBattista (1674-1704), figlio di Virgilio, trascorse l'adolescenza con lo zio paterno Giovanni Antonio, mentre questi reggeva le nunziature di Bruxelles e di Colonia. La parentela con il generale imperiale Enea Silvio Caprara orientò le ambizioni dei giovane verso la carriera militare: arruolatosi in qualità di cadetto nell'esercito guidato dal Caprara che operava in Ungheria, cadde prigioniero del nemico e venne tradotto a Costantinopoli. Riconosciutane l'identità, fu trattenuto in prigione per tre anni e mezzo fin quando poté essere scambiato con un pascià caduto prigioniero dell'elettore di Sassonia. Giovanni Battista si stabilì dapprima a Vienna, ove lo zio risiedeva in qualità di nunzio presso la corte imperiale e, quando nel corso del conflitto per la successione al trono di Spagna l'armata imperiale guidata da Eugenio di Savoia scese in Italia, vi fu accolto come aiutante generale.

Egli venne impiegato nello Stato Maggiore per incarichi diplomatici, come nel giugno del 1701 quando fu inviato a Ferrara per rassicurare il legato pontificio, cardinale Astalli, che le truppe imperiali che transitavano nel Ferrarese avrebbero rispettato la neutralità dello Stato della Chiesa. Nel 1703 negoziò col Senato genovese il transito delle truppe imperiali e fu in seguito inviato a Firenze per alcuni contatti con l'ambasciatore inglese alla corte granducale.

Ma fu soprattutto nelle operazioni militari che Giovanni Battista ottenne i suoi maggiori successi divenendo in breve tempo, grazie alla sua audacia, un personaggio famoso nell'armata imperiale e un nemico temuto. Egli si distinse per le spericolate incursioni nel territorio nemico, operando secondo uno schema che si fondava sulla sorpresa e sulla temerarietà.

Due azioni suscitarono l'ammirato consenso del principe Eugenio, che invitò l'imperatore a esprimere il proprio apprezzamento a Giovanni Battista: nel giugno del 1702 guidò una spedizione nel quartier generale francese allo scopo di rapire il duca di Vendóme, comandante generale, azione che fallì solo per l'intempestivo intervento di alcuni suoi soldati che allarmarono le sentinelle francesi nell'istante in cui Giovanni Battista stava penetrando nella villa ove era stabilito il Vendome. Più fortunata l'incursione da lui diretta nell'autunno di quello stesso anno alla testa di un contingente di circa 250 ussari e corazzieri, allorché si spinse per circa 230 chilometri all'interno del territorio nemico irrompendo nella stessa città di Milano. Insieme con i colonnelli Ebergény e P. Deák, partì dal campo imperiale il 21 settembre e attraverso le campagne, varcando fiumi, evitando le guamigioni nemiche, sfuggendo agli esploratori inviati a intercettarlo, imponendo contributi alla città di Pavia e ai monaci della Certosa, il 26 settembre entrò a Milano e, favorito dallo scompiglio creato nel presidio franco-spagnolo, si trattenne per circa un'ora nel centro cittadino ove arringò il popolo invitandolo ad acclamare l'imperatore. Uscito dalla città, saccheggiò la villa del principe Carlo Vaudémont; il 3 ottobre era nuovamente nel campo imperiale.

Nominato luogotenente colonnello e ottenuto un proprio contingente di cavalleria, Giovanni Battista nel 1704 ritentò un'analoga incursione su Milano con minor successo finché il 29 novembre di quello stesso anno, ferito gravemente in uno scontro coi nemico, morì dopo alcune ore assistito dai comandanti imperiali.

Anche Francesco (1677-1753), fratello del precedente, si arruolò nell'armata del principe Eugenio di Savoia, ove fu inquadrato quale capitano nel reggimento Visconti. Nel 1702, nel corso di un duello, uccise il conte Cavriani che militava nello stesso contingente e per tale motivo fu costretto ad abbandonare l'armata e a rifugiarsi a Bologna. Nel 1705 si arruolò nell'esercito spagnolo di Filippo V come aiutante maggiore e fu ben presto promosso colonnello, ma dopo due anni lasciò il servizio militare per ricoprire il seggio senatorio che non era stato assegnato dopo la morte del padre, avvenuta nel 1701, per le perplessità che suscitava nel pontefice e nel governo cittadino il comportamento irresponsabile dei fratelli Davia (Filippo era stato bandito da Bologna, il fratello minore Niccolò era stato ucciso in uno scontro a fuoco). Sposatosi con Laura Bentivoglio, continuò la sua vita sregolata, nonostante i frequenti interventi dello zio, il cardinale Giovanni Antonio, che ne ospitò a lungo a Rimini la moglie con i figli. Francesco fu uno dei personaggi più discussi della società bolognese per il suo comportamento e per il temperamento, ben descritti da Alfredo Testoni nel Cardinale Lambertini (Roma 1906).

Fonti e Bibl.: L'archivio della famiglia Davia è conservato a Bologna presso l'Opera pia Davia Bargellini. Essoconsta di circa 900 "pezzi": particolarmente ricca e continua la serie relativa agli istrumenti e airegistri amministrativi la cui documentazione va dagli inizi dei sec. XVIIfino all'estinzione della famiglia. Inoltre: Bologna, Biblioteca univers., ms. 770: A. F. Ghiselli, Mem. antiche manoscritte di Bologna, ad Indicem; ms. 4207: L. Montefani Caprara, Delle famiglie bolognesi, vol. 29, cc. 162-88; G. Guidicini, IRiformatori dello Stato di libertà della città di Bologna, II,Bologna 1869, pp. 76-80; G. Gibelli, Vita del comm. Luigi Davia, Bologna 1869; Campagne del principe Eugenio di Savoia, Torino 1892-1895, III-VI, passim (in partic., IV, pp. 205 ss., 310-13); A. Albertazzi, La contessa d'Almond, Bologna 1894.

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